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Autore: Enchalott    18/01/2021    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’anima di Shion
 
«Non abbiamo nulla da dirci» soffiò il Nemico, strizzando con astio le palpebre sugli occhi scarlatti «Ma poiché hai ardito rivolgerti a me, oltraggiosa mortale, perirai.»
Alzò la mano con ostentata indolenza: l’onda di tenebra scaturì dal palmo, una chiazza livida e fatale che intaccò l’aria, risucchiando ogni forma di luce.
Adara si costrinse a non indietreggiare. Avvertì lo scaldarsi repentino del Crescente, ma la sua emanazione non era abbastanza forte, non riusciva a superare neppure la barriera di stoffa dei suoi abiti. Tremò nella certezza che sarebbe stata travolta dall’attacco. Il flusso malvagio la lambì, ma Irkalla lo assorbì, difendendola come aveva garantito. I suoi lineamenti attraenti si venarono di dolore, prova del fatto che i colpi dell’avversario giungevano a destinazione e arrecavano i danni previsti.
«Non mi appello a voi, divino Ishkur» riprese la giovane donna «Bensì a mio fratello Shion, che dimora nel vostro essere. È lui che desidero incontrare.»
Il dio del Nulla schiumò di rabbia, serrando le unghie tinte di nero sul petto, come se le parole fossero andate a segno in un punto scoperto.
«Il moccioso che tanto agogni è polvere, esaudirò il tuo desiderio e ti spedirò a incontrarlo nella stessa forma! Saresti dovuta rimanere nel cerchio di Yfrenn-ammri! Tu e lui sareste stati uniti, mio tramite, per sempre!»
Dalle membra ammantate di oscurità del Traditore esalò una marea composta di livore e malvagità, che dilagò nell’aria immota con un crepitio sordo di fiamma. Si innalzò come uno tsunami e cercò di fagocitare la ragazza, riducendo in cenere fluttuante la superficie brulla, che percorreva con brama vorace. Di nuovo il Distruttore la respinse, concentrando la propria energia spirituale e facendo dissolvere in vapore scuro il riflusso negativo. Il contingente riacquisì un barlume di chiarore.
«Ti aspettavo» mormorò Ishkur compiaciuto.
Aprì le mani e produsse un taglio incandescente, che si abbatté senza mercede su Anthos, trascinandolo per un centinaio di metri tra i detriti del creato, strappandogli le vesti e infliggendogli ulteriori ferite. Il giovane rimase a terra, sempre più debole.
«Tu sei la prossima, inutile femmina.»
Adara gridò il nome del marito, ma non arretrò. L’Imis’eli aumentò d’intensità, effondendo un bagliore rosato più nitido e assestandole una fitta decisa al ventre, simile a quella provata durante il crollo di Tahanameh. Cercò di concentrarsi, di non pensare a Irkalla che si liberava dai frammenti di roccia per tornarle accanto. Tentò di reagire, di compiere quanto lui le aveva chiesto, di non deluderlo. Precipitò nel panico quando scorse che il dio del Nulla si stava accingendo a una nuova aggressione. Urlò con tutta l’angoscia che pativa nell’animo.
«Shion! Smettila, Shion! Non puoi volere questo! Non puoi permetterlo!»
Il Nemico produsse un ghigno privo di umanità.
«Sì, piangi! Disperati! Muori con questo meritato tormento! Addio per sempre, regina del Nord!»
Irkalla reagì con la consueta agilità, ma l’attacco piegò la sua ormai affaticata difesa, minacciando di prevalere, di portare a compimento l’efferata minaccia e di rovesciare sia Adara sia l’universo intero.
Una freccia fendette l’etere sibilando e si conficcò con impeto nel torace del dio del Nulla, scagliandolo all’indietro e deconcentrandolo. Prima che potesse risolversi, un secondo lancio lo colpì al cuore, facendogli sfuggire dalle labbra contorte un mugolio di irosa ribellione.
«Lurido cane! Perché non ti decidi a crepare una volta per tutte?»
«Non sei tu a decidere la mia ora, Traditore!» ribatté Narsas «Non giungerà prima che io ti abbia visto sconfitto!»
