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Autore: sacrogral    19/01/2021    5 recensioni
Il personaggio nuovo è Donatien-Alphonse-Francois, marchese de Sade - declinato secondo la mia personale visione, ma visto che l'uomo è discutibile a qualcuno potrebbe dare fastidio. La coloro di arancione perché il marchese in persona non si offenda, ma un giallo sarebbe il suo. Storia pure lunga.
Beatrice, ti era piaciuta, ricordo male? È per te. Ma lo sai.
Genere: Dark, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Sarebbe un pazzo colui che adottasse un modo di pensare solo per piacere agli altri.
(Donatien-Alphonse-Francois, marchese de Sade)
 
 
Tutto è stato forzato, adattato, romanzato; soprattutto la Storia.
I protagonisti appartengono a RiyoKo Ikeda; il marchese de Sade all’umanità.
 
«Ci assicurano che de Sade è morto. Il solo nome di questo scrittore infame esala un odore cadaverico che uccide la virtù e ispira orrore: è autore di Justine ovvero le disavventure della virtù. Il cuore più depravato, lo spirito più degradato, l'immaginazione più bizzarramente oscena non possono inventare nulla di altrettanto oltraggioso per la ragione, il pudore, l'umanità.»
L'Ami des Lois, 12 fruttidoro anno VII (29 agosto 1799)
 

“Ripetimi perché dobbiamo farlo” chiese André, più per fare conversazione che per ricerca. Non gli piaceva l’idea, ma non aveva neppure intenzione di tirarsi indietro, né voleva darne l’impressione.

Oscar alzò gli occhi al cielo.

“Per dovere, André, solo per dovere”. Poi osservò incantata la campagna attorno, la bellezza della primavera nell’aria “Dobbiamo solo consegnare un ordine di arresto. Non dobbiamo neppure eseguirlo.  E non è la prima volta che questo signore ne riceve uno. Non ci saranno problemi” aggiunse.
“È un nobile. Avrebbe potuto andarci il conte Girodelle, con qualcuno dei soldati della Guardia Reale”, continuò lui, sempre per amor di parola. Sapeva benissimo che era un incarico ingrato.

“Forse ha avuto paura” disse lei, spavalda e senza lasciar trapelare l’ombra di un dissapore.

“Avrebbe potuto andarci qualcuno del reggimento del conte di Fersen”  arrischiò, senza mettere nella voce alcuna inflessione.

“Forse ha avuto paura pure lui”, ripeté, altrettanto spavalda.

Ma spavalda non era. Sperava veramente di fare in fretta, e di tornare già nel tardo pomeriggio a casa. Magari di sera, al massimo. Ma, almeno lei, non si era rifiutata. Lei non aveva paura.

Però aveva portato con sé André. Non si era fidata ad andare da sola. E si sentiva inquieta, come sempre quando faceva qualcosa che richiedeva l’altrui aiuto. Non si era fidata di nessun altro, come spesso capitava. E non era più sicura di potersi fidare neppure di lui. Anche se le aveva giurato di sì. Anche se, di amore e cose simili, non ne avevano più parlato.

Lo guardò, e vide solo il volto di lui sorridente, che le si offriva dal suo cavallo che procedeva lento, come quello di lei, senza alcuna apparente fretta, senza alcuna ombra.

“Forse qualcuno vuol lasciare a questo signore una possibilità di fuga. È sempre al centro di scandali, è odiato ma è anche protetto. Per questo noi consegniamo e basta. Domani arriva a casa sua una squadra già predisposta, la trova vuota, lui viene dichiarato latitante e se ne sono sbarazzati per un po’. Potrebbe essere”, rifletteva André ad alta voce.

“Non so” riprese Oscar “La procedura non è così insolita. Saperlo rinchiuso fra quattro mura potrebbe somigliare a un’opera di derattizzazione, da quel che sappiamo di lui. Tranquillizzerebbe tutti, anche i suoi presunti protettori”, ipotizzò, un po’ distratta.

“Sogni, sogni” pensava lei “La stessa materia di cui siamo fatti. È possibile crederlo davvero? È possibile pensare che la vita sognata sia migliore, sia più appagante della vita vissuta?” e subito abbandonò quelle considerazioni per lei un po’ strane, lei, che per carattere ed educazione non indulgeva all’introspezione. Chissà perché le era venuto quel pensiero.

“Oscar, quello è il luogo” disse lui, strappandola al niente su cui si sforzava di concentrarsi. Sì, era quello. Il castello di Donatien-Alphonse-Francois, marchese de Sade, il destinatario del loro messaggio.

André pensò che fosse particolare come tanti altri con cui aveva già avuto a che fare. Forse aveva quel minimo di spregio alle convenzioni, che tutti si aspettavano da lui, sfoggiato con una disinvoltura più accentuata. La camicia ampiamente aperta, la seta particolarmente pregiata, il bicchiere di vino e le sue conseguenze ostentate come ferite di guerra; i capelli lasciati liberi, l’aria di sufficienza, il sorriso disegnato come se un pittore lo avesse eternato; roba a cui era abituato, roba che non lo impressionava.

La fama dell’uomo lo impressionava. E teneva la guardia alta, per Oscar. Non era il tipo di persona con cui lei aveva niente da spartire. Non era il tipo di persona con cui lui voleva che lei avesse qualcosa da spartire. Era un pazzo, un debosciato, un criminale. Era un violento. André ce lo aveva impresso a lettere di fuoco nella mente, mentre Oscar si comportava con la compostezza consueta, la stessa con cui- ricordò- aveva accompagnato la Du Barry nel suo viaggio verso l’esilio, forse un secolo prima.

“Ma guarda, un altro ordine d’arresto” disse lui, senza scomporsi e senza che in lui suscitasse particolare effetto “Chi se lo aspettava? Forse le 120 giornate di Sodoma, che peraltro ho composto mentre ero già prigioniero nella Bastiglia, non hanno dato abbastanza soddisfazione a chi di dovere? ” e sorrise, come se lo avessero invitato a un ballo reale.

“Signore, questo era il nostro compito, lo abbiamo eseguito” disse Oscar, perfetta nel suo ruolo.

André sorrise fra sé e sé… Girodelle, Fersen… tutto avrebbero voluto, fuorché incontrarsi faccia a faccia con quest’uomo che sembrava far nessuna impressione a Oscar. Ma chissà… lei era così abituata a nascondere le sue emozioni, magari lo stava disprezzando in silenzio, o in silenzio ne era colpita.

“Quindi, voi siete il comandante dei soldati della Guardia metropolitana. Siete particolarmente bello e elegante, per il ruolo assegnatovi”

Lo disse come se fosse un dato di fatto, senza reazione particolare.

André era teso come la corda di un violino.

“Provengo da un ambiente in cui il coraggio e la determinazione son più importanti di bellezza ed eleganza” rispose lei, senza batter ciglio “Vi ringrazio se voleva esser un apprezzamento”

“Voi, giovanotto, conoscete chi sono?” chiese d’improvviso ad André, che non era abituato a essere chiamato in causa.

