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Autore: Doux_Ange    17/02/2021    0 recensioni
E se qualcuno iniziasse a soffrire di insonnia? Quale miglior modo per ovviare al problema, se non attraverso le favole della buonanotte? Naturalmente rivisitate, con Anna e Marco per protagonisti!
[La raccolta si inserisce nel contesto di DM12 - 2.0, perché troviamo i nostri personaggi Vocina, Grillo e Lottie, ma può essere letta comunque, perché le 'storie' saranno ambientate tra DM11 e DM12, quindi i due anni off-screen]
Buona lettura!
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna Olivieri, Marco Nardi
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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LA BELLA E LA BESTIA
 
 
Ciao, Vocina! Che fai?
 
Leggo... tu sei di buon umore, stasera. Che ti è preso? Sei malato? Hai sbattuto la testa? Mi devo preoccupare?
 
Come sei melodrammatica, sembri me...
 
Oh, piano con gli insulti!
 
Quello offeso dovrei essere io!! Ma ci passo sopra, perché ho bisogno del tuo aiuto.
 
Per fare che?
 
Per scrivere una nuova favola. L’ultima inizia a non funzionare più per la mia insonnia, anche Lottie vuole una storia nuova, e tu hai una memoria decisamente migliore della mia.
 
Stai facendo troppi complimenti. Qui gatta ci cova.
 
Gatta? DOVE? Mi vuole mangiare!!
 
È un modo di dire, scemo!
 
Non farmi questi scherzi, per poco non ci restavo secco!
 
“Grillo morto d’infarto” mi sembra un bel titolo di giornale...
 
Non mettere in giro notizie false, come fanno in giro certi sceneggiatori di fiction...
 
Eh?
 
Niente, io mi sono capito. Allora, mi aiuti?
 
Hai qualche idea?
 
Mi piacerebbe una storia come quella del cartone che guardava Ines l’altro giorno... Come si chiamava... Mannaggia al GrillAlzheimer!
 
Intendi ‘La bella e la bestia’? Ma dicevi che non ti piacciono le favole scontate!
 
Ecco, sì, quella! Ma infatti ho bisogno della tua memoria per non renderla scontata. Ci serve un momento di Anna e Marco che la ricordi, e per questo mi servi tu.
 
È la prima volta che ammetti di essere perso senza di me. Sono lusingata, sai? Non me lo aspettavo.
 
Lo so. La verità, Vocina, è che possiamo discutere tutto il tempo come i nostri padroni, ma proprio come loro, anche noi siamo un grande team.
 
Sì, ma solo team! Non ti allargare, non farti strane idee.
 
Ecco che ci risiamo... iniziamo con la storia, che è meglio.
 
Uh, sembri Puffo Brontolone. Racconti tu?
 
Questa volta sì, sono pronto! Uhm... com’è che iniziano le storie?
 
Va bene, abbiamo capito... Ci penso io.
 
