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Autore: Alarnis    18/01/2021    4 recensioni
"Quel giorno fu lei a restare ferita, solo ora se ne rendeva conto."
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7 Solo un bacio

 
Ben misera cosa era tornare alla rocca con vettovaglie, tuttavia la dimostrazione di forza verso Risicone poteva risparmiare loro una punizione: Gregorio era inflessibile nell’impartirle.
Lavinia se ne fece una ragione.
Ludovico poteva avere dalla sua consensi imprevisti che lei doveva riferire a suo fratello, che vi avrebbe messo mano.
Concesse una carezza a Palafreno, il suo nero stallone, come a sollevare la stanchezza di un vecchio amico. Rocca Lisia era ormai vicina, ma la pioggia che accompagnava il loro ritorno metteva tutti di cattivo umore.
Non era felice di quanto fatto. Incendiare tre case era stato misero sfoggio di forza, ma sufficiente per far abbassare nuovamente la testa di quei contadini.
Con loro era stato facile, mentre con Moros…
Lui non l’aveva mai accettata come sua signora. Un tempo l’aveva odiata, poi ignorata e poi, ancora… Simpatizzato con il nemico, avrebbe sorriso indulgente Nicandro.
Così Lavinia ricordò una serata danzante. Il melodioso suono d’un flauto e di una viella che allietavano un banchetto del suo tutore Guglielmo. Il vino che l’aveva accalorata, il bisogno di respirare l’aria cristallina del tardo pomeriggio, nei bagliori del fuoco rosso del tramonto.
Nel piazzale sottostante la servitù ballava accogliendo la primavera, tra lo sfavillio di innumerevoli fiaccole, mentre i menestrelli mimavano viaggi e giganti, disegnando grandi gesti in aria con le braccia.
L’invito di Nicandro a ballare, il braccio alzato ad accogliere il suo per iniziare le danze, in un atteggiamento quasi ardito per la sua giovane età “Mia signora, ballate?”. Il suono della rotta che scioglieva ogni tensione nell’allegria propria di quella melodia. Privi di malizia avevano danzato, come fratello e sorella, avanzando assieme e indietreggiando, accompagnati dal suono delle risate che salivano dal piazzale sottostante la terrazza, quelle dei servitori e dei soldati più chiassosi. Stanchi, poi, si erano sporti al parapetto, ridendo lieti; Guglielmo che li raggiungeva, bonariamente rimproverandoli avessero disertato il banchetto. Il sorriso di Guglielmo che riempiva i loro sguardi. Quasi un padre: amorevole, premuroso, buono. Gli occhi di cielo che riempivano l’oscurità e che lei adorava.
Ricordava ogni discorso di quella sera, ogni ottimismo di Guglielmo sul loro futuro, sul favore del re Bressano, in quelle terre o altrove; ricordò il descrivere Montetardo a Nicandro perché accettasse di farne parte, come figlio legittimo.
E poi quella sensazione, di sentirsi spiata, tra i fuochi, le foci, le danze.
Rimasta sola nella terrazza; quella sensazione non l’aveva abbandonata.
Quegli occhi!
Gli occhi di Moros che dal piazzale sottostante la fissavano, rimuginando.
Lavinia odiava quegli occhi, che la colpevolizzavano: quegli occhi che la mettevano a nudo. Quel viso impassibile.
Lei tentò di guardarlo con altrettanta freddezza, avvantaggiata dall’essere in alto: perché lo era. Lei, la Signora di Raucelio. Lavinia Montetardo.
Eppure era rimasta muta, incapace di sfidarlo. Quella sera. Vigliacca.
Scendi! s’era sentita ordinare da quegli occhi e lei non aveva potuto ignorare quel comando, quasi in gioco l’onore nell’accettare una sfida.
Le serve, gli uomini che chinavano il capo al suo apparire in cima alla scalinata, che separava le loro misere esistenze dal piano nobile del palazzo di Raucelio. I soldati che si ricomponevano, dagli angoli in cui si dilettavano, per decenza, in sua presenza.
