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Autore: Luinloth    16/01/2021    9 recensioni
Gli angeli sono scesi sulla terra e hanno soverchiato l’umanità, regredendola ad uno stato quasi medievale. Gli umani lavorano come schiavi alla costruzione di una torre, di diverse torri sparse intorno al globo, ma nessuno sa cosa succederà una volta che il loro lavoro sarà concluso. John Winchester è a capo di una delle cellule della Resistenza e Dean nei confronti degli angeli non ha mai provato altro che odio, per ciò che hanno fatto alla sua famiglia, per ciò che hanno fatto a Sam. Finché, un giorno, Castiel non viene assegnato al suo cantiere e tutte le certezze che aveva iniziano a sgretolarsi. Ma come gli ripete spesso suo padre, un umano non dovrebbe mai fidarsi di un angelo.
80% AU, 20% what if (vi assicuro che non è così complicato come sembra)
Dal testo:
«Perché?» […]
«Perché ho sempre creduto che non mi importasse» […] «Ma mi sbagliavo»
Genere: Angst, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene

 

 

32. Due soli

 

 

17 giugno 2009

Finito il giorno, arrivò la notte.

Scese sulle sue ossa doloranti e ricoprì ogni cosa con una coperta d’ombra.

Finita la notte, ritornò il giorno.

Quando Dean riaprì gli occhi — non perché si fosse addormentato, ma perché gli bruciavano così tanto da non riuscire più a tenere le ciglia sollevate — una chiara luce violetta era già arrivata a lambirgli le punte delle scarpe.

Per tutto quel tempo la testa di Castiel era rimasta immobile, appoggiata sopra il suo sterno. 

«Mi dispiace» Dean affondò la faccia nei suoi capelli «Mi dispiace, è stata colpa mia» gorgogliò «Sono stato egoista e avventato e non avrei…» le sue narici si riempirono dell’aroma tossico del compensato in fiamme «Non avrei dovu-»

S’interruppe bruscamente, tossendo.

Un odore del genere non poteva certo provenire dalle ciocche impolverate di Castiel: ed era troppo penetrante per essere stato trasportato fin lì dal vento.

Alzò lo sguardo. 

Il controsoffitto bruciava. 

Uno dei pannelli di compensato — ormai prossimo al carbonizzarsi del tutto — penzolava pericolosamente proprio sopra le loro teste, e un caldo spiacevole cominciava a irradiarsi anche dalla parete contro la quale il ragazzo era ancora accasciato, segno che l’incendio doveva essere partito dai piani superiori ma si stava rapidamente estendendo all’intero palazzo. 

Si strinse Castiel contro il petto e strisciò di lato, mentre i primi fiocchi di cenere gli piovevano sul naso e sulle spalle.

«Dobbiamo uscire di qui» ansimò, scuotendosi la fuliggine di dosso e spazzando via con il dorso della mano quella che si era depositata sulle maniche e sui pantaloni candidi dell’angelo.

La temperatura aumentava in fretta e il calore stava diventando insopportabile.

Spostò con cautela Castiel sul pavimento e cercò per prima cosa di piazzarsi stabilmente in piedi; il muro oramai scottava ma lui fu costretto lo stesso ad appoggiarcisi per qualche secondo, il minimo lasso di tempo necessario affinché i contorni degli oggetti smettessero di ondeggiargli attorno e lui recuperasse l’equilibrio. 

Si piegò lentamente in avanti, infilò le mani sotto le ascelle di Castiel e lo sollevò, tirandoselo delicatamente addosso — un braccio a circondargli la schiena e un altro sotto le sue gambe —, dopodiché si avviò barcollando verso la stessa porta sfondata attraverso la quale era entrato nell’edificio, ventiquattr’ore prima.

I pannelli che crollavano dal controsoffitto si accartocciavano sfrigolando sul pavimento, sollevando grosse spirali di fumo che assomigliavano a serpenti fatti di nebbia: come quando Dean aveva quattro anni, i vetri della sua cameretta erano esplosi e un minuto dopo la mamma era sparita in un una nuvola di fuoco.

