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Autore: Elsira    19/01/2021    2 recensioni
Gli antichi greci credevano che un tempo l’essere umano fosse un essere perfetto e, soprattutto, completo. Era formato da quattro braccia, quattro gambe, due volti. Ma un giorno, Zeus, temendo la perfezione umana, lo divise in due, rendendolo così imperfetto… Incompleto. Da quel momento, l’uomo cerca disperatamente la sua metà, per tentare di tornare al suo stato originario. Per tornare a essere completo.
Questa è la storia di Camilla e di Arkin, e del loro tentativo di metterla in tasca a Zeus.
Quand'ero piccola, mio padre e mio nonno mi dicevano sempre che non c'era nulla che non potesse essere risolto. Ci si può ammalare, si può perdere il lavoro, si può litigare con una persona cara... Ma le malattie si curano, i soldi si riguadagnano, i rapporti si ricuciono. A tutto c'è rimedio, tutto può essere affrontato serenamente e superato. Tutto. Tranne la Morte.
E come tutte le mie storie, anche questa comincia ad essere interessante dalla metà in poi. Giusto per non far perdere tempo.
Genere: Angst, Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Pagina 3.

 

(And all I can taste is this moment
And all I can breathe is your life
'Cause sooner or later it's over
I just don't want to miss you tonight)

E tutto quel che posso assaporare è questo momento
E tutto quel che posso respirare è la tua vita
Perché presto o tardi finirà
Non voglio perderti stanotte

- Iris, Go Go Dolls


 

Appena fui in quella casa, una marea di ricordi mi invase la mente. Avevo passato parte dell’infanzia lì dentro, con i due migliori amici che avessi mai potuto desiderare. Avevo cercato per una vita un’amicizia tanto profonda come quella che avevo con Arkin e Paolo, senza riuscire a instaurare un rapporto che la ricordasse vagamente con nessuno. Finché non avevo conosciuto Aurora.

«Stai bene?»

La voce di Francesca mi fece riprendere dal senso di nostalgia infinita che mi stava per trasportare via, i suoi occhi grigi a osservarmi confusi. Gli zaffiri di Arkin la seguirono subito, facendo dipingere un’espressione preoccupata sul volto del mio amico: «Hai gli occhi lucidi, Cam…»

Chiusi le palpebre, cacciando indietro le lacrime che mi stavano salendo e scostai la testa, sorridendo: «Non è nulla, è solo il sonno mancato di stanotte.»

Arkin mi guardò non del tutto convinto, quando sua nipote gli fece cenno di farla scendere a terra. Nuovamente coi piedi sul pavimento, venne da me, mi prese per mano e mi trascinò verso la sala, decretando con un sorriso: «Vieni tata, andiamo a giocare!»

Un sorriso mi distese le labbra, mentre stringevo la mano della bimba di fronte a me e, prima che Arkin potesse ribattere, le rispondevo: «Subito!»

Con la coda dell’occhio, vidi il sorriso di Arkin divenire morbido come il burro, mentre andava a chiudere la porta d’ingresso, lasciando la povera Freya fuori a giocare da sola con la palla, e raggiungerci nell’altra stanza.

Casa di Arkin non era cambiata quasi in nulla, aveva mantenuto l’arredamento di una volta, quasi interamente di legno che richiamava le spettacolari travi a vista del soffitto. Niente era stato tolto o spostato, c’erano solo le aggiunte di qualche foto e contenitore per i giochi della nipotina e una scrivania con un computer nell’angolo. Mentre Francesca andava a recuperare qualche giocattolo, io mi avvicinai quasi inconsciamente al camino, il vero re della sala. Avevo sempre amato quel camino, ma ancor di più avevo sempre adorato lo spazio al suo fianco, colmo di cuscini, per potercisi accoccolare alla giusta distanza perché nulla potesse prendere fuoco quando le fiamme scoppiettavano nelle fredde serate d’inverno, e abbastanza vicino da poter percepirne tutto il calore. Bere la cioccolata calda in quell’angolino in compagnia di Arkin e Paolo era uno dei ricordi più belli che custodivo.