C’era una volta, tanto tempo fa, una bambina di nome Anna, che trascorreva la maggior parte del suo tempo libero a giocare con sua sorella Chiara, nel giardino sotto casa. I suoi giorni passavano spesso così, vissuti con la gioia e la spensieratezza della sua età. 
Ce n’erano alcuni, però, che diventavano bui: quelli in cui il suo papà usciva di casa con una valigia in mano.
Come stava succedendo in quel momento. 
Anna detestava vedere il suo papà partire per i viaggi di lavoro, non sopportava quella sua assenza, anche se si trattava di pochi giorni. Lui era l’unico che la capiva veramente, che alimentava i suoi interessi senza tentare di farle cambiare idea. 
La assecondava, portandola con sé per la messa a punto del maggiolino, prima di partire per qualche scampagnata domenicale; la sera, quando non era troppo stanco, restava con lei a guardare i cartoni dei supereroi e i film di Zorro, e le aveva perfino regalato il costume di carnevale che tanto voleva, completo di spadino.
Praticamente l’opposto di ciò che sua madre avrebbe voluto per lei: un mondo rosa, pieno di fate e principesse, come quello in cui viveva sua sorella, fatto di fiocchi, fronzoli e smancerie.
Ma lei non era una di quelle principesse, e mai lo sarebbe stata. Ed era certa che mai si sarebbe innamorata di un principe azzurro, di quelli che arrivavano a cavallo a salvare la fanciulla in pericolo, come quelli che si vedevano nei film. Era roba per Chiara, quella, non per lei. Piuttosto, lei si sarebbe riuscita a liberare da sola e, semmai, avrebbe usato il cavallo del principe per scappare. 
Non aveva bisogno di salvatori. Anche perché, era convinta che nessuno si sarebbe mai avvicinato al suo ideale di uomo perfetto, che aveva un nome ben preciso: Carlo Olivieri. 
Lo stesso uomo che in quel momento si stava avvicinando a lei e sua sorella, per inginocchiarsi e aprire le braccia, in attesa del loro saluto.
Quando succedeva, la scena era sempre pressoché identica.
Un abbraccio e un bacio sulla guancia accompagnati da “Quando torni, papà?” e “Cosa ci porti stavolta, papà?”. Sempre la solita Chiara, a chiedere qualcosa in regalo.
Puntuale, c’era anche il rimprovero di mamma Elisa.
“Chiara, basta con queste richieste, ogni volta!”
Carlo si limitava sempre a sorridere, promettendo che un dono sarebbe certamente arrivato, forse proprio la fata dalle ali dorate che la sua primogenita aveva visto in una foto qualche giorno prima, e che aveva implorato i genitori di poter avere.
Quel giorno, però, Olivieri si era voltato verso la sua bambina più piccola, la sua ‘principessa anticonvenzionale’, e dopo averla osservata qualche istante in attesa di una richiesta che non era arrivata, le aveva finalmente posto la domanda, con una lieve carezza sulla guancia.
“E tu, tesoro? Cosa vuoi che ti porti?”
Anna, però, era particolarmente triste per la partenza del suo adorato papà, quel giorno, e avrebbe tanto voluto che lui non andasse via.
“Una rosa bianca,” aveva riposto, comunque, con gli occhi bassi. In realtà non c’era un vero motivo dietro quella strana richiesta, tranne il ricordo di quel fiore attribuito a una delle sue eroine preferite, Lady Oscar. Per il Capitano delle Guardie Reali, quello era il simbolo d’amore che Andrè, il suo attendente, aveva associato a lei. Oscar, per l’uomo innamorato di lei, era proprio come quella rosa bianca. Ad Anna quell’immagine era piaciuta molto, le era rimasta impressa, e si era fatta strada fino alle sue labbra senza che ci riflettesse troppo. 
Suo padre non le aveva mai chiesto spiegazioni per quel regalo, né in realtà si era ricordato di portarglielo.
Quando era tornato, rammentando all’improvviso la promessa, si era scusato, ma ad Anna non era importato granché, soprattutto perché lui, per rimediare, aveva comprato un vasetto di roselline bianche, presso un vivaio, e l’aveva piantato in giardino insieme a lei, così che potessero prendersene cura insieme.
Per la bambina, era stato ancora più bello. In fondo, del regalo non le importava nulla. Era felice che fosse tornato e che avessero una scusa in più per passare più tempo insieme.
 