Si domandò se tutto ciò che avrebbe mai potuto fare, per le persone che amava, fosse tenerle tra le braccia, e trasportarle fuori da un edificio in fiamme.

Solo che Sam era molto più piccolo, all’epoca, era un cosino minuscolo che tra le coperte a stento si vedeva e che non pesava quasi niente. E piangeva e si dimenava, mentre lui si fiondava fuori.

Dean si puntellò contro lo stipite — tiepido — della porta e prima di uscire lanciò un’occhiata guardinga all’esterno.

Cenere dentro, cenere fuori.

New York era una sconfinata e deserta tavolozza di grigi.

Il cielo aveva perso la tonalità azzurrina del giorno prima ed era triste e sporco come una mattonella di fango secco.

L’Empire State Building era dalla parte opposta — alle spalle della costruzione in fiamme — perciò lui non lo poteva vedere, ma per il resto la città pareva essere stata appena sfiorata da quello che doveva essere stato il più violento — e probabilmente il definitivo — scontro tra le candide schiere celesti e la loro, terrena, controparte umana.

I residui dei palazzi circostanti erano definitivamente crollati e i mucchi di macerie erano un po’ più alti e fumanti di come lui li ricordava, ma nell’aria aleggiava la stessa identica desolazione che lo aveva accolto il giorno in cui aveva messo piede a Corte per la prima volta.

Mosse tre passi oltre la porta e venne immediatamente fermato da una serie di grida concitate e da due figure longilinee che, notata la sua presenza, si stavano affrettando nella sua direzione.

«Ehi! Ehi! C’è un ferito?» 

Con la faccia sudicia di sangue e polvere, non si stupì che da quella distanza Kevin non l’avesse riconosciuto. 

«Cos’è successo?» fu il secondo grido, e la matassa bionda che sbucò poco dietro il caschetto nero del ragazzino riuscì persino, per un attimo, a distrarre Dean dalle carezze irridenti dei capelli di Castiel che gli solleticavano il collo e dai rivoli di sudore che gli colavano giù lungo la spina dorsale, irritando tutte le piccole ferite che incontravano sulla loro strada.

«Che cosa ci fate voi due qui?» gracchiò, mentre Kevin gli correva incontro «Dovreste essere a Poughkeepsie, al sicuro, qui è… è troppo pericoloso per…»

«Dean…» 

Kevin abbassò il fucile. 

«E’ finita» mormorò.

«Michael è stato ucciso. Gli angeli si sono arresi. Poco prima dell’alba Anna è ritornata a Poughkeepsie a prendere chiunque di noi potesse essere d’aiuto» 

L’espressione frastornata che non accennava a svanire dalla faccia di Dean — la bocca semi-aperta, lo sguardo stralunato, la palpebra destra che continuava a tremolare come se lui fosse sul punto di collassare — gli fece aggrottare la fronte, perplesso «Abbiamo vinto» ripetè l’adolescente, temendo forse di non essere stato sufficientemente chiaro «Michael è mor-»

«Castiel?»

Jack, che era corso verso Dean giusto con qualche secondo di ritardo rispetto al suo amico, li aveva appena raggiunti.

Quel nome inusitato, per nulla umano — assieme agli scampoli di tessuto candido che ancora s’intravedevano tra le chiazze rosse e nere che imbrattavano i vestiti di Castiel — fece sobbalzare Kevin, e la punta del suo fucile si risollevò di scatto come azionata da un meccanismo a molla.

«No, no, lui…» sotto due paia di occhi sconcertati, Jack avvolse le dita intorno al mirino dell’arma e la dirottò altrove, scuotendo la testa. 

«E’ che… non me lo ricordavo così» sussurrò.

Dean sbatté le palpebre.

«Lo ri… lo ricordavi?»