Ishkur rise, staccandosi le saette dal corpo più per disprezzo che per necessità. Afferrò al volo l’ultima mentre ancora volava e la rigirò tra le dita, restituendola al mittente con una velocità inaudita. La punta acuminata si piantò nel fianco del guerriero Aethalas, scaraventandolo al suolo. Narsas strinse nel pugno contratto l’asticella, strappandosi con un gemito la cuspide metallica dalla carne. Il koreyon di cui era imbevuta gli incendiò le vene, mischiandosi a quello che gli scorreva nel sangue da tempo immemore. Ansimò, inginocchiato nella polvere, mentre la stola di seta ocra che gli serrava la casacca si tingeva di rosso vivo.
«Narsas!»
«Non ti distrarre, Adara! Pensa a tuo fratello! Salvalo!»
Lo sguardo d’ambra di Irkalla espresse in silenzio lo stesso invito mentre si ripuliva il volto sporco di terra e rallentava gli ansiti che lo scuotevano.
Era così, dunque. Entrambi erano disposti a sacrificarsi per amore, a fidarsi incondizionatamente di lei e delle sue facoltà. Metà della sua anima, metà del suo cuore. Un immortale e un essere umano, uniti e opposti. Furia e quiete, due doni immensi e preziosi che il destino le aveva elargito. Ne sarebbe stata meritevole.
La luce cremisi del Crescente acquistò stabilità e smise di pulsarle dentro le viscere come un coltello arroventato. Percepì la forma calda della mezzaluna intorno all’ombelico: possedeva l’energia pacata e ribollente di ciò che le era stato regalato, la stessa sensazione di quando era riuscita a respingere Anthos durante la loro prima notte insieme.
«Avete paura di me, Ishkur? Non offendetemi con la vostra disattenzione.»
Il dio del Nulla sogghignò, aprendo le braccia, .
«Non sia mai, principessina. Eccomi. Sono tutto tuo.»
Adara fissò il viso corrugato e perfido di suo fratello: i capelli ramati, che in quei mesi si erano allungati e gli ricadevano sulle spalle in onde brune spettinate, le iridi borgogna che avevano perduto la dolce sfumatura nocciola, la carnagione olivastra inscurita, sotto la quale pulsava l’essenza depravata di deamhan, il triangolo nero rovesciato impresso sotto quello che una volta era il suo sorriso candido.
Oh, Shion… mio adorato Shion…
«Perdonami. È colpa mia.»
Il Nemico inarcò un sopracciglio, interrogativo.
«Che stai farneticando?»
«Se ti sei sentito solo. Se hai avuto paura.»
«Sei forse impazzita, ragazzina?»
«No. Ti scongiuro, ascoltami. Anch’io ho avuto paura della Profezia, del futuro, dell’incerto. Avrei dovuto condividerlo con te, cercare la tua protezione, il tuo abbraccio. Piangere sulla tua spalla e lasciare che mi confortassi, che fossi il fratello maggiore. Invece mi sono comportata in modo sciocco e orgoglioso, mi sono finta una guerriera spavalda, priva di timori, me lo sono ripetuto fino a convincermene. Finché non ho lasciato casa nostra e non mi sono scontrata con la cruda verità, con la mia fragilità, finché le mie sicurezze non sono tutte crollate, com’è avvenuto con le tue. Perdonami, Shion, perché quando ho rischiato di cedere alla disperazione non ero sola. Qualcuno si è preso cura di me, mentre tu non sei stato altrettanto favorito dal destino. Io non c’ero, non mi sono accorta del tuo dolore segreto. Mi dispiace… mi dispiace se, per una mia mancanza, ti è stato fatto questo!»
Il dio del Nulla digrignò i denti, puntandola con un’espressione carica d’odio.
«Mi hai preso per il tuo confessore!? Non m’importa nulla di te o di cosa pensi! Sei parte dell’umana feccia che spazzerò via con estremo piacere! Un granello infimo, la cui presenza o assenza risulta indifferente a chi, come me, è eterno! Colui dal quale cerchi l’assoluzione ha cessato di esistere!»