Erano passati molti anni da quel giorno, ma gli eventi raccontavano di primavere in cui le rose non ebbero più la stessa rigogliosa fioritura, per Anna. 
Anzi, quel fiore non faceva che riportare a galla il dolore di quella telefonata, una mattina qualsiasi, proprio mentre lei stava mettendo dell’acqua all’adorata piantina. La notizia che la madre aveva dato a lei e Chiara era stata devastante: il suo papà si era tolto la vita.
Anna si era punta: perfino le sue rose avevano percepito il dolore e si erano fatte aggressive.
Da allora, la pianta non era più stata curata, e aveva iniziato a impossessarsi del giardino, crescendo selvatica ovunque volesse. Lo spazio sembrava non bastarle mai, ne pretendeva sempre di più.
Quel gesto d’amore, la cura per quel fiore che tanto le ricordava suo padre, era andato perduto insieme a lui.
Non aveva mai raccontato a nessuno di quel sentimento di vuoto e di fuga che aveva provato, nel veder crescere quel roseto indisciplinato. Non aveva avuto la forza né di ricominciare a curarsene, né di estirparlo.
Alla fine, era andata via lei.
E quel ricordo era rimasto come un giardino segreto, da non rivelare mai ad anima viva.
Anche per quel motivo, a ogni mazzo di rose rosse che Giovanni le aveva regalato, lei aveva sempre associato un sentimento di mancanza. Come se il messaggio che quei doni avrebbero dovuto narrarle non ci fosse, o fosse incompleto.
Le suore, quel giorno ad Assisi, avevano compreso immediatamente. Anche nella sua relazione mancava qualcosa - l’amore. Che c’era, ma era fraterno. E non era il sentimento giusto. Nel suo legame con Giovanni, mancavano quelle basi solide che sarebbero state necessarie a costruire un futuro insieme. Una vita felice, una famiglia... le voleva, ma non era lui l’uomo giusto con cui realizzarle. 
Le ci erano voluti anni per rendersene conto, ma quando l’aveva finalmente capito, era riuscita ad accettare la fine della loro storia senza rimpianti.
Certo, non era stato facile, aveva impiegato mesi a superare quella rottura. 
L’aiuto non le era mancato, ma Chiara e il maresciallo Cecchini, che da quando lei aveva preso servizio presso la caserma di Spoleto si era prodigato in mille modi, tendevano a essere soffocanti. 
Non era una nuova storia d’amore ciò di cui aveva bisogno.
L’unica cosa che mai si sarebbe aspettata, era che ad aiutarla di più in quel periodo sarebbe stata la persona più lontana da lei che avesse mai incontrato in tutta la sua vita. 
Un uomo apparentemente senza cuore, incapace di provare la minima empatia verso gli altri, alcun tipo di emozione, a parte rabbia verso le donne.
E, povera lei, Anna era una donna, e in quanto tale si era ritrovata vittima di quell’antipatia gratuita.
Si era chiesta spesso quale strano sortilegio avesse colpito quell’uomo, per renderlo tanto freddo e cinico.
Non che lei fosse la persona più indicata a spiegare agli altri come manifestare i propri sentimenti... da quando suo padre era morto, aveva sigillato il suo cuore in uno scrigno impenetrabile. Solo Giovanni era riuscito a sollevare il coperchio, ma di poco. 
Se fosse andata diversamente, non si sarebbero lasciati. Non era colpa di nessuno però, perché lui non si era impegnato a scavare più a fondo, e lei non gli aveva certamente facilitato il lavoro.
 