Le guance del nephilim s’imporporarono «I-io…» cominciò a balbettare, fissandosi i piedi «Io… quello che volevo dire…» 

Poi, improvvisamente, tacque. 

Serrò le labbra, trasse un profondo respiro e rialzò lo sguardo su di lui. 

Dean non l’aveva mai visto così serio. Nemmeno quando Sam l’aveva chiamato in disparte e l’aveva messo al corrente del piano della Resistenza e del ruolo che loro due avrebbero avuto al suo interno.

«Io ricordo tutto, Dean»

Kevin inarcò un sopracciglio e si rimise il fucile in spalla «Vado a cercare Anna» borbottò, confuso, prima di allontanarsi e sparire dietro un cumulo di monconi di cemento. Dean quasi non se ne accorse.

Jack continuava a guardarlo. 

Non aveva mai fatto caso a quanto le sue iridi fossero chiare, e dense. 

«Il primo ricordo che ho sono grida nel buio» ammise il nephilim «Di quando non ero ancora nato. Quando ero ancora nel corpo di mia madre, ma le urla non erano le sue»

Le urla di Sam. 

Non potevano che essere le urla di Sam.

Dean sentì il proprio stomaco aggrovigliarsi.

«Ricordo il suo volto, i suoi capelli, le sue ultime parole e il sangue che bagnava il materasso, prima che Jo mi strappasse via da lei e mi portasse nell’altra stanza: ogni cosa di quella notte, e di tutti i giorni e le notti a venire» proseguì Jack, spedito, come se avesse paura che il coraggio potesse scappargli via prima che lui riuscisse a concludere il discorso «Ricordo quando Castiel mi ha preso in braccio, prima di farci entrare in quel…» la parola ‘montacarichi’ non doveva averla trovata in nessun libro «…in quella strana specie di ascensore» decretò infine «Crowley, la galleria, quando ci siamo fermati perché piangevo e quando alla fine mi sono addormentato addosso a te. Ricordo le parole che si sono scambiati Sam e Anna, il primo giorno che siamo arrivati al bunker»

Dean rafforzò la presa sulla schiena di Castiel e arretrò. 

«Jack…» esalò, senza riuscire a sentirsi. 

Gli ronzavano le orecchie. 

In realtà non sapeva nemmeno perché fosse indietreggiato. Non credeva davvero che il ragazzino potesse fargli del male.

Era semplicemente sfinito. 

Castiel non rispondeva, non si muoveva, non respirava. Dean non avrebbe desiderato altro che un posto ragionevolmente sicuro dove poter svenire, ma l’idea che nel frattempo qualcuno avrebbe potuto staccarlo dall’angelo per deporre quest’ultimo sopra una pira funebre lo terrorizzava.

Davanti a lui c’era un nephilim sedicenne di due mesi scarsi che gli aveva appena rivelato di essere a conoscenza dei suoi infausti natali — Jack non aveva mai visto Lucifer, e sia lui che Sam si erano sempre ben guardati dal rivelargli alcunché in merito alla sua nascita, ma se ricordava quella conversazione tra suo fratello e Anna doveva essere al corrente di ogni particolare: dal suo concepimento, alla sua crescita anomala, alla natura imprevedibile dei suoi poteri, sebbene questi ultimi non si fossero mai manifestati — e che appariva a tanto così dall’esplodere in un attacco di panico.

«Jack, questo…» gemette «Questo non è il momento»

Ma il fatto che Dean si fosse tirato indietro, come se avesse paura di lui, aveva peggiorato la situazione.

«Tu… e Sam…» 

Se anche fossero stati circondati da un esercito di angeli armati fino ai denti, Jack non se ne sarebbe neppure accorto.

«Credete sul serio che io possa diventare come mio padre? Come Lucifer?»

Era completamente perso. 

Pietrificato, immobile e pallido come una statua, ad eccezione del labbro inferiore che gli vibrava leggermente.