Gli occhi castani di Adara tornarono a lui, carichi di partecipazione.
«Anche l’amore è eterno, Shion, qualunque forma abbia. Che tu sia un dio o un uomo stai avvertendo quello che non ho mai smesso di provare per te e ne riconosci la sincerità. Non ho mai dubitato del tuo affetto e neppure di te. Gli esseri umani sono imperfetti, cadono in errore, ma finché sono vivi hanno la possibilità di rimediare, di ravvedersi, di scegliere. Non è ancora finita, fratello, torna da me! Non c’è nulla, nulla da perdonare!»
Ishkur ebbe una contrazione e si portò una mano alla fronte. Il Diadema diede un bagliore e poi si affievolì, tornando a emanare le tre luci ordinarie.
«Maledetta intrigante!» alitò con rabbia, presentendo la reazione della parte di sé che aveva seppellito nel recesso più buio e lontano della propria essenza maligna. Prima di perderne il controllo e vanificare il potere offensivo del gioiello del Sud, il Nemico stabilì di eliminare quella presenza pericolosa, evitando di sottovalutarla.
«Stento a credere che sia tu il mio effettivo avversario!» sibilò esasperato dalla fastidiosa consapevolezza «Una ragazzina che tenta di impartirmi una disgustosa morale o di far leva su sentimenti che non conosco. Io non sono il tuo caro Irkalla, con me le tue moine non funzionano! Non hai appigli! Sono stanco di ascoltarti e non mi lascerò irretire! Sei un’esca miseranda escogitata dal Distruttore, affinché possa recuperare le forze!»
Radunò il potere e il Diadema si accese, concentrandone la virulenza. Il dio del Nulla sollevò l’indice in direzione di Adara: nonostante il visibile tremito, l’emanazione energetica sfociò dalla mano puntata con una traiettoria letale.
Anthos intercettò la corrente e vi contrappose la propria aura, sostenendosi il polso con la sinistra, stremato. Rivolse un cenno alla principessa, invitandola a continuare. Lo scontro di resistenza tra le due divinità rimase in equilibrio precario, oscillando pericolosamente in favore di Ishkur.
«Shion, ti supplico, aiutaci! Solo tu puoi farlo, come quella volta al lago Garshasp!»
Il signore del Nulla ebbe uno spasmo, la memoria rifiutò di obbedirgli e frantumò il blocco, riempiendosi di ricordi non suoi: quello distante dell’episodio che lei aveva citato irruppe inarrestabile nella sua mente.
 
Aveva dieci anni, non di più. L’acqua verde smeraldo del lago racchiuso tra le pareti rosse dei Rhaida gli rinfrescava i piedi nudi. Quella dell’erba verde e odorosa era una sensazione che non aveva mai sperimentato, così come il bacio di un sole meno feroce sulla pelle e quello di un’aria quasi pungente sul viso.
Gli giungevano all’orecchio le voci cristalline di Dionissa e di Adara, che si rincorrevano spensierate sulla riva, alla pari dei richiami allarmati del loro seguito, intervallati dallo sciabordio dei passi veloci sulla riva.
C’erano delle leggende su quel posto, di una creatura mostruosa che abitava sul fondale e che creava mulinelli fatali con i movimenti della coda: in ragione di ciò era stato loro proibito di fare il bagno.
Non aveva compreso come era accaduto: le grida disperate di Dionissa, trattenuta a forza da una delle dame di compagnia, e quelle altrettanto atterrite di Adara, che annaspava per reggersi a galla, trascinata dalla corrente verso il centro dello specchio d’acqua, lo avevano riscosso. Si era precipitato, osservando con terrore la scena, con un brivido gelato le espressioni pietrificate dei presenti. Nessuno stava pensando di tuffarsi nel lago, di raggiungere la sua sorellina, di salvarla. Erano tutti congelati dalla paura, frenati da una sciocca diceria… e Adara strillava e piangeva, Adara implorava che la aiutassero, Adara sarebbe affogata. Il vero mostro era la superstizione, la cieca credenza in un mito infondato, quella sarebbe stata la vera forza omicida!