La relazione con il collega, invece, col tempo era mutata parecchio.
Anna Olivieri e Marco Nardi si erano studiati per mesi, avevano preso le misure e tutto si era incastrato inaspettatamente alla perfezione.
Le battutine di lui erano diventate sopportabili per lei. La maniacalità per l’ordine di lei, accettabile per lui.
Il PM era arrivato quella mattina in sella a una moto, e Anna si era sentita strana, nel vederlo smontare dal suo fido destriero: era completamente diverso da come lo aveva immaginato. Da Capitano dei Carabinieri, aveva sempre pensato che tutti i magistrati indossassero giacca e cravatta, e fossero posati e distinti. Almeno, quelli che aveva incontrato fino a quel momento ben si sposavano con quella descrizione. Nardi, invece, si era presentato in jeans sbiaditi e t-shirt di Springsteen, con una giacca di pelle marrone sopra. E quando si era tolto il casco, una cascata di ricci biondi e ribelli aveva incorniciato un sorrisetto che era bastato a farla innervosire.
Ci avevano messo poco a conoscersi, o almeno così credevano. Si erano fatti un’idea ben precisa l’uno dell’altra che presto aveva mostrato tutte le sue pecche. Perché non avrebbe potuto essere più lontana dalla verità.
Marco non era il casinista, pigro, misogino, apatico e poco professionale PM che lei si era convinta che fosse, dopo il primo caso affrontato insieme.
E Anna non era la donna perfettina, so-tutto-io, multitasking e manipolatrice che lui aveva inquadrato durante le prime settimane di lavoro.
Tutto era diventato più chiaro dopo il piano G di Cecchini, assurdo quanto l’esito della serata.
Sarebbe dovuto servire a far ingelosire Giovanni, e in effetti lo scopo l’aveva raggiunto, ma aveva anche causato diverse incomprensioni tra PM e Capitano. Però talvolta sono proprio gli effetti collaterali a causare i risultati più inattesi. 
E per loro due era stato così.
Era stato lampante, che entrambi si fossero sbagliati circa l’idea che si erano fatti l’uno dell’altra. Proprio per questo avevano cercato di trarre dall’episodio l’opportunità di conoscersi meglio, mettendo da parte ogni pregiudizio, ma restando fedeli a se stessi.
Marco non era la bestia che lei era convinta che fosse. Sì, lo aveva involontariamente associato a una bestia selvatica, perché nonostante gli abiti più eleganti del suo armadio che sfoggiava ogni mattina, c’era qualcosa di perennemente scombinato: una ferita che si portava dietro, che non aveva avuto modo di decifrare, e molto probabilmente lui non gliene avrebbe mai parlato. Ma era chiaro che il suo cuore non fosse di ghiaccio. Il suo animo non era arido come sembrava a primo impatto.
Un cuore di ghiaccio non offrirebbe mai un fazzoletto a una donna col cuore spezzato, né le porterebbe del gelato, al cioccolato con le nocciole tritate sopra, alle dieci di sera, in ufficio. Soprattutto dopo averle sussurrato che piangere non è sintomo di debolezza e che anche lui lo avesse fatto.
Forse, aveva riflettuto Anna, la bestia si era solo chiusa nel suo castello, a curare il suo spazio come fosse un giardino incantato in cui nessuno avrebbe mai dovuto provare a entrare, per difendersi.
E forse aveva subìto quella trasformazione perché un incantesimo di magia nera lo aveva colpito in qualche occasione.
Anna non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma la bestia, quando voleva, sapeva essere un principe.
Uno vero, non come quello dei crackers...
 
Marco non pensava esistesse ancora qualcuno in grado di vedere oltre le apparenze. Non dopo il tradimento subìto. Per la maggior parte, era colpa di quella strega della sua ex, se era diventato così. Una bestia senza cuore, che fingeva apatia per non soffrire di nuovo. 
Era convinto che lei avesse visto esattamente questo, la mattina in cui era tornato a Spoleto per riprendere con il lavoro. Non era stato il modo migliore di presentarsi al nuovo Capitano dei Carabinieri, lo sapeva benissimo, ma era bastato poco per convincersi che non sarebbero mai riusciti ad andare d’accordo, loro due. Mai.
Col passare delle settimane, comunque, le cose erano decisamente cambiate, e pensava di aver imparato a decifrarla, a leggerla a fondo... ma tutte le sue certezze erano crollate come un castello di carte, quella sera.
 
Fermi tutti! Quale sera?!
GRILLO!
Scusate...
 
Quel vestito nero aveva portato alla luce una Anna che non sospettava minimamente esistesse. E non capiva se fosse un bene o un male. Ma sarebbe stata una bugia, dire che non gli fosse piaciuto, ciò che aveva visto.
E infatti non era riuscito a trattenersi dal dirglielo.
Quel rossore che le aveva colorato le gote, dopo il suo complimento, non lo avrebbe mai più dimenticato.
L’abito era stato solo un pretesto, ma forse per la prima volta, lì a bordo piscina, si erano mostrati realmente per ciò che erano l’uno all’altra.
E mentre si era allontanato per permetterle di poter stare da sola con i propri pensieri, aveva avvertito dentro di sé una fiamma che non credeva si sarebbe mai più accesa. Sorridendo tra sé, aveva capito quanto Anna, sotto il costume da Zorro, fosse Bella.
 
