Serie TV > Castle
Segui la storia  |       
Autore: Ksyl    18/01/2021    3 recensioni
Castle e Beckett si sono incontrati solo una volta, durante quell'unico caso risolto durante il Pilot e da lì più nulla. Si rivedono solo alcuni anni dopo. E a quel punto inizia questa storia.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

27

"Castle? Stai dormendo?"
Nonostante avesse a malapena bisbigliato, Castle aprì gli occhi di colpo, come azionati da una molla posizionata dietro le palpebre.
"No, sono sveglio", bofonchiò con il respiro corto. Le rivolse uno sguardo stralunato, facendola quasi pentire del suo gesto. "Che cosa è successo? Tommy sta male? Lo sapevo che non doveva mangiare tutta quella cioccolata prima di cena".
Lei era piuttosto certa che non ci fosse stata nessuna cioccolata, almeno non sotto la sua supervisione, ma preferì non investigare ulteriormente.

Castle cercò di sollevarsi, ma la pesantezza delle membra che non avevano ancora abbandonato lo stato di profondo torpore in cui, contrariamente alla sua recente affermazione, era stato immerso – lo aveva sentito russare lievemente, ma preferì non sottolinearlo, – glielo impedì.
"Sei sempre così in allerta quando dormi?"
"Tecnicamente non dormo. Mi limito a far riposare gli occhi".
Scoppiò a ridere, cercando di non fare troppo rumore. "Immagino sia un talento utile quando vuoi farti reclutare dalla CIA. Ora però siamo in vacanza, non pensi che potresti concederti un po' più di relax?"
Castle le fece scorrere le dita tra i capelli e le sorrise, ancora un po' confuso. "Prova tu a rilassarti con qualcuno che se ne sta a fissarti a pochi centimetri dal naso. Hai intenzione di entrare a far parte del cast di un film horror? Mi hai quasi fatto venire un infarto".

Kate appoggiò la fronte nell'incavo del suo collo, assaporando con le labbra la pelle calda e setosa.
Castle lasciò lentamente scivolare la mano lungo la schiena fino a intrufolarla sotto la maglietta, appena sollevata, dove prese ad accarezzarla pigramente.
Si lasciò sfuggire un sospiro, che lei per prima non avrebbe saputo interpretare.
"Hai ancora qualche problema di insonnia per via del fuso orario? Posso aiutarti io, se vuoi. Ho un ricco repertorio di intrattenimenti notturni con cui possiamo passare il tempo fino all'alba", le sussurrò all'orecchio.
"Non c'è bisogno di ricordarmelo. Conosco molto bene i tuoi generosi intrattenimenti".
E se Castle avesse saputo quello che stava per dirgli, se ne sarebbe reso conto anche lui. Al solo pensiero venne attraversata da una piccola scossa elettrica che le corse rapida in fondo alla spina dorsale.

Castle si voltò sul fianco, rintanandosi insieme a lei sotto il piumino, e appoggiò la fronte sulla sua. Kate chiuse gli occhi. Non riusciva a trovare nessun motivo valido per interrompere lo stato di benessere ultraterreno in cui era immersa, ma lo aveva svegliato con uno scopo preciso in mente e si attenne ai suoi programmi.
Cercò di capire se dalla camera di Tommy, a poca distanza da loro, provenisse qualche suono. Era andata da lui, poco prima. Si era fermata accanto al suo letto per qualche minuto, assorbendo in silenzio la profonda tranquillità che il bambino emanava, sempre capace di calmarle i nervi.
A volte si chiedeva dove fosse finito quell'esserino minuscolo che si era portata a casa dall'ospedale – conservava ancora le tutine che aveva indossato i primi mesi, che la sconcertavano non poco per le dimensioni ridotte-, che ora aveva gusti precisi su argomenti di cui lei conosceva poco o nulla e una personalità sempre più definita.