Si era sganciato la spada dal fianco e si era buttato senza esitare, aggrappandosi a un ramo galleggiante. Aveva nuotato al massimo della velocità, supportato dal provvidenziale sostegno, non si era curato delle voci concitate di quei vigliacchi rimasti sull’arenile. Aveva raggiunto la sorella minore, afferrandola per i vestiti intrisi d’acqua e l’aveva piazzata su quel pezzo di legno contorto.
Poi aveva ripercorso il tragitto alla rovescia, lottando contro il flusso avverso e vigoroso della corrente, rassicurandola, garantendole che l’avrebbe riportata sana e salva a casa. Aveva scorto i suoi occhi bruni di bambina riempirsi di fiducia e di ammirazione e quello lo aveva spronato a resistere, finché gli uomini in piedi sulla riva non si erano decisi a sfidare le acque di Garshasp e non lo avevano raggiunto, quando era già fuori pericolo.
Ricordava l’abbraccio spasmodico di Dionissa e la presa tremante e fradicia di Adara, la sensazione di essere stato prezioso, ardito, di aver sconfitto per una volta quel suo carattere insicuro e schivo. Di aver salvato chi amava, di…
 
Ishkur ruggì, scacciando la scomoda rimembranza, inghiottendo la sensazione che lo aveva attraversato in un ansito carico di collera.
«Taci per sempre, dannata!»
Il potere si imbizzarrì, nutrito dalla tenebra deamhan, e spezzò la stasi: Irkalla venne respinto e fu costretto a tornare in difesa, ma l’esplosione energetica gli si rovesciò addosso, assestandogli un ennesimo colpo mortale. Rimase a terra, privo di forze e impossibilitato a rialzarsi.
«Ora nessuno potrà difenderti, Adara!» sancì il Nemico, compiaciuto.
La scarica partì senza misericordia, indirizzata a colei che lo stava ostacolando con l’effetto delle mere parole.
Narsas scattò in avanti, risollevandosi con uno sforzo sovrumano e afferrando la principessa prima che l’attacco potesse nuocerle. La gettò a terra, proteggendola con il proprio corpo e subendo l’estremità devastante dell’energia demoniaca che l’opponente aveva liberato. Si sentì incendiare, la sofferenza raggiunse l’apice del tollerabile. Qualcosa in lui si spezzò. Quella era la fine, era l’ultimo palpito di vita, l’ultimo ansito di sofferenza. Si accasciò, mormorando all’orecchio della donna che amava un’ultima esortazione. La ragazza si risollevò, pallida come l’inverno, sostenendo il suo corpo inerte.
«Narsas…»
Lui non reagì, abbandonato a peso morto sulla sua spalla, cereo e imbrattato di sangue. Troppo immobile per essere solo svenuto.
Adara non riuscì a percepire il suo respiro, come se si fosse estinto nell’ultimo atto eroico volto a proteggerla. Nessun segno di vita a rassicurarla che il giovane Aethalas facesse ancora parte di quel mondo devastato. Il suo cuore andò in pezzi. Pensò di essere prossima alle lacrime, ma esse non vennero. Strinse le membra reclinate del guerriero e gli baciò la fronte macchiata di fango, gli accarezzò i capelli bruciacchiati dalla furia del Nemico, gli sussurrò all’orecchio il suo grazie, il suo dolce arrivederci. Addio mai. Non l’avrebbe mai pronunciato, poiché l’essere in due mondi divisi non costituiva una disunione. La mano di lui serrava l’arco, rifiutando di separarsene persino nella morte. Di certo l’avrebbe sostenuta dal regno sconfinato di Reshkigal, come le aveva giurato. Adara non pianse, conscia di non possederne il tempo. Lo depose a terra con gentilezza, passandogli le dita sul viso in un estremo saluto. L’orecchino vermiglio diede un ultimo baluginio tra le ciocche brune sparpagliate al suolo.
Ti ha chiamata per nome…
Quelle le sue ultime parole. Ishkur le si era rivolto così, come mai aveva fatto prima e Narsas ne aveva intuito la portata. La ragazza si levò in piedi, fronteggiando il Nemico senza arrendersi. Dentro di lei l’energia dell’Imis’eli era nitida e possente.