Venni distratta da dei passi alle mie spalle, di una donna che stava in quel momento scendendo le scale. Prima che una di noi due potesse pronunciare un saluto, Arkin entrò in sala e si diresse da lei. «Tu…» Paratolesi davanti alla base della scalinata, le prese la guancia e gliela tirò, fulminandola con gli occhi e sussurrando a denti stretti: «Che cosa diamine vai a raccontare a mia nipote…» La donna, per tutta risposta, ricambiò il gesto di Arkin, iniziando a prendergli entrambe le guance e iniziando a tirargliele. Gli sussurrò qualcosa, che però non riuscii a capire a causa dell’attuale deformazione delle bocche di entrambi. Vedendoli, mi fece attraversare la mente da un lampo. Schiocchiai le dita, esclamando: «Gemma!»

L’attenzione dei due si posò su di me, non appena pronunciai il nome della sorella maggiore del mio amico. Un’espressione confusa comparì sul volto paffuto di Gemma, ma Arkin mi presentò prima che lei potesse chiedere chi fosse la sconosciuta che conosceva il suo nome.

«Camilla…» Borbottò un attimo, immersa nei propri pensieri, per poi alzare nuovamente lo sguardo verso di me ed esclamare raggiante: «Ah, sì! Mi ricordo di te! Sei quell’adorabile bimba della materna.» Scostò senza tante cerimonie il fratello e venne verso di me, abbracciandomi di slancio. Riuscii a vedere Arkin portarsi una mano alla fronte e scuotere la testa sconsolato, facendomi sorridere. Sua sorella si allontanò quel poco per parlare, tenendo le mani sulle mie spalle e, guardandomi negli occhi, esclamò sorpresa: «Accidenti, come sei cresciuta… Non ti avevo davvero riconosciuta, Camilla! Eppure i tuoi occhi hanno la stessa luce di quando eri piccola… Come stanno a casa? Tutto bene? Che cosa fai, adesso? Studi? Lavori? Sei tornata ad abitare in paese?» Stavo per rispondere, ma Arkin mi precedette: «Ma cos’è questo interrogatorio?» Separò me e Gemma, frapponendosi tra noi, non dandomi la possibilità di rispondere a domande che, per quanto mi riguardava, non trovavo affatto sconvenienti o fuori luogo.

«Lasciala respirare, non credi di esagerare con la tua impicciosaggine? Non ha fatto in tempo a dire nulla, che sei partita con il terzo grado.» Guardai la nuca di Arkin, storcendo le labbra. Feci un sospiro e scostai il mio amico di lato, spingendo sul suo fianco con il mio gomito. «Sei tu che sei una rottura…» Mi rivolsi poi a Gemma e, sotto lo sguardo frustrato di lui, risposi a tutti i suoi precedenti quesiti con un sorriso sincero.

Gemma ricambiò il mio sorriso e iniziammo a chiacchierare come fossimo due vecchie amiche che non si vedevano da tempo, sotto lo sguardo scioccato di Arkin, finché Francesca non andò dalla madre e le disse che doveva andare in bagno. La donna si affrettò quindi ad andare al piano superiore con la bimba, lasciando me e Arkin in sala.

Guardai un attimo il mio amico, il quale rispose prima che potessi chiedere qualunque cosa: «Francesca va in bagno da sola, ma la porta del bagno è vecchia e la maniglia troppo dura per lei e non riesce ad aprirla. È una cosa che va sistemata, ma non c’è ancora stata occasione.»

Annuii brevemente e mi guardai un po’ intorno, improvvisamente sentendomi un poco a disagio. Eravamo entrambi fermi in piedi nella sala, immersi improvvisamente nel silenzio e non capivo perché nessuno dei due dicesse o facesse nulla per toglierci da quella situazione.

Senza volerlo, mi scappò uno sbadiglio, dovuto alla stanchezza per la notte praticamente in bianco appena passata che si era ripresentata di colpo. Arkin mi guardò con un mezzo sorriso: «Se vuoi puoi dormire un po’.»

«No che non posso… Non sono sola e non sono a casa mia.» Ribattei, con gli occhi che stavano però diventando sempre più pesanti. “Dannazione, odio gli abbiocchi…”

«Non essere stupida. Casa mia è casa tua, da sempre.» Mi riprese lui. Capii dal tono di voce che si era davvero offeso per quanto avevo detto e, con nonchalance, mi porse la mano: «Vieni, andiamo a letto.»

