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Autore: sacrogral    19/01/2021    6 recensioni
Il titolo è dantesco (di dantesco c'è solo quello) e Dante va lasciato a LaCittaVecchia, che ha fatto un gran lavoro e mi auguro che lo stia tuttora facendo, perché manca il Paradiso e, non fo per sollecitare, però...
La storia era per Mina, per Fiamma, per Beatrice: è ancora per Mina, per Fiamma, per Beatrice.
Per la ragazza che si firma Clauridice: mi avevi detto di mettere l'OOC, e io l'avevo fatto; ma rileggendo la storia, non mi è sembrato opportuno. Penso che non ti sia piaciuta per le immagini, per un certo realismo a tratti forte - il testo non è molto rassicurante. Ho tenuto conto della tua opinione, ma da autore non mi è sembrato nelle mie corde, stavolta, il Fuori dal Personaggio. Faccio per giustificarmi: quella bandiera rossa sventolava con una certa dignità sul mio maniero.
A proposito della storia,: Muri incrostati di salnitro. Niente finestre. Impossibile pure capire se fosse giorno o notte. Una candela, una, singola, a illuminare parzialmente – molto parzialmente – la stanza. Qualche rumore, qualche scricchiolio. Forse un topo.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Muri incrostati di salnitro. Niente finestre. Impossibile pure capire se fosse giorno o notte. Una candela, una, singola, a illuminare parzialmente – molto parzialmente – la stanza. Qualche rumore, qualche scricchiolio. Forse un topo.

I sensi di Oscar Francois de Jarjayes erano allertati, i muscoli tesi. Ma in ritardo. Lo fossero stati prima, non si sarebbe trovata lì, adesso. Forse due metri per due, quella cella. Il pagliericcio pieno di pulci.

Era quasi sicura di trovarsi ancora a Palais Royal. Forse un loculo nelle stesse cantine in cui era stata presa di sorpresa. Impossibile sapere se fosse giorno o notte. Non le capitava spesso, di non fiutare il pericolo a distanza. Si era rilassata troppo. Quei giovani che parlavano di musica, di letteratura, di arte. Lei che citava Catone e Virgilio. Qualcuno che le consigliava di leggere il Contratto sociale di quel Jean Jacques Rousseau che sembrava aver conquistato i devoti dei Lumi. Il duca D’Orleans, il liberale, l’amico del popolo, che sembrava prendere con filosofia l’etichetta di ‘nemico della Corona’.

Lei che si era fidata. Un errore, un errore molto grave.

La prima regola per fiaccare la resistenza di un prigioniero è indebolirlo. Nel suo caso, metterla a pane e acqua. Lasciarle un vaso da notte scrostato per i suoi bisogni. Era quello che più la provava, anche se loro  potevano non saperlo. Poi, la seconda regola. La tortura vera e propria. I pugni, di solito, per cominciare. Far saltare un paio di denti mentre si parla del più e del meno.  Per adesso, ancora si rivolgevano a lei come ad un uomo. Ma se qualcuno le avesse tolto la giacca della divisa? A Versailles, si mormorava su di lei, ma pochi avevano delle sicurezze. Il generale suo padre non aveva mai un’incertezza nel parlare di lei al maschile. Respirò forte, ridusse gli occhi a fessure. La situazione non era ancora a questo punto. Forse un modo per scappare l’avrebbe trovato.

Il Cavaliere nero non si era ancora presentato a lei. Sorrise amara. Altra regola non scritta: prima si mandano avanti gli emissari, gli ambasciatori, e solo alla fine si scomoda il sovrano in persona. Se fosse stato intelligente, con lei ormai indebolita e umiliata, avrebbe assunto un atteggiamento amichevole, quasi paterno. Avrebbe spiegato la necessità di fare quel che stava facendo, ma che faceva più male a lui che a lei; e poi il bisogno che la sua causa – ottima e nobile causa – aveva di quei fucili, di quelle armi che rappresentavano il valore della sua vita. La sua vita valeva mille fucili. Un bel discorso ben strutturato, parole scelte, per convincerla che non c’era niente di disonorevole, che quella lettera di richiesta a suo padre era cosa assolutamente naturale. Minacce vaghe, assai vaghe, nel caso di rifiuto. Poi, chiaramente, l’inferno.

