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Autore: sacrogral    19/01/2021    6 recensioni
Una storia cui sono affezionato, ma alla quale manca la parte migliore, come alle altre: le recensioni di chi l'aveva letta e aveva speso il suo tempo a commentarla. Me ne scuso. Magari farà piacere rileggerla.
Fiamma, è per te - perché l'hai migliorata e mi hai tirato le orecchie per quel continuo passare dal "voi" al "lei", che non era bello.
“Ditemi, allora, monsieur André” mormorò la dama di cui, al momento, gli sfuggiva il titolo “Com’è vivere nella stessa dimora dell’uomo più affascinante di Parigi?”
“Non so, madame” rispose lui, a voce più alta, col suo sorriso da uomo di mondo “Dovete chiederlo a Oscar”
La signora, un po’ compassata, di età indefinibile, restò un attimo perplessa, poi rise di gusto, dandogli un colpetto col ventaglio.
“Mio caro, mio carissimo ragazzo, siete proprio uno spasso!”
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Ditemi, allora, monsieur André” mormorò la dama di cui, al momento, gli sfuggiva il titolo “Com’è vivere nella stessa dimora dell’uomo più affascinante di Parigi?”

“Non so, madame” rispose lui, a voce più alta, col suo sorriso da uomo di mondo “Dovete chiederlo a Oscar”

La signora, un po’ compassata, di età indefinibile, restò un attimo perplessa, poi rise di gusto, dandogli un colpetto col ventaglio.

“Mio caro, mio carissimo ragazzo, siete proprio uno spasso!”

Oscar gli lanciò uno sguardo fintamente severo, mentre André le strizzò un occhio, con familiarità.

Era stata di Oscar l’idea di prender parte a tutti i balli possibili di quella stagione, per cercare notizie sul Cavaliere nero: “Le donne sanno quello che nessun uomo rivelerebbe mai, André, e ne parlano volentieri. È una debolezza del gentil sesso scambiare il pettegolezzo per buona conversazione. Dobbiamo iniziare da lì”. Lo aveva detto, rilevò André, come se lei del gentil sesso non facesse parte. Oscar stava di nuovo riferendosi a se stessa come a un soldato, come all’erede del proprio casato.

“Ecco riapparire il mio amico Oscar Francois- pensò lui- dalle spoglie della misteriosa contessa biancovestita. Fersen deve aver detto- o fatto- qualcosa di poco urbano, per così dire, per riportare Oscar sotto l’egida del controllo e del rigore. Chissà se riuscirò mai a sapere cosa…” E poi divagò. Urbano… derivato dal latino urbs, città… urbanus equivale a cortese, elegante… parola entrata nel linguaggio dal secolo XIV… ce lo diceva il nostro maestro, il nostro aio, quando la vita era solo studio e esercizi, cioccolate e noi

Non scoppiava proprio di gioia al pensiero di accompagnarla a quelle serate di noia mortale, mentre Parigi fremeva e grandi eventi sembravano prepararsi. Versailles invece ripeteva se stessa ogni sera, immobile e inconsapevole. Non era neppure sicuro di voler davvero che fosse catturato, questo ladro di cui tutta la città parlava, paladino dei poveri e degli oppressi. Come sempre, tuttavia, non si era neppure posto seriamente la questione: Oscar desiderava andare in cerca di informazioni, lui sarebbe andato con lei. C’era pure un che di rassicurante in quel continuo parlare di Oscar al plurale- lei pensa, noi dobbiamo- , non gli dispiaceva affatto.

“Ci sai fare più di me con le dame, André” scherzò lei.

“A te basta mostrarti, Oscar. Se posso dirtelo ancora una volta, sei talmente bella in alta uniforme che fai scomparire chiunque altro” e pensò “Quant’è difficile farti un complimento! Avrei dovuto dire bello? O chiunque altra?”