“Sì, signor marchese” rispose lui, quasi senza pensare “Le vostre opere di filosofia son conosciute, talvolta ammirate. Questa incombenza è spiacevole per tutti” terminò, sempre senza riflettere, in qualche modo affascinato.

“Interessante” rispose il suo interlocutore, sorseggiando ancora il suo calice “È perché mi ammirate che accompagnate una giovane donna alla mia presenza?”

E tal osservazione lasciò momentaneamente muti entrambi i suoi interlocutori.

“Signore” disse Oscar, esibendo lo stesso sorriso con cui, secoli prima, aveva insultato il conte de Germaine “Non deve turbarvi il fatto che sia una donna. Avevo un ordine da eseguire, l’ho eseguito. Questo è quanto”, concluse, senza mostrare il minimo segno di agitazione.

“Turbare? Oh, comandante… sapeste voi quali sono i pensieri che mi turbano. Certo non la prospettiva di altra prigionia, per non parlare della disapprovazione di certa gente. Rinuncerei, forse rinuncerò, volentieri al mio stesso titolo, di cui poco mi cale, non fosse per vantaggi che mi procura. Sono piuttosto… intrigato, dal vedere una bella donna in divisa e un bell’uomo al suo seguito… bello malgrado l’occhio offeso, intendo” e fece una smorfia noncurante, come se niente di ciò che aveva appena affermato avesse importanza.

André avvampò, per duplice motivo. Oscar ritenne che fosse il momento di congedarsi.

“Mai ve lo permetterei” sorrise il marchese, da uomo di mondo “Vogliate restare miei ospiti fino a domani, avete affrontato un lungo viaggio, il minimo che possa fare per ringraziarvi è aver cura di voi” e aggiunse, guardando André che lo fissava senza espressione “Aver cura di entrambi sarebbe per me un sogno. Non ho pregiudizi, come avrete compreso” e rise, lasciando intendere più di quanto loro due avrebbero voluto sentire.

Oscar, perfettamente calma, rispose in modo da stupire persino il filosofo che il divin marchese era: “Sarà per noi un piacere, se solo avrete la cortesia di dirci la verità riguardo al capo d’accusa. Intendo, signore, rivelarci, in tutta onestà, qual è stato il destino delle due ragazze che vi accusano di aver brutalmente torturato, poi ucciso, infine fatto sparire, senza che nessuno ne abbia saputo più niente”
 
 
 
Il marchese, meravigliato, aveva annuito; poi addotto impegni vari, che lo richiedevano altrove. Ma non sarebbe andato lontano, non era uomo da sfuggire alla Legge, aveva dichiarato, ridendo.

E raccomandò loro di arrangiarsi, perché il castello, quei giorni in particolare, era deserto. Deserto, specificò due volte, calcando sulla parola. Qualunque cosa desiderassero, avrebbero potuto prenderla, disse testuale, e dalla sua bocca le parole sembravano aver sempre un doppio significato, e quello nascosto appariva più inquietante.

 
“Oscar, sei sicura? Vuoi passare una notte in questa casa?” domandò André, incredulo. Quel posto era stato immaginato come una sala di tortura, un luogo adibito a ogni piacere più turpe dato dalla sofferenza ricevuta più o meno volontariamente. Il diritto di natura, che il nobile sbatteva in faccia agli ideali dell’Illuminismo e alla Ragione.

“Sicuro. Voglio la verità. E stai tranquillo, non ci toccherà. E se lo farà, ci difenderemo” disse lei, mostrando una sicurezza invidiabile. André, che le opere di Sade aveva letto, e con sentimenti e conclusioni che lo lasciavano come minimo perplesso, si sentiva a disagio.

L’uomo era stato paragonato al demonio in persona. Quanto ci fosse di vero e quanto ci fosse di falso, era impossibile dirlo; André però era sempre stato convinto che nella scrittura fosse inevitabile buttare la propria anima. Si scrive quando si ha qualcosa da dire. Ecco, il marchese aveva molto da dire, solo che tutto quello che esprimeva era orribile. La mancanza di scrupoli, il godimento basato sulla sofferenza, il diritto del forte di sopraffare il debole erano tutti concetti agli antipodi della sua anima, all’opposto del suo sentire. Eppure, ricordò arrossendo, anche lui, quella sera… scosse la testa, strinse gli occhi.

“André? Hai paura di quell’uomo?” chiese Oscar, stupita “È solo un uomo, ed è un uomo solo. Cosa potrebbe mai accaderci? Mal che vada- aggiunse, seria a metà- lo ammazziamo. E me ne assumo la responsabilità”

“Certo, comandante!” rispose lui, nello stesso tono “È l’atmosfera…” disse, fra sé e sé “È l’atmosfera.”

 
“André,” disse allora lei “togliamoci il dente. Vado a ispezionare palmo a palmo questo luogo per vedere se è davvero così deserto come ha fin troppo tenuto a precisare lui. Magari, invece, tiene quelle due ragazze ancora qui.”

“Vengo con te.”

“No, esci e guarda che fine ha fatto il marchese. Se lo vedi, trattienilo. Se vuol rientrare, avvertimi in qualche modo.”

Avrebbe certo preferito non separarsi, se fosse stato per lui. Ma Oscar era tutto fuorché una sprovveduta. Era armata. E l’ordine era stato dato.
“Va bene.” annuì, laconico.

 
Le foglie degli alberi del giardino sembravano dispiaciute perché avrebbero dovuto cadere e tristi perché non erano capaci di volare. Questo pensava, per non concentrarsi su quello che doveva star provando lei.

Il luogo e il proprietario del luogo- tutto doveva per forza andare a intaccare anfratti di lei che lei stessa voleva lasciare coperti e celati. Un mondo che la sfiorava e le passava accanto parallelo al proprio, lei concentrata sul dovere e sulla giustizia, sulla trasparenza e sull’orgoglio; lei così lontana da quelle meschinità proprie dell’umano fango, delle emozioni che divoravano quelli che erano come il marchese, ma lo nascondevano meglio, lo sfoggiavano meno. Lei, rifletteva André, che era sempre e involontariamente diversa da tutto e tutti. Il mistero della sua lontananza e della sua vicinanza non lo abbandonava un attimo, neppure quando faceva altro, neppure quando pensava ad altro. Lo sapeva.

“Dunque vi siete rifugiato nella stalla, giovane amico?”

André sussultò. Al marchese piacevano le entrate in scena ad effetto, era chiaro.

“Ho pensato- disse l’uomo con fare noncurante, aggiustandosi un polsino di trine- di lasciarvi il tempo di… conoscere ogni segreto della mia magione senza esservi d’intralcio… vedo che ha preferito sbrigarsela da sola, quest’incombenza, e lasciare voi di guardia… voi, di guardia a me” sorrise, senza alcun risentimento, come di fronte all’impossibile.