«Il novero dei tuoi difensori si sta pietosamente assottigliando» commentò irrisorio il dio «Stolti che hanno rifiutato di piegare le ginocchia innanzi a me, esecrabili esempi di umana presunzione. La giusta conclusione per esseri tanto arroganti!»
«È amore e basta. Per questo siamo degni di esistere! Lo sai anche tu, Shion!»
Il Traditore portò l’attacco con ferocia estreme, convinto che nessuno avrebbe difeso quell’insopportabile femmina, certo che il ragazzino nomade fosse defunto, che Irkalla avesse esaurito le energie, che lei non sarebbe stata in grado di opporglisi. La scia di oscurità rossastra attraversò lo spazio: dirompente, rabbiosa, gorgogliante di ostilità. Fendette l’etere e guadagnò vigore, ululò come una belva incatenata, graffiò l’esistente e si preparò a ghermire la preda.
Mancò il bersaglio schiantandosi a pochi passi dalla principessa, che fu investita dallo spostamento d’aria, ma rimase salda.
Ishkur ruggì incredulo, incapace di comprendere l’accaduto. Non era da lui fallire un attacco! Che diavolo…!
Non la toccare…!
Una voce dentro di lui, una volontà che sormontava la sua, che lo ostacolava dall’interno, cercando di riprendere il controllo del suo corpo mortale.
«Maledetto!»
Il dio del Nulla si adoperò per soffocare la ribellione interiore e abbassò le braccia nell’urgente tentativo di recuperare la supremazia. Commise un errore. Qualcosa lo trapassò con violenza, assestandogli una fitta dolorosa, svuotandogli i polmoni dall’ossigeno, inchiodandolo in quella posizione stupita e tesa. La luce rossa e implacabile del Crescente lo atterrò, abbattendolo al suolo, privandolo della facoltà di reazione e impedendogli qualunque contromossa. Gridò di rabbia e di tormento, si rivoltò appellandosi a tutto il deamhan che lo sosteneva in quella battaglia imprevista, ma non fece altro che peggiorare la situazione.
«Shion!»
L’essere demoniaco fece saettare uno sguardo d’odio verso la donna che lo affrontava senza timore, lottando per rimanere vigile e sovrano di se stesso, per prevaricare. Vide la luce della mezzaluna virare in una tonalità più chiara, avvertì le membra pesanti come il piombo e inorridì. Provò dolore.
Adara continuò a mantenere il controllo sull’Imis’eli, appellandosi a tutte le proprie forze. Il traguardo era vicino, non avrebbe reso vano il sacrificio di Narsas, non avrebbe permesso al Nemico di uccidere Irkalla, di asservire il cosmo.
Le iridi d’ambra del Distruttore non esprimevano alcuna preoccupazione: pur sconfitto, non aveva dubbi su di lei e le dimostrava piena fiducia con quell’assenso silenzioso. La sua aspettativa le infuse sicurezza, la aiutò a non cedere a non lasciarsi trasportare dal pensiero che, in fondo, era soltanto un’umana che stava sfidando impunemente un Immortale.
Il Diadema sulla fronte della divinità perse la luce ultraterrena, tornando la fascia metallica gemmata che lei aveva scorto tante volte sul capo di suo padre. Il brulichio nero dei servi dell’oscurità sotto l’epidermide brunastra del Nemico si infossò, restituendogli un aspetto quasi normale, rendendolo addirittura minuto sotto la stoffa stracciata della tunica nera. Gli occhi sanguigni scolorirono, privandolo dell’espressione malvagia, acquisirono una tinta che ricordava le nocciole maturate al sole. Il triangolo rovesciato schiarì, diventando traslucido e pressoché invisibile.
«Shion…»
L’uomo che le stava davanti teneva le mani premute nel punto in cui il fascio splendente del Crescente lo attraversava come una lama affilata. Non c’era ferita, ma la sofferenza che gli leggeva sul volto era altrettanto eloquente.
«Mi sei mancato, fratellino.»
