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Autore: sacrogral    19/01/2021    5 recensioni
Comandante Rouge, ogni promessa è debito: se tu rispetti i patti, io rispetto i patti. E spero di non essere ancora motivo di disturbo, e anche di non doverti mai più forzare la mano.
La prima storia non si scorda mai, scritta quasi un anno fa: te la dedico, Capo Rouge, con la speranza che ti porti fortuna e augurandoti buon lavoro e buona vita.
"Oscar entrò nell'infermeria e vide André che dormiva. Chiuse la porta a chiave- non che ce ne fosse necessità, non c’era nessuno in caserma, i soldati erano in licenza, il generale aveva già fatto rientro ai propri alloggi- ma lo fece lo stesso, e in seguito ci avrebbe ripensato, al suo gesto, per dire a se stessa che il suo era stato un agire consapevole, premeditato addirittura".
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Oscar entrò nell’infermeria e vide André che dormiva. Chiuse la porta a chiave- non che ce ne fosse necessità, non c’era nessuno in caserma, i soldati erano in licenza, il generale aveva già fatto rientro ai propri alloggi- ma lo fece lo stesso, e in seguito ci avrebbe ripensato, al suo gesto, per dire a se stessa che il suo era stato un agire consapevole, premeditato addirittura.

Si avvicinò all’uomo disteso sul letto: ammaccato, senza dubbio, ferito forse, un paio di costole incrinate doveva avercele, un labbro era spaccato e il sangue si era rappreso ma- sorrise- tutto sommato niente di grave: avevano fatto a botte tante di quelle volte, loro due, fra di sé, con altri, ed erano sempre tornati a casa, malconci ma pure di buon umore, senza conseguenze se non rimproveri e talvolta altre punizioni, dipendeva dal momento e dall’umore. Per aver lottato da solo contro cinque gli era andata bene. Era stato bravo. Sorrideva ancora, seduta accanto al letto.

Doveva essere proprio di umore nero.

André reagiva raramente con la violenza, era sempre calmo e cortese, addirittura gentile, sicuramente controllato; per questo la gente a prima vista non faceva caso a quanto fosse alto e forte. Sì- pensava- tutti si accorgono troppo tardi di quanto è forte André, di quanto può essere incontenibile se accecato da un’emozione troppo violenta, se provocato oltre una certa soglia. Dovevano proprio essere numerosi, i suoi aggressori, qualcuno doveva averci rimesso un dente, comunque, o la possibilità in toto di mangiare cibo solido o quella di camminare dritto per un po’.

“Dovevi avere i nervi a fior di pelle, André. Per la proposta di matrimonio di Girodelle. Devi averci pensato più di quanto ci ho pensato io stessa. Mi avrai immaginata- sorrise- vestita di bianco, con lo strascico, il mazzo di fiori, i gioielli e tutto il resto. I parenti commossi. Ti sarai visto spettatore in chiesa, incerto se subire l’evento o ammazzarci entrambi davanti all’altare, per poi allargare le braccia e farti fare a pezzi da mio padre, fra le urla di tua nonna. Ti sarai chiesto se eri abbastanza forte per essere felice per la mia felicità, se le lacrime avrebbero potuto essere scambiate per commozione; e poi forte abbastanza per stringere la mano allo sposo, per baciarmi sulle guance spruzzate di rossore e poi, partiti tutti, per andarti a buttare nella Senna. Tu disprezzi la teatralità dei gesti: ti sarai visto contenere la disperazione, la rabbia… e poi maledire la tua nascita, i tuoi genitori, il tuo rango e la tua vita intera… e ubriacarti, bestemmiare, ricordare con nostalgia, farti pena da solo… quanti pensieri ti saranno passati per la mente, mentre ancora non sapevi cosa fare, cosa dire… pensando a me, André… stupido idiota e pazzo… pazzo senza rimedio”.

André, quasi richiamato dai pensieri di lei,  aprì gli occhi nella luce soffusa, con una smorfia di dolore o di disgusto, chissà. Sussultò quando la vide, quando si rese conto che non stava più sognando. Si sorprese, per un istante, più del dovuto: era chiaro che sarebbe andata a fargli visita, era il suo comandante, e lui era stato pestato in armeria e chissà cos’era successo poi.