Quel giovane sconosciuto gli piaceva. Forse gli piaceva più di quella strana creatura che lui accompagnava, creatura che pur gli piaceva. Forse solo perché gli piacevano li aveva invitati a trattenersi, e proprio quella notte. Forse senza forse.

“Stavo osservando i vostri cavalli, signore. Spero che non mi considererete troppo invadente” disse lui, ripresosi, consapevole sia del coltello a portata di mano sul fianco, sia di quello negli stivali e sia del fatto che Oscar stava effettivamente frugando ogni angolo della casa “Mi piacciono i cavalli”

“Oh, io non me ne curo granché” precisò il marchese “Quello che state accarezzando si chiama Eliogabalo, poi abbiamo Nerone, Agrippina, Semiramide… quello pezzato è Caligola… tant’è…”

Stavolta fu André a sorridere. Cominciò a trovarlo prevedibile.

“Un gran bell’esemplare, un cacciatore irlandese, un metro e ottanta al garrese, azzarderei” gli disse, tanto per rompere il ghiaccio. Il marchese scacciò una mosca che non c’era. André prese atto della perfetta tenuta della stalla, dell’acqua e del cibo lasciato agli animali, e si convinse che c’era davvero chi se ne prendesse cura, e che quel qualcuno era stato davvero congedato per breve tempo.

“Facciamo due passi” disse- non chiese-  il nobil uomo, abituato ad essere assecondato. Per André non era un problema, ma ne prese nota.
Se qualcuno gli avesse detto che avrebbe camminato fianco a fianco con Donatien-Alphonse-Francois, marchese de Sade, a quel qualcuno egli avrebbe riso in faccia.

“Allora, mio giovane amico, di cosa vogliamo parlare? Delle mie opere di filosofia, dei miei presunti crimini, dei miei gusti particolari oppure di voi, di voi o di quel bel soldato che avete seguito nella tana del lupo? Oppure di voi e di quel bel soldato, cui vi rivolgete in maniera così informale- sì, ho origliato, non è la cosa peggiore che ho fatto in vita mia- cui sembrate tenere molto?” e poi aggiunse, fermandosi “Certo, se non volete parlare affatto, per me va bene lo stesso”

André si manteneva calmo a fatica. Cosa farebbe adesso Voltaire? Cosa gli direbbe Rousseau? Cosa farebbe Alain? si domandava, cambiando con fluidità i punti di riferimento.

“Come voi preferite, signore. Sono tanto consapevole di chi voi siate da lasciarvi la scelta dell’argomento. Datemi solo un altro po’ di tempo, perché Oscar è lenta nelle ispezioni, ci tiene a non trascurare niente” disse, infine.

“Oscar” ripeté de Sade, sognante “Oscar…  lei è come la Francia, ottiene tutto troppo facilmente. Ci deve essere qualcosa di terribilmente eccitante nel prendere ordini da una donna, nell’ubbidire come un cane a una donna. Scommetto che tutti lo sentono. Scommetto che voi lo sentite, mio buon amico” chiosò, e senza dubbio aveva scelto l’argomento.

“Io credo che lei sia un ottimo comandante” rispose André alla domanda implicita, prudente.

“Oh, non dubito. Me ne rallegro” continuò fatuo de Sade “Ma non era quello che intendevo. Voi avete così poco l’aria del soldato, e così tanto quella del filosofo. Un uomo di toga, più che di spada. Non dico che non possiate esserlo,” e interruppe una obiezione, forse fiacca “dico che non siete nato per quello. Eppure, non date neanche l’impressione di voler essere altrove. Ci potrebbero essere numerose spiegazioni per questo, ma…”

“Credete di aver molto da dire su di me, per avermi visto un quarto d’ora, signore”, e stavolta lo interruppe davvero. Come avrebbero chiamato, i Greci, quell’arte? Studio della psiche? Filosofia dell’anima?

Certo era fastidioso sentirsi sotto la lente di un uomo oscuro, di un assassino; un moralista così immorale da sporcare qualsiasi cosa con un’osservazione. E lui non voleva che sporcasse Oscar. Anche solo il nome di lei sulla sua bocca gli dava fastidio, nonostante avesse una bella voce; ma gli faceva lo stesso effetto di un ateo che bestemmia quello che non conosce, proprio perché non lo conosce e non sa in che altro modo cercarlo.

“Non ho bisogno di molto tempo. Gli uomini si dividono in due categorie: prede e predatori. Voi, ragazzo mio, siete una preda che nessuno, mi sa, ha intenzione di inseguire. Ed è un male. Sareste un ottimo predatore, se soltanto lo voleste un poco. Ascoltatemi”

Si fermò e trattenne la pausa.

“Che teatrante” pensò André, a cui il dramma per il dramma piaceva poco. Non aveva cessato un istante di stare allerta.

“Ascoltatemi. Una donna si è fatta accompagnare da voi a casa mia. Mia di me che sono io, se mi è concesso dirlo. E ha accettato la mia ospitalità. È una donna che si fida molto di voi, oppure vuole da voi qualcosa che non può chiedervi. In ogni caso, approfittatene. Cos’è un uomo, se non prende e devasta? Io vi do carta bianca, e vi aiuterò nella fuga, domani. O non dovrete neanche fuggire: sarà un’altra misteriosa sparizione di una donna, come ne avvengono nel mio castello. Sarà un po’ più complicato del solito, ma nemmeno troppo. In quanto al resto…”

“Marchese” disse André, calmissimo “Un’altra sola parola e vi sbudello. E lo faccio lentamente, da buon soldato. E poi racconto che mi avete aggredito in un momento di pazzia. E stanotte dormo tranquillo in casa vostra, e Oscar pure. E forse molte persone dormiranno più tranquille. Non mi provocate”

De Sade lo guardò compiaciuto.

“Usate parole forti, per essere una preda. Il vostro non è più lo sguardo di una preda. Parole forti anche per essere un borghese che parla a un nobile. Avete l’aria di sapere che i tempi stanno cambiando, che un titolo fra un po’ varrà quanto la carta per nettarsi le parti meno nobili del corpo. Eppure, avete parlato per lei. Anche lei è un’aristocratica. Ho forse sbagliato qualcosa? È più grave di quanto pensassi?”

André non abbassò lo sguardo, non disse niente.

“Raccontatemi il dolore che avete provato perdendo l’occhio”

André era ancora immobile.

“Raccontatemi il dolore, quello durante e quello dopo. Quello fisico e quello astratto. Vi prego”

Lo sguardo del filosofo, dello scienziato, era scomparso: adesso André vedeva lo sguardo del predatore, che si pregusta il nutrimento. Vuol essere cibato dalla mia sofferenza pensò, disgustato Non ha altro al momento, si accontenta.

“Raccontatemi delle due ragazze scomparse” ribatté “Raccontatemi il loro dolore” rilanciò.

