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Autore: sacrogral    19/01/2021    5 recensioni
Storia in cinque movimenti. Una collezione di momenti perduti, quasi tutti inventati.
A Fenice, perché è una dama d'altri tempi; a Fennec, perché è delicata.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La giornata di sole e di acqua li trovò felici e spensierati, e nessuno si preoccupò di non vederli in giro per casa perché tutti sapevano benissimo dov’erano i bambini e anche che erano insieme, a giocare e l’uno a sorvegliare l’altra.

Nel verde del loro posto segreto, nell’aria che rifrangeva prismi di colori, adesso intenti a mangiare mele e dolci, Oscar gridò seccata.

“Che succede?” scattò immediatamente lui, lasciando cadere un frutto e andandole vicino.

“Un’ape mi ha punto su una guancia!” si lamentò lei, trattenendo le lacrime con sforzo. Aveva dieci anni, era grande, doveva imparare a sopportare il dolore.

“È vero!” disse lui, osservando la gota gonfia e spostandole i capelli bagnati “Deve averti scambiato per un fiore”  ipotizzò, e aggiunse  “Ti tolgo il veleno”

Avvicinò la bocca e le succhiò la pelle, poi contemplò il lavoro fatto.

“Dovrebbe passare in fretta” la rassicurò “Aspetta, ci metto sopra un po’ di mela” aggiunse, andando a caso “È fresca, farà bene”

“Grazie, André… sto già meglio” balbettò, anche se non era del tutto vero, e lui lo sapeva.

“Sai, sei la bambina più bella e la cosa più buona che abbia mai assaggiato” le disse, sorridendo.

Sorrise anche lei: “Anche se sono un maschio?”

“Certo” affermò con sicurezza “Anche se sei un maschio”

Lei si imporporò di piacere.

“Va già meglio!”
 
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Era stesa sull’erba umida, pensando all’indomani, quando André la raggiunse, e le si sedette accanto.

“Non vai a dormire?”

“Fra un po’” disse lei “pensavo a domattina…”

“Non dirmi che sei preoccupata, o che hai paura…” le chiese, in tono leggero.

“No. Mio padre non è preoccupato, neppure io lo sono”

“E poi il duca de Germaine  è uno sbruffone, un cultore della bottiglia o, se preferisci, un ubriacone e tutto quello di cui si vanta in giro sono spacconate non sue… ed è vecchio” aggiunse, impietoso.

“Ed è un assassino” digrignò lei fra i denti “Spero di controllarmi abbastanza per non togliergli la vita. È sempre un essere umano, anche se ignobile”
“Io però non ce l’ho il sangue freddo di voi Jarjayes. Stai attenta. È una serpe”

Lei sorrise. “Il mio padrino è Girodelle, puoi aspettarmi a casa”

“Come no! Mi svegli quando tutto è finito. Non scherzare. Io vengo con te”

“Lo so, lo so” disse lei di rimando, chiudendo gli occhi nel buio, sentendo scorrere veloce il sangue con un fremito di piacere, lasciando che l’aria fresca della notte le accarezzasse il viso.

Sentì le labbra di lui sulle sue, lievi. Senza cambiare posizione, aprì gli occhi, giusto in tempo per vederlo allontanarsi, sorridente.

“E questo cos’era?”

“Un tempo, i talismani non erano cose, ma persone. Erano persone che portava fortuna avere vicino. Ecco, consideralo un portafortuna per domani. Io vado a dormire, dovresti farlo anche tu”

“Sì. Fra un po’”

Mentre si allontanava, lo sentì dire: “Sei la ragazza più bella, e la cosa più buona che abbia mai assaggiato”

Ragazza dillo a tua nonna” mormorò, ridendo.
 
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“Corri, Oscar, accidenti a te!” gridava piano, arrabbiato. Era stanco, si stava stancando di più, era sfinito.

“Certo che corro! Non lo senti? L’aria profuma di frangipane!” scherzava lei.

“Se ci prendono, diventiamo noi, frangipane! Potevi evitare di dare dell’invertito a quel giornalista, almeno!”

“Ah, un Imbuvable di troppo!” gridò lei, che non sembrava sentire la fatica.

“Sono una decina. E sono fuori controllo. E noi siamo in due… corri!”

Lei aveva lasciato il mantello alla locanda e lui aveva perduto il suo nastro. I capelli li seguivano come bandiere, e profumavano allo stesso modo, di sapone di Grasse. Chi li avesse visti, avrebbe detto che volavano, e in loro c’era un che di angelico che suscitava commozione.