“Oscar… sei tu?” e avrebbe voluto non aver detto qualcosa di così scontato e inopportuno a inizio frase; si alzò a sedere un po’ dolorante, un po’ infreddolito, aveva fasciature dappertutto, gli pareva, doveva sembrare un criminale e se la trovava d’improvviso davanti da sola, e avrebbe voluto dirle: “Non sposarti con quell’uomo, Oscar. Non sposarti e basta. Oppure uccidimi adesso. Perché non posso pensare che tu non sia mia, Oscar, e finché non sei di nessuno io posso illudermi che tu sia mia, posso almeno pensarti come mia, ma se ti sposi con quell’uomo, Oscar, mi strapperai il cuore dal petto, non potrò neppure sognarti, dimmi che non lo ami e non lo sposerai”; e invece restò incerto, a osservarla sorridente accanto al suo letto, serena come se fossero a casa loro a parlare del più e del meno, dopo una cavalcata, lei con i capelli sciolti sulla camicia bianca- avrebbe potuto chiamarli per nome, uno a uno, i suoi capelli, tante le volte in cui li aveva osservati- con il mento appoggiato sulle mani da pianista- quelle mani che aveva stretto tante volte e- ricordò- quella volta in particolare, nel momento della follia, del desiderio, della hybris.

“Sono io, André. Chi vuoi che sia? Volevo vedere come stavi, e accertarmi che non ti avessero ridotto a un soldato inutile. E che non avessi da dare alla nonna brutte notizie”.

L’uomo sorrise e respirò. Com’era tranquilla, com’era amichevole. Era leggera. A lui bastava.

“Figurati, Oscar, per così poco? Confronto a quella volta, in quella bettola infame…- ricordi? Iniziasti tu, però!- scatenammo una rissa così grande che il povero oste si preoccupò seriamente… e il giorno dopo ripagammo i danni senza dire niente a tuo padre… ricordi? Il precettore si arrabbiò con me perché non riuscivo a scrivere, con il polso slogato, e tu avevi un occhio nero, che cercavi di nascondere con i capelli… tipo me adesso…” e rise, un po’ sincero, un po’ no. Quanto avrebbe voluto tornare indietro e congelare il tempo, ai loro quindici anni, ai loro diciotto anni… no, anche ai sette, otto anni, bambini sì, bambini andava bene lo stesso, insieme e giocosi, lontani e remoti dal pensiero di una separazione o di un matrimonio.

“Non ne ho puniti nessuno, André. Li ho lasciati tutti andare a casa per due giorni. Te lo dico perché tu lo sappia”.

Il riso gli morì in gola. Tradusse velocemente nella sua testa: “Non mi importa niente se ti hanno massacrato, voglio conquistare la stima dei miei soldati, non voglio punirli. Poi, chi me lo dice che non te la sei cercata? Non hai avuto certo un’educazione da uomo del popolo, non sai come ci si comporta coi camerati, puoi dire di essere il figlio di un falegname quanto vuoi, ti si legge in faccia che sei uno ben educato, inutile supponenza… poi, non devo certo rendere conto a te” e diventò serio, assunse una posizione rigida, si toccò la fronte con la mano tesa, in un gesto abituale: “Certo, comandante”.

Ma Oscar era allegra: “E non metterti sull’attenti, André: sei in infermeria, su un letto di dolore, e ci siamo solo io e te. Dimmi, piuttosto: perché avete… discusso, tu e gli altri?”

“Per te, Oscar. Per causa tua e per colpa tua. Perché mi accusano di essere una spia, perché la balla del figlio del popolo non regge, in effetti, e si deve vedere più di quanto io immagini, Oscar, che farei qualunque cosa per te, e che obbedisco ai tuoi ordini prima ancora che tu li dia, e mi trattengo a stento dal fare a pugni tutti i giorni per una parola storta su di te, o per un motteggio di troppo… e ieri non ce l’ho fatta, perché se penso a Girodelle che ti sfiora, Oscar, mi viene voglia di massacrarlo, e allora…” avrebbe voluto dire, e invece fece una smorfia, noncurante, e: “Sai com’è, cose da nulla- sono nuovo e i nuovi vengono messi sotto per ogni sciocchezza… i turni di pulizia delle latrine, il rancio da dividere… è necessario che mi faccia rispettare, ecco. Hai fatto bene a non punire nessuno, sono stato avventato, comunque, spero che tu non voglia punire me!” e ancora una risata, anche se gli faceva male ridere, con quel labbro che ancora sapeva di sangue.