Più i giorni passavano, più entrambi si rendevano conto di come il loro modo di vedere il mondo stesse cambiando.
Così come era cambiato il modo di vedersi.
Non era più così facile controllare i propri sentimenti, e la cosa spaventava terribilmente entrambi.
L’arrivo di Elisa, in quel loro fragile equilibrio, aveva contribuito a rendere tutto ancora più instabile e precario. Anna non aveva mai avuto un gran rapporto con sua madre, ed era stato evidente fin da quando l’aveva notata, accomodata nel suo ufficio ad attenderla, ed la giovane era arrossita. Probabilmente un mix di imbarazzo e furia. L’aiuto di Cecchini era stato tutto fuorché utile: Anna non amava le bugie, non le piaceva mentire in generale, e per quanto logoro fosse quel rapporto, non avrebbe mai voluto provocare in sua madre il dolore che le aveva letto negli occhi quel giorno.
In fondo le somigliava, entrambe erano donne tutte d’un pezzo che non accettavano la possibilità che altri potessero aver ragione, mostrando una debolezza che intendevano celare a tutti i costi. Non potevano permetterselo, visto il loro passato. Questo non significava che non si volessero bene, tutt’altro. Forse era proprio quella la ragione che le portava a scontrarsi così spesso.
Ma quel giorno, lo scontro era stato impari.
Quando Elisa le aveva detto “Sei riuscita a deludermi anche tu”, Anna aveva alzato bandiera bianca. Non era da lei rinunciare e ammettere la sconfitta, ma contro quell’affermazione non aveva saputo come ribattere. Come avrebbe potuto? Mentirle era stato un errore, non avrebbe dovuto dare corda al piano assurdo del maresciallo, e nemmeno ignorare il messaggio che la bestia le aveva mandato, chiaro e forte, in quei giorni. Ma mentre batteva in ritirata, una esclamazione rabbiosa le aveva bloccato i passi, inchiodandola al terreno. 
La voce di Marco aveva iniziato a riempire l’aria, appassionata, difendendola a spada tratta dal drago che in quel momento era Elisa. 
Se la ama non le chieda di cambiare, e la ami per quello che è, perché non è niente male.
Anna non era mai stata la persona più romantica del mondo, anzi, ma non aveva mai sentito delle parole così belle indirizzate a lei, per lei. Non da un uomo che non fosse il padre Carlo. Nemmeno Giovanni le aveva mai fatto una dichiarazione simile.
Quando la sua mente aveva realizzato quel pensiero, l’incantesimo che teneva ancorata la Bella era svanito, permettendole di rifugiarsi in caserma, fingendo un orgoglio che in quel momento non provava.
Una fiamma era divampata all’improvviso nel suo petto, ma lei non era ancora pronta ad affrontare le conseguenze che quel fuoco comportava.
La mattina seguente, la Bella e la Bestia avevano affrontato quanto accaduto il giorno precedente: era stata una conversazione breve ma intensa, e Anna, per la prima volta, aveva visto Marco vacillare. Forse si era spinta un po’ troppo oltre con la sua domanda, ma lui per un attimo era sembrato sul punto di risponderle. Il fato però aveva deciso che non fosse il momento giusto per affrontare l’argomento, qualunque esso fosse, e quindi tutto era finito lì.
Anna non aveva mai amato particolarmente il fato, lei era troppo razionale per credere in una cosa tanto imprevedibile, per accettare che le proprie azioni potessero essere in mano ad altri. Probabilmente fu questo il motivo che la spinse a scendere gli scalini della caserma a due a due, per fermare Marco prima che salisse in sella alla sua moto, dopo aver chiuso il caso.
Lo aveva già ringraziato per aver preso le sue difese con sua madre, ma era convinta non fosse abbastanza. Quando era riuscita ad ottenere l’attenzione di quell’uomo impossibile, però, si era sentita incerta.
“Sì?” le aveva chiesto il PM, con un sopracciglio inarcato e un vago sorriso a incoraggiare una spiegazione.
Di fronte a quell’espressione dubbiosa, esattamente come le era successo quel giorno in giardino con suo padre, Anna disse la prima cosa che le venne in mente.
“Mi chiedevo se... sei libero, più tardi, per offrirti un caffè. Per ringraziarti come si deve.”
Marco sollevò le mani. “Ma guarda che non è necessario, davvero...” tentò, ma inutilmente.
Anna non sapeva accettare un no come risposta, quando si intestardiva.
“Allora va bene... Non ti si può proprio dire di no, eh?” accettò infine con un sorriso. Era evidente avesse ceduto solo per non ricominciare a litigare, come succedeva spesso.
Si accordarono per la fine del turno del Capitano, in un bar poco distante dal centro.
Fu una scelta che venne spontanea a entrambi, pur non prestandoci troppa attenzione: Spartaco era a due passi da casa di tutti e due, ma era anche incollato alla caserma, e loro volevano poter passare qualche minuto da soli senza possibili interferenze da parte dei colleghi.
Quando si trovarono, qualche ora più tardi, in borghese e seduti a un tavolino, con un caffè fumante davanti a loro, iniziarono a parlare del più e del meno, come fosse perfettamente normale trovarsi in quella situazione, e come se le ultime quarantott’ore non avessero avuto niente di strano.
Anna avrebbe voluto tirar fuori quel discorso, ma la verità era che non ne aveva davvero voglia: non avevano mai fatto una chiacchierata così rilassata, da quando si conoscevano. Né aveva mai visto Marco così a suo agio, così sereno.
Sembrava quasi avesse deposto l’ascia di guerra che aveva sempre in mano contro il gentil sesso.
O perlomeno l’aveva deposta con lei, perché non era stato altrettanto dolce con la cameriera, che con fare ammiccante aveva tentato di convincerlo a ordinare qualcosa di diverso da ciò che voleva prendere.
Se il Capitano non fosse intervenuta, chiedendole prontamente di portar loro due caffè e interrompendo il battibecco, non sarebbe finita bene.
Proprio non capiva come mai lui si innervosisse tanto quando qualcuno cercava di cambiargli le carte in tavola, anche se si trattava di cose banali come una comanda al bar.
Sembrava che odiasse l’idea che le cose si evolvono, mutano... cambiano, col loro decorso naturale.
Lui, con lei, lo stava facendo. Non era lo stesso uomo che aveva conosciuto quella mattina in piazza, quello che adesso le stava seduto di fronte. Come poteva non vedere la meraviglia di quella evoluzione?
I minuti erano diventati ore senza che nessuno dei due se ne accorgesse, e salutarsi per rientrare a casa aveva portato con sé appena una punta di rimpianto. Ma non era il momento di pensarci, non ancora.
 