Sentivano rumori alle loro spalle. Gente arrabbiata, gente resa aggressiva dal vino, gente resa aggressiva dalla fame.

“Il primo pugno lo hai dato tu, André. Non lamentarti, ora!” disse lei, allegra.

“Ti aveva messo le mani addosso…” disse lui, quasi parlando a se stesso.

“E non volevi che gli dessi dell’invertito?” rise “ Che poi, non ho detto invertito. Ho detto…”

“Oscar, corri e taci. Per piacere!”

Le prese la mano d’improvviso.

“Nascondiamoci qui e riprendiamo fiato” disse lui, scartando alla sua destra.

“Non mi manca il fiato” sottolineò lei.

“Manca a me” si arrese lui.

Erano tesi ed in ascolto.

“Troppo biondi” mormorò lui, d’improvviso “E c’è la luna piena. Copri i capelli col mantello, Oscar. Ci faranno scoprire”

“L’ho dimenticato, siamo scappati di corsa. Solo tu prendi il mantello prima di una fuga!”, precisò con ironia garbata.

“E allora a me la responsabilità di coprirti”, rispose, giocoso.

Riacquistava pian piano la calma. Allungò le braccia, la abbracciò quasi, le coprì i capelli. Sentì le mani di lei  aggrappate ai suoi polsi, sorrise, e non fece un movimento.

Osservava circospetto la fine del vicolo, cercava di captare i rumori.

“Sei prezioso, amico mio”

Un po’ sorpreso, si girò a guardarla.

Sentì le labbra di lei e prima ancora di dischiudere le sue e di chiudere gli occhi pensò che l’aria profumasse di frangipane; sentì che il fiato gli mancava davvero, e che le gambe minacciavano di tradirlo. Le sue braccia non erano più così immobili e il mantello gli scivolò dalle mani.

“E questo cos’era?”, mormorò.

“Per ringraziarti di essere il mio talismano, no?”

“Certo” sorrise “Sei il soldato più bello e la cosa più buona che abbia mai assaggiato”

Restarono in silenzio finché un raggio di luna si riflesse sui capelli di lei, e furono avvistati.

“Corri, Oscar!”  gridò, ridendo e scattando.
 
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Era tardi e lei era stanca, quando sentì bussare alla porta. Tocchi rapidi, leggeri. Il loro codice.

Imprecò fra sé, per lei poteva crepare. Poi ci ripensò.

“Non ho paura” si disse, e aprì.

André era fermo sulla soglia, la candela che aveva in mano gli donava una luce spettrale.

“Che fai, non entri?” gli disse, dura.

Lui entrò e posò la candela su un ripiano.

Si mantenne accanto alla porta, le braccia lungo i fianchi, rigido.

“Sei tornata stamani, ma non ti ho vista per tutta la giornata, e domani non ci sarà occasione” iniziò, sottolineando l’ovvio “Oscar, volevo dirti che mi dispiace”

Lei gli voltò le spalle.

“Lo hai già detto, mi pare. E io ti ho detto che volevo dimenticare. Cos’è, oltre all’occhio hai perso anche la memoria?”

Si morse il labbro: questo non avrebbe dovuto farselo sfuggire. E poi si disse: “Perché no? Se si combatte, si picchia dove fa più male”.

Lui sentì una fitta di dolore al costato.

“Hai ragione. Ma volevo dirtelo lo stesso, di nuovo”

In realtà, voleva vederla. Non la vedeva da due settimane, aveva sentito un bisogno fisico di vederla. Adesso che l’aveva davanti, andava già meglio, malgrado tutto.

Lei si voltò a guardarlo.
Sentiva il sangue infiammarle il volto, voleva restituirgli l’umiliazione inflittale, e aveva solo le parole come arma.

Voleva vendetta.  
                                           
“Per cosa ti dispiace di preciso, André? Dei segni che mi hai lasciato addosso? O di avermi detto che mi ami, e da sempre” si lasciò andare a una risata, come se avesse detto qualcosa di molto buffo, di irresistibilmente comico “Non tessevi gli elogi di quelli che soffocano i sentimenti? Non dicevi che Fersen avrebbe dovuto soffocare ciò che provava per la Regina?” rise di nuovo.

Lui sentì una fitta alla testa, pensò che sarebbe morto in quel momento, e magari sarebbe stato un guadagno. Attese per un po’ in silenzio, guardando a terra.