Moros non l’aveva aspettata, incamminandosi. Lei aveva preso a seguirlo a distanza, a testa alta. L’abito rosso, damascato che ne faceva fiamma di candela in mezzo alle tenebre.
Era entrata nella stalla, vuota e silenziosa, debolmente illuminata: il fiato dei cavalli che evaporava dalle narici che sembravano annusare l’aria caotica che giungeva dalla festa.
Quelle mani, così sapienti nell’accarezzare Palafreno, la incantarono, mentre lente scorrevano sulla criniera setosa, quasi spazzolandola. Era come ammirare l’eroe di un dipinto in attesa della sua prova.
Non bastavano le parole a descrivere l’emozione che Lavinia aveva provato. Il cuore che le martellava in petto, in presenza di Moros.
Lei non tollerava quelle emozioni. Voleva osteggiare la sua ribellione; osteggiare il fuoco che era sempre nei suoi occhi verso di lei.
Sembrava proprio non riuscissero ad andare d’accordo, cedendo ad una tregua.
“Lo porterà a Montetardo, vero?”.
Quelle parole la gelarono, dettandole di giustificarsi, quasi ne fosse responsabile “Non puoi parlare sul serio.”, si scandalizzò “Nicandro vuol bene a Guglielmo. Sarà suo legittimo erede.”.
“Signore di Montetardo.” disse sprezzante Moros, ironizzando sul loro nome.
Era troppo! Lavinia si gettò di slanciò verso di lui, ricambiando aggressiva quelle parole con un gesto offensivo del braccio in aria “Tu! Non hai il diritto…”, con la rabbia che si impadroniva del suo volto leggiadro facendone una maschera, mentre le labbra le tremolavano aggressive. Lui che si limitava a trattenerla, rendendola frustrata di non riuscire ad averla vinta su quella fisicità che la dominava, senza ferirla, ma arginandola.
“Villano.” Aveva argomentato, ingaggiando una lotta che non aveva né vincitore né vinto, logorante per tutti e due.
“Tua madre l’ha accettato...” rispose velenosa.
“Quella donna, baratterebbe anche me per pochi denari.” confidò inclemente Moros: disprezzandone lo spirito non proprio materno.
“Esentarci dalle tasse in cambio della vita di mia cugino.” ci scherzò su. La lasciò.
“Sei ignobile.” era rimasta inorridita di sentirlo sputare sentenze su un generoso atto di Guglielmo, che lei avrebbe difeso ad oltranza.
“Sai che mi importa.” argomentò con una scrollata di spalle, evitando di guardarla.
“Vivono l’uno per l’altro.” cercò tuttavia di capirlo nell’affetto. Guglielmo e Nicandro avevano sofferto molto: il primo privato dalle malattie di moglie e figli, il secondo del padre e della madre.
“E’ stato un incontro del destino il loro.” giustificò lei; “E’ stata la tua maledetta freccia!” controbatté lui, feroce, facendola indietreggiare quando le si voltò contro nuovamente.
“Sul mio onore.” lo frenò Lavinia, arginando la sua rabbia “Lo proteggerò sul mio onore.”. Parlava col cuore, per abbattere quella diffidenza. Moros conosceva e stimava Guglielmo, anche se non l’avrebbe mai ammesso. Come non poteva negare il vantaggio di sottrarre il cugino da una vita di miseria in confronto alla liberalità che gli veniva offerta.
Fu la prima volta che gli prese la mano, per trattenerlo: quella mano forte da tagliaboschi, che tanto strideva con la sua delicata.
Fu la prima volta che lui le toccò la guancia, soffermandovisi. Fu la prima volta che il bel volto di Moros si chinò sul suo e le sfiorò dolcemente le labbra: uno sfioro appena che la travolse. Senza parlare, lui continuò e… lei accettò quel lungo e sapiente bacio che non avrebbe mai voluto avesse fine. Non ci fu’ altro. Solo un bacio. Il suo primo bacio,
Ed ora di quel bacio, cosa restava? Solo un amaro ricordo.
Non era venuta meno, alla sua promessa, ma lui non vi era stato incluso!
Ringraziò la pioggia che ora le lavava il viso, coprendo le sue lacrime.
   
 
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