Anime & Manga > Lady Oscar
Ricorda la storia  |      
Autore: sacrogral    19/01/2021    3 recensioni
Storia che inizia dove "Il generale comprende" termina e che si intreccia a "Non ho più bisogno di te". Un incastro, insomma. Linguaggio crudo a tratti. Vesto il testo di arancione a causa dei riferimenti alla storia precedente.
E voi a cui la dovevo, lo sapete che ve la dovevo.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“Riuscivo solo a pensare: E quando egli morirà, prendilo e taglialo in piccole stelle, ed egli renderà così bello il volto del cielo che tutto il mondo si innamorerà della bellezza della notte

“Ma…come?” le dice “Pensi alla poesia, in questa tragedia? Non capisco…”

Ed era proprio così, gli sfuggiva il punto. Avrebbe compreso il sospiro di sollievo, lei avrebbe persino potuto ringraziarlo, perché si era esposto davanti a suo padre, con un incedere vilano e consapevole, certo, e si era spinto fino all’audacia: ma parole alate, in quel momento, non se le aspettava.

Spiazzato, con quella pistola ancora in mano, rivolta a terra, ormai inoffensiva, in attesa del responso delle Loro Maestà, ecco, quelle non se le aspettava.

E mentre cercava di capire se avesse fatto qualcosa di sbagliato, di davvero sbagliato per lei, che lo guardava adesso in modo obliquo, cercava- come un ragazzo- di parafrasare il tutto, per comprendere il messaggio recondito, il segno sotto il simbolo, mentre la tensione si ritirava come un’onda e i suoi muscoli si scioglievano e lui stesso riprendeva a respirare.

Ghiaccio nelle vene, doveva aver lei, per declamare versi, quando la sua vita ancora sembrava essere appesa a un filo, e lui non aveva più niente da offrire se non il conforto della presenza, se conforto era.

Ma Oscar non rifuggiva le parole, non stavolta. Le fu facile dirgli, a lui incredulo e attonito, quasi sperduto in un sogno fuori dal tempo, quanto fosse per lei importante. E l’affermazione in sé, già preziosa e consolatoria, già bastevole a confermargli il senso di una vita intera, si dilatò prima, per concentrarsi poi, e trovare la sintesi, la sua quadratura, nelle lettere dell’alfabeto gettate fuori di getto, da una voce non incerta ma affannata, disabituata al loro uso. “Io ti amo” gli aveva detto, senza guardarlo, ma senza incespicare e senza esitare, lasciando a lui l’onore e l’onere della risposta.

E André, che credeva di essere pronto per quello da una vita intera, che era vissuto per quello, sullo svanire dell’ultima lettera rivide se stesso.

“Non ho più bisogno di te”, questo gli aveva detto.
Doveva esser rimasto immobile e gelido sul posto, senza che lei se ne accorgesse, dato che gli dava le spalle.
E allora glielo disse che una donna sarebbe stata sempre una donna, che non è possibile forzare con la volontà ciò che il Fato ha disposto, non è concesso a un padre folle, neppure a una figlia umiliata e delusa; e glielo disse in maniera elegante, cercando di pesare le parole, di non perdere il controllo, mentre pensava anche che la sua vita gli scivolava fra le dita e dall’indomani sarebbe stato tutto diverso, più opaco, senza di lei.

“No” mormorò, fra sé e sé.

Nella mente di lui intanto si affollavano immagini che scorrevano senza che le vedesse; era appena consapevole delle parole che lo investivano, graffianti e gridate, ma sempre più lucido riguardo al tepore della carne di lei, lei bloccata dalle sue mani solide anche se un po’ tremanti.

“No” disse, a voce più alta, tanto da farsi udire da lei, che quasi attonita gli rivolse il bel viso, nello stupore del momento, della risposta inattesa.