Distolsi lo sguardo imbarazzata, sdraiandomi sul divano in quel momento completamente libero, dandogli la schiena. «Dormo qui…» Anche se non potevo vederlo, riuscii comunque a percepire benissimo il suo sopracciglio alzarsi ritmicamente con atteggiamento nervoso, mentre ritirava la mano e la riportava lungo il fianco.

«Solo un paio di minuti… Per far passare il colpo di sonno…» Mugolai, chiudendo le palpebre.

Rilassai il corpo, in attesa di cadere in balia di Morfeo, quando sentii una sensazione fresca e morbida. Aprii gli occhi e mi accorsi che Arkin mi stava coprendo con un soffice lenzuolo. "Si ricorda ancora che adoro la morbidezza di una copertina anche se fa caldo?"

«Grazie…» Sussurrai, voltandomi verso di lui, ancora chinato a terra per sistemare meglio la coperta.

«Di nulla, stjerne.» Rispose, con un sorriso rilassato.

Rimasi a osservarlo rimboccarmi le coperte alla bell’e meglio ancora per un po’, dopodiché aprii le mani davanti al volto, sapendo che lui avrebbe capito, sussurrando appena per richiamare la sua attenzione: «Skystangel…»

 

Interruppi il lavoro precario di rimboccamento delle coperte in cui ero impegnato, portando lo sguardo su di lei e vedendola con le mani aperte, a poca distanza dal volto. Capii immediatamente cosa voleva.

«Non siamo un po’ grandicelle per questo?» Chiesi retorico, con un sorriso divertito. Per tutta risposta, Camilla gonfiò le guance e ribatté: «Sei noioso!» Quell’espressione mi fece ridere, cosa che dette evidentemente fastidio alla mia amica. «E va bene, non importa! Non ne ho bisogno, era solo per fare un piccolo tuffo indietro nel tempo! Lasciamo perdere!» Mugolò, voltandosi nuovamente verso lo schienale del divano, dandomi così le spalle e chiudendo gli occhi con ancora un’espressione risentita sul volto.

Le labbra mi si distesero da sole in un sorriso, mentre andavo a unire la mia mano a quella di Camilla, sedendomi a terra e prendendo una rivista dal tavolino di fronte a me per ingannare il tempo. «Mi dispiace, ma io non ho affatto sonno. Non posso venire nel mondo dei sogni con te.» Intrecciai le dita con le sue, sentendo il suo respiro leggero sulla pelle. «Ma terrò comunque la tua mano stretta nella mia, in modo da proteggerti.» La percepii sorridere, mentre le ciglia che si chiudevano mi solleticarono per un istante la pelle. «Søte drømmer, min lille stjerne. (Sogni d’oro, mia piccola stella.)» Sussurrai leggero, posando gli occhi sulla rivista che avevo tra le gambe. In principio, avevo l’intenzione di leggere per ingannare il tempo, ma i ricordi mi presero il possesso della mente senza che potessi controllarli.

Quello di tenere la mano a Camilla era una tradizione, o abitudine, non saprei come chiamarla, che risaliva ai tempi dei riposini pomeridiani della materna. Dopo pranzo, quando rientravamo dal cortile, le maestre ci facevano distendere nella stanza del piano superiore della scuola e, chi voleva, poteva dormire per un po’. Io non ero molto propenso all’idea, ma Cam e Paolo iniziavano a barcollare regolarmente una mezz’ora dopo aver pranzato, quindi avevo sempre finito per seguirli nella stanza del pisolino in modo da non restare solo.

 

Cam si era svegliata ancora una volta, facendo destare anche me. I suoi occhi erano colmi dalle lacrime, il respiro affannato.

La maestra Gianna era venuta a vedere cos'era successo, sedendosi sulla brandina e prendendo la mia amica in braccio, accarezzandole i capelli e sussurrandole nell’orecchio delle parole dolci per cercare di calmare le scosse che le percuotevano il petto.

Quando si era calmata, la maestra le aveva chiesto se preferiva a giocare nel cortile con gli altri o se voleva provare a tornare a dormire. Cam era rimasta in silenzio un po’, per poi scendere dalle gambe dell’adulta e rimettersi sotto la coperta in silenzio. Un’altra carezza sulla guancia ancora rossa e la maestra era tornata alla propria postazione, immersa dai suoi fogli indecifrabili.