Erano passati alcuni giorni da quella chiacchierata, che entrambi ricordavano con estremo piacere perché le cose tra loro erano ulteriormente migliorate.
Conoscersi era stato un dono del cielo, capirsi una splendida scoperta. Passare del tempo insieme, qualcosa a cui nessuno dei due era più disposto a rinunciare.
Ecco perché la notizia che Marco si sarebbe dovuto recare a Roma per qualche giorno per una questione di lavoro, ad Anna non piacque affatto.
Avrebbe dovuto rinunciare alla sua compagnia, a quel senso di leggerezza che lui le infondeva, e per qualche motivo non voleva che accadesse. Si sentì come quelle volte in cui il suo papà partiva per lavoro, lasciandola insieme a persone che non la capivano fino in fondo, nonostante tra queste ci fossero la madre e la sorella. 
Ma non poteva certo impedire al PM di andare a fare il suo dovere da magistrato... Sarebbe stata una mossa infantile, da bambina capricciosa, e avrebbe anche dovuto dare spiegazioni. Impossibile, perché lei non aveva alcun diritto di trattenerlo: si trattava di lavoro, e lei era solo una sua collega. Al massimo, un’amica.
 
Nei giorni della sua assenza, Anna si ritrovò a pensare spesso a lui. Non capiva perché, o forse non voleva ammetterlo, perché non era possibile...
Si ritrovò anche a ridere davanti al film trasmesso in tv quel sabato sera: La Bella e La Bestia. Il destino era proprio deciso a farsi beffe di lei, riportando a galla il ricordo di suo padre e la richiesta della rosa, e tutto ciò che era successo con Marco in quelle settimane. Certo, quella pellicola le aveva fornito molti spunti di riflessione, ma non era riuscita a impedirsi di ridere lo stesso, perché lei non stava vivendo una fiaba, e soprattutto non c’era assolutamente nulla tra lei e Marco, a livello romantico. Non era proprio il suo tipo.
Ridi, ridi. Chi disprezza compra, la canzonò la vocina nella sua mente.
Ci mancava solo la sua coscienza, a prenderla in giro! Scosse la testa: tra lei e Nardi non sarebbe mai potuto nascere nulla, erano troppo diversi.
Certo, continua pure a ripeterlo, che magari ti convinci. Mentalmente, mi raccomando. Praticamente, non muovere un dito.
Quanto detestava la sua mente, quando prendeva certe direzioni! Nemmeno si accorse di aver cacciato un ringhio per zittirla, finché non sentì bussare alla porta.
Cecchini l’aveva sentita, rientrando a casa dopo aver buttato la spazzatura, e si era preoccupato.
La ragazza ci aveva messo cinque minuti buoni a convincerlo che andasse tutto bene, inventando la scusa che avesse sbattuto contro un mobile e la sua era stata solo un’imprecazione per il dolore.
La sera, poco dopo essersi messa a letto, il cellulare aveva vibrato, segnalando l’arrivo di un messaggio.
Sicuramente Chiara, che non aveva ancora afferrato il concetto che lei avesse bisogno di andare a dormire presto anche il sabato, perché capitava che di domenica dovesse lavorare. Di solito le mandava un messaggio, e se lei osava non rispondere, iniziava a chiamarla.
Quando prese il telefono in mano per prevenire la tortura, fu parecchio sorpresa di scoprire che non si trattava di sua sorella, contrariamente alle aspettative.
Il nome al centro del display le fece saltare un battito.
Ah, non ridi più, adesso?
Scosse la testa, tentando di far rallentare il cuore che aveva preso a martellare, cliccando sull’icona a forma di busta che continuava a lampeggiare sullo schermo.