“Risparmiati per le signore, André” tagliò corto lei “E cerchiamo di ottenere qualche risultato. Sono tre sere che presenziamo a questi sciocchi eventi e l’unica cosa che ne abbiamo tratto è un gran mal di testa”

“Già, appunto” pensò lui “E sono tre sere che non vado in quella piccola chiesa sconsacrata, a sentire la retorica infuocata di Robespierre, l’avvocato del popolo, come iniziano a chiamarlo. E forse è proprio lì che si nasconde il Cavaliere nero, in mezzo alla sua gente. Ma forse è lì che si nasconde anche qualcos’altro, il malessere dei francesi e l’odio verso la tua regina, forse è lì che si nasconde la libertà”, ma si limitò a sorridere.

“Invito a ballare madamoseille Lavigne. La sua famiglia ha subìto un furto due settimane fa. Tu balla con madame Sourain: suo marito è in missione in Russia e la loro casa è stata ripulita una decina di giorni or sono” sussurrò.

“Hai una memoria da far invidia” disse Oscar di rimando, sospettosa.

“Non è sempre stato così?”

“Sì, forse…”

André sapeva essere tanto fatuo quanto serio. La sua espressione mutò in un lampo. Se ne era reso conto già da un po’. Oscar sospettava che fosse lui, il famoso ladro. Per questo se lo portava sempre appresso, altro che per raccogliere informazioni. Come le fosse venuta in testa quest’idea era impossibile a dirsi. André si sentiva quasi lusingato, ma sapeva benissimo, e lei avrebbe dovuto saperlo allo stesso modo, che non sarebbe mai stato capace di rubare. Combattere, certo. Uccidere anche, se necessario. Ma rubare no. Lui non prendeva mai ciò che non gli apparteneva, neppure a fin di bene. “E se- pensò fra i denti- il conte di Fersen ti avesse portata via, io non lo so cosa avrei fatto, ma non ti avrei rubata a lui. E non avrei rubato la tua felicità neppure a costo della mia”.

Si avvicinò a madamoiselle Lavigne, che aveva più o meno la struttura fisica di un carrettiere della periferia parigina, e indossava un abito rosso, molto scollato, con una preziosa croce di diamanti al collo.

“Che soddisfazione!” si disse, ironico.

La ragazza gli sorrise, gonfiando il ragguardevole petto.

“Permettete questo ballo?” e poi, più piano “Sarebbe una delizia morire su questo Calvario” aggiunse, fissandole il seno.

La signorina rise, imbarazzata e sguaiata, e si allontanarono per un valzer.

Oscar, che aveva seguito la scena, alzò gli occhi al cielo.

Mai un pettegolezzo  su André, eppure sempre a Corte, gradito, benvoluto, vezzeggiato. E lui prontissimo a ricoprire il ruolo di cicisbeo, all’occorrenza. Tutte felici per un apprezzamento galante, per un motto di spirito. Eccolo lì, a volteggiare con la piccola- per dire- Lavigne, con i capelli neri e lunghi ad accompagnare la danza e lo sguardo fisso sulla ragazza, interessato. Movimenti decisi ma languidi. E la damigella a parlare con lui, raccontare. Forse, André, forse. Forse stai davvero indagando. O magari no. Perché sai benissimo chi sia il Cavaliere nero. Perché le tue misteriose uscite serali altro non sono che ruberie e atti vigliacchi, ammantati di una buona dose di autoindulgenza. Invece un ladro resta sempre un ladro. So che leggi libri proibiti, so che ammiri Voltaire, che nascondi i volumi di Rousseau cambiando la rilegatura.  Se fossi tu non saprei cosa fare. Ma lo devo scoprire. Potrei aiutarti a lasciare la Francia, questo sì. Anche se significherebbe tradimento. Ma non riuscirei ad arrestarti. No, sarebbe chiedermi troppo, anche da parte di Sua Maestà. Tu hai sempre amato l’Italia, potrei farti passare la frontiera senza difficoltà, con abbastanza denaro per rifarti una vita. La nonna ne soffrirebbe, ma sempre meglio che trovarti, una mattina, trapassato da un proiettile sparato da un soldato troppo solerte. Magari un mio soldato. O magari un mio proiettile.

“Oscar, non vale!” disse André, liberatosi dopo il ballo “Io a fare il lavoro sporco e tu a fantasticare!”

