Alle
undici precise, arrivò il Generale Turner, ma stavolta
Edward volle accelerare
i tempi, chiese a John di aspettare con lui.
Videro
l’auto scura percorre tutto il viale, si fermò di
fronte alla scalinata che
portava all’ingresso, Turner scese e li raggiunse a grandi
passi in cima.
Cooper
si strinse nelle spalle, si sistemò il berretto. Ci furono i
soliti
convenevoli, gli presentò il dottore, che continuava a
lanciare occhiate al suo
orologio, infastidito.
Il
Generale Turner della marina britannica era un uomo tozzo, basso di
statura, ma
decisamente alla mano.
“Però,
Cooper bella ferita.”
Esordì anche lui,
divertito. “Ti
sei quasi fatto uccidere,
spero non vorrai sbolognarmi Norbury.”
Sul
volto di Edward si stampò una smorfia amara.
Turner si girò verso Roberts.
“Dottore
spero abbia buone notizie per me, le voci girano veloci.”
John
e Cooper si guardarono interdetti, sembrava che tutti sapessero cosa
fosse
successo.
Il
dottore fu gentile e introdusse l’argomento senza coinvolgere
Edward.
“Le
consegnerò la cartella clinica di Reginald, era stato
tralasciato il fatto che
fosse portatore di una malformazione cardiaca che ne impedisce una
attività
fisica troppo intensa. Potrebbe fare solo lavoro
d’ufficio.” John lo invitò ad
andare nel
suo studio per consegnagli
la cartella.
Edward
lo seguì stancamente, parlottando con
Turner, che lo incalzava per sapere la verità.
John
vide che Cooper era in difficoltà e andò in suo
soccorso.
“Mi
spiace Generale Turner, ma tutto quello che possiamo dirle è
nelle mie
cartelle.” Edward
lo ringraziò con
un’occhiata eloquente, mentre placò il collega.
“Turner accontentati di quelle cartelle, se vuoi
starne fuori.”
Il
Generale della marina abbozzò e diede una
sonora pacca sulla spalla ad Edward che sussultò.
Entrarono
nello studio, mentre John ridacchiava cercando di nascondere il
divertimento
per quella manata inaspettata.
“Quindi,
questo sarebbe il mezzo per liberarsi di Norbury.” Turner
tirò un sospiro di sollevo. “Sir
Henry è un tormento in questo periodo. Se io ne esco, temo
che tu non te la
caverai facilmente, caro Cooper.”
Edward
emise un grugnito sordo. “Farò quello che posso
per contrastarlo, ma sai anche tu
di quali protezioni si vanta.”
Edward
ultimò la conversazione, congedò e
ringraziò John, con uno sguardo d’intesa.
Poi
accompagnò Turner fino al parcheggio verso la sua auto di
servizio.
“Bada
a stare bene Edward, cerca di uscire da questa storia pulito. E
soprattutto vivo.”
Turner gli strinse la mano con la solita irruenza.
“Ricordati
che hai uno zio parecchio potente, ragazzo.”
Cooper annuì e lo lasciò andare
senza rispondere.
Già
lo zio William, il fratello del padre!
Rimase
perplesso, per alcuni secondi incerto sul da farsi.
Decise
di raggiungere suo fratello. Sentiva il
bisogno di stare con lui. Passò
a mente
tutti i posti dove potesse essere, poi alla fine si avviò ai
campi di addestramento,
sicuramente era lì che faceva corre come dannati, tutti i
suoi sottoposti.
Sorrise
al pensiero di vederlo brontolare, perché invadeva la sua
zona di competenza. Lo
raggiunse che gli dava di spalle, mentre
parlava alla fila dei soldati, che scattarono sull’attenti
quando lo videro.
Steve
immaginò che potesse essere lui.
Si
girò e lo guardò sospettoso, le spalle basse e lo
sguardo stanco, ma gli
sorrideva leggero. Rapidamente
licenziò
il gruppo.
“Che
c’è fratello non mi aspettavo di vederti qui. Hai
avuto problemi?” Steve
continuava a studiarlo con attenzione.
Si rendeva conto del dolore fisico che gli aveva procurato la mattina,
quindi fu
gentile aspettò che parlasse.
“Tranquillo
volevo solo pranzare con te. Con una buona dose di benevolenza
fraterna. Che ne
dici?” Edward si sedette scomposto sulla panchina appoggiata
alla rete che
delimitava il campo. Respirò
fiacco, lo
stomaco di Steve si contorse nel vederlo così, gli si
sedette affianco sentì di
doverlo sostenere in quel momento complicato.
“Per
me va bene fratellone, magari prendi un po' fiato e poi andiamo.