Il marchese abbandonò quell’espressione famelica che aveva assunto.

Do ut des, certo. Ma non è il tempo, caro amico, non è il tempo. Poi, magari, a quest’ora Oscar ha già trovato qualcosa di interessante” e tornò il philosophe che si era presentato all’inizio di quella faticosa conversazione.

“Per l’uomo non c’è altro inferno che la stupidità o la malvagità dei suoi simili” (1) disse infine, dandogli le spalle. E poi rise, con una risata beffarda e convinta, che André capì essere rivolta a ogni cosa umana, ma prima di tutto a lui.
 
  1. La frase è di D.A.F. de Sade
 
“Niente” disse Oscar, allargando le mani “Niente ragazze, niente persone… neanche una stanza delle torture o qualcosa di simile, da poter immaginare trovarsi in questa casa” lo disse più sorpresa che dispiaciuta “Magari esistono stanze segrete, passaggi segreti… L’unico modo per sapere qualcosa, purtroppo, è che ce lo dica lui…”

“O che ce lo mostri” continuò André “Non mi sento affatto tranquillo in questa casa, neppure sapendola all’apparenza vuota. Oscar, se il marchese ha voluto che rimanessimo qui, è perché ha in mente qualcosa. Stanotte deve succedere qualcosa. E vuole che noi lo vediamo. O che ne facciamo parte. E io non sono così sicuro di essere d’accordo”

Lei lo trafisse con lo sguardo.

“André, non siamo degli sprovveduti. Staremo in guardia. E aspetteremo. E, se ci sarà da combattere…” toccò la spada, per un riflesso.

Lui, cui non sfuggiva niente, vide gli occhi che le brillavano, le guance accese- sentiva l’odore della battaglia, sentiva la verità vicina- e lui riusciva solo a pensare: “Come sei bella, Oscar”. Una preda, una preda che nessuno aveva intenzione di inseguire, aveva all’incirca detto il marchese.

 
“La cena sarà parca. Non dovrete procacciarvela, ma prepararla sì. In compenso, potrete avere champagne e alcol a fiumi, di ogni genere, e una conversazione come mai ne avete goduto” esordì de Sade, tutto soddisfatto.

“Ci penso io” si offrì immediatamente André.

Oscar scattò.

“Neppure per idea”

“Comandante, se permettete,- disse lui, passando al voi, come talvolta faceva quando era arrabbiato, o divertito, o voleva dimostrare qualcosa- so cucinare. E poi, se preparo con le mie mani il cibo, so benissimo che cosa uso e con che cosa lo insaporisco (se solo pungesse vaghezza a questo pazzo di avvelenarci… come potremmo impedirglielo meglio di così?). E in questa nobile casa (è un maledetto bastardo, non scordarlo), preferisco di gran lunga essere io il cuoco” andò avanti, incurante che il nobiluomo lo ascoltasse “E poi, Oscar, abbiamo fame. Non desidero che il signore abbia incomodo (non ti lascerei toccare niente che fosse passato per le sue mani) e tu sei un disastro in cucina (ci sentiremmo male, come accadde quella volta che volesti provare a preparare i biscotti per gioco)” terminò, sorridendo.

Come spesso accadeva, lei si calmò all’istante.

“Non hai torto, André (ho capito, e hai ragione, ma non volevo che quest’uomo pensasse di poterti trattare come un servo)” sorrise.
“Io sono di là (sono vicino, vicinissimo). Se hai qualcosa da ordinarmi (se hai bisogno di me), sono a disposizione (chiamami, urla, grida, arrivo immediatamente e l’ammazzo)
 

“E adesso, comandante, la discussione può vertere sulla politica attuale dello Stato francese, oppure sulla delizia che comporta l’infliggere e il lasciarsi infliggere dolore- oppure sui diritti naturali dell’uomo, o magari sui gusti delle Loro Maestà in fatto di talamo… ogni argomento, eccetto i cavalli e la tattica militare, che trovo irrimediabilmente noiosi”, esordì.

Oscar non era abituata neppure a sentir alludere a certe cose, in sua presenza. Si sentì avvampare e si contenne. Non era un grande inizio.

“Perché non delle due ragazze scomparse, signore?” chiese, dall’altro lato del tavolo, osservandolo ma senza avvicinarsi, come si fa in presenza di un cane grosso e minaccioso, mentre il padrone invita a accarezzarlo, dicendo che è tenero come un agnellino.

Il marchese scosse la testa.

“No, non ancora”

Non ancora… André pensa che debba succedere qualcosa stanotte” lo sfidò “e che voi stiate temporeggiando, perché volete che siamo spettatori di questo qualcosa. È vero?”

André pensa… pensa tanto, quel ragazzo. Pensa troppo. Parla bene, si esprime con grazia, fin troppa per essere un soldato, fin troppa per essere un plebeo. Se non fossi sicuro che è un borghese, che è un semplice soldato del più disgraziato reggimento di Parigi… se non fossi sicuro che è impossibile…”

“Siamo cresciuti insieme, signore,” sbottò Oscar “André ha ricevuto la miglior educazione possibile. Ha frequentato Versailles e vi sono nobili d’alto rango che lo stimano molto. Per me, è come un fratello”

“Che cosa interessante.” ghignò lui, mentre Oscar già si pentiva di aver parlato, di essersi lasciata sfuggire qualcosa di così intimo con quell’uomo “Siete pieni di sorprese, voi due. Si rivolge a voi in maniera così informale, vostro fratello. Non ho mai visto quello sguardo negli occhi di un fratello, o forse sì… ma erano casi molto particolari… che alle vostre orecchie, comandante, suonerebbero veramente… come dite, a Versailles? Scandalosi, ecco”

“Questo non toglie che sia la verità, signore” riprese lei, che sentiva già la rabbia incendiarle il cuore. Il marchese procedeva alla cieca, però riusciva a ottenere qualcosa. Quel pazzo assassino, con le sue buone creanze e le sue allusioni volgari. Eppure.

“La verità, comandante?” disse lui, brusco “ La verità è che ho trascorso in prigione già più della metà della mia vita, per aver proclamato al mondo la verità. La verità è che non è il mio modo di pensare che ha fatto la mia rovina, ma il modo di pensare degli atri (2). La verità è che quel giovane vi desidera, e che la spinta dell’amore, portata all’estremo, altro non è che spinta verso la morte (3). E la distruzione. La verità è che credevo il vostro Dio un imbecille, ma guardandolo più da vicino, mi appare come un gran scellerato (4). Mademoiselle, la verità è che siete una donna splendida e un oggetto del desiderio inevitabile.” gli occhi gli scintillarono “Precediamo quel ragazzo, io sono con voi.”

“Che intendete, signore?” disse Oscar, che si era persa.