Fu tentata di liberarlo, ma l’intuito le disse di non lasciarsi ingannare da quella che avrebbe potuto essere una sottile strategia del Traditore.
«Continua a bloccarmi, Adara. Non so per quanto riuscirò a prevalere su deamhan
«Non arrenderti, Shion! Ti aiuterò, cerca di respingere il male che ti attacca!»
Il giovane principe scosse la testa malinconico, asciugandosi il rivolo di sangue vivo che gli era scaturito dalle labbra.
«È troppo tardi, sorellina. Non posso tornare indietro. Solo chiederti perdono per ciò che ho deciso di essere.»
«Non dire così, non attribuirti la colpa! Puoi ancora svincolarti!»
«No, Adara. Sono certo che il divino Irkalla te ne abbia parlato. Ho scelto liberamente. Esistono condizioni irrecuperabili, come la mia attuale. Io sono deamhan e il Nulla, adesso. Un’unica entità inscindibile. Ishkur ha saputo sfruttare la partita, ma nell’affermare ciò non intendo sminuire la mia responsabilità. Il Traditore ha soltanto scovato il terreno adatto a lui, una materia a sé confacente. Il fallo è mio, quale sia la ragione per cui è stato commesso. Ora so di doverne pagare lo scotto.»
«Non riesco a crederci! Non puoi essere stato tu! Non tua sponte!»
Shion sorrise con mestizia, scuotendo il capo. Trasse un sospiro sofferente, stringendo i denti per il dolore atroce che Leuhan gli stava infliggendo.
«Ti ringrazio, sorellina, perché, nonostante l’abominio che sono, continui a volermi bene. I tuoi sentimenti puri e generosi mi hanno richiamato dalla tenebra e non lo merito. Credimi, Adara, sono colpevole.»
La principessa fece per obiettare, ma lui la prevenne.
«L’episodio del lago Garshasp, che hai riesumato poco fa… sorprendente che te ne sia ricordata, potrei dirti che è stato il momento in cui qualcosa in me è mutato. Quando ho capito che nessuno sarebbe entrato in acqua per salvarti e che la superstizione stava prevalendo sul buonsenso, ho provato una collera immensa, irrefrenabile. Sono addirittura riuscito a non essere il codardo che sono sempre stato e a tuffarmi. Poi la mia ira si è estesa, valicando l’occasione che ti ha quasi uccisa, calzando in maniera altrettanto perfetta sulle parole autoritarie della Profezia. La tua vita, quella di Dionissa, dei nostri genitori, dell’intera Elestorya erano legate all’interpretazione di quel testo lapidario. Così la mia. L’esistenza dell’intera famiglia reale mi è apparsa incatenata a un compito previsto dal fato. Come se non fosse autonoma, come se fossimo dei burattini tra le mani dell’ineluttabile. Sapessi quante volte avrei voluto distruggere quelle righe polverose! Gettarle tra le fiamme sacre del tempio di Amathira!»
Adara lo fissò con comprensione, turbata dall’ammissione tanto amara.
«Anch’io non vi ho creduto! È umano!»
«No. Tu non sei mai uscita dal solco del bene. Pur esprimendo il tuo scetticismo, il tuo desiderio di salvaguardare chi ami ha seguito la via più difficile e più giusta. Ti sei impegnata, giungendo a sacrificare la tua felicità, la tua libertà. Hai dimostrato coraggio e altruismo, non ti sei anteposta a nessuno. Hai dato amore, creandone altrettanto. Persino Irkalla ne è stato travolto.»
«Ma io ho avuto paura, ho soffocato i miei sentimenti, ho rischiato di distruggere un’anima innocente per orgoglio. C’è chi è morto per me! Sono altrettanto esecrabile, se tu sei da condannare allora anch’io lo sono!»
«Adara» sorrise debole il principe elestoryano «Quello che dici è umano. Non l’hai voluto, è questa la differenza che ci distingue.»
«Ti ha preso con l’inganno! Ishkur ti ha fatto credere di essere un amico, una risorsa!»