«Io non voglio trasformarmi in un mostro…» pigolò, mentre i lucciconi gli sfuggivano dalle ciglia e gli colavano lungo le guance «E’ che non lo so… non so come fare, io… brucia come il fuoco e non ce la faccio più e non voglio…» deglutì «Non voglio che voi mi odiate, non voglio mi cacciate via, non voglio rimanere da sol-»

«Noi non ti cacceremmo mai via» 

In quale recesso della propria mente Dean avesse recuperato la forza per interromperlo sarebbe sempre rimasto un mistero: si sentiva anche lui sull’orlo di un tracollo.

«Ascoltami» proseguì «Mi dispiace. Mi dispiace che tu abbia saputo di Lucifer e della tua natura… in quel modo. Io e Sam avremmo dovuto già parlartene settimane fa ma dopo c’è stato l’attacco a Bay Ridge, Gabriel, e Claire e…»

E Castiel, incatenato al pavimento di una delle celle del novantesimo piano.

«Nessuno di noi ti odia, Jack. Nessuno di noi ti manderebbe mai via»

«D-davvero?»

La faccia di Jack era un vetro trasparente oltre il quale si potevano vedere tutte le emozioni che gli stavano sconquassando il petto. 

Confusione. Incredulità. 

Sollievo.

«Ma n-non avete… Non avete paura di me?» domandò, esitante.

«Vieni qui»

Dean si sarebbe volentieri avvicinato lui stesso ma aveva l’impressione che con un solo passo in più le sue gambe avrebbero definitivamente ceduto e lui sarebbe crollato a terra.

«Portalo tu»

Quando la distanza tra lui e il nephilim si fu ragionevolmente ridotta, il ragazzo gli lasciò scivolare delicatamente Castiel tra le braccia. E gli parve che anche qualcos’altro, come un pezzetto piccolissimo ma altrettanto tagliente, staccatosi da qualche parte dentro di lui, fosse scivolato e dopo caduto giù, sopra l’asfalto, in mezzo alla polvere.

«Io non credo riuscirei a fare ancora molta strada, con il suo peso» mormorò.

Ma le sue previsioni erano state fin troppo ottimistiche, perché un secondo dopo il suo ginocchio smise di collaborare, l’articolazione gli si piegò fregandosene beatamente della sua volontà, e la rotula destra di Dean cozzò violentemente sul terreno.

«Dean!» 

Jack gli fu immediatamente accanto.

«Sei ferito?»

«Sto… sto bene» Dean ingoiò un lamento assieme a quel poco di saliva che gli rimaneva sulla lingua «Sto bene, non preoccuparti»

Sono soltanto precipitato da trecento metri d’altezza, avrebbe volentieri aggiunto, ma non aveva le energie nemmeno per fare il sarcastico.

«Andiamo, adesso» gemette, puntellandosi sulle nocche nel tentativo di raddrizzarsi «Per favore»

Tuttavia, Jack non si mosse.

Il suo sguardo dorato vagava tra lui e il volto cereo di Castiel. Rimase a guardare l’angelo tanto a lungo che Dean temette che sarebbe stato costretto a dover trasportare anche il nephilim di peso, per riuscire a schiodarlo da lì.

Stava già per esortarlo — o implorarlo — di nuovo, quando il ragazzino s’inginocchiò sull’asfalto, depositando gentilmente Castiel davanti a lui. Fletté le dita, le richiuse a pugno e le riaprì, come se di colpo non sapesse più bene cosa farsene delle mani.

«Io forse…» balbettò «Forse posso…»

«Jack…» sospirò Dean, esausto «Che stai…»

Quando Sam, giorni dopo, gli avrebbe chiesto cosa fosse realmente accaduto, in quel desolato tratto di strada a metà della Avenue C, lui avrebbe parlato di un grande boato — simile a quello di una deflagrazione ma privo della sua stessa, distruttiva, onda d’urto — originatosi dal centro esatto del torace di Castiel, lì dove il nephilim si era alla fine deciso a posare i polpastrelli.    