“Adesso mi scuso e me ne vado” si disse, mentendo, abbassando il viso a guardarla per un tempo che gli parve eterno- forse troppo consapevole del tepore dei suoi polsi, forse troppo conscio della bellezza di lei; e poi, come se in quel gesto rendesse concreti una serie di pensieri a lungo ruminati nella sua testa, come se lo facesse per spiegare e non per quel desiderio insensato di prendersi quello che riteneva suo da sempre, con gesto brusco che rasentò la brutalità, la baciò.

Come colpito dalla saetta del ricordo, che lo trovò privo di difese, avrebbe voluto gettarsi a terra disperato, anziché reagire come mille volte aveva pensato di fare, sognando e provando nella sua testa quel momento nel corso di notti insonni e infinite, giocando con i dettagli e cambiandone uno ogni tanto, addormentandosi all’alba col solo pensiero di lei a cullarlo.

La sentì irrigidirsi nella sorpresa, combattere a stento quel contatto non voluto, mentre le stringeva ancora i polsi tanto- adesso sì- da farle male, attirandola verso di sé con una furia che non credeva di poter provare, e che si illuse di controllare: “Adesso mi scuso e me ne vado” si disse, mentendo, perché già forzava la resistenza di lei, passo dopo passo, consapevole.

“No, Oscar” e stavolta quasi urlò, stavolta era spaventato, la sua mano che non aveva tremato minacciando della vita l’uomo che considerava come un padre, provando un disdegnoso gusto nell’insistere della canna della pistola contro chi voleva fare del male a lei; quella mano adesso tremava,
lasciando cadere l’arma che ancora teneva senza motivo, prima di chiudersi a pugno, e sentire il disgusto verso se stesso montare ancora e ancora.

La spinse sul suo letto con una facilità di cui si stupì, si ritrovò a lottare col corpo di lei e anche con il proprio, pensando, nell’attimo in cui lei spaventata minacciò di chiamare aiuto- ma a stento la sentì- pensando dunque che in certi momenti le classi sociali appaiono una ridicola convenzione, che la pelle di una donna appartiene a un mondo unico, quello femminile, che sotto il corpo di un uomo una femmina è creta da plasmare, universo da scoprire; e fu facile tenerle ferme le braccia, far aderire così profondamente il suo corpo a quello di lei- i pieni che riempivano i vuoti- senza lasciarle le labbra che adesso non dovevano servire per parlare, ma solo a dare piacere a lui.

E la sua mano colpì il muro, con violenza, senza razionalità, tentando di ritrovare lucidità col dolore, e finì per appoggiarvisi, a quel muro, nascondendo il volto e cercando conforto, non permettendo alle lacrime di forzare le sue difese ma lasciando alla voce la libertà di spezzarsi, quello sì.

“Adesso, Oscar, ti mostro cosa vuol dire essere un uomo, vuoi?”

“Io non lo merito, Oscar, io non merito questo” disse, sperando che lei uscisse dalla stanza, sperando di dimenticare.

E lei fraintese quel suo ritrarsi, non capì la sua fuga immotivata; e si chiese se lei stessa non avesse forse sbagliato a decifrare lui, malgrado tutto sembrasse esserle così chiaro, le fosse sempre sembrato addirittura limpido, e incrollabile, come lo sono le certezze acquisite senza sforzo.
Se lo chiese però, col dubbio che sussurra sempre a coloro che amano, che mai di nulla son sicuri. Ma sentì che toccava a lei esporsi, stavolta. E che le era richiesto un tipo di coraggio diverso da quello che serviva per affrontare un duello. Si domandò se volesse indietreggiare e si rispose, proprio mentre iniziò a avvicinarsi a lui, così inutilmente disperato e così magnifico nella sua disperazione, che non ne aveva nessuna intenzione.
 
E lui, sentendo quel corpo così tanto immaginato sotto le sue dita, così inerme sotto di lui che se lo imprimeva a fuoco nel cuore, non provò più neppure a mentire a se stesso: “Mi piace quello che sto facendo, lo desideravo, lo posso fare, lo faccio” pensò, accarezzandola dove poteva, senza grazia, attraversando quella camicia che a lui sembrava troppo pesante, inutile, e sentendo la pelle di lei calda come quella dei polsi e fatta per essere toccata da lui- pensò.