“Immaginavo” rispose lei e “Ci potrei anche credere” pensò “Se io e Alain non ti avessimo sentito mormorare quasi incosciente ti prego, non sposarti, Oscar, come se stessi pregando per la tua stessa vita, stupido idiota… e ti sei fatto deridere o forse rispettare da quel mezzo delinquente e mezzo aristocratico… e adesso mi vieni a parlare dei turni di pulizia delle latrine con quell’aria innocente e quei lividi addosso… avresti potuto prendere un colpo all’occhio, André, compromettere l’occhio sano… pazzo, pazzo!”

“Vieni a sederti, André. Voglio cambiarti le bende e pulirti le ferite” disse lei, prendendo acqua, spugna, bende.

“Come?” si bloccò lui. Realizzò in quel momento- lento, lento!- di essere a petto nudo di fronte a lei- per la prima volta dopo quella notte, in cui era stato posseduto da un demonio, in cui e di cui aveva chiesto perdono- e ricordò cosa era stato capace di fare; lei che lo schiaffeggiava, lui che le stringeva i polsi e guardava lontano-  gli aveva detto di andarsene, gli aveva detto che lui non le serviva più! Lei, lei che voleva vivere come un uomo!- e la calma che lo aveva invaso, all’inizio, la freddezza che lo aveva portato a stringerle i polsi con forza, con scientifica rabbia, la stessa freddezza con cui, quando aveva abbassato la testa, la guancia dolorante, non aveva esitato a baciarla con forza, lei stupefatta e incredula, e sentito il sapore di lei la freddezza non esisteva più e aveva liberato un mostro. Adesso Oscar si sarebbe sposata, l’avrebbe perduta- una ferita, ancora rosso davanti agli occhi- non voleva che lei lo toccasse, non poteva permettersi di…

“Ma no, Oscar, che dici? Ci penserà il medico, quando verrà. Poi, mica è necessario…”

“E quando verrà, il medico? Con i soldati in licenza? Non vorrai procurarti qualche infezione… che so? Meglio non rischiare. Muoviti”

Un ordine, riassunse André. Da eseguire pure in fretta. Non voleva muoversi, non poteva non muoversi. Il comandante aveva detto ciò che aveva detto. Non avevano ancora parlato del matrimonio, del conte Girodelle. La testa gli girava ancora un po’. Si mosse piano e si sedette dove prima si era appoggiata lei, poteva percepire il suo calore attraverso il legno… che andava a pensare? Il calore attraverso il legno? Stava perdendo il lume della ragione?

“Sai, Oscar” parlò, tanto per dire qualcosa “ la vita del soldato non è poi così male. Le scazzottate in fondo fanno parte del divertimento. E il popolo sente che siamo dalla loro parte. Cioè, non volevo dire che ci sia una “parte da cui stare”, come se non rispettassi la regina, o la monarchia in sé… intendo che tutti percepiscono che siamo… per la giustizia, ecco… che capiamo la sofferenza delle persone perché anche noi siamo persone… mi sto trasformando in un Rousseau, secondo te?”

Oscar non diceva niente e lui stava parlando a vanvera. Discorsi senza senso non le erano mai piaciuti. Perché taceva? A cosa stava pensando? A chi? Girodelle… o forse Fersen? Potessero bruciare all’inferno entrambi. Potessero scomparire dalla faccia della terra, loro, chiunque cerchi di strapparti a me, pure tuo padre, Oscar, quel maledetto servo di un re imbelle, di una monarchia dissestata e marcia nel midollo…

Sentì la pelle nuda libera e dolorante, le mani di Oscar su di sé. Smise di parlare e godé del contatto. Immaginò una carezza. Sentì il freddo dell’acqua sulla pelle e un brivido. Dio, le mani di Oscar… lo stava solo sfiorando, si disse, e si invitò alla calma. Lo stava asciugando. Lo stava curando.
Sentì le mani di lei sulle spalle. Quelle erano carezze, non se le stava immaginando. E poi le sentì sul collo e trattenne il fiato. Non c’erano ferite da sanare. Si lasciò sfuggire un sospiro, chiuse gli occhi forte e poi li riaprì, sbarrandoli.

 “Oscar” mormorò, cambiando tono, abbassando la voce “Oscar, cosa fai? Forse non è necessario…”

“Lascia decidere a me ciò che è necessario, soldato” lo interruppe, e lui non riuscì a decifrare cosa ci fosse nella voce di lei che lo sorprese e gli fece posare le mani sulle ginocchia, forse per farle smettere di tremare.