Gli aveva rimboccato le coperte, mentre la lampada posizionata sul comodino continuava a proiettare stelle e pianeti sul soffitto, una versione meno ingombrante di quella che stazionava nella sua cameretta a New York.
Era stato Castle a insistere perché la portassero in vacanza, così che Tommy potesse sentirsi a suo agio in un luogo sconosciuto. Doveva ammettere che era stata un'ottima idea. Castle ne aveva spesso, e lei aveva iniziato a fidarsi e ad accettarle senza farsi troppe domande, per quanto azzardate potessero inizialmente apparire. Chi altri infilava lampade in valigia solo per assicurarsi che un bambino potesse ambientarsi più facilmente?

"Vuoi che parliamo di quello che ti turba?"
Intrecciò la mano nella sua. Si chiese se esistesse sulla Terra un altro uomo che, dopo essere stato strappato al sonno senza un motivo apparente, non solo era di buon umore, ma si dichiarava pronto ad ascoltare i dilemmi della propria compagna, trovandolo normale.
Sì, c'era qualcosa che l'aveva tenuta a lungo a fissare il soffitto, con la neve che scendeva copiosa a farle compagnia. Tommy ne sarebbe stato entusiasta. E anche Castle, forse perfino più di suo figlio. Nonostante fossero costantemente immersi in paesaggi di un bianco da favola – era arrivata alla conclusione che un luogo del genere non potesse esistere nella realtà, doveva essere una sorta di illusione collettiva-, non ne avevano mai abbastanza e, soprattutto, morivano dalla voglia di assistere a una nevicata in piena regola. Fino a quel punto si erano susseguite giornate limpide e soleggiate, prive di nuvole e di cattivi pensieri, che loro tre avevano riempito di attività che li facevano crollare distrutti subito dopo cena. Forse avrebbe dovuto svegliarli entrambi per lasciare che si godessero l'evento, di cui era stata l'unica spettatrice distratta.
Durante il giorno le era più semplice mantenere un ferreo controllo sulle proprie emozioni – dopotutto era stata la vita a insegnarle come fare-, ma l'oscurità aveva l'irritante tendenza a riproporle tutte le questioni irrisolte che aveva accuratamente represso.

"Ho un ritardo", buttò lì asciutta. Non era riuscita a farsi venire in mente una frase meno lapidaria – anche se riconosceva che Castle si sarebbe meritato qualcosa di meglio-, le parole le si erano conficcate in gola, e lì erano rimaste, nonostante avesse più volte deglutito a vuoto. Anzi, il nodo che avvertiva le era parso aumentare di volume. Ma non era più il caso di aspettare e le due di notte erano un momento adatto come qualsiasi altro, l'unico in cui avesse trovato finalmente il coraggio di metterlo al corrente.

Inutile tergiversare, si era ripetuta con le mani tremanti premute sulla fronte, decisa a superare lo stallo in cui era suo malgrado finita. Non che si trattasse di una sorpresa, non lo era, non in senso stretto. Si era aspettata che accadesse, mese dopo mese, all'inizio con curiosità mista a timore – un conto era immaginarlo, un conto era farlo accadere nella realtà, sconvolgendo le loro esistenze- e poi con sempre maggiore sconcerto nel trovarsi davanti una natura avara e poco collaborativa che aveva messo in crisi le sue certezze, finché la sua agenda non aveva iniziato a far scorrere fogli bianchi là dove era stata convinta di segnare per l'ennesima volta la data ufficiale della morte delle sue fantasie.

L'aveva tenuto per sé, a quel punto. Troppo rischioso, troppo prezioso. Lei per prima, anzi, si era ripromessa di non darci troppo peso, ancora scossa dopo quelli che aveva vissuto come fallimenti personali.
Era andata avanti con la sua vita cercando di mantenere i nervi saldi e lo sguardo puntato altrove, senza concedere nessuno spazio a quell'unico indizio che poteva segnalare l'agognato cambio di rotta. O essere la spia di un'altra delusione.
Ogni giorno trascorso senza nessuna novità all'orizzonte, però, le aveva reso complicato reprimere briciole di speranza sempre più consistenti e il sorriso che spuntava quando nessuno poteva vederla.