Gli spostò un braccio, per andare volutamente a incastonarsi in quell’abbraccio che non era un abbraccio, perché lui con attenzione non la sfiorava e non era neppure sicura che la vedesse, con lo sguardo velato e perduto dietro non sapeva cosa, anche se credeva di immaginarlo.

Lei quasi non si dibatteva più, incredula e pietrificata nella sorpresa di una situazione che non era  preparata a gestire e neppure a comprendere, mentre le carezze e quella cosa che lui stava facendole, che doveva essere ciò che si chiama baciare, la stavano turbando in qualche modo oscuro, turbamento soffocato da quella paura ancestrale che la spingeva a cercare di riflettere, ma senza costrutto.

“André, guadami” lo richiamò da quell’universo lontano dove sembrava essersi smarrito e dal quale voleva tornasse da lei in quel momento, come era stato con lei per tutto il tempo in cui aveva tenuto suo padre sotto tiro, come era stato con lei quando le aveva ricordato della serpe uccisa, come era stato con lei sempre “Io, una volta, ho amato Fersen, anche se lo sapevo che tu mi volevi bene. Che tu mi amavi. È per questo che ti ho perduto?”

E lui, impazzito, dimentico di qualsiasi cosa che non fosse il piacere di quel momento- “Non mi fermo” pensava “Domani mi ammazzo, ma adesso lei è mia

E lui la guardò, tornando al presente, lasciando sedimentare il significato di ciò che lei diceva lentamente, e pur comprendendo, ma con uno sforzo abnorme; quasi lei parlasse una lingua appresa sui libri, non esercitata parlando con la mamma e la balia:

“Oscar, che dici? Perduto? Tu non puoi pensare questo. Io… sono venuto al mondo solo per amarti, Oscar. Io non so fare altro che amare te”

mormorò- poteva parlare, sì, questo poteva dirglielo- chiudendo gli occhi e poi riaprendoli, stringendo i pugni, avvicinando il viso a quello di lei e poi bruscamente allontanandolo “Ma io non merito il tuo amore… non merito neppure la tua stima… Oscar, io sono un mostro”

..e poi le posò la mano sulla bocca perché sapeva che adesso avrebbe urlato, adesso sì, e le sussurrò piano, con la voce della notte: “Pensi ancora di essere un uomo, Oscar?” e prima ancora che lei facesse un movimento aggiunse: “Dimmelo, comandante: preferisci che ti prenda come una donna, oppure come prenderei un uomo?”

“Sono un mostro” ripeté, guardandola, così vicina e sorpresa, così bella e mai divisa da lui; e lei sorrise, sollevata dal proprio errore, felice di comprendere quanto lui, come sempre, pensasse a lei e non a se stesso- perché questo lui credeva, di essere lui a non meritare lei, lei che senza di lui ormai non sapeva neanche immaginarsi, lei che aveva riconsiderato tutto, eccetto il sapore del di lui essere al fianco di lei. Lui che aveva chiesto perdono e il cui bacio era l’unico desiderato.

“André, tu sei tutta la mia vita. Tu sei l’uomo che è nato per essere mio”

E lui, senza esser ben cosciente di ciò che faceva, le avvicinò il viso, lei poteva sfiorare le sue labbra ma nulla più, sentiva che aveva gli occhi chiusi e i denti serrati, sentiva che tratteneva a stento il pianto, come quando da bambini lei lo sfidava a far qualcosa che lui non voleva, ed esitava prima di farla puntualmente, ma chiudeva gli occhi, e stringeva i denti, anche se mai era così vicino, così a un soffio.