«Sì. Le sue lusinghe fallaci hanno destato il mio interesse, tuttavia l’ho accettato nonostante i dubbi. Anche quando mi ha mostrato la sua reale natura, non ho rinunciato a seguirlo. Farmi leggere le righe della Profezia conservata a Jarlath, mettermi in comunicazione con il Nord tramite la magia oscura, raccomandarmi al reggente come spia doppiogiochista al suo comando è stata l’esca. Un boccone saporito, che ho amato inghiottire, di cui ero consapevole. Mi sono sentito forte, importante. Terrore e codardia, impotenza e invidia non possono diventare scusanti. Sono cause scatenanti e non respinte. Ero abbastanza adulto per discernere e mi sono lasciato trascinare, poiché una parte di me lo bramava.»
«Non sei mai stato così, Shion! Sei ingiusto con te stesso!»
«Il tuo affetto fraterno distorce l’opinione che hai di me. Essere l’erede al trono è un peso che non ho mai sopportato. Mi è mancato il coraggio di esprimerlo a nostro padre, che avrebbe compreso e mi avrebbe sciolto dal compito, perché indossare il Diadema mi dava una sensazione appagante. E insieme mi opprimeva. Non mi sono confidato con Dionissa, perché ero invidioso di lei, del suo dono, della sua coerenza, della sua sicurezza. Mi spaventava e detestavo provare paura, non riuscire a sconfiggerla. E più maceravo in questi sentimenti rancorosi, più mi sentivo svigorito, estraneo, diverso. La visione del mondo descrittami dal Nemico, affrancata dall’obbligato e dalla supremazia ingiusta degli Immortali, è venuta a coincidere con la mia. Ho iniziato ad agire in quel verso con ogni mezzo.»
«Nostra sorella ti ama. Se fosse qui si getterebbe tra le tue braccia!»
»Lo so. Anch’io le voglio bene e ne voglio a te. O non sarei riuscito a riprendere momentaneamente le redini della mia personalità. Ma questo non è sufficiente: c’è stato un momento in cui avrei potuto ravvedermi e non l’ho fatto. Quando Ishkur mi ha dato il veleno destinato a Dionissa, facendomi credere che fosse il solito preparato magico destinato a inibire il suo Kalah, ho visto morire una donna innocente. Ho compreso quale sarebbe stato il mio ruolo nei progetti del Traditore, ma non ho rivelato a nostra madre ciò di cui ero a conoscenza. Sono fuggito e ho portato con me il gioiello del Sud. Inconsapevole all’apparenza, rassicurandomi con l’auto indulgenza, incolpando la mia fragilità. Non sono certo che sia andata così, che una parte remota di me non lo abbia premeditato. In ogni caso sono diventato un traditore al pari del mio mentore. Un corpo per lui, sangue da sfruttare. Il vero erede del suo retaggio. La verità è che io non ho mai pronunciato la parola no
«Deve esistere una soluzione! Che cosa devo fare!? Dimmelo, Shion!»
Il volto sofferente del principe fu attraversato da uno spasmo. Il triangolo scuro sul suo mento riguadagnò consistenza, spire livide e sinuose ripresero a scorrere lungo le sue membra affaticate. Deamhan stava tornando a prevalere.
«Una. Una sola. Uccidimi. Fallo adesso, non mi opporrò!»
«No, Shion!»
«Se mi ami davvero, fallo! Non esitare! Non esiste niente di me, niente per cui valga la pena!»
Adara sussultò: avvertì che la luce chiara del Crescente aveva fornito un contraccolpo, un avvertimento. Non c’era più tempo, il dio del Nulla stava rientrando in possesso dell’anima di suo fratello e lei era l’unica in grado di fermarlo. Ma non poteva. Non poteva privarlo della vita, levare la mano su di lui! Osservò con orrore la trasformazione in atto, l’essenza di Shion fagocitata da deamhan, il male riprendere il controllo assoluto.
«Adara… uccidimi… ti scongiuro… ti… ah…»
L’invocazione si smorzò in un gorgoglio rantolante, perdendosi in un cupo ringhio ferino, per poi tramutarsi in una risata selvaggia e agghiacciante.
Le iridi borgogna di Ishkur si posarono su di lei più spietate che mai.
   
 
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