Era comunque troppo presto, non era il caso di perdere la testa o essere precipitosi, si era rimproverata, gettando volontariamente acqua gelida su quelle timide scintille, ma faticando a mantenere la razionalità di cui tanto andava fiera, persa in sogni che non osava confessare. Poteva dipendere da tante cose e non si poteva certo dire che lei fosse nelle migliori condizioni psicofisiche, tanto per cominciare. Poteva essere stress, giusto? Lo stress era una giustificazione plausibile e loro ne avevano sopportato a palate, chiunque avrebbe potuto confermarlo,.
Prima c'era stato l'estenuante periodo di incertezza con cui Josh li aveva tenuti in ostaggio con la solita, studiata ostilità. Per giorni non avevano saputo se di lì a poco sarebbero stati seduti su un aereo che li avrebbe condotti verso la loro sospirata destinazione o pigiati dentro un tribunale a vedere i loro avvocati litigare.
Il nulla osta, giunto all'improvviso, aveva avuto lo stesso effetto di una brusca accelerata dopo un lungo stato di inerzia e li aveva liberati dallo stato di apatia in cui erano precipitati per gettarli nella frenesia dei preparativi dell'ultimo minuto.
Ce n'era stato abbastanza da farsi venire un'ulcera oltre a un ritardo, anche se le due cose non si escludevano a vicenda. Lo stomaco le aveva dato qualche problema, a ben pensarci. E avvertiva già altri cambiamenti, sospettosamente familiari.

Voleva offrire a Castle qualcosa di più concreto di vaghe sensazioni che si potevano spiegare in molti altri modi, tutti ragionevoli. Sì, forse se ne era stata zitta anche per scaramanzia, per non infilare la sua preziosa fiammella di speranza negli spietati ingranaggi della realtà. Castle avrebbe insistito per sapere. E alla fine... avrebbero saputo, con tutto quello che ne sarebbe conseguito. Meglio continuare a sognare senza far del male a nessuno. Castle non se lo meritava, non dopo quello che avevano sopportato, che lo aveva segnato più di quanto non volesse ammettere.
Lo strano discorso su quanto la loro vita sarebbe stata più serena senza di lui l'aveva messa in allarme, facendole comprendere quanto grande dovesse essere lo sconforto che la situazione aveva generato in lui. Avrebbe maledetto Josh ogni giorno, se non avesse avuto cose molto più importanti di cui occuparsi. E forse era stato proprio il suo piccolo segreto a farla resistere, a farle mantenere saldo il timone.

Con il passare del tempo la sua coscienza aveva preso a pungolarla con irritante pedanteria o forse la sua fiammella aveva bisogno di più ossigeno per tenersi in vita. Non poteva tenere tutto per sé ancora per molto. E nel frattempo quel ritardo rischiava di trasformarsi in un neonato urlante la cui apparizione avrebbe dovuto essere giustificata in qualche modo, almeno agli occhi di suo padre. Non poteva presentarsi al loft fingendo di averlo appena rinvenuto per strada.

Castle reagì alla sua affermazione con un'immobilità sospetta e prolungata che le fece credere di aver provocato in lui dei danni di tipo cognitivo. Di tutte le possibili reazioni, quella era stata l'unica che non aveva preso in considerazione. Come avrebbe spiegato ai soccorritori, che temeva sarebbe stata costretta a chiamare, l'istantanea trasformazione del padre di suo figlio – quello giusto, questa volta - da uomo prestante in mummia sprovvista delle normali capacità di verbalizzazione? Era il caso di controllare il battito cardiaco?