Ciao! Immagino tu stia già dormendo visto che domani sei di turno, e non volevo disturbarti. Non so nemmeno perché ti sto scrivendo, in realtà. È una cosa stupida, anzi, una domanda stupida... ma ormai tanto vale fartela. A me l’hanno posta stamattina, e non ho saputo rispondere. Mi sono chiesto come avresti reagito tu, e quindi... Se ti chiedessero, in questo preciso istante, quale regalo vorresti ti facessero, cosa risponderesti? In realtà, se ho imparato a conoscerti un po’, so che non mi dirai cosa vorresti, né stasera, né domani, né forse mai. E in fondo è giusto così. Lascia stare, in realtà era una scusa per salutarti, e augurarti la buonanotte. O il buongiorno, se lo leggi appena ti svegli. :) 
 
Marco, nel frattempo, si stava dando dello scemo.
Quello che aveva appena inviato era il messaggio più stupido che avesse mai scritto nella sua vita, e si era pentito immediatamente del gesto. 
Tardi, ovviamente, perché la spunta blu aveva chiaramente indicato che lei fosse ancora sveglia e , lo aveva letto.
Si può essere più patetici di così?
Ecco che arrivava il suo Grillo-coscienza a rimproverarlo.
La verità era che Anna un pochino gli mancava. Ma solo un pochino, eh.
Un pochino tanto.
Era una situazione strana. Dopo un sacco di tempo, aveva trovato qualcuno con cui confidarsi. Con cui parlare. Con cui stava bene.
Dopo il doppio tradimento subito, non pensava che avrebbe mai trovato un altro amico o un’altra donna a cui mostrarsi per quello che era realmente. Era convinto che la maschera da bestia che si era scelto sarebbe stata per sempre la sua facciata per tutti, fin dal giorno delle nozze saltate. Ma il fato, a cui lui credeva molto, aveva scelto diversamente per lui.
Mentre si sistemava sotto le coperte, aveva sentito il cellulare vibrare, a segnalare un messaggio appena arrivato.
Una parte di lui avrebbe voluto lanciare l’oggetto dalla finestra e risparmiarsi la figuraccia che sarebbe derivata dal leggere la risposta, perché sapeva che fosse lei, come un sesto senso. Dall’altra parte, invece, voleva sapere cosa gli avesse scritto, anche a costo di coprirsi di ridicolo, perché era certo che quel fuoco che aveva sentito accendersi dentro quella sera a bordo piscina non avrebbe potuto essere ignorato per sempre. Avrebbe dovuto confrontarsi con i sentimenti che aveva iniziato a provare per lei, prima o poi. Però, allo stesso tempo, non voleva rovinare quel legame che erano riusciti a creare con tanta fatica.
Si decise ad afferrare il cellulare, e gli scappò una risata, leggendo.
Ciao. Spero tu non abbia alzato troppo il gomito, visto il messaggio assurdo che mi hai mandato. E hai ragione, non risponderò alla tua domanda. Però al messaggio sì, perché un saluto va sempre ricambiato... Buonanotte! :) ❀ ” 
Alla fine del messaggio, c’era l’emoticon di una rosa rossa. Forse era uscita in automatico mentre Anna digitava la sua risposta, e non aveva fatto in tempo a cancellarla prima di inviare l’sms.
Però quella piccola immagine gli era rimasta in testa per tutta la notte, e magari non c’entrava nulla, ma contribuì alla sua decisione.
Sulla strada di ritorno la mattina, infatti, si era fermato da un fioraio per acquistare una rosa, bianca, prima di tornare a casa a Spoleto. Non sapeva bene perché avesse scelto quel colore invece del classico rosso, ma se pensava ad Anna, le associava istintivamente il colore della purezza. Non aveva esitato, nel prenderla.
Quello che proprio non riusciva a spiegarsi, però, era il motivo per cui non avesse suonato il campanello per consegnarle il fiore di persona, optando invece per lasciarglielo sullo zerbino davanti alla porta.
 