«Camilla…» L’avevo chiamata, appena eravamo rimasti gli unici a poterci sentire. 

«Arkin… Ti ho svegliato? Scusa…» Aveva detto sottovoce, con tono triste e ancora tremante. Avevo scosso la testa, aggiungendo con un sorriso: «Non preoccuparti.» Camilla si era riparata maggiormente sotto la coperta, nascondendo gli occhi. «Le ho sognate di nuovo… Le seghe tonde… che tagliano le persone…» Aveva rivelato dopo un po’, la voce sempre più bassa.

Riuscivo a sentire i suoi singhiozzi e vedere le sue lacrime anche se il suo volto era completamente coperto. Avevo alzato la testa per vedere cosa stesse facendo la maestra e, dopo essermi accertato che i suoi occhi fossero fissi sui fogli, ero sgattaiolato fuori dalla mia postazione e mi ero intrufolato sotto le coperte della mia amica, sussurrandole appena: «Fammi spazio…»

Ci eravamo così trovati stretti nel piccolo lettino, entrambi sotto la coperta dei Cavalieri dello Zodiaco di Camilla. L’avevo guardata e le avevo chiesto perché continuasse a fare tutti quegli incubi, se fosse successo qualcosa di cui non mi aveva parlato, ma lei aveva scosso la testa. «Non devi preoccuparti, Arkin… Prima o poi andranno via da soli… Devo solo aspettare e quando crescerò tutti questi brutti sogni non mi faranno più paura. Babbo ha detto così…» Lo aveva detto con un tono che non mi era piaciuto per nulla, perché appartenente a qualcuno che si era completamente arreso. E il fatto che fosse un consiglio di suo padre mi faceva arrabbiare ancora di più: Cam adorava il suo babbo, a me invece non era mai piaciuto, né come padre né tanto meno come persona. Troppo "adulto", "sopra gli altri"... trattava tutti come adulti stupidi, ti faceva sentire piccolo e insignificante rispetto a lui.

Avevo scosso la testa e l’avevo guardata dritta negli occhi, dicendole serio: «Non esiste! Non si scappa mai, gli incubi si affrontano faccia a faccia! Vanno affrontati come Goku fa coi cattivi! Se vogliamo diventare forti come Goku, dobbiamo comportarci come lui e combattere come lui!» Un sorriso era apparso sul volto di Camilla, al solo sentir nominare il nostro eroe preferito, il che mi aveva rassicurato. Le avevo stretto le mani nelle mie, continuando con un sorriso di riflesso al suo: «Stai tranquilla, affronteremo i tuoi incubi insieme. Se ci teniamo stretti per mano e ci pensiamo fortissimissimo prima di addormentarci, saremo nello stesso sogno e, dovesse succedere qualcosa, lo combatteremo insieme.»

«Quindi se penso a Goku, potrò sognare lui?» Aveva chiesto lei, gli occhi ricolmi di una nuova speranza.

«Beh… Sì, ma… Non hai bisogno di Goku, ci sono già io con te!»

«Ma tu non sei forte come Goku…»

Ero rimasto spiazzato da quell’affermazione. Avevo abbassato lo sguardo e, dopo averci pensato bene, le avevo risposto: «Lo diventerò…» Camilla mi aveva guardato perplessa, io avevo alzato gli occhi per puntarli nei suoi e affermare, con più sicurezza nella voce: «Diventerò forte come Goku, anzi persino più forte di lui! E così ti proteggerò da tutto e tutti!» Avevo scostato poi lo sguardo, incapace di sostenere la vista di quegli occhi multicolor, aggiungendo: «Sono io il tuo fidanzato, è mio compito farti stare bene… Non di Goku…»

«Grazie.» Aveva sussurrato Camilla, facendomi voltare nuovamente verso di lei. Aveva chiuso gli occhi con un sorriso, aumentando di poco la stretta delle nostre mani e portandosele a poca distanza dalle labbra, come stesse sussurrando una preghiera, aggiungendo flebile: «Grazie skystangel…»

Non avevo potuto fare a meno di sorridere, all’udire l’unica parola che conosceva della lingua di mia madre provenire dalle sue labbra. «Søte drømmer, min lille stjerne. (Sogni d’oro, mia piccola stella.)» Avevo sussurrato, prima di chiudere anch’io gli occhi e addormentarmi.