Si era quasi decisa a farlo, quando Castle si sollevò a sedere sul letto, sfregandosi gli occhi come a volerseli estirpare dalle orbite. "Che cosa significa ritardo? È una specie di scherzo? Ti sei intrufolata nei miei sogni che si autodistruggeranno al mio risveglio?"
Rimase molto più che sbalordita, onestamente. Sperò che stesse scherzando, ma i suoi occhi raccontavano qualcosa di diverso.
"Stai bene?", domandò cauta. Forse avrebbe fatto meglio ad alzarsi per prendergli un bicchiere d'acqua dopo averci sciolto dentro una dose doppia di calmante per cavalli.
Castle si alzò e cominciò ad aggirarsi freneticamente. "Sì. No. Stai calma. Devi fare un test. Dobbiamo trovare un test, per prima cosa". Si voltò e le puntò un dito contro. "Non muoverti, ci penso io. Tu devi solo rimanere calma".
Dei due, non era certo lei quella che doveva essere invitata a un maggiore controllo delle proprie azioni. Lo vide ricominciare a muoversi a scatti come se fosse stato alla mercé di un burattinaio sotto l'effetto di stupefacenti. Incespicò un paio di volte. Sarebbe stato quasi spassoso, se non fosse stato profondamente disturbante.

"Puoi fermarti per un minuto? Mi stai facendo venire la nausea".
Castle corse da lei, le prese il viso tra le mani e la baciò con vigore sulle labbra, ritraendosi subito dopo atterrito, scusandosi per essere stato troppo rude, date le sue possibili condizioni.
"Conosco la ricetta di una tisana che è ottima per i casi di nausea ostinata", le comunicò, ansioso di farle buone impressione, ma lei preferì non sapere come mai fosse in possesso di tale informazione. Rimase in silenzio osservandolo riprendere il suo insensato andirivieni. "Vuoi un altro cuscino da mettere sotto la schiena? Del gelato? Non è meglio se sollevi le gambe? Ti fa già male la schiena?"
Sarebbero stati nove mesi infiniti, se qualcuno non lo avesse tramortito subito.
"Sto esattamente come quando non ti preoccupavi tanto delle mie condizioni".
"Mi dispiace, è stato imperdonabile da parte mia, avrei dovuto accorgermene da solo".
"E come? Scaricando un'applicazione che monitorasse il mio ciclo mestruale?"
La scrutò, vivamente impressionato. "Perché non mi è venuto in mente? Sarebbe stata la soluzione ideale".

Kate si lasciò andare contro i cuscini, a un passo dalla disperazione. Era inutile tentare di ragionare con lui, forse era colpa del brusco risveglio di cui era responsabile, ma qualcosa dentro lui non stava funzionando come avrebbe dovuto.
In preda a un lieve stordimento si limitò a tenerlo d'occhio, mentre ricominciava a girovagare per la stanza, sbatacchiando da una parte all'altra cercando di raccogliere gli indumenti sparsi sul pavimento.
"Dove stai andando?"
"A comprare un test". Lo disse come se la ritenesse poco perspicace rispetto al solito, ma in fondo scusabile. "Molti test, anzi. E ti serviranno un sacco di altre cose".
"Non mi serve niente con tanta urgenza".
"Nemmeno un test di gravidanza?"
Per lui era chiaramente una domanda retorica, glielo leggeva in faccia senza troppa difficoltà. Rivalutò l'idea di metterlo di fronte al fatto compiuto e cioè solo una volta uscita dalla sala parto.

"È notte fonda, Castle. Forse non te ne sei accorto, ma siamo nel mezzo di una tempesta di neve in piena regola e dubito che in un centro così piccolo ci sia una farmacia aperta a quest'ora. Possiamo aspettare che faccia giorno".
Aveva solo voluto condividere le sue speranze con l'altro protagonista della vicenda, illudendosi di passare il resto della notte amorevolmente abbracciata a lui, non si era certo aspettata che Castle montasse un'unità di crisi nella loro suite nel giro di cinque minuti. Né le faceva piacere l'idea che la piantasse in asso uscendosene tra le strade ghiacciate, aumentando le sue preoccupazioni.
Castle tornò da lei con in mano un pullover a rovescio, sul volto un'espressione perplessa. "Pensavo volessi saperlo subito".