Sentì le mani di lei salire e scendere per la sua schiena, fra dolore- i lividi, gli ematomi!- e il piacere- le mani di lei, Dio, le sue mani su di me, ad accarezzarmi, a prendere possesso di me!
 
Accennò a voltarsi, pronunciò ancora il suo nome, con sforzo stavolta.
 
“Fermo André, non ti muovere. Ricordi cosa mi hai giurato quella sera?” gli domandò dura, sferzante.
 
Si irrigidì e non si mosse. Quella sera. Avrebbe mille volte voluto cancellarla e mille volte voluto riviverla. Le sue mani su di lei. Mai prima di allora, mai dopo di allora.
 
“Sì, Oscar”  disse, con una voce che non riconobbe “Ho giurato, su Dio, che non ti avrei mai più toccata contro la tua volontà, mai… però…”
 
“Però niente, André. Resta fermo. Non voglio che tu muova un muscolo, chiaro?”
 
“Sì, Oscar” disse, stringendo i pugni, perché il piacere si stava trasformando in tensione, la tensione in dolore.
 
Sentì le mani di lei accarezzargli il petto. Adesso mi scoppia il cuore e finisce qui. No, no, ancora un po’, ancora un minuto, due minuti prima di morire, ancora lei, ancora. Sentì le mani di lei che disegnavano ricami vicino al suo cuore impazzito, che giocavano con i suoi capezzoli e lo accarezzavano fino alla cintola e poi risalivano, fino al collo, sentì che si intrecciavano nei suoi capelli- il cuore, il cuore impazzito- e poi si spostavano sul viso, la mascella e poi le labbra- il labbro spaccato lo fece gridare piano, o forse non era stato per colpa di quel dolore- sentì le dita di lei una ad una sulla sua bocca secca- il cuore impazzito ma il respiro trattenuto- e sentì un pulsare doloroso al basso ventre, sensazione familiare ma fuori contesto in quel contesto fuori da ogni sua previsione.
 
“Oscar, ti prego… non resisto, Oscar…”
 
Lei si spostò, gli si fece davanti e lui la vide sfocata ma al tempo stesso nitida e splendida, mentre la guardava dal basso verso l’alto, immobile come lei gli aveva detto di stare, a pugni serrati. Gli spostò le braccia, si accomodò su di lui, con sicurezza. André temette di svenire, sentendola così vicina, adesso la abbraccio, l’attiro a me, la bacio ovunque, la prendo, su questo letto da ospedale, in terra, dove posso, adesso mi muovo e poi non mi fermo, adesso…
 
“No, André” disse lei, sussurrando al suo orecchio, accarezzandogli le braccia “Anch’io ti ho pregato, rammenti? Poi hai giurato e io ti ho creduto. Adesso tu mantieni la tua promessa e non ti muovi, mi sono spiegata?” e gli sfiorò la guancia con le labbra, e lo guardò.
 
Congelò ogni idea di deluderla o avrebbe disprezzato se stesso senza possibilità di redenzione, perché dopo quella sera aveva già esaurito ogni scorta di promesse non mantenute. Ricordò i sospiri che le aveva strappato- di forza, di forza!- e la mano sulla sua bocca, per fermarle il gridare- Vuoi davvero che tuo padre ti veda così?- miserabile, era un miserabile!
 
“Oscar, non mi muovo. Oscar, sei così bella. Mi vuoi punire, Oscar? Mi vuoi morto?”
 
Chiuse gli occhi, mentre la sentiva pesare dolcemente su di sé, come lui aveva già pesato quella sera su di lei che si dibatteva e- ricordava con vergogna di sé- lo eccitava in maniera violenta, ferina, e adesso lo stesso, ma avrebbe preferito tagliarsi una mano piuttosto che muoversi, mentre sentiva le mani di lei adesso accarezzargli guance, labbra, mento, collo e lui, a occhi chiusi, non pensava e non capiva, eccetto per quel pulsare inarrestabile del sangue che sembrava confluire in un centro unico, che lei sfiorava di tanto in tanto con la coscia e lo faceva gemere e stringere i denti, ecco, quello lo capiva.
 