 

Da quell’episodio, ogni volta che ci era capitato di dormire insieme, Camilla mi aveva chiesto di tenerle la mano per evitare di fare degli incubi. 

Le labbra mi si distesero in un sorriso a quel ricordo, che consideravo dolce, facendomi aumentare inconsciamente la stretta nella mano di Cam. La percepii muoversi alle mie spalle, lasciando la presa per potersi rigirare. Togliendomi dalla testa di ricercare la sua mano a tentoni, mi voltai per guardarla e ritrovarla mediante la vista, rimanendo però incantato dalla sua espressione distesa. I dolci lineamenti del suo volto rilassati le davano l’aria di una fanciulla completamente indifesa.

L’avevo osservata spesso da piccoli mentre dormiva ed ero sempre rimasto affascinato dalla sensazione di calma che trasmetteva quel volto assopito. Mi sorpresi ad accorgermi che, nonostante non avesse più l’aspetto della bambina di un tempo, riusciva comunque a trasmettermi la stessa, identica sensazione di calma di allora.

Un mormorio incomprensibile attirò la mia attenzione, facendola concentrare sulle sue labbra. Non le avevo mai viste così da vicino da quando ci eravamo ritrovati, erano forse la cosa che era cambiata di più del suo volto. Da bambina erano color pesca, avevano una forma piacevole e lineare, appena ti sfioravano sembrava di essere stati accarezzati da un morbido cuscino. Quelle di adulta invece erano di una sfumatura di un dolce roseo, dotate di un appena accennata forma a cuore: il labbro inferiore impercettibilmente più carnoso rispetto a quello superiore, il quale, nella posizione a bocca socchiusa in cui si ritrovava per poter respirare meglio, lasciava vedere la non troppo pronunciata incurvatura centrale. Non potei fare a meno di chiedermi se anche la sensazione che lasciavano quando ti sfioravano, fosse cambiata rispetto a quando eravamo bambini o meno.

Mi persi completamente all'ammirazione di quelle labbra, dimenticandomi di qualsiasi altra cosa.

«Camilla, vuoi qualcosa da bere?»

La voce di mia sorella mi fece tornare al presente di colpo, facendomi rendere conto che mi ero avvicinato decisamente troppo. Scattai in piedi, rivolgendomi verso le scale con l’indice teso poggiato sulla mia bocca, invitandola a fare silenzio. Gemma mi guardò con occhi perplessi, perciò mi diressi verso di lei e sussurrai: «Cam sta dormendo, ha passato la notte in bianco a studiare e ora ha bisogno di riposare. Parla a bassa voce o rischi di svegliarla.»

«Non potevi farla dormire nella stanza degli ospiti, su un letto? Ma sei proprio senza attenzioni.» Mi riprese mia sorella, facendomi portare due dita a massaggiare la tempia per tentare di racimolare tutta la calma che ero in grado di raccogliere: «È crollata sul divano in meno di un minuto, non è colpa mia.»

Mi diressi poi in cucina, dove mi aspettava ancora il compito di lavare tutto ciò che avevamo utilizzato per il breve picnic di quel giorno.

 

«Ehi, fratellino...» La voce di mia sorella mi fece voltare verso di lei, mentre sistemavo l’ultimo bicchiere nella piattaia. Solo in quel momento notai che era scesa da sola, perciò mi venne spontaneo chiederle dove fossero i bimbi. 

«Entrambi nel lettone che dormono come ghiri.» Rispose lei, con un sorriso orgoglioso e colmo d’affetto, venendosi a sedere all’isola. «Fra è voluta andare a controllare il fratellino e alla fine si è addormentata anche lei.»

«E tu ne approfitti per il tuo tè delle cinque?» Chiesi con un sorriso, immaginando i miei due nipotini dormire accoccolati l’uno all’altro nel lettone. “Domattina li voglio andare a svegliare io, costi quel che costi… Me li voglio godere da appena svegli di mattina come si deve, per una volta…”

Gemma si versò il liquido scuro dal bollitore nella tazza, già pronto da prima che io iniziassi a rigovernare. Il tè pomeridiano era una delle poche abitudini che era riuscita a mantenere anche dopo essere diventata mamma. Mi guardò seria, dopo aver battuto un paio di volte il biscotto sul piattino per liberarlo dalle briciole in eccesso e poi inzupparlo nella bevanda ancora fumante. Anche quella, abitudine che aveva sempre avuto. «Non glielo hai ancora detto, a Camilla?»