Batté la mano sul materasso accanto a lei. "Credi di poter smettere di essere tanto energico e produttivo e venire a sederti vicino a me? Per favore?"
Fece subito come gli aveva chiesto, forse aveva finalmente notato il tono stridulo con cui l'aveva implorato.
"Temi che sia troppo presto e che il test non dia una risposta sicura? Per questo non vuoi farlo?"
Scosse la testa. Era il momento di essere onesti, per quanto le costasse.
"Non è presto, anzi. Io... ho preferito tenerlo per me, quando me ne sono accorta. Poteva trattarsi di qualcosa d'altro, non volevo..."
Suonò debole e vano alle sue stesse orecchie e dirlo ad alta voce le fece prendere coscienza del senso di colpa che l'aveva rosa per aver deciso di non renderlo partecipe fin dall'inizio. "Mi dispiace. Avrei dovuto metterti al corrente quando me ne sono accorta". Solo adesso percepiva tutta la sgradevolezza del suo comportamento. "È che non sono abituata a condividere... l'altra volta..." Abbassò gli occhi, sentendosi incapace di spiegarsi al meglio.

"Questa volta non sarai da sola a gestire tutto, te lo prometto", esclamò Castle con forza, sorprendendola per la recuperata lucidità e per aver intuito quale fosse il nocciolo della questione prima ancora che lei riuscisse a renderlo chiaro a se stessa.
Era quello l'unico motivo per cui era rimasta zitta, nonostante tutto il corollario di scuse inutili e complicate con cui aveva preteso di giustificarsi. Era stata terrorizzata, ecco qual era la verità nuda e cruda. Razionalmente sapeva che Castle non era... via, non c'era nessun altro come lui al mondo, qualsiasi descrizione sarebbe stata riduttiva, ma il passato era arrivato a ghermirla e l'aveva paralizzata.
Gli automatismi lasciati in eredità dalla prima gravidanza si erano attivati imponendole il silenzio assoluto come forma di protezione inconscia dal rivivere la stessa tragica esperienza di rifiuto. Si sentì una sciocca. Non era nemmeno contemplabile l'ipotesi che Castle potesse indietreggiare o mostrarsi indifferente di fronte a un annuncio del genere.
Non aveva realizzato quanto ancora le facesse male, quanto fossero profondi il rammarico e l'umiliazione che albergavano dentro di sé, né quanto potenti fossero certe dinamiche inconsce, capaci di bypassare il ferreo dominio della ragione, per riemergere in superficie e far danni. Ne fu spaventata. Per fortuna Castle sembrava averla presa bene, come se la sua fosse una reazione normale. Lei non sarebbe stata altrettanto indulgente. Ma era un uomo meraviglioso e questa ne era solo l'ennesima dimostrazione.

"Sarò sempre al tuo fianco, Kate. Sempre. Non ti pianterò in asso, te lo prometto".
"Non l'ho mai veramente pensato", ammise, contrita. "Sono io che..." Il problema non era di Castle, ma suo, anche se il torto l'aveva subito lui.
"Ehi", le sussurrò tra i capelli. Quell'ehi, espresso con tono basso e roco che a seconda delle circostanze poteva suonare sensuale o rassicurante, riuscì anche in questa occasione a farle rimescolare lo stomaco, anche se i motivi potevano essere molto meno romantici.
"Io non sono stato d'aiuto reagendo come uno stoccafisso".
Ridacchiò, grata per il diversivo che le aveva appena offerto. "In effetti ho avuto paura che ti fosse venuto un colpo".
"Mi è davvero venuto un colpo. Non me lo aspettavo, non ci abbiamo messo molto... impegno, no?" Buon per lui che l'aveva vissuta con meno patemi di quanto non avesse fatto lei.
"Trovo strano infatti che tu non ti stia vantando della tua incredibile virilità".
"Perché sono ancora sotto shock. E più di tutto voglio che tu faccia quel test. Perché se avremo un bambino..." Ascoltandolo, avvertìì un pizzicore nel bassoventre che la fece rabbrividire. "Voglio che sappia che siamo consapevoli della sua esistenza e che lo amiamo, anche se è grande solo qualche millimetro". Si fermò. "Non so se ho detto qualcosa di sensato".
Kate annuì, dietro il velo delle lacrime. Non c'era bisogno di spiegazioni. Castle voleva che il loro bambino si sentisse desiderato fin dall'inizio, a differenza di quanto successo a Tommy.