“Intendo, mio innocente fiore, che quello che voi definite fratello finirà per commettere qualche grossa sciocchezza. Precediamolo. Se glielo ordinate voi, si farà crocifiggere. Beh, accontentiamolo. Non avete idea di quanto sarebbe appagante, per me, nel mio forse ultimo giorno da uomo libero, vederlo legato e inerme. Lascerei a voi le prime frustate. Per non parlare del piacere della sua nudità violata. Credo che…”

E il marchese non aggiunse altro, ma sorrise, trovandosi senza preavviso la spada di Oscar alla gola, vicina, tanto vicina che già ne sentiva sul collo la lama che, rilevò, era perfettamente affilata, e forse già lo stava facendo sanguinare. Sorrise, dunque.

“I vostri occhi brillano, comandante. Il vostro amico è già in catene. Santifichiamo le sue catene, e diventiamo pari al vostro Dio. Non c’è maggior gioia che il godimento per il puro godimento”

“Adesso affondo” si disse Oscar in un lampo “Affondo e faccio un piacere all’umanità intera. Gli faccio ingoiare nel suo sangue le sue intenzioni e magari- disse fra sé, con lo sguardo del predatore, sorprendendosi- magari gli piace pure”

E mentre, senza chiedersi quale fosse la ragione precisa, pensò che lo stava per fare davvero, sentì una voce alle sue spalle, bassa, cristallina, che diceva semplice e sorpresa:

“Oscar, che fai?”

E vide André spalancare gli occhi, stupito, come uno strano arcangelo Gabriele, che in mano, al posto di un giglio, teneva un vassoio di cibarie.
  

“Uno di quei casi in cui una diversità di vedute fra pari porta inspiegabilmente alla tragedia”  disse de Sade, senza muovere il collo “Una volta, ho sentito dire che si è arrivati all’omicidio per una questione di precedenza, per decidere chi avesse dovuto scendere da un marciapiede e chi rimanervi sopra. Ridicolo, vero?”

André guardava Oscar.

“Un momento di intemperanza” terminò lei, ritraendo e rinfoderando velocemente la spada, con disinvoltura “Al marchese piace giocare”

André guardava de Sade.

Poi, con lentezza, iniziò a servire in tavola le vivande che aveva messo insieme cercando in cucina. Cucina straordinariamente piena di dolci, aveva notato. Il marchese era un goloso.

E qualcuno glieli aveva lasciati, prima di esser stato, forse, congedato.

“Oscar non corre pericoli, casomai li corre questo pendaglio da forca” pensò, fra sé e sé.

Lei, invece, sedutasi di nuovo, diceva a se stessa: “Se quest’uomo soltanto sfiora André, finisco ciò che ho cominciato. Non saprò mai cosa sia successo a quelle ragazze, ma pazienza. Se solo tenta una mossa, lo infilzo come un tordo”.

Non si chiese neppure cosa la spingesse ad essere così preoccupata, così protettiva. Non si fece domande, non era il tipo. Prese atto della cosa. La attribuì al disprezzo che provava per quel blasonato di nome e non di fatto.

E poi il marchese cominciò una specie di monologo, rivolto non era loro chiaro a chi, e sembrava aver dimenticato quanto accaduto poco prima.
Spiegava, con la sua voce suadente, che morale, compassione, onore e umiltà, nonché qualche virtù cardinale e teologale, altro non erano che pura illusione, limpida menzogna per tenere gli uomini soggiogati in schiavitù, per impedire loro di seguire l’unica vera via, quella del piacere.

“E voi, amabili dissoluti, voi che fin dalla giovinezza avete come unici freni i vostri stessi desideri e come uniche leggi i vostri stessi capricci, prendete a modello il cinico de Sade! Spingetevi agli estremi come lui se, come lui, volete percorrere tutti i sentieri in fiore che la lascivia aprirà al vostro passaggio.(5)” si evidentemente autocitava, mentre Oscar lo ascoltava con grande attenzione e André con turbata condiscendenza.

Una sfrontatezza così esibita non era facile da trovare, ammetteva André fra sé e sé, senza dimenticarsi di riempirgli il bicchiere quando lo vedeva vuoto, e senza che il suo ospite accennasse un ringraziamento né interrompesse il filo del suo discorso.
Si chiese se l’intera cena avrebbe seguito quell’andamento, quel parlare di ciò che l’uomo avrebbe desiderato fare e che adesso, per lungo tempo, gli sarebbe stato impedito.  Più che immorale, cominciò a trovarlo noioso. Sarà che i concetti ripetuti gli apparivano sempre un po’ fastidiosi, a lui, al quale bastava che le cose gli venissero dette una volta sola, abbastanza per decidere se essere d’accordo o meno.

Oscar, forse abituata alle conversazioni monotone che aveva per anni udito a Versailles, o forse pentita di avergli fatto quel piccolo sfregio sul collo, che avrebbe potuto anche degenerare in qualcosa di peggio, non distoglieva lo sguardo, non dava segni di impazienza. Pura cortesia, certo.
André avrebbe voluto che fosse già l’indomani. Perché appariva chiaro che il marchese avrebbe mantenuto la sua promessa il mattino dopo, che solo allora avrebbe rivelato la fine delle ragazze, forse il luogo in cui i loro cadaveri riposavano in una pace precaria.

Ad un certo punto, inaspettatamente, de Sade se ne uscì con la frase:

“È tardi. Voi dovete andare a riposare.”
 
  1. La frase è di D.A.F. de Sade
  2. Idem
  3. Idem
  4. Idem
  5. La frase è di D.A.F. de Sade, ma è tratta da La filosofia del boudoir, e al posto del suo nome c’è quello di Dolmancé, uno degli, appunto, dissoluti protagonisti dell’opera
 
 
Oscar e André si guardarono, senza trovare un motivo per rifiutarsi, prendendo atto del fatto che avesse detto “voi”.

“Io resterò ancora un po’ alzato, a meditare. Utilizzate le stanze che preferite, o pure una stanza sola. La biancheria pulita è nei cassetti. Arrangiatevi. Domattina parleremo”, sorrise “e avremo molte cose da dirci…”

“Vorremmo lavarci, signore”, precisò André.

“Arrangiatevi anche per quello”, terminò il marchese, dandogli le spalle.

 
“Ha in mente qualcosa, Oscar. Oppure aspetta qualcosa”, disse lui, entrando con un grosso recipiente di acqua calda in quella che adesso era l’improvvisata camera di Oscar.

“Ma no, André. La casa è deserta. E lui è un uomo a cui piace parlare, ma non è uno sciocco. Sa benissimo che sarebbe inutile anche coglierci di sorpresa, e nel caso, impossibile sarebbe anche sfuggire alla giustizia. La sua condanna diventerebbe sicura ed eterna. Non credo pensi ne valga la pena”.

“Eppure” continuò lui, versando l’acqua in una tinozza “Eppure ha l’aria di chi sa che qualcosa deve succedere. Forse ha dei mercenari pronti a intervenire”.