Lei sorrise. Diceva la verità, si era distratta.

“Qualcosa di nuovo?” chiese.

“In realtà sì… forse…” rispose lui, avvicinandosi dopo essersi accertato che fossero abbastanza appartati “Pare che il Cavaliere nero… insomma, madamoiselle Lavigne sostiene di aver saputo da una certa cugina che si è appena sposata con un rampollo…”

“André, la versione breve, di grazia!”

“Sintetizzo: fonti piuttosto discutibili e vaghe affermano che il Cavaliere nero frequenti il salotto del Duca d’Orleans”

Oscar fece un passo indietro, incredula.

“Non è possibile, André! È praticamente la seconda carica di Francia, l’erede in pectore!”

“Lo so chi è, Oscar. Ma tu mi hai detto di raccogliere le voci e le voci dicono questo. Luigi Filippo non è mai stato noto per la sua devozione alla Corona, almeno a questa Corona…”

“Smettila, André. Affermazioni del genere costano care” e anche lei si guardò attorno, cauta e attenta.

André allargò le braccia.

“Non so cosa dirti, Oscar. Appare difficile da credere anche a me, però la ragazza sembrava consapevole.

In ogni caso, dovremo trovare il modo di accedere al salotto del Duca, ma non dovrebbe essere un problema… non insormontabile almeno… Non sai comunque quanto ho dovuto faticare per portare il discorso sul Cavaliere nero… le ragazze nobili son così sciocche che fanno rimpiangere le figlie del popolo!” sbottò, impulsivo.
 
“E allora dedicati alle figlie del popolo” si inalberò Oscar, di rimando.

“Non alludevo a voi, conte!” si innervosì André.

E nel mezzo del loro vivace scambio accadde l’imprevedibile,  o magari il destino, soffiando, aveva deciso con un senso dell’umorismo piuttosto discutibile che quello fosse il momento perfetto. Un grido distrasse tutti, madamoiselle Lavigne evidentemente possedeva un’ugola tale da far scaturire una voce in grado di rompere i cristalli, perché pure i musicisti si fermarono, mentre lei urlava confusa qualcosa del tipo “Al ladro” “Aiuto” “All’armi”, ma tutto insieme, così che la gente le si avvicinò e basta, senza aver ben chiaro ciò che stesse accadendo.

“Mi hanno rubato la collana! È stato il Cavaliere nero! Lui è qui!” gridò, stravolta.

Mormorii di incredulità e timore si diffusero per la sala.

Oscar scattò come punta da un insetto.

“Sono Oscar Francois de Jarjayses, comandante delle Guardie Reali. Ditemi cos’è accaduto. Nel frattempo, nessuno si muova, nessuno esca. Per favore, chiudete le porte. E voi, madamoiselle, calmatevi. Non correte alcun pericolo”

“Oh, monsieur Oscar! È stato terribile” disse la ragazza, buttandosi fra le braccia del comandante che quasi barcollò, non capendo poi- come nessun altro, in realtà- cosa ci fosse stato di terribile.

 “Adesso siete al sicuro, madamoiselle”  disse Oscar, sentendosi un po’ sciocca “Raccontatemi tutto, senza tralasciare alcun dettaglio”

Madamoiselle Lavigne alzò lo sguardo e Oscar le sembrò un angelo luminoso, un San Michele con la spada, il volto di una bellezza illegale, e ammirò l’oro che la circondava, un’aureola di capelli, e pensò che fosse opportuno apparire più sconvolta di quanto fosse in realtà, ché magari il bel comandante l’avrebbe abbracciata e rassicurata; quindi passò un paio di minuti a piangere, nella diffidenza e nel borbottìo generale, prima di parlare:

“Ecco, ho sentito una mano fredda sul collo, un brivido mi ha pervasa… doveva essere lui, con la sua crudeltà implacabile…” Oscar represse un moto di sdegno e impazienza  “Sicuramente si è appostato come una belva, attratto dalla mia collana e magari da altro…” Oscar spostò il peso da un piede all’altro “… subito dopo il ballo con monsieur André”

Fu in quell’istante che il tempo si congelò, la tensione confluì verso un unico oggetto di interesse, alcuni volti si spostarono insieme ad altri che, per inerzia, li seguirono e gli sguardi della folla, e quello di Oscar prima di tutti, si convogliarono tutti su un unico uomo, non abituato ad essere al centro della scena, immobile e pallido.