Dei suoi occhioni che si erano illuminati come piccoli soli.

Dopodiché sentì un raccapricciante rumore di ossa che scricchiolavano e si rinsaldavano insieme, e un ancor più sgradevole puzzo di carne bruciata. 

Castiel schiuse appena le labbra. 

Girò la testa da un lato e sputò fuori un globo di sangue scuro, e Dean pensò di essere diventato cieco all’improvviso — o perlomeno miope — perché il profilo dell’angelo si sfocò d’un colpo, il blu dei suoi occhi ondeggiava come l’acqua increspata di una pozzanghera, oppure magari era un fantasma quello che stava guardando — avrebbe avuto senso, un’entità spettrale angelica sarebbe potuta apparire così, con i lineamenti pallidi e nebulosi — eppure Castiel era solido, lo poteva toccare, le sue lacrime non gli passavano attraverso ma si fermavano sulla sua camicia chiara e la verità era che lui stava semplicemente piangendo — e ridendo — e aveva la sensazione qualcuno stesse lo chiamando, qualcuno lo chiamava, ma non sapeva chi, né da che parte provenisse la voce.

Rialzò lo sguardo e vide solo Jack, che si fissava — inespressivo — i propri palmi carbonizzati. 

Poi persino i colori sbiadirono in una strana luminescenza nera.

E Dean, finalmente, svenne.
 





Era disteso su un fianco, su qualcosa di morbido. 

Non troppo soffice in realtà, e dalla superficie un po’ ruvida: un vecchio materasso scoperto, avrebbe potuto giurarlo.

Dean aprì lentamente prima un occhio, poi l’altro. Accanto al suo c’era un secondo, rozzo, strapuntino stinto. 

«Sei già sveglio» s’impensierì una voce sopra di lui.

Castiel era seduto a gambe incrociate sullo strapuntino. 

Con la schiena lievemente incurvata e le mani posate sulle caviglie — in una posizione che chiunque avrebbe giudicato piuttosto dimessa, per un angelo — e con indosso dei vestiti della taglia sbagliata: il jeans più rattoppato che lui avesse mai visto e una spiegazzata maglietta grigia in cui sembrava nuotare, le cui maniche chilometriche aveva dovuto arrotolarsi fino ai gomiti.

Dean si drizzò a sedere come morso da un ragno — o ridestato di soprassalto dal suono di una sirena d’allarme — senonché un pensiero strisciante, una vocetta molto simile a quella che gli aveva tenuto compagnia nelle ventiquattro ore precedenti s’infiltrò nella sua mente alla stessa velocità, bloccandolo con le braccia strette lungo il corpo un secondo prima che lui potesse lanciarsi ad abbracciare il fagotto di abiti sbrindellati che si era ritrovato davanti. 

Con che diritto?

Il collo dell’angelo era immacolato; il suo viso intatto, forse un po’ pallido, ma i suoi lineamenti erano ritornati perfetti e inalterati e il suo naso di nuovo integro e diritto, come se il tacco della scarpa di Naomi non l’avesse mai raggiunto; la gamba sinistra era incrociata, insieme alla destra, in una posizione assolutamente normale e la sua pelle era pulita, così come anche i suoi capelli. 

Con che diritto?

Aveva solo una sorta di bizzarro e a malapena percettibile tic all’occhio sinistro. A intervalli regolari la palpebra inferiore gli si contraeva e quella superiore si abbassava leggermente, come se sulla sua pupilla comparisse un’immagine che lui non voleva guardare.

Con che diritto Dean avrebbe potuto buttargli le braccia al collo, e cercare le sue labbra, e baciargli le guance, le tempie, e gli angoli degli occhi, e qualsiasi lembo di pelle scoperta che sarebbe riuscito a trovare prima di doversi fermare per tirare un nuovo respiro?

Castiel aveva perso ogni cosa, per colpa sua. La reputazione, l’orgoglio, la volontà, la dignità e la voce.

Castiel era quasi morto, per colpa sua.