Oscar rise. “Mercenari? Quest’uomo? Non credo proprio. Ha l’aria di uno che con i soldati ha avuto a che fare solo dalla parte della preda, per usare espressioni sue”.

“Prede e predatori” mormorò André, fa sé e sé “Il modo in cui lui divide gli uomini. Non c’è da fidarsi”.

“E noi non ci fidiamo” disse lei “E stiamo guardinghi. Dormiamo con la pistola sotto il cuscino, e chiudiamo le porte. Ma non saremo assaliti da una banda di mercenari. E neppure da lui. Vuol solo gustarsi la nostra attesa, e poi domani ci dirà di quelle ragazze”.

“Sono certo che sapete quel che fate, comandante” sorrise “In ogni caso, dormirò con un occhio solo”, disse, e rise per la battuta.

 
Fosse stato per lui, non avrebbe lasciato Oscar sola in una stanza. No, pensava, immerso in una tinozza d’acqua bollente, non l’avrebbe lasciata sola nemmeno per un istante in un luogo estraneo e di cui diffidava. Fosse stato per lui avrebbe vegliato come un drago sul suo sonno, accanto al suo letto, ascoltando ogni respiro di lei e badando con attenzione che il proprio si armonizzasse al suo. Ma, si rendeva conto, non poteva neanche pensarlo- figurarsi proporlo. Oscar avrebbe pensato di avere più da temere da lui che dal marchese. Come aveva potuto essere così stupido, quella notte? Cosa mai gli era passato per il cervello? E cosa aveva creduto mai di ottenere? Non riusciva a rilassarsi: da un lato, pensava a lei, nella stanza attigua, che non si fidava più di lui- o non si fidava come un tempo- e aveva ragione; dall’altro, pensava a quell’uomo oscuro, che di colpo li aveva congedati, come se aspettasse qualcosa, o qualcuno.

E poi il suo demone, che quando era solo gli parlava quasi come un vecchio amico, talvolta sussurrava con dolcezza, talaltra lo scuoteva dal profondo. E per l’ennesima volta gli domandava: “E se lei amasse un altro, un’altra volta, tu cosa faresti?” e la domanda rimaneva nell’aria, senza esaurirsi.
Da servo quale si sentiva, non toccò la biancheria del marchese. Ma guardò nei cassetti, a fondo, perché non si sa mai. Poi, indossati di malagrazia i pantaloni, si buttò sul letto, osservando il soffitto. Teneva la pistola vicino e per non addormentarsi ripassava a memoria il primo libro dell’Eneide.
 

Fu nel cuore della notte che sentì un urlo bestiale, tanto bestiale che sul momento neppure capì se fosse umano. Si alzò di scatto, a piedi nudi; afferrò l’arma, aprì la porta.
In un lampo vide Oscar nel corridoio, una macchia bianca in veste da notte, perfettamente sveglia e armata.

“Andiamo!” gridò lei, passandogli accanto, e lui la seguì senza esitazione.

Le urla aumentavano, seguite da rumori: sembrava che qualcuno stesse fracassando tutto, in un crepitare di vetro, in uno spaccarsi di legna.

André le mise una mano sulla spalla: “Prima io, comandante”, disse, senza aspettare risposta, e scattò.


 
E si trovarono nel salone dove poche ore prima avevano cenato in tutta tranquillità. Adesso sembrava esser stato devastato da un’armata di lanzichenecchi. Un solo uomo, il Marchese, con la camicia strappata e i capelli sciolti sul volto, era il responsabile di tutto: si fermò a guardarli con un grande vaso- vetro di Murano, pensò André fuori contesto- nelle mani e, come se questo spiegasse tutto, disse loro: “Non è venuta”. E poi, spaccò il vaso ai suoi piedi, che si frantumò in mille pezzi.

“Non è venuta!” ripeté, gridando- e d’improvviso si gettò a terra, in ginocchio, le braccia a ferirsi con le innumerevoli schegge sparse a terra.

 
Stupiti lo osservavano i due ragazzi. Poi André posò la pistola, e fece a Oscar un cenno silenzioso- “Ferma, ferma”; si avvicinò a de Sade, che batteva i pugni a terra, e con prudenza cercò di allontanare i vetri dai suoi piedi nudi; e quando fu abbastanza vicino a quell’uomo, e finalmente questi alzò la testa, gli sorrise col suo sorriso più dolce: “Venite, amico mio, non è bene che un uomo come voi stia a terra. Lasciatevi aiutare”.
Nel torpore del momento, uno sbigottito de Sade non si chiese neanche chi fosse quel tipo che non riconosceva, ma si fece alzare da lui, e gli si buttò piangendo fra le braccia, mentre André lo invitava, con la voce con cui si parla ai bambini, a muoversi e a fare attenzione ai vetri, e gli ripeteva che andava tutto bene.

 
Lo fece sedere in un posto sicuro, gli versò da bere e glielo portò. Mentre de Sade sembrava ancora in uno stato di semicoscienza, chiese a Oscar di andare a prendergli la borsa che aveva lasciato su Alexander, dove teneva i medicinali e tutto l’occorrente per le emergenze.

Si sentiva straordinariamente calmo.

“Se vuoi ci vado io” le sussurrò “Ma preferirei rimanere con lui (è in uno stato pietoso, forse ha assunto sostanze strane- non voglio che tu resti sola con lui)

Lei annuì.

André si limitò a guardarlo, e a dirgli frasi incoraggianti: “Bevete, amico mio, e riprendete il vostro sangue freddo. Non vorrete passare dalla parte di noi prede, dico bene?” e “Non appoggiate le braccia, sono piene di vetri, fareste peggio, datemi retta”.

 
Oscar aveva indossato gli stivali più in fretta che aveva potuto, e piuttosto in fretta tornò. Gli porse la borsa che lui aveva chiesto. Lei non aveva lasciato la pistola, notò. E notò anche, con una precisione che si rimproverò, la luminescenza di quella parte della spalla che la veste di cotone pesante lasciava comunque libera. Rapido distolse lo sguardo, le sorrise, e la invitò a sedersi un po’ distante dal marchese, di fronte a lui. André invece, senza batter ciglio né far sembrare la cosa troppo inconsueta, gli si sedette accanto, e gli tolse con delicatezza la camicia macchiata un po’ dappertutto di sangue.

“Adesso vi toglierò le schegge di vetro” spiegò, rassicurante “Sentirete un po’ di dolore, ma è necessario; poi vi disinfetterò queste ferite. Ci vorrà del tempo, signore, ma non possiamo fare altrimenti. Appena ve la sentirete, potrete cominciare a spiegarci”

 
Il marchese lo guardò atono, lasciò che prendesse il suo braccio con docilità. Sforzando un po’ l’occhio buono, che continuava a dargli problemi, André si mise al lavoro, con un paio di pinze e con delicatezza. Oscar osservava la scena in silenzio e tenendo ancora la pistola in mano, talvolta lasciando vagare lo sguardo per la stanza ormai ridotta ad un campo di battaglia.
 