Nel silenzio irreale, Oscar gli si avvicinò lenta:

“Sono Oscar Francois de Jarjayes, comandante delle Guardie Reali”

E André pensò che questo non era possibile, che era ridicolo, avrebbe avuto voglia di scoppiare a ridere e non smettere più, avrebbe voluto batterle la mano sulla spalla e dirle: “Bene, Oscar, brava, adesso andiamo a casa, anzi, andiamoci a bere un po’ di vino decente, andiamo a declamare poesie alla luna e spassiamocela alle spalle di questa gente, deridiamoli, ché valgono meno della punta dei tuoi stivali”; e sentendola scandire il proprio nome, seria, guardandola dritta in faccia e percependo il consueto struggimento cui ormai aveva quasi fatto l’abitudine, raccogliendo tutte le forze per parlare, controllando il tono di voce, iniziò:

“Lo so bene chi sei, Oscar”

La apostrofò rigido ma non duro, diretto ma non provocatorio. Le lasciò via di scampo.

“André, ti devo perquisire”

André avvampò. Sotto lo sguardo di non sapeva quante persone, in una calma sepolcrale, facendo appello a ogni risorsa datagli dalla gratitudine e dall’affetto, eppur consapevole dell’umiliazione inflittagli, si inchinò con grazia: “Conte Jarjayes, vi posso assicurare che non ho idea di cosa pensiate, ma sono totalmente estraneo a questa vicenda. E sono abituato a essere creduto sulla parola”

Mormorii, allusioni, rumori dietro i ventagli. “È il suo attendente” “Lo conosce bene” “È pur sempre un plebeo” “Sarà davvero lui?” “Ci sarà  comunque un duello, anche se lui non è nobile! Un duello, è sicuro!” “Al primo sangue?” “All’ultimo sangue!” “E se fosse il Cavaliere nero?”

Oscar ebbe un momento di esitazione e non sostenne il suo sguardo; sentiva, in ogni fibra del suo essere, che André stava dicendo la verità, eppure anche lei aveva dubitato, e si trovava in mezzo a una pletora di nobili desiderosi di un diversivo, eccitati all’idea di essere al cospetto non di un volgare ladro, ma del Cavaliere nero;  “Ma quale Cavaliere nero?” disse a se stessa “Ballare con una fanciulla e farsi scivolare in tasca la sua collana, questo sarebbe il Cavaliere nero? Ma, soprattutto, questo sarebbe André? Il mio André?” pensò ancora, e pensò l’aggettivo mio non facendoci caso, come se fosse evidente.

E poi mosse un passo, pensò di doverlo fare, per se stessa e anche, paradossalmente, per lui; ricordò chi era lei, lo guardò senza tremare:

“André Grandier, ti rifiuti di farti perquisire?”

André prolungò la pausa, neppure lui avrebbe potuto spiegarne il motivo. La sfidò. Oscar lesse sul suo volto di sfinge il ricordo di se stessa che chiedeva grazia per André a Luigi XV in persona, loro ragazzi, esposta per lui, sicura di lui.  “Davvero” sembrava chiederle “davvero è cambiato così tanto fra di noi?”
 
E poi lui alzò le braccia, spostò il viso di lato, sorrise: “Sono a vostra disposizione, monsieur
 
E Oscar lo fece. Frugò nelle sue tasche al cospetto di tutti, lo fece voltare di spalle, gli fece togliere la giacca. Il volto di André, pallido e insondabile, osservava un punto lontano nella parete.
 
“Niente” disse, infine.
 
“Sono veramente felice!” cinguettò madamoiselle Lavigne, e mentre si mosse per abbracciarlo quasi inciampò sulla collana, con una splendida croce di diamanti, ai suoi piedi, monile che le era scivolato dal collo per un difetto al fermaglio di chiusura.
 