Quando Anna era tornata al suo appartamento, dopo aver salutato Chiara, aveva trovato sul tappeto quella rosa bianca.
Dire che fosse sorpresa era poco.
L’aveva raccolta con delicatezza inspirando il profumo leggero, prima di girare la chiave nella serratura ed entrare in casa, chiedendosi perché mai quel fiore fosse sullo zerbino, e soprattutto chi l’avesse posato lì.
Prima che potesse ragionarci meglio, il suo cellulare trillò.
Era il PM, che le diceva di aver saputo del nuovo caso e che l’indomani si sarebbe presentato in caserma per gli aggiornamenti.
Anna non rispose all’sms, perché la sua attenzione era stata catturata da un dettaglio, alla fine del messaggio che lei aveva inviato a Marco la sera precedente.
Quell’emoticon.
La rosa che teneva in mano.
Un uomo appena tornato da un viaggio di lavoro.
Il cuore saltò un battito, prima di iniziare a martellarle contro il petto.
Uh, fossi in te andrei da un cardiologo. Sta diventando una cosa frequente, questa aritmia...
Dannata vocina e le sue battutine! 
Eppure nulla impedì a un sorriso di farsi strada sulle sue labbra.
 
La mattina seguente, Marco arrivò puntuale in caserma e Anna lo aggiornò sul caso. Lui le parlò del suo breve viaggio, lei lo ascoltò con interesse.
Il Capitano, da brava padrona di casa, lo accompagnò fuori dall’ufficio, fino in strada e poi alla moto.
Congedandosi dal PM, fece una cosa che né lui né lei stessa si aspettavano. 
Gli diede un bacio sulla guancia.
Le sue stesse gote si tinsero di rosso, mentre si ritirava da quel gesto appena compiuto, nel realizzarlo.
E il sorriso stupito e felice di lui certo non aiutò il rossore ad andar via.
In risposta ottenne un cenno del capo in saluto, oltre a quel sorriso, ma Anna sapeva bene che si erano intesi.
Non avevano proferito parola, ma i loro sguardi, nell’incrociarsi, si erano detti tutto ciò di cui avevano bisogno.
Quell’uomo non era la bestia che voleva far credere. Lei non era solo Zorro, in fondo. Poteva essere la sua Bella? Solo il tempo avrebbe potuto dirlo. E quando l’incantesimo che li intrappolava si sarebbe sciolto completamente, allora sì, avrebbero potuto avere anche loro quel vissero per sempre felici e contenti.
 
Allora? Che ne dici, Grillo? Troppo scontata? Accettabile?
 
Zzz... perfetta... zzz...
 
Perlomeno stavolta ha risposto...
   
 
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