"Sarebbe comunque meglio aspettare qualche ora".
"Sei sicura di riuscire a resistere fino a domani mattina? Perché in quel caso non mi muoverò da questo letto".
D'accordo, no. Non ce l'avrebbe fatta, nonostante la proposta allettante di tenerlo con sé e non alla mercé di tutti i pericoli annidati fuori nella notte, che non avrebbe saputo quantificare. Era il luogo più tranquillo in cui fosse mai stata, la gente teneva perfino la porta di casa sempre aperta, certa che nessuno sarebbe entrato per derubarla.
Le sorrise e la baciò sulle labbra. "Farò il prima possibile, te lo prometto".
Dubitava che fosse così semplice come credeva, e soprattutto era sicura che sarebbe stato fermato non appena avesse messo piede in strada, con il berretto storto e la giacca allacciata in modo approssimativo. La gente del posto, così discreta e poco incline alle frivolezze, avrebbe raccontato negli anni la storia di uno strambo americano che si aggirava in cerca di test di gravidanza sotto la peggior nevicata della stagione.

Doveva essersi addormentata, perché tornò in sé solo quando delle labbra morbide e molto fredde si posarono lievi sulla sua fronte.
Quando Castle era uscito si era trasferita nello spazioso salottino di cui la loro suite era dotata, con impareggiabile vista sul lago e, più lontano, il profilo dei monti imbiancati, a malapena visibili. Era stata troppo inquieta per rimanere a letto e in più non aveva voluto rischiare di svegliare Tommy.
Si era acciambellata su una delle poltrone, raccogliendo le gambe sotto di sé, dopo aver preso una coperta dallo schienale, predisponendosi a una lunga attesa. Da quel momento la sua mente registrava il vuoto totale. Come era possibile? Era stata in ebollizione, quasi prossima a una crisi di nervi, come aveva potuto addormentarsi? Aprì gli occhi, meno precipitosamente di quanto non avesse fatto Castle quando era stato il suo turno.

"Hai un ritardo", le mormorò sorridendole euforico, come se lei potesse esserne dimenticata nel frattempo. La fece commuovere, ma temeva che nei prossimi mesi sarebbe successo con imbarazzante frequenza e senza particolari motivi. "E io ho recuperato tutti i test di gravidanza dell'intera regione".
"Hai rapinato una farmacia?"
"Esiste una civiltà anche fuori dagli Stati Uniti, per tua informazione. Ed essendo un luogo turistico di fama internazionale sono piuttosto attrezzati per far fronte a ogni tipo di richiesta. Sono stato all'emporio", annunciò come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Non aveva idea di cosa intendesse per emporio o perché tale luogo rimanesse aperto anche di notte, né, soprattutto, quanto lontano Castle si fosse spinto. Molto più probabile che avesse offerto una lauta ricompensa a chiunque avesse mostrato il buon cuore di aiutarlo nel reperire dei test di gravidanza. Meglio non pensarci. Forse l'intera popolazione era stata messa al corrente e attendeva trepidante il responso sotto le loro finestre.

"Vuoi che accenda il camino?"
Castle la interruppe mentre faceva scorrere distrattamente le dita sulle confezioni sparpagliate sul tavolino. Un po' imbarazzata, si voltò a guardarlo, chiedendosi se si forse persa qualche pezzo di conversazione.
"Non è un problema se non te la senti di farlo", aggiunse lui, quando non gli arrivò nessuna risposta da parte sua. "Possiamo nasconderli in qualche cassetto e dimenticarci della loro esistenza".
"Nel qual caso escogiteresti qualche altro metodo per scoprire la verità, magari ipnotizzandomi".
Gli lanciò un cuscino, che Castle prese al volo, sorridendole con quell'aria tenera che ormai aveva assunto in via permanente, quando le si rivolgeva. Il fatto di trovarlo adorabile e non irritante deponeva certamente a favore dell'esito positivo di tutti quei test, nessuno escluso. No, non doveva farsi trasportare dall'entusiasmo e indulgere in scenari idilliaci non ancora comprovati dalla realtà.