 
“André, aspetta!”

Glielo gridò una seconda volta, poi una terza. Non capitava mai che lui non l’ascoltasse. Camminava fiero e distaccato.

“Non mi hai creduto. Mi hai fatto esporre alla pubblica vergogna, non mi hai difeso. Hai pensato che fossi in grado di rubare una collana ad un ballo. Mi hai perquisito sotto gli sguardi morbosi di questa feccia.  Hai dubitato di me e mi hai umiliato senza batter ciglio. Come un estraneo, come un insetto”
La sentiva dietro di sé, ma non rallentava il passo. Aveva le guance in fiamme. Maledetti tutti, maledetto Cavaliere nero. E lei… chi era lei?

Lo raggiunse e lo fermò, infine.

“Cosa vuoi, Oscar? Vuoi vedere se nascondo un anello negli stivali? Che c’è?”

Oscar, che lo aveva seguito senza esitazione, abbandonando la platea delle congratulazioni per l’incidente concluso, nonché del sollievo per l’evidente assenza del Cavaliere nero a Versailles, vacillò. Si dibatteva fra due necessità diverse e impellenti: mantenere l’autorità, non perdere il controllo, e al tempo stesso farsi perdonare, perché non c’era molto su cui discutere, André aveva ragione da vendere.

“Se avevi tanta paura che fossi il Cavaliere nero, non potevi chiedermelo? Lo sai che non riesco a mentirti. Avevi bisogno di questo per capire che non sono un… minus habens che si mette a rubare gioielli a un ballo? Avevi bisogno di togliermi ogni dignità? Forza, abbi coraggio, comandante: domandamelo. Chiedimi se sono il Cavaliere nero! E chiedimi dove passo le mie serate lontano da Palazzo Jarjayes. Avanti!”

“Sei tu il Cavaliere nero?” 

Le aveva pronunciate davvero, quelle parole.

André sembrò calmarsi d’improvviso.

“No, Oscar. Non potrei mai. Io sono legato alla tua famiglia, a te. Oscar, io… sono una brava persona, sono una persona onesta” e non seppe dire altro in proprio favore.

Ascoltò il vento urlare fra gli alberi. Le sue certezze sembrarono infrangersi in schegge piccole e acuminate.

E poi Oscar, immobile, iniziò a piangere. Solo lacrime, senza singhiozzi, senza movimenti e, se lui non le avesse viste, non avrebbe neppure creduto che ci fossero davvero, la voce non le tradì quando iniziò:

“André. Quel ballo cui ho preso parte travestita da donna è stato un errore, un errore madornale. Io non so più nemmeno cosa volessi o cosa pensassi. Non sai quanto è stato terribile essere lì in panni non miei, per mostrarmi a un uomo come non sono, elemosinando la sua attenzione”

“Oscar…”

“E non sai quello che ho pensato quando ho ballato con lui, André, con l’amante della mia regina, che ho amato, o ho creduto di amare, per tanto tempo. Ho sentito le sue braccia stringermi, e ho letto qualcosa nel suo sguardo, non so più cosa; e poi a quella sconosciuta che ero io ha parlato di me, sai, le ha detto che somigliava a una donna che conosceva, onesta, leale, bella…”

“Oscar…”

“E poi mi ha detto che quella donna era il suo migliore amico. Io ho interrotto il ballo, credo… non so… ho avuto l’impressione che mi avesse riconosciuta… ho avuto paura… capisci, André, non avevo i miei abiti, non ero io, non ero più neppure il suo migliore amico… sono scappata”

“Oscar!”

“Devo prendere delle decisioni, André. Devo tornare a essere chi ero. Per me è importante catturare il Cavaliere nero, essere io a farlo. Voglio dimostrare di valere quanto un uomo, più di un uomo. Voglio che mio padre sia fiero di me. Voglio dimenticare di aver dimenticato. E poi, quando ho notato che tu la sera ti assentavi, che tua nonna non sapeva dove andassi, che non mi dicevi niente… ho cominciato a pensare che fossi lui, André. E una volta cominciato a pensarlo, non sono riuscita più a ragionare, e cercavo solo conferme, perché non conosco più le persone. Non conosco più neppure me”

Lui l’aveva ascoltata con un’attenzione commossa, era il cuore di Oscar quello che gli veniva spalancato davanti, era il cuore di Oscar nella purezza della sua forza fragile, lo ritrovava adesso e tanto bastava.