E fu semplice allora lasciar esaurire il momento, sentirla piegata e afferrare quella camicia che non sopportava più, che era solo un ostacolo da niente, strapparla con forza e finalmente, finalmente vedere…

“Sono un animale, Oscar. Tu avresti dovuto farmi morire in prigione, avresti dovuto uccidermi… tu avresti dovuto…” e le parole gli vennero meno, e desiderò di essere morto, e per la prima volta in vita sua desiderò pure che lei fosse lontana, che non lo guardasse mai più; essere ucciso dal generale, lasciare quello come ricordo di sé a lei, che allora, forse, lui avrebbe meritato la sua pietà.

“André, guardami” gli disse ancora, e lui obbedì perché seguiva sempre la voce di lei, ma non avrebbe voluto neppure quello.

“André. Adesso pensa solo a me. Io ti amo. Ti amo di un amore forte e maturo. Ti amo di un lungo amore. E ti desidero. Io… credo di desiderarti tanto. Io vorrei trascorrere tutta la vita con te”

Cercava parole cui non era abituata, lei, e faceva fatica a trovarle. Si rifugiava in quello che sentiva, pregando che lui capisse anche più di quel che lei diceva, lui che riusciva ad udirla a distanze inimmaginabili, e ora esitava a capire mentre la sfiorava, e solo sfiorandola appena lei sentiva il bisogno di baciarlo, e voleva solo che lui passasse quello scarto che li divideva, lo passasse un’altra volta, e perché lo voleva lei.

Lui la guardava ancora incerto, come davanti a un miracolo, temendo ancora che lei parlasse sì ma senza rendersi conto di quel che diceva, magari intendendo altro, sull’onda dello spavento o dell’emozione, o della gratitudine, o di qualsiasi altra cosa. Sentiva caldo e sentiva freddo. Aveva paura. E sentiva quel demone dentro, quello che costantemente lo invitava a osare, che non lo lasciava mai solo, che lottava sempre con lui; che lui aveva rinchiuso in recessi bui e segreti, ma che adesso sembrava mormorare una litanìa: “Fallo, fallo… dopo aver minacciato suo padre con una pistola… ricattala… fallo, dice di volerlo… e poi lei ti odierà per sempre… ma tu fallo lo stesso, animale di un servo, fallo, un’altra dannata volta, vigliacco di un guercio…”.

No, aveva giurato, mai, mai.

Si avvicinò a lei tremando, le sussurrò piano, sentendo il calore della pelle della guancia e con la voce della notte: “Oscar, non sai cosa dici. Sapessi lo sforzo che faccio sempre per non guardarti come se tu fossi l’ultima cosa bella rimasta al mondo; non sai che sforzo che faccio per non sentire dolore al cuore tutte le volte che ti allontani; e non sai che sforzo faccio adesso, a non toccarti, a non strapparti di dosso questi vestiti per sentire ancora te sospirare…  tu non sai cosa sogno di fare… non sai cosa oso… io sono anche questo, Oscar…”

E fu lei a rompere ogni indugio, e lo strinse forte sé, quel corpo ancora contratto e forte, che non tremava di fronte a niente se non a lei, e glielo disse ancora: “Lo so, André, che sei anche questo. E voglio anche questo. Io ti amo. Io ho bisogno di te” e lo sentì respirare forte, tre volte, prima che staccasse le braccia da quel dannato muro, prima che ci credesse, prima che quelle braccia le stringesse attorno a lei, possessive, prima che, infine, con gli occhi ancora chiusi ma col sorriso sulle labbra, la baciasse; e le sue labbra erano morbide e tiepide, e il bacio dolcissimo e privo di paure.

E si dimenticarono che ancora ignoravano le decisioni della Regina, scordarono di essere nella stanza del generale, la pistola a terra non aveva alcun senso, l’orologio non aveva motivo di scandire il tempo, l’aria aveva il profumo del maggio odoroso, la prospettiva mutò.

E allora risero entrambi, entrambi come se non avessero mai riso prima in vita loro.
 
 
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lady Oscar / Vai alla pagina dell'autore: sacrogral