E dopo qualche minuto, senza guardare niente e nessuno in particolare, il marchese de Sade cominciò a parlare.
 
“Giunse da me in una sera di tempesta, come nella migliore tradizione. Si spacciò per un ragazzino in cerca di lavoro. “Albert”, disse di chiamarsi. E io, divertito, in piena notte, gli chiesi se sapesse leggere e scrivere. Disse di sì, e la presi alle mie dipendenze. Pensava, dichiarandosi uomo, di essere al sicuro da me, ma mi sottovalutava. Il primo giorno la osservai. Il secondo la ascoltai. Il terzo, di notte, entrai in camera sua. La trovai vestita di tutto punto e armata. Non aveva neanche disfatto il suo piccolo bagaglio. Mi disse senza giri di parole che ammirava me e le mie opere, ma se avessi intenzione di sfiorarla non avrebbe esitato a ferirmi, uccidermi anche. Mi disse che si era allontanata da casa sua solo per ascoltarmi, per imparare da me. La guardavo a bocca aperta: imparare da me! Da me, che nel migliore dei casi vengo tollerato, che la gente sfugge anche con lo sguardo. Era nobile, si chiamava Albertine. Non avrei mai pensato di poter fare una cosa del genere, la tenni con me, come mia allieva. Da istruire sulla filosofia e non sulla pratica, che meglio avrei potuto insegnarle. Avreste dovuto vederla, un angelo dai corti capelli rossi, dagli occhi verdi capaci di vedere la verità. Non pensavo che avrebbe mai potuto accadermi, invece mi innamorai. Divenni una preda.
 
Albertine non pretendeva le mie notti, ma il giorno, il luminoso giorno, era solo suo. Non mi sentivo approvato, ma mi sentivo compreso. Non ero amato, ma ero ammirato.
Io son stato sposato, come tutti, e come tutti mi son sposato per avere figli e accontentare la mia famiglia. Ma l’idea dell’amore non mi ha mai sfiorato. L’idea che questa parola avesse davvero un senso, intendo. Son stato sposato e mia suocera è stata la mia rovina. Possiede una lettre de cachet firmata da Luigi XV (6), che Luigi XVI presto controfirmerà- non può essere messa in dubbio, non posso far valere alcun mio diritto.
Ho una continua spada di Damocle sulla mia testa. E tuttavia il matrimonio è stata per me un’esperienza come un’altra. Non avrei mai creduto di poter conoscere il potere dell’amore, come un idiota qualsiasi.
Mi sbagliavo. Voi, comandante, potete capire meglio di altri il mio disappunto, non essendo né donna né uomo…ah…”

“Scusatemi, signore” disse André, a occhi bassi “ Una scheggia più grossa delle altre”

Oscar ascoltava senza fare commenti e senza mutare espressione.

“Dicevo, me ne innamorai. E siccome era un’esperienza nuova per me, non sapevo cosa fare. E la mia vita aveva un sapore diverso, migliore e peggiore al contempo. Non vivevo più per le mie notti, ma per i miei giorni. E parlavo ad Albertine di continuo, e le dicevo che Dio non esiste, non più di quanto esistano le altre illusioni che nei secoli si perpetuano. E le spiegavo che il piacere è l’unico motivo per cui un uomo sano di mente possa portare avanti la sua vita. E le descrivevo il vizio senza farglielo amare, e intanto, attraverso il suo sguardo e le sue osservazioni, mi sentivo innocente.
Alla fine, signori miei, scrivere è dire la verità mentendo, o mentire dicendo la verità.
Credo che gli esseri umani siano rivoltanti: infidi, avidi, ingannatori e pronti a vendere la propria madre al miglior offerente, eppure adesso contemplo le eccezioni. Forse è stato quel vostro Dio dall’umorismo crudele a mettere Albertine sulla mia strada. Forse è stata la mia condanna da scontare: quando si sa cosa vuol dire essere felici, rinunciarvi è come morire.
Volete sapere cosa ho fatto nella mia vita? Ho pagato, e bene, donne che si sono fatte frustare da me. Ho pagato giovinetti per farmi… ah”

“Scusate, marchese” disse André, a voce bassa “Anche questa scheggia era penetrata piuttosto a fondo. Dicevate che avete tenuto una condotta immorale su più fronti”

De Sade abbozzò un sorriso.

“Sì, dicevo questo. Non ho mai fatto a qualcuno qualcosa contro la sua volontà. Non ho perpetrato violenza nel senso stretto del termine. Non ho mai ucciso nessuno.

Se non fosse troppo, mi spingerei a dire che sono una brava persona, con il talento o la maledizione di una penna che ne ammazza più di una spada, e che ammazzerà me per primo. E sbatto in faccia agli aristocratici i loro vizi. E sbatto in faccia ai filosofi dei Lumi le loro illusioni. E ho amato una donna che non ho mai sfiorato con un dito, e che stasera avrebbe dovuto tornare da me”

“Perché se n’è andata?” domandò Oscar “Era disgustata di voi?”

“No, comandante, non era disgustata di me” la guardò in faccia il marchese, facendo un gesto brusco col braccio, che André trattenne; adesso stava bendando quella carne offesa, dopo averla pulita con attenzione “Io glielo dissi, infine, che l’amavo. E mi gettai ai suoi piedi come uno di quei giovinetti pallidi che fanno impazzire le ragazze appena uscite dai conventi. Lei prese tempo. Il mattino dopo trovai una lettera in cui mi diceva che doveva sistemare delle questioni con la sua famiglia, e doveva lasciarmi tempo- tempo! A me!- per riflettere sul mio sentimento. Sarebbe stata lontana da me un anno- se mi avesse ritrovato nella stessa disposizione d’animo, sarebbe stata mia. Un anno di lontananza. Mi resi conto in quel momento di non averla mai vista in abiti femminili e di averla sempre chiamata Albert. E di non sapere neanche il nome della sua famiglia. E che sarei stato costretto ad imparare il valore dell’attesa. E l’ho imparato.
Da parte sua, lei diceva di non avere dubbio alcuno sul suo amore per me. Ma forse qualche dubbio ce l’aveva, visto che non è venuta. E alla fine, magari è meglio così. Avrei avuto il tempo di abbracciarla e dirle che domani sarò condotto ancora in prigione, e che avrebbe dovuto esser lei, ad aspettarmi. E avrei avuto il tempo per mostrare a voi due, puri di cuore e pronti a scagliare la prima pietra, cosa vuol dire essere me! Ma lei non è venuta, e io sono solo un pazzo”

Per un paio di minuti sembrò che nessuno avesse altro da dire.

“Questo braccio è a posto, signore” mormorò André, spostandosi “Siate così gentile da porgermi l’altro”

                     6) Storico, anche se non contestualizzato nella storia. La suocera del marchese de Sade era riuscita in effetti ad ottenere una lettre de cachet firmata da Luigi XV, poi approvata da Luigi XVI, per condotta immorale del genero. Costò anni di prigione a de Sade, anche nella Bastiglia, infine nel manicomio di Charenton.   
 