Castle smise di trafficare intorno al caminetto e venne a sedersi accanto a lei. La poltrona non era concepita per contenere entrambi, ma con qualche accorgimento riuscirono a far incastrare i loro corpi in modo soddisfacente. Gli fece spazio sotto la coperta, rabbrividendo al contatto con la pelle di lui, ancora gelida per la prolungata permanenza all'esterno.
"È successo qualcosa che ti ha fatto cambiare idea? Magari uno dei tuoi corteggiatori ti ha convinto a lasciarmi per fuggire con lui? Il portiere, forse?"
"Il portiere ha già una famiglia numerosa, come ha tenuto a farci sapere appena siamo arrivati. Quindi, no, non si tratta di quello".
Sospirò, smettendo di scherzare. "Non lo so, Castle. E se mi fossi sbagliata? Se non ci fosse nessun bambino in arrivo?"
I vecchi timori tornarono a far capolino. Cominciava a pentirsi di averlo messo al corrente, di aver fatto crescere in lui la sua stessa speranza. Sarebbe già stato brutto dover affrontare da sola un risultato negativo, non avrebbe sopportato di scorgere in lui la sua stessa delusione. Avrebbe preferito ingoiare il boccone amaro in disparte, per risparmiarlo a lui. Non era forse questo l'amore? Era stato lui a insegnarglielo.

Di colpo venne investita da un timore ancora più sgradevole. Il problema non era un ipotetico falso allarme. Se non era accaduto questa volta, non c'era motivo perché non potesse rimanere incinta in futuro. Se lo ripeteva da mesi, era diventata brava a crederci.
E se invece non fosse mai successo? Se avessero continuato ad aspettare, mese dopo mese, sempre più ansiosi, dispiaciuti, amareggiati?
Stava impazzendo, non c'era altra spiegazione. Non era da lei comportarsi così.
"Non voglio sembrarti paranoica...", continuò cauta. Non voleva di certo spaventarlo svelandogli l'orrore dei suoi pensieri privi di buonsenso.
"Tu? La voce della ragionevolezza? Quella che non crede alle mie teorie stravaganti? Ti prego invece di farmi partecipe di tutte le tue paranoie senza risparmiarti, in modo che io possa registrarle per i posteri".
"Ti hanno offerto anche del vino, oltre a dei test di gravidanza? Hai un colorito sospetto".
"No. È l'effetto che mi fa essere svegliato nel cuore della notte da una donna che mi annuncia ritardi salvo poi preferire altri pretendenti a me".

"E se non succedesse mai, Castle? Se non riuscissimo... so che mi dirai che se il test non è positivo potremo sempre riprovarci e sarà divertente farlo, e non nego in effetti che sia così..."
"La mia virilità ti ringrazia per il complimento sottinteso".
Gli fece un breve sorriso, che si spense subito. "Intendo, che cosa faremo se saranno sempre negativi? Mese dopo mese? So che c'è Tommy e in fondo noi tre siamo già una famiglia, ma io vorrei anche un bambino tutto nostro. Forse sono egoista a desiderarlo?"
Lo era? Era un'ingrata, oltre al resto?
"Anche io vorrei un bambino che mettesse insieme la tua bellezza e il mio incredibile acume – smettila di darmi pizzicotti, mi stai facendo male - ma questo non significa che io sia egoista o che non consideri Tommy come nostro figlio. È solo che mi piacciono i bambini e quindi ne vorrei in quantità numerosa".
"Davvero?"
"Che cosa? Che mi piacciono i bambini? Pensavo fosse la cosa che trovavi più sexy in me".
"No, che consideri Tommy nostro".