«Questi me li ha procurati tuo fratello» spiegò l’angelo, tentando probabilmente d’interpretare il suo mutismo turbato; accennò alle maniche arrotolate «Immagino non abbia avuto il tempo di preoccuparsi delle misure» ammise, provando ad abbozzare un sorriso.

La notizia lo riscosse appena.

«Sam» articolò, a fatica: aveva la bocca orribilmente asciutta «Dov’è? Come…»

«Oh, sta bene» venne immediatamente rassicurato «Sta bene. E’ fuori insieme agli altri a dare una mano con i feriti e con… con i cadaveri» aggiunse Castiel, sospirando «E’ andato via poco fa, nessuno di noi si aspettava che tu ti risvegliassi prima di domattina»

Oltre l’aureola disordinata delle sue ciocche scure, Dean scorgeva le ante semiaperte di una coppia di finestre. Spesse nuvole bigie continuavano a velare il cielo ed era difficile stabilire che ora fosse, ma la luce che aveva l’ardire di filtrarvi attraverso era fuor di dubbio quella del pomeriggio. La stanza in cui si trovavano era completamente spoglia, ad eccezione dei loro due materassi gettati a terra e di una pila di indumenti macchiati — o asciugamani forse? — in un angolo. 

«Devi essere assetato» ritentò l’angelo, di fronte al prolungarsi del suo silenzio «Sam ha lasciato dell’acqua da qualche parte…» si sporse dall’altro lato dello strapuntino, recuperò una borraccia metallica — dal cui interno proveniva un invitante borbottio liquido — e la poggiò sulla porzione di pavimento libero davanti a lui, ma Dean non era ancora intenzionato a servirsene.

«Siamo dentro l’Empire State Building?» domandò invece.

Castiel annuì e il tic della sua palpebra sinistra si fece più acuto, fino a diventare pressoché ininterrotto; chinò il capo e si strofinò l’occhio con il dorso dell’indice; una volta che il tic si fu normalizzato riportò la mano alla caviglia e gli lanciò una cauta occhiata di sottecchi.

«Posso venire lì?» chiese. 

«S-sì» il ragazzo si tirò le ginocchia sotto il mento per fargli posto «Sì, certo»

L’angelo si allungò in avanti e lo raggiunse sul suo giaciglio. 

Anche i pantaloni gli andavano lunghi; almeno dieci centimetri di tessuto blu in più cascavano e si arricciavano sui suoi piedi nudi. 

«Castiel…» decise infine di rischiare «Castiel, io…»

I suoi propositi di coerenza sfumarono nel fruscio di jeans che sfregavano sul cotone del materasso.

«Non dire niente» 

Castiel aveva azzerato l’ultimo minimo di distanza che li separava e ora le sue parole tremavano sulla clavicola destra di Dean. 

«Non serve che tu mi dica niente»

Le braccia magre dell’angelo si erano aggrappate alla sua schiena con un urgenza tale che se anche il ragazzo avesse voluto non sarebbe stato ugualmente in grado di emettere suono, perché quella stretta gli aveva mozzato il respiro.

«Domani risponderò a tutte le domande che vorrai farmi, ma non adesso» lo supplicò.

Castiel aveva i capelli umidi. 

Addosso gli era rimasto un vago odore di cenere bagnata.

«Non adesso»

Dean distese le gambe — che teneva ancora strette al petto — e gliele avvolse intorno ai fianchi.

«Va bene…» sussurrò, abbandonando la fronte sulla sua spalla, mentre si avvinghiava alla sua maglietta e i pugni gli si riempivano di stoffa grigia «Va bene…»

L’angelo rilassò le spalle e lui percepì il suo palmo spostarsi, dalla sua scapola alla sua nuca e premere appena, come se non si sentisse ancora completamente sicuro che lui fosse solido, che fosse vivo, e reale, che fosse lì.