“Perdonami, André” gli disse infine, sentendo di calpestare il suo orgoglio, ma pensando anche che non era stato poi così difficile.

E André si passò una mano fra i capelli, le fece un sorriso ampio, spalancò le braccia e Oscar, prima ancora di riflettere, ci si buttò.
 

Sdraiati nell’erba nella notte tiepida, a guardare la luna, solo una lieve musica di sottofondo, ecco che la Terra sembrava aver ripreso a girare per il verso giusto.

“Sai, André, mi è venuta un’altra idea per catturare il Cavaliere nero. Forse dovremmo smettere di cercarlo e fare in modo che ci cerchi lui”

“Ho paura a chiederti cosa stai pensando, Oscar”

“Domani te lo spiego meglio”

André adesso si sentiva leggero e rilassato. Aveva dimenticato ogni risentimento, non aveva più pesi sulle spalle. So rese conto di quanto poco gli importasse di ciò che era accaduto, perché a lui interessava solo Oscar, l’opinione di Oscar, la stima di Oscar; e si compianse un po’, pensando a quanto la sua tranquillità dipendesse da lei, ma senza dramma, non in quel momento. Forse doveva ringraziare quel nobile svedese, magari mandargli un omaggio floreale. Ridacchiò.

“Si può sapere cosa hai da ridere?”

“Pensavo a Fersen. Pensavo che è uno sciocco, per due motivi”

“Due motivi, dici?”

“Sì. Il primo è che portavi quell’abito in maniera incantevole, e quell’uomo deve aver un pezzo di ghiaccio della sua terra al posto del cuore per non averti rapita nel momento stesso in cui ti ha vista. Il fatto che non ti abbia riconosciuta subito dimostra che ha bisogno di occhiali, come la nonna!”

Suo malgrado Oscar sorrise.

“Non voglio più parlarne, intesi?”

“Certo, Oscar”

“Ma… il secondo motivo?”

André si alzò un po’, sollevandosi sui gomiti. La guardò in tralice e pesò bene le parole.

“Il secondo motivo è che deve essere proprio sciocco per non sapere che il tuo migliore amico sono io!”

Stavolta risero insieme, come sempre, come non avrebbe potuto essere altrimenti.
 

Poi André si rimise lentamente in piedi e si stiracchiò.

“Oscar Francois, mi hai fatto passare una serata memorabile e infernale. Mi devi una cena in un posto elegante e allegro. E mi devi pure un’altra cosa”

“E cosa, André Grandier, sentiamo!”

Inchinatosi nella luce lunare, tese il braccio e la mano:

“Mi devi un ballo, qui e adesso. Dopo tutte queste sere di tortura con damigelle urlanti e piangenti è il minimo che tu possa fare”

“Ma… André… cosa vai a pensare? Non balliamo insieme da quando il nostro maestro ci insegnava a danzare. E poi…”

“Avanti, Oscar, non farti pregare. Ti aiuterò a prendere il Cavaliere nero solo a questa condizione”

Oscar si alzò a sua volta, sgranchì i muscoli, si guardò attorno.

“E va bene, André. Cerca solo di non pestarmi i piedi!”

La cinse con un braccio, sorridendo con dolcezza rinnovata; le fece depositare la mano sulla propria, lasciandole qualche istante per abituarsi al contatto; iniziò poi a muoversi lento, ritrovando gesti antichi e un’intensità nuova, un turbamento momentaneo e silente.

Il viso di lei, accarezzato dalla luce selenica, era dolce e di nuovo sereno.

Avrebbe voluto dirle: “Ricòrdati che sei la donna, balla di conseguenza” e farla ridere, ma iniziò a volteggiare, guidandola mentre lei si lasciava guidare, e non aggiunse parola.
 
 
  
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