“Voglio punirti perché sei uno sciocco, André” gli disse, e rise. Aprì gli occhi e trovò il volto di lei a un niente dal suo, le labbra di lei a un respiro dalle sue, sentì il bisogno di prendere aria aprendo la bocca, sentì che stava tremando in maniera indecorosa, aveva paura, aveva brama di lei, sete di lei, fame di aria, aveva bisogno letteralmente di muoversi, voleva trasformarsi in una statua, era una contraddizione, non capiva più niente. Di nuovo chiuse gli occhi, pregò che fosse un incubo o un sogno bellissimo.

Le mani di lei gli accarezzavano i capelli e poi glieli strinsero, affondarono nei suoi capelli neri e glieli tirarono indietro e lui mosse indietro la testa, le offrì il collo nudo o qualsiasi altra cosa desiderasse- aveva fatto anche lui qualcosa di simile, quella sera, per leccare il collo profumato di lei, come adesso lei stava baciando- sì, erano baci, non stava inventando niente- quello di lui che gemeva, soffriva, si conficcava le unghie nella carne già provata per non impazzire, per non morire.
 
Poi lo lasciò e lui aprì gli occhi- quanto tempo era passato?- e percepì lo spostarsi del viso di lei, al rallentatore, e lo inondò il suo profumo, e sentì le sue braccia attorno al collo, leggere ma possessive, e poi le mani intrecciarsi sulla sua nuca, e lei che ridusse ancora la distanza fra loro- Dio, il seno di lei, lo sentì premere sul suo petto e desiderò strapparle quella camicia, come quella sera, maledetta sera, benedetta sera, in cui l’aveva vista così perfetta, così indifesa, si era sentito così potente… no, mai, non voleva, non poteva- e la sua voce, quasi beffarda, ma seducente, forse sedotta: “Sono una rosa, André, non trovi?” e lui che riuscì appena a balbettare qualcosa di confuso, forse un “Sì, Oscar” o forse un “Sei bellissima, sei la luce, sei una dea, sei…” e sospirare o forse ringhiare o forse solo ricacciare indietro lacrime provocate da quale delle mille sensazioni solo Dio lo sapeva, l’indomani ci avrebbe pensato, se fosse stato ancora vivo; e poi lei, ancora ironica, ancora lieve: “Quando sarò sposata, non potrò più fare niente del genere, vero, André?”, e lui che si riscosse, che sentì una fitta alla testa, alzò le braccia, la strinse a sé, forte, la respirò, lasciò uscire le lacrime e rompersi la voce e stavolta fu sicuro di quel che quasi gridava: “No, Oscar, non dirlo, non dirlo” e la voce di lei che gli intimò: “Lasciami, André, hai giurato!” e lui, come scottato, rimise le braccia dritte, i muscoli contratti, il volto che doveva essere stravolto e spaventato- non sono un uomo, sono un animale- e implorandola: “Oscar, non capisco, non posso…” e interrompersi poi, sentendo la bocca di lei che beveva le sue lacrime, mentre il futuro spariva nel presente e il presente annegava nelle labbra e nella lingua di lei sul suo volto e: “Allora, soldato Grandier, perché ti sei fatto pestare da cinque energumeni come un ragazzino?” e lui che sentì le sue labbra sul petto, era consapevole di ogni piccolo spostamento di lei sulle sue gambe, sentiva che da un momento all’altro avrebbe fatto qualcosa di terribile, il sangue gli scoppiava nelle vene: “Ero pieno di rabbia, Oscar. Non posso sopportare che tu sposi un altro, Oscar. Dimmi che non lo ami, dimmi…” che ami me e solo me, voleva aggiungere, ma si fermò, perché era troppo- se fosse stato possibile sarebbe già accaduto, patetico ambizioso ridicolo- perché si smarrì nel momento, perché lei aveva avvicinato il viso al suo e con le labbra gli accarezzò le labbra- sono secche, Oscar, il labbro spaccato, Oscar- e lui non si muoveva, come aveva promesso, ma sentì la lingua di lei bagnargli la bocca- ho sete di te, ti voglio- e poi iniziare la lenta danza del bacio, che lui non sapeva se poteva accettare ma senza muovere un muscolo- aveva promesso, aveva giurato- rispose all’invito e gli sembrò che la stanza girasse, oppure di tornare a casa dopo una lunga assenza o anche di sprofondare in mezzo alle fragole di bosco o…- ma cosa vado a pensare?- e rilassò tutti i muscoli, il dolore era scomparso, tanto era straniato che dimenticò pure quel desiderio urgente e brusco che lo stava divorando da minuti, ore, da una vita, e rimase solo la dolcezza, la felicità, che si era sempre chiesto com’era, ma così, per curiosità; rilassò i muscoli del viso, si lasciò prendere, guidare, si lasciò cercare e abbandonare e cercare ancora per poi respirare solo un istante, e sentire di nuovo mancare il respiro, e udire il riso fresco di lei, di nuovo bambino/bambina della sua vita, e capire che quel sapore salato erano ancora le sue lacrime- Dio, solo lui piangeva, ma da quando, da quanto?- e assecondare ogni movimento di lei, senza sapere, senza pregare, senza soffrire.
 