“E le due ragazze?” chiese Oscar, d’improvviso.

Il marchese la osservò quasi incredulo.

“Voi… voi sapete dirmi soltanto questo? Io vi ho raccontato l’evento che ha tagliato in due la mia vita, ho ammesso davanti a voi la più grande delle debolezze,  e voi sapete solo chiedermi delle due ragazze? I Greci avevano una parola, empatia, per indicare quel soffio vitale che porta a sentire cosa accade dentro un altro essere umano, e soffrire con lui. E voi avete solo questa domanda? Cosa avete al posto del cuore, comandante? Forse… ah”

“Scusate…” cominciò André.

“Sì, sì, la scheggia era affondata nella carne, immagino. Va bene, le due ragazze. Ma prima… do ut des. Amico mio, voi che qui al mio fianco, a petto nudo, rappresentate una tentazione non da poco…”

André si interruppe e lo guardò.

“…raccontatemi il vostro dolore quando avete perso l’occhio”

Oscar si alzò di scatto.

“Come osate?” quasi gridò “Siete offensivo, siete un ciarlatano oltre che un criminale! Non credo a una singola parola…”

André allora guardò lei e alzò la mano, nel gesto usuale ad indicare calma.

“Lascia perdere, Oscar (Non preoccuparti per me, non devi, non devi mai preoccuparti per me. Basto io a preoccuparmi per te)

“André, non ha nessun diritto di chiedertelo! (Neppure io ti ho mai domandato nulla, neppure la nonna, nessuno vuole che tu riviva quel dolore, solo lui)
Lui le sorrise, sereno. Aspettò che lei si sedesse di nuovo, prima di iniziare a parlare.

“Forse avrete sentito parlare del Cavaliere nero. Qualche tempo fa, terrorizzava i nobili di Versailles. Si introduceva nelle case dei ricchi, rubava quel che poteva, e distribuiva il suo bottino ai poveri di Parigi. Poi sembrava volatilizzarsi nel nulla. Oscar era il comandante delle Guardie Reali allora, ed io il suo attendente. Escogitammo un piano per far cadere in trappola quel ladro. Mi finsi lui, e cominciai a rubare sfruttando il suo nome. Naturalmente avremmo restituito tutto ai legittimi proprietari, una volta che lui si fosse presentato e noi l’avessimo catturato”

“Il Cavaliere nero… sì, ricordo benissimo. L’Eco delle sue imprese giunse anche alle mie orecchie. Parteggiavo per lui. Speravo che la facesse franca. Si fosse presentato a casa mia, gli avrei offerto da bere”

“Noi non volevamo offrirgli da bere. Volevamo capire, però. E vedere se un ladro è solo un ladro. E la trappola funzionò. Ma mi trovai a battermi con lui alla spada. Fu colpa mia: forse anch’io parteggiavo per lui, comunque non volevo ucciderlo, miravo più a difendermi che ad attaccare, o forse combattevo troppo a modo, troppo secondo le regole… non mi aspettavo un fendente al viso, colpì l’occhio sinistro, provocando una lesione molto grave”

Si interruppe un istante. Riviveva il momento attimo per attimo.

“Fu come avere un incendio nell’occhio. Il dolore attraversò la testa, arrivando al cervello. Mi portai la mano all’occhio ferito, strinsi l’altra a pugno. Sentivo le lacrime scendere da sole, ma non erano chiare, era sangue. Mi sembrava di essere all’inferno, e che qualcuno mi infilasse continuamente qualcosa di arroventato nella testa, direttamente dall’occhio. Ma non svenni. Rimasi cosciente per tutto il tempo, e capii cos’è il dolore lancinante, che non cessa mai. Non pensavo alla perdita della vista, pensavo solo al dolore. Credo che avrei fatto qualunque cosa perché smettesse. Trattenni a stento l’impulso di strapparmelo via, quell’occhio, e di scagliarlo lontano, pensando così di provare sollievo. Ma non ce la feci, e soffrii per tutto il tempo, senza un attimo di tregua, finché non giunse un medico, pietoso, che mi addormentò. Sprofondai in sonno nero come la pece, e senza pace. E sognai il volto di Oscar. Nel delirio, temetti di non poterlo più vedere, così trascorsi tutto il tempo che ricordo a memorizzarlo, nelle espressioni più varie. Nel dolore, credetti che sarei morto. Misi in fila i rimpianti della mia vita, e tutto ciò che mi era caro. E pur desiderando ancora tante cose, mi accorsi che non avevo sprecato un solo giorno. Ma forse anche quello era solo un sogno”

E fece silenzio. Non avrebbe mai raccontato il seguito. Non avrebbe mai detto che l’occhio poteva ancora salvarsi, ma che poi si era tolto la benda per andare a salvare lei, sapendo benissimo cosa rischiava, né avrebbe mai detto a quell’uomo che aveva chiesto a Oscar di liberarlo, il Cavaliere nero, quando alla fine lo avevano catturato. E si sarebbe ben guardato dal dire che adesso lo considerava un amico, quel ladro che non era mai stato solo un ladro e che a stento si dava pace per quello che gli aveva fatto. No, questa era roba solo sua. E non avrebbe certo raccontato il suo sollievo perché non era stata ferita Oscar, né quanto aveva ringraziato Dio per quello. E mai avrebbe ammesso i problemi all’occhio destro, che gli riportavano alla mente, di continuo, il tormento di quella notte.

Il marchese si rilassò.

“Grazie” disse, come se quelle parole gli avessero restituito un po’ di energia.

André continuava a togliere schegge con delicatezza, la mano un po’ tremante, pensando che quell’uomo fosse un maledetto vampiro. Aspettava che si sciogliesse quel groppo alla gola, quel misto di rancore e di inaspettato sollievo.

Do ut des. Le due ragazze, signore!” chiese Oscar, con fermezza.

“Oh, sì” iniziò lui “Le due ragazze erano due ragazze, figlie di miei fittavoli. Bussarono alla mia porta una sera in cui stavo componendo Juliette, ovvero le prosperità del vizio. Avevano naturalmente una storia patetica da raccontare: volevano sposare due giovani, e le famiglie non erano d’accordo. Ricordo che soffocai uno sbadiglio. Mi chiesero quindi un grande favore: che le ospitassi per una notte, e all’alba i loro promessi sarebbero venuti a prenderle, senza farsi vedere da nessuno. Avevano questa fantasticheria in mente: avevano confidato a due care amiche, facendo loro giurare di mantenere il segreto, che sarebbero venute nella mia magione sperando di guadagnare un po’ di soldi: il giorno dopo, non vedendole tornare, le amiche avrebbero parlato e tutti avrebbero pensato che io avessi fatto loro le cose peggiori, indi ne avessi occultati