Quanto tempo aveva a disposizione? Perché lei, comunque, aveva già deciso. Non si sarebbe piegata di fronte al dolore, né di fronte alle lusinghe, men che meno di fronte alle promesse. Avrebbe potuto morire di inedia senza fare una piega. Potevano toglierle la sua bellezza, subito, senza ottenere niente. Ricordò, nelle intermittenze del pensiero, quando la Marchesa du Barry aveva minacciato di sfregiarle il volto. Per la signora, la Favorita, doveva essere la più terribile delle paure. E lei era andata incontro al coltello, impugnato con mano incerta, finché quella donna stessa non lo aveva scostato, inorridita. Eppure il tempo può trasformare una cicatrice in un segno di bellezza. Si toccò il viso, la pelle alabastrina. Osservò l’oro dei lunghi capelli. Una bellezza inutile, cui era affezionata perché era la sua. Però, tutto sommato, inutile e frutto del caso. Avrebbe potuto rinunciarvi.
André stava cercando di salvare il suo occhio, quella era faccenda ben più seria. Con una fitta di dolore, lo immaginò a Palazzo Jarjayes, bloccato a letto, le finestre socchiuse o sbarrate, lui a guardare il soffitto domandandosi perché ancora non fosse passata a salutarlo, a parlare con lui al buio, a cercare di sdrammatizzare con sorrisi e ricordi e progetti. “Non sono ancora passata solo perché non posso, te lo giuro”, mormorò. Se il medico non fosse stato chiaro, se il dottor Lassomme non fosse stato diretto e brusco, adesso André sarebbe già lì, a tirarla fuori da quel loculo con ogni mezzo. Imprecando e rimproverandola perché si era mossa come un lupo solitario, senza di lui – sconsiderata Oscar, audace Oscar, Oscar senza un briciolo di criterio. Ed avrebbe avuto ragione, perché il desiderio di catturare quel ladro adesso era diventato un fatto personale, che rasentava la voglia di vendetta e quindi annebbiava la ragione.

E poi, si era fidata.

Udì il rumore di passi che si avvinavano e non si mosse. Entravano sempre in due, uno armi in pugno, l’altro caraffa d’acqua e pane raffermo, per osservare e poi riferire. Era la terza volta che riceveva visite. E ancora sarebbero rimasti delusi, si disse. Cibo intatto, così come la carta e l’inchiostro lasciatole in bella vista. Quanto tempo aveva?

La porta si aprì con un cigolare pesante. Due ragazzi, ancora una volta. A volto scoperto e uguali a mille altri. Si impresse le facce nella mente perché non si sa mai. Calcolò mentalmente se fosse il caso di provarci: tentare di disarmare quello armato, che tanto esperto non sembrava, e giocare sull’effetto sorpresa. Ma all’altro non ci sarebbe voluto niente a colpirla alle spalle. Era grosso, certo lento, ma grosso. Desistette.

I due presero atto in silenzio, lasciarono quello che dovevano lasciare, la osservarono.

“Mia sorella lavora per un nobile” disse d’improvviso quello grosso, con una bella voce, senza guardarla “Quel verme l’ha vista nelle cucine, e ha voluto provare piacere urinandole sul viso. Mia sorella ha quattordici anni. Ha pianto per una settimana”. Oscar sentì le mani che iniziavano a tremarle.
“Anche il mio fratellino lavora per un nobile. Fa l’apprendista cocchiere. Un giorno il suo padrone, scendendo dalla carrozza, si è infangato le scarpe. Ha preteso che gliele pulisse mio fratello. Con la lingua”, aggiunse l’altro, tenendola sotto tiro.

Lei sbiancò.

“Vedi, comandante, – riprese quello grosso – noi, i nobili li odiamo. Se non mangi ci va benissimo, se non scrivi ancora meglio. Siamo pronti a rinunciare a quei fucili, qualche santo sarà. Usarvi lo stesso trattamento che voi usate a noi, questo ci darebbe soddisfazione”.

E solo allora la guardò in faccia. Oscar si sorprese a non riuscire a sostenere lo sguardo. Non era la paura, capì, era la vergogna.

“Io non sono così”, mormorò, appena i due furono usciti. Aveva voglia di gridarglielo in faccia, che non era così e non lo era mai stata. Che non si trattava di nobili e plebei, di classi sociali, di ricchezze personali – dei singoli, si trattava. Cosa credevano, quei due, che lei apprezzasse tutti i nobili che vedeva? Che bastasse un titolo davanti a un nome, per impressionare lei? Lei, che aveva sfidato a duello il duca de Germaine, che aveva rischiato la vita per rovinargli la mano destra, con cui aveva freddato un bambino che moriva di fame.

Ristette.

“Io non sono così, ma il duca lo è”, pensò. Ammazzare un bambino come si ammazza una lepre. È facile, vedendo questa scena, odiare tutto e tutti.
“Io non sono così”, ribadì “Non mi potete far pagare colpe non mie. Insaponate una corda e impiccatemi, ma per quello che sono, non per quello che rappresento. Perché quel che rappresento ai vostri occhi mi fa orrore.”

Ripensò ad André, steso sul letto, con lo sguardo al soffitto, con l’occhio bendato. “André, mi sono inzaccherata gli stivali, puliscili con la lingua!” – sai le risate – “Ma certo, Oscar. Prima però fammi vedere cosa intendi di preciso. Anche i miei stivali sono un po’ sporchi.” “Allora baciami la mano con devozione”… interruppe il dialogo immaginario, ma non spense il sorriso.