E quando finì quella magia e tornò consapevole di sé, la guardò come se la vedesse per la prima volta. Forse non si sarebbe potuto muovere mai più, sarebbe rimasto per sempre seduto su quella sedia, indolenzito, martoriato, felice come non mai. E si accorse anche che non sapeva cosa dire. Aveva terrore delle parole.
 
“Ma se questo è il tuo modo di punirmi, Oscar, allora torturami. Sempre e per sempre”- voleva esortarla, ma le frasi gli si bloccarono senza speranza a metà strada fra il cuore e la bocca.
 
Lei invece si alzò, aveva l’aria felice e serena, come se si fosse riconciliata con qualcosa che aveva abbandonato o perduto; si sentiva audace e donna- una rosa!- ma non vittima, non debole, non inferiore- un lillà!- come se avesse, in qualche modo, sciolto dei nodi, sanato parte delle contraddizioni.
 
Dio, quanto era bello André. Scuotendo i capelli, pensò che doveva essere stata cieca per anni, che doveva esser stata più fatua della regina, più spietata dei nobili parassiti che infestavano Versailles, quelli che lei guardava con disprezzo malcelato; perché non lo aveva visto? Perché, a lei così intuitiva, così orgogliosa, era sfuggito l’ovvio? Perché André non era nobile? Ma, se la nobiltà è la gentilezza dell’animo, André era più nobile del re. Perché lo aveva sempre vicino? E non avrebbe dovuto essere un vantaggio, per la sua capacità di analisi? Non lo aveva visto perché lui l’amava? Ma se mai si era sentita così bella, così vera, così- diciamolo- donna, come quando si specchiava negli occhi di lui- frase abusata, luogo comune, eppure…
 
Dio, quanto era bello. Solo quello avrebbe dovuto guidarla. E quanto sapeva di buono. La sua pelle profumava, mentre i nobili puzzavano- sotto ciprie e profumi, belletti e parrucche, puzzavano come fogne- ma André profumava di muschio, di erba tagliata; lo aveva pensato anche quella sera, terrorizzata, sì, ma anche- poteva ammetterlo?- curiosa, eccitata, desiderata, mentre quell’uomo le diceva che la voleva, con una rabbia e una urgenza tali da lasciarla annichilita, da costringerla a pensare a sé al femminile. E perché no? Poteva essere il comandante dei soldati della Guardia metropolitana una donna; poteva essere imbattibile con la spada essere bella- poteva fare tutto- poteva essere Oscar Francois de Jarjayes desiderare un plebeo bello come il dio Apollo- desiderare o amare? Ci avrebbe pensato l’indomani.
 
Andando verso la porta- l’aveva chiusa a chiave: allora aveva premeditato tutto? Aveva già deciso, e da quanto tempo, che lo avrebbe fatto?- , prima di uscire, si voltò verso André, che non le staccava gli occhi di dosso, che sembrava non aver ripreso a respirare. Gioì.
 
“Sai, André… puoi stare tranquillo, perché credo che non mi sposerò tanto presto!” e scoppiò in una risata franca, maschile. Aveva fretta adesso, c’era una risposta da dare, c’era un conte da rifiutare.
 
Il giovane aspettò di sentire la porta chiudersi; poi aspettò altri minuti; sentì un cavallo nitrire; era ancora fermo su quella sedia, le sue ferite senza bende, il labbro spaccato che sanguinava, l’aria confusa e felice: “Ti amo, Oscar- disse a mezza voce- Torna presto da me. Ti amo, Oscar, ti amo…” e lo ripeté varie volte, incantato, prima di riuscire di nuovo a muoversi.
 

 
  
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