Dean rafforzò la presa sui suoi fianchi e gli sembrò di aver aspettato quel momento per tutta la vita, anziché per soli due mesi e mezzo, con il cuore in gola.

Rialzò la testa, prese il viso di Castiel tra le mani e lo baciò.

Registrò due guance gelate sotto le dita.

Per il resto, dove fossero precisamente le sue gambe, o le sue braccia, quali parti del suo corpo si stessero muovendo o in che momento e quante volte si fosse staccato dalla bocca dell’angelo per riprendere fiato, non l'avrebbe mai saputo. 

Si separarono quando il formicolio che era partito dal suo piede sinistro — risalito in fretta al polpaccio e alla parte bassa della coscia — da facilmente ignorabile divenne fastidioso, fino a farsi lancinante e a strappargli una smorfia contrariata: minuscola, ma Castiel dovette accorgersene ugualmente.

«Ho solo la gamba intorpidita» lo tranquillizzò, mentre lui si districava dall’abbraccio con aria preoccupata «Cinque minuti e ritornerà normale» 

L’angelo socchiuse gli occhi e continuò a scrutarlo con espressione poco convinta: davanti all’incresparsi sospettoso delle sue sopracciglia Dean si lasciò quasi scappare una risata.

«E’ tutto a posto» ripetè «Non sono ferito»

«Oh…» le pieghe sulla fronte di Castiel si distesero di colpo «Va bene allora»

Dean afferrò la borraccia metallica e nel giro di dieci secondi se n’era già scolato metà del contenuto; mentre le ultime gocce gli scivolavano sul mento e ruzzolavano sui suoi pantaloni — che erano diversi da quelli che ricordava di aver indossato due giorni prima a Poughkeepsie, notò nello stesso istante, e così pure il resto dei suoi vestiti — iniziò a sentirsi preda d’una stanchezza crescente, neanche fosse arrivato al termine di una pessima giornata di lavoro nella cava. 

«Secondo le previsioni di Gabriel non avresti proprio dovuto svegliarti» lo informò Castiel, recuperando il contenitore vuoto che lui aveva abbandonato sul materasso e riavvitandone coscienziosamente il tappo «Ha curato le tue ferite ma a parte quello… Eri rimasto comunque vigile — o semi-vigile — per quanto? Quarantotto ore?»

«Qualcosa del genere…» biascicò il ragazzo, sebbene il tono con cui gli era stata posta la domanda non richiedesse realmente una sua replica; tirò un sospiro spossato e si distese di nuovo.

Castiel fece per ritornare sul suo strapuntino.

«Puoi restare?»

L’angelo si rigirò verso di lui.

«Non è mia intenzione andare da nessuna par-»

«Puoi restare qui?»

Il suo stato di coscienza si era rapidamente degradato in dormiveglia, sarebbe ripiombato nel sonno di lì a poco.

Castiel si sdraiò accanto a lui e Dean si accoccolò con la schiena contro la sua pancia. Un braccio dell’angelo sotto la sua testa, l’altro — morbido — intorno al suo fianco. 

Un bacio leggero sul suo collo.

Era pieno giugno, nella stanza faceva caldo.

I capelli di Castiel erano già asciutti.

 

 

 

 

 

 

 

Quanto avevo bisogno di una scena Destiel senza morti, feriti e Arcangeli di mezzo? Ecco, la parola “tantissimo” non renderebbe affatto l’idea  
Cosa ne pensate di Jack e del suo intervento? Ve lo aspettavate? Suvvia, vi pare davvero che avrei potuto far morire Castiel in quel modo dopo tutto quello che ha dovuto passare? ^^ Non scrivo mica sceneggiature per Supernatural… (ok, la smetto)
Ci rivediamo tra due settimane con quello che — molto probabilmente — sarà il terzultimo aggiornamento (sigh), nel frattempo vi ringrazio per le recensioni che avete lasciato all’ultimo capitolo e vi mando un grande abbraccio
Take care *

Diminutivo di strapunto: grossolano materasso da stendere per terra

   
 
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