Mangiare ti
farà bene.”
Ogni
acredine sparì, lo prese in girò come al solito
cercando di alleggerirlo. Quando lo vide rilassato, Steve lo
scortò verso la
mensa senza entrare mai nel merito della questione di Norbury.
John
era già lì, cercava di farsi largo tra le
reclute. Lo raggiunsero al tavolo.
Era
spazientito. “Spero
Edward che sia
finita la processione dei Generali, preferisco affrontare
ventiquattrore di
ambulatorio piuttosto.”
Lo guardò
inquisitorio, ma vide anche la sua spossatezza.
“Mi
auguro di sì, visto che i miei colleghi sanno
più
del necessario. Norbury è una
seccatura enorme.”
Edward
si sedette, mentre Steve era andato a prendere il pranzo per loro tre.
Appoggiò
il berretto sulla sedia fiaccamente.
“Sembra
che tutti sappiano cosa è successo qui. Sanno che
è stato il mandante delle
nostre due aggressioni, ma pure continuano a venire.” John lo
guardò di
traverso, ma non volle irritarlo più di tanto.
“Lo
fanno dottore perché devono crearsi un pretesto. Lei ha
deciso cosa vuole fare.
Lo denuncerà?”
Edward sapeva che la sua
domanda era delicata, si sistemò la cravatta che sembrava
soffocarlo.
“Non
vedo come potrei visto che la tirerei in ballo, quindi, no
grazie.” John
afferrò le posate e le dispose
pensieroso sul tavolo.
“L’appoggerei
comunque dottore.” Edward che era seduto di fronte a lui,
cercò di essere
gentile. “Non avrei difficoltà a sostenerla se
vuole denunciarlo.”
“Edward,
Cristo, abbiamo già deciso. Non tornerò
indietro!” John
sbottò seccato.
Edward
già provato dalla mattina iniziata male, posò il
cellulare sul tavolo, e non
replicò.
Rimasero
silenziosi appena due minuti, il
cellulare vibrò insistentemente, il Generale lo
afferrò, sgraziato.
Vide
il chiamante, serrò la mascella e si
allontanò per rispondere, mentre Steve era tornato con i
vassoi del cibo.
“Ancora?”
chiese a
John.” Chi lo chiama
adesso? Ha bisogno
di una pausa.”
“Guai,
credo dalla faccia di tuo fratello.”
John
prese il vassoio e condivise mentalmente il pensiero di Steve.
Cominciarono a
pranzare mentre lo osservavano camminare avanti e indietro.
Edward
parlava al cellulare e assentiva frequentemente. Molte volte sembrava
seccato e
scuoteva la testa. Poi chiuse la chiamata innervosito. Si
avvicinò al tavolo
riponendo il cellulare in tasca. La fronte era increspata da ruga
profonda,
tratteneva la rabbia a stento, la fatica sparita.
“Mi
dispiace, devo andare tra poco arriva il Generale Maggiore Collins.
Naturalmente
si tratta di Norbury, si è parecchio risentito che nessuno
ingaggi il figlio.
Steve occupati tu del cibo. Mangerò più tardi,
oggi non è giornata!”
Edward
guardò il fratello severo, appoggiò le mani
aperte sul tavolo prevenendo la sua
rabbia. “Stai lontano dal
mio ufficio, sistemerò le
cose come meglio potrò, cercherò di tenere fuori
dai problemi anche lei
Roberts. E dottore anche se è contrario toglierò
questo cerotto, non voglio
farmi compatire inutilmente.”
“Edward
faccia pure, ma poi lo dovrà rimettere. Ed è un
ordine.” John
si irrigidì disapprovando la sua stupida richiesta,
ma era consapevole che la prima cosa che saltava agli occhi era quel
vistoso
cerotto. Edward non sopportava che gli causasse imbarazzo, lo
innervosiva, così
non protestò ulteriormente e lo lasciò fare.
La
fama del Generale maggiore Collins lo
precedeva ovunque, era autoritario e arrogante, un soggetto difficile
da
trattare, e non voleva stupidi pretesti. Edward
guardò il suo pranzo sfumare, mentre
Steve brontolava sottovoce.
Allora,
per tranquillizzarlo, prese un boccone
di
pane, lo mandò giù velocemente, bevve un po'
d’acqua, e li lasciò per raggiungere il suo studio.
“Anche
oggi ha saltato il pranzo! Proverò ad aspettarlo.”
Steve continuò a mangiare
con poca voglia mentre il Generale usciva dalla mensa con passo veloce.
“A
lungo andare ne risentirà, se non si darà delle
regole. Dovresti
sgridarlo più spesso su questo.”
“Già
fatto con risultati zero, caro John.”