Castle rimase in silenzio per qualche istante. "Sì", ammise, con una timidezza che le fece venire voglia di stringerlo forte. E molte altre cose meno innocenti. "Ufficialmente sosterrò sempre che ha un padre che non sono io e che questa realtà non modificabile merita rispetto da parte mia, ma la verità è che ormai penso a Tommy esclusivamente come a mio figlio, relegando il capellone ai margini della mia coscienza. Adesso forse rivaluterai l'idea di metter su famiglia con un candidato squilibrato come me".
Si sporse a baciarlo. "Non avrei mai potuto trovare un candidato migliore".
"Non devi preoccuparti che il test sia negativo, è chiaro che i tuoi ormoni stanno già interferendo con la tua personalità, di solito sei molto meno amorevole nei miei confronti, non c'è bisogno di fare tutta la trafila in bagno. Però dovrai spiegare tu al portiere perché non abbiamo usato nessuno dei test che ci ha procurato personalmente".
"Quindi domani mattina avremo degli striscioni ad attenderci nella hall?"
Le scostò i capelli dalla fronte. "C'è un'uscita secondaria, me ne sono già accertato. Ma non ti assicuro che non abbia messo degli uomini anche lì, per coglierci di sorpresa".

Trovava sempre conforto nella familiare alternanza di serietà e umorismo, quando erano alle prese con una questione più difficile di altre.
Sgusciò dal suo abbraccio e si alzò in piedi. Raccolse qualche scatola a caso e allungò la mano verso di lui. "Andiamo?"
"Vuoi che venga con te? Credevo che volessi preservare la tua privacy".
"Ho un bambino piccolo, non so più che cosa sia la privacy. E tu mi hai promesso che non sarei mai stata da sola".
Avrebbe per sempre riservato un posto speciale allo sguardo pieno d'amore che le rivolse.

Erano di nuovo a letto, con i test di gravidanza sparpagliati davanti a loro. Erano positivi. Tutti. E Castle li stava fotografando uno per uno. Era importante testimoniare tutto fin dall'inizio, aveva sostenuto, per quando avrebbero raccontare al loro futuro figlio gli aneddoti che riguardavano la sua venuta al mondo, soprattutto quando avevano preteso di interpretare le istruzioni in una lingua straniera, con il solo ausilio del traduttore automatico, con risultati improbabili che avevano provocato in loro risate irrefrenabili.

Castle la prese alla sprovvista mentre era intenta a punzecchiarlo implacabilmente per tutti quegli scatti e la fece sdraiare sulla schiena, passandole un braccio intorno alle spalle. Si sporse su di lei per baciarla dolcemente.
"Avremo un bambino. Il nostro secondo bambino. Con la tua bellezza e il tuo acume. Oltre alla tua passione per la giustizia e le tue incredibili doti di madre. Magari anche le tue gambe".
"Abbi un po' di rispetto per i miei ormoni, Castle! Non puoi farmi questi agguati emotivi, vuoi vedermi piangere per sempre?" Si asciugò gli occhi con un lembo del lenzuolo, non aveva pensato di procurarsi dei fazzolettini per ogni evenienza.
"Credi che nel tuo stato ormonale alterato potrai accettare finalmente di sposarmi? O devo ipnotizzarti? A proposito, grazie per il suggerimento".
"Quindi vuoi che ci sposiamo solo perché sono incinta? Molto romantico". Incinta. Era meraviglioso dirlo. Lo avrebbe detto a chiunque, forse perfino urlato dalla finestra. Tanto ci sarebbe stata solo la neve ad ascoltarla, o almeno così sperava.
Castle grugnì e le mordicchiò piano una spalla. "Perché sei così contraria alle unioni ufficiali? È il tuo spirito ribelle? Ti piace sentirmi implorare?"
Gli accarezzò la guancia. "Perché sei convinto che non ti dirò mai di sì e per questo non fai che cercare di convincermi tirando in ballo qualche motivo pratico o irrinunciabile. La custodia di Tommy. Questo nuovo bambino. Potrei volerti sposare solo perché sei tu, non credi? E sì, in parte mi diverte rifiutare, voglio vedere che cosa ti inventerai la prossima volta".
"Allora continuerò a chiedertelo. E non necessariamente a voce".
E le dimostrò con i fatti quanto erano vaste le sua capacità persuasive.

25.01.2021. Edit: il prossimo capitolo sarà pubblicato martedì 26 gennaio, domani

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Castle / Vai alla pagina dell'autore: Ksyl