Lei intanto ripensò alla prima sera, in Normandia, quanto si era svegliata nel cuore della notte, con la sensazione netta che lui stesse per arrivare; aveva toccato l’impronta di un morso fra il collo e la scapola; aveva ricordato di aver soffocato un gemito, quando lui gliel’aveva lasciata, e le era venuto da vomitare.

“Mi dispiace” disse lui, infine. Non trovava le parole.

“Non credo neanche molto a questa profondità di sentimento, sai, André? Di’ la verità, chissà quante volte, alle tue riunioni coi figli del popolo, avrete parlato di quanto sia vergognoso essere nobili. Chissà quanta rabbia verso gli aristocratici avete nel corpo. Chissà quanta voglia di prendersi soddisfazione, in qualunque modo…”

Era un colpo basso. Ma non poteva farne a meno.

Lui allungò una mano, d’istinto, senza muovere un passo. Gli era chiaro, voleva vederlo  in lacrime, voleva vederlo in ginocchio. Non si sarebbe fermata, lei non lo avrebbe fatto.

“Oscar, ti prego. Non pensarlo neppure. Io per te…” darei la vita, darò la vita, anche adesso, se vuoi. Ma interruppe la frase. Non voleva sentirla di nuovo ridere di lui.

Lei intanto ripensò alla seconda sera, in Normandia, quando si era svegliata nel cuore della notte, madida di sudore, gridando il nome di lui. Non si toglieva dalla testa la sua voce sconosciuta, le sue parole sconosciute. Fu investita da nuova ondata di rabbia.

“Sai qual è la cosa interessante? Che non ce l’ho con te. Davvero. Non mi importa niente. Non ho pensato a te nemmeno una volta. Ho pensato a un altro uomo, e ora non penso più neanche a lui” fece un gesto elegante con la mano, ricamando l’aria “Come vedi, è tutto a posto. Ovviamente non provo nulla per te. Do per scontato che non ne parleremo mai più”

Distaccata, distaccata. Era la strategia migliore. Contrapporre il gelo al fuoco. Il gelo vince.

“Va bene, Oscar. Io…” e ancora, inciampava sulle parole, mentre assorbiva quelle di lei- non ho pensato a te neanche una volta, ho pensato a un altro uomo. Ovviamente, non provo nulla- “… vado”, terminò la frase.

Lei intanto ripensò alla terza sera, in Normandia, quando era andata a passeggiare di notte, e le strade erano deserte, e lei aveva ripercorso passo dopo passo una vita trascorsa con lui al suo fianco, e si era sentita debole. Neanche per un minuto aveva pensato al conte di Fersen, ricordò con astio.

Era un po’ delusa, adesso, di vederlo così controllato. Allora, forse non l’amava abbastanza. Forse non stava così male per lei. Forse lei aveva sofferto di più.

“André… prima di andartene, puoi darmi un bacio”

La mano di lui, che teneva la candela, tremò. Era una prova. Una prova per cosa? Si sentiva un macigno addosso.

Lei vide la fiamma oscillare come se fosse mossa dal vento, ma non il volto di lui, coperto dai capelli.

“Che c’è di strano? Giuda non tradì con un bacio?” disse lei, stringendosi nelle spalle “E questo mi sembra un addio. E non dirmi che hai paura. Sei così sprezzante del pericolo, quando vuoi” terminò, tagliente.

Lui la osservò. Era bellissima. Era l’unica. Sentiva un dolore lancinante addosso, ma non capiva da dove venisse. Gli sembrava di avere tutto il corpo trafitto da lame.

“Non è un addio, Oscar, è tutto fuori che un addio” si ripeteva.

Le si avvicinò senza toccarla, senza guardarla. Poi osservò il suo viso inespressivo.

Non mutò espressione e non chiuse gli occhi, quando sentì le labbra di lui, morbide, lievi e tremanti, posarsi sull’angolo della sua bocca. Labbra addomesticate, questa volta.

“Sì” pensò “Sta male. Soffre. E mi vuole bene, come sempre”

Si allontanò ancora guardandola, e sulla porta le disse piano: “Sei la donna più bella, e la cosa più buona che abbia mai assaggiato”
Appena fu uscito, lei si gettò sul letto e si toccò le labbra.

“Va’ al diavolo”, disse, fra sé e sé.

Lo avrebbe rivisto due giorni dopo, in divisa,  passando in rassegna i suoi soldati.
 