Quello invece lo avrebbe fatto.

Sì, le avrebbe preso la mano, senza trovarlo strano né buffo e senza sentirsi offeso dalla richiesta. Poi si sarebbe chinato, passando dall’ilarità alla serietà, e la sua mano nella mano dell’amico sarebbe diventata qualcosa di prezioso. E non avrebbe solo accennato il gesto, sfiorando la pelle col respiro, non avrebbe invece avuto alcuna esitazione a deporvi le labbra, rendendo omaggio alla sua mano femminile con spontaneità. “Va bene così, Oscar?”, le avrebbe chiesto poi, tenendo ancora la mano nella sua con delicatezza, niente affatto urtato dal contatto con la mano di un colonnello, senza un pensiero al fatto che a lei nessuno baciava mai la mano, casomai era Oscar de Jarjayes a salutare così le belle dame. Eppure, ne era sicura, André non avrebbe fatto una piega. Avrebbe detto che la sua mano profumava come i gelsomini. Poi, forse, avrebbe lasciato una lieve carezza, col polpastrello del pollice, alla sua mano – “Va bene così, Oscar?”

Bevve un sorso d’acqua, la sua gola era piena di schegge.

La sua mano di donna. André non la odiava. André non odiava i nobili, non odiava nessuno. André comprendeva il vuoto, gli echi e le ombre. André disteso, intontito dai medicinali, al buio. Lei in una cella al buio. Quanto tempo aveva? Quanto doveva resistere, prima che le ricerche si attivassero? E quanto prima che qualcuno mettesse in relazione Palais Royal con lei? “Sì, il comandante de Jarjayes è stato ricevuto nel mio salotto, che è aperto a tutti” sentiva rispondere il Duca d’Orleans al tenente Girodelle, la fronte di lui aggrottata “e se n’è andato soddisfatto. Non ho idea dove, naturalmente”. “Naturalmente”, avrebbe detto il giovane conte, poco convinto ma impotente. Quanto tempo, prima che qualcuno trovasse il coraggio o il modo di tentare di perquisire il Palazzo del cugino del Re? Scosse un po’ la testa. Non lo aveva, tutto questo tempo.

Una bambina di quattordici anni, pensò. Con i capelli biondo cenere, come suo fratello. “Ha voluto provare piacere…” Buon Dio, doversi vergognare. Dover aver voglia di vomitare per colpe altrui, per uno scherzo del destino, per un certo tipo di antenati.

Sentì la porta aprirsi di nuovo. Questa visita era imprevista. Troppo poco tempo dalla precedente.

Realizzò nello stesso istante in cui l’uscio si spalancò e mostrò la figura avvolta dal mantello che si trovava adesso davanti il Cavaliere nero in persona. Da solo e con una via di fuga lasciata aperta. Non c’era limite al suo sentirsi invincibile, alla sua supponenza. Nemmeno decise se valeva o no la pena, gli si gettò contro a pugni chiusi e testa bassa. Realizzò soltanto che voleva cavargli un occhio. Che la lasciasse pure morire lentamente, dopo.

Si sentì fermare con decisione, le braccia bloccate e lo slancio trattenuto – si era indebolita, si era già indebolita – e poi: “Accidenti, ferma, Oscar, sono io” si sentì dire, e riconobbe la voce. Gli si aggrappò a sua volta, incredula.

“André” e poi “Come hai fatto? Gli uomini di guardia…”

“Sì, loro” disse, con aria noncurante e scherzosa “Io lo so che non devo caricare troppo il colpo, e anche che è poco corretto stringere troppo il pugno, ma sono andati a terra lo stesso” e poi cambiò tono “Stai bene? Ti hanno fatto del male?”

“Sto bene. Il tuo occhio, André!”

“Non adesso. Usciamo di qui, e se siamo fortunati, non usciremo da soli” aggiunse, con un sorriso un po’ feroce e pieno di sottintesi.

Lei lo teneva ancora avvinghiato, ne fermava l’intenzione rapida del movimento. André immobile sul letto a guardare il soffitto. André confinato al buio. André vestito da Cavaliere nero, a portarla fuori da quel buco nauseabondo, da quel fetore di morte. André che aveva capito e agito. Per qualche motivo che non comprendeva, non riusciva a lasciarlo andare.

“Oscar” disse lui, impaziente ma dolce, come se non fosse un rimprovero vero “Dobbiamo muoverci. Può arrivare qualcuno. O ti trovi talmente bene qui che vuoi rimanerci a vivere?” e sorrise con un sorriso diverso, che per qualche motivo le fece venire un groppo alla gola.

“Solo un momento” disse, senza pensare, senza una strategia di fuga, e quasi senza fiato; e a lui che la guardava incredulo e preoccupato, che adesso la stringeva per sostenerla, credendo che non riuscisse ancora a muoversi, del tutto incongruamente e fuori contesto chiese “Mi baceresti la mano?”
 
 
  
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