«Non c’è bisogno che lo sappia.» Risposi seccamente, voltami e uscendo subito dopo dalla stanza, in modo da evitare ulteriori domande cui non volevo rispondere.

Varcai la soglia del soggiorno appena in tempo per vedere la mia amica destarsi.

 

Alzai le braccia al cielo, stirandomi la schiena più che riuscivo nel tentativo di uscire completamente dallo stato di dormiveglia. Era incredibile: avevo appena dormito su un divano, eppure non mi sentivo così piena di energie da non sapevo quanto.

«Ben svegliata, stjerne.» Mi voltai verso la cucina e trovai il sorriso e gli zaffiri brillanti di Arkin darmi il benvenuto nel mondo reale, facendo nascere sul mio volto un sorriso di riflesso. Ogni volta che li osservavo, quegli occhi mi facevano l’effetto di una droga. Annegavo nel loro azzurro e non volevo più uscirne, desideravo inebriarmi di quel profondo color zaffiro e diventare io stessa parte di loro, a costo di tramutarmi nella gemma omonima. Mi avevano sempre fatto quell’effetto, sin da bambina. 

«Ti va un po’ di tè?» La domanda mi fece tornare al presente, spostando lo sguardo verso Gemma, affacciatasi in quel momento dalla cucina, con una tazza fumante in mano.

Guardai l’orologio che portavo al polso destro e l’espressione mi si fece subito dispiaciuta.

«Ehm… In realtà… Dovrei tornare a studiare…» Sussurrai, gli occhi bassi e sinceramente dispiaciuti per non potermi godere una bella tazza di tè accompagnata da qualche chiacchiera.

«Oh… Capisco. Beh, ti riporto a casa allora, nessun problema.» Arkin si avviò alla porta, prendendo le chiavi dallo svuotatasche e aprendo l’uscio in un unico, veloce, gesto. Feci un veloce cenno di saluto a Gemma e mi sbrigai ad andar dietro al mio amico, mentre riflettevo sull'impostazione insolita che aveva avuto la sua voce nella risposta che mi aveva appena dato: il tono era stato indifferente, frettoloso, quasi persino contento della possibilità appena offertagli di uscire da quella casa.

“Chissà che gli frulla in quella testa…” Non potei fare a meno di pensare. Non dovetti comunque attendere molto per una risposta, visto che Arkin tirò un profondo sospiro non appena ebbe chiuso la portiera della macchina, poggiando la fronte sul volante. «Mi dispiace…» Disse, di punto in bianco. Io lo guardai sinceramente interrogativa, non capendo davvero per cosa avesse bisogno di scusarsi.

«Mia sorella è una gran impicciona, ma non è cattiva… E i miei nipoti sono… Beh, tu hai conosciuto solo Fra perché Gabriele era già a dormire e io la adoro, ma mi rendo conto che a un estraneo possa apparire anche impertinente. E poi…» Lo fermai subito, dandogli uno scappellotto sulla nuca. Si lamentò con un semplice “ahio”, per poi alzare la testa a guardarmi confuso, una mano a massaggiare il punto che avevo appena giocosamente colpito.

«Mi sono divertita molto oggi, sono contenta che tu mi abbia presentato Freya e Francesca. E sono molto felice di aver rivisto Gemma e aver potuto fare quattro chiacchiere con lei. E mi è dispiaciuto davvero tanto non potermi fermare a prendere un tè e salutare Fra, né aver potuto conoscere Gabri prima di venir via.» Gli sorrisi sincera: «Piantala di preoccuparti, è stata una giornata fantastica! Grazie, skystangel.»

Arkin rimase in silenzio a guardarmi stupito per qualche momento, prima di guardare dall’altra parte e mettere poi in moto, con un lieve velo di rossore in volto e un sussurro appena accennato: «Non c’è di che...»

Non potei fare a meno di farmi scappare una breve risata di fronte al suo dolcissimo imbarazzo, prima di guardare fuori dal finestrino e godermi il paesaggio che mi scorreva davanti agli occhi, mentre indicavo la via per casa di mia madre al mio amico. 

 

«Questa… Non era casa di tuo zio?» Chiese Arkin, quando imboccammo una delle tante vie secondarie appena fuori dal centro del paese. Io risposi freddamente. «Era.»

«È... successo qualcosa per caso?» Mi guardò per un istante, mentre gli facevo cenno di raggiungere la fine della strada e imboccare il viale a destra.

«Lunga storia.» Mi voltai verso il finestrino, ma riuscii a vedere l’occhiata che stava a significare: “okay, non ne vuoi parlare, chiaro.” Avevo sempre apprezzato quel lato di lui: riusciva a capire quando fermarsi nel fare domande.

«Ci sentiamo per telefono, d’accordo?» Sorrise, mentre aprivo la portiera e scendevo di macchina, una volta arrivati di fronte al giardino. Da lì in poi, le macchine non potevano passare, l’unico modo per raggiungere il piazzale era percorrere la scia di lastricato a misura d’uomo a lato del prato. Oppure, come facevo sempre io da piccola, togliersi scarpe e calzini e iniziare a correre coi piedi nudi sull’erba, che procurava un piacevole solletico.

«Certo. Salutami Gemma e i bimbi.» Feci un cenno di saluto e uscii dalla vettura, ma venni fermata dalla voce del mezzo norvegese dopo nemmeno due passi: «Ah ah ah. Dove pensi di andare?»

Mi voltai interrogativa e lo vidi che mi mostrava la guancia destra, picchiettandosela con l’indice. «Salutami come si deve.»

Sorrisi furbamente alla sua provocazione, rimettendo la testa in macchina per avvicinarmi a quella faccia a schiaffi. Feci per lasciargli un casto bacio sulla guancia, ma inspirai e invece gli poggiai le labbra sul collo, facendogli una pernacchia e scoppiando a ridere subito dopo.

«Non era così!» Tentò di protestare, ma non ce la fece a trattenere le risa. Aveva sempre sofferto il solletico sul collo.

Poggiai le braccia sul sedile della macchina per sorreggermi meglio, metà del mio corpo ancora fuori. Con un sorriso furbo, gli ricordai che era lui quello che mi riempiva di baci quando ci salutavamo. Lui rispose con un sogghigno, avvicinandosi a me: «Ne vorresti uno da adulti ora, per caso?»

«Continua a sognare.» Gli risposi, sogghignando più di lui. Arkin lasciò cadere la testa in avanti, sorridendo.

Nell’atmosfera fattasi improvvisamente dolce, mi sfiorò la nuca e mi lasciò un bacio leggero sulla guancia sinistra, mentre sorridevamo entrambi. Ancora vicino al mio orecchio, sussurrò: «Vi ser deg, min lille stjerne. (Ci vediamo, stellina mia.)»

«Vi ser deg, min skytsengel. (Ci vediamo, mio angelo custode.)» Prima di dirigermi verso casa gli sorrisi ancora, riaprendo gli occhi e sentendomi abbracciare ancora una volta da quelle due gemme color zaffiro.

 

 


Note autrice non rilevanti per la storia (perhé quelle dei capitoli precedenti siccome sì, vabbè)
NO. No no no no nonononononononono NOOO! MI SONO SALTATE LE STORIE!! UWWWWAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA T-T T-T T-T 
....Non volevo mi saltesseero le storie. Mi ero affezionata tanto alla mia paginetta d'autrice, era tutto in ordine, messo per benino, con una bell'insieme di colori dei ratings, dove vedevo tutto quel che avevo fatto su un'unica pagina... sniff sniff E' una rottura, perché mo' se voglio leggere di Kin devo caricare un'altra pagina! Ed è sola soletta di là! UFFA.
Okay. Basta, finisco qui. Il mio lato da maniaca sta venendo troppo fuori. 
Onestamente sono ancora indecisa se far stare arancio la storia o gialla, dubbio che ho sempre avuto. Però... boh, per un po' si fa restare ancora così, poi si vede. La decisione non dipenderà assolutamente dai ratings delle storie che le sono vicino sulla pagina utente, proprio no. 



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