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“Cammina, cammina, metti un piede davanti all’altro. Ti guido io. Andiamo via!”

Sentiva la sua voce vicina e lontana al tempo stesso, gli risuonava nelle orecchie come proveniente da un’altra galassia, ma lei era lì, lo trascinava e  stavano uscendo da quell’inferno che era Saint-Antoine. Non metteva niente a fuoco, si fidava, aveva ancora le mani legate dietro la schiena e aveva ancora la testa attaccata al collo, nessuna delle due cose gli sembrava scontata.

“In fretta, André, in fretta”

“Facile a dirsi” pensò, immerso nel buio, la polvere che gli raschiava la gola, la forca improvvisata ma certo efficace come ultima immagine impressa. Camminare alla cieca, non inciampare nelle sue stesse scarpe, stare in equilibrio.

“Ironia della sorte” pensò “Per una volta che mi scambiano per un nobile, è il momento in cui dei nobili si vuole la pelle”. Ma lei stava bene. Lei era stata più brava.

“Non doveva” realizzò, in un momento di lucidità e di panico “Non doveva tornare indietro per me. Doveva già essere al sicuro, distante” e quasi si bloccò.

“Muoviti, André, muoviti” lo incitava lei, e lui obbedì, sentendo delle fitte alla spalla su cui era rovinato, quando d’improvviso e senza apparente motivo tutte quelle mani callose e forti di onesti cittadini, e lavoratori, e padri di famiglia, avevano mollato la loro presa; giustiziato dal popolo, si disse, proprio lui, che magari con qualcuno di quelli ci aveva pure spezzato il pane, condiviso ricordi. Ma lei stava bene. Solo questo contava.

Si trovò infine appoggiato a un muro silenzioso, e quel silenzio gli parve benedizione; la vista gli si schiarì e rimase incantato, per qualche istante, a fissare un dente di leone che cresceva in una crepa- gli parve un miracolo.

“Stai bene? Stai bene?” chiedeva lei, e lui si riscosse.

Oscar non diceva altro, lo ripeteva a intervalli brevi e regolari, lo toccava a scatti nelle braccia, nelle spalle, addosso, ad accertarsi che fosse intero, e poi ancora “Stai bene?”

La chiamò tre volte prima che lei si fermasse e tacesse.

“Sto bene, sono ammaccato ma sto bene. Sono un perfetto soldato, eh?” scherzò.

“È colpa mia. Io ho voluto prendere la carrozza. Io ho voluto portarti con me. Io…”

“È tutto a posto, Oscar. Adesso è tutto a posto”

La sua voce era gentile, era musica.

“Sì” confermò lei, con la voce che le si spezzava “Adesso è tutto a posto”

“Ho un coltello nello stivale. Alain insegna. Prendilo, liberami le mani. E spiegami come hai fatto a sfuggire alla folla. Sei un guerriero nato”
Ma lei non si mosse, lo guardava, voleva esser sicura che fosse reale.

Lui in quel momento possedeva la bellezza di cui sono capaci solo i vinti, pensò, e la limpidezza delle cose salvate.

“È arrivato Fersen, si è trascinato dietro quella gente inferocita. Sono venuta a cercarti immediatamente, André”

Gli sfuggì una smorfia di dolore, breve e fuori luogo. Osservò di nuovo, davanti a sé, il dente di leone che fioriva sereno e disinteressato a ogni dramma umano.

Fersen, naturalmente. Al momento giusto e opportuno.

Doveva solo essergli grato. Si era gettato in pasto al popolo, buon vecchio conte Hans, per salvare un miserabile membro del popolo stesso. Solo grato, ripeté a se stesso. Grato per più di un motivo.

Riportò lo sguardo su di lei e non fece in tempo ad aggiungere una parola, perché con stupore sentì le labbra di lei che si serravano sulle sue, e percepì tutto l’affanno e il sollievo del bacio che lo avvolgeva, e le mani di lei sul suo viso, più un affondo che una carezza, a rassicurare se stessa più che lui, lei che non aveva sorriso neppure una volta, ancora. Forzò inutilmente le corde alle mani, voleva abbracciarla, non poté, si abbandonò a lei. Perse ogni contatto col tempo, ritrovò ogni contatto con lo spazio.

“Sei la cosa più buona che abbia mai assaggiato” le disse, felice come un naufrago, e poi azzardò “Sono ancora il tuo talismano?”

“Non lo so cosa sei” disse lei, ancora senza sorridere “So solo che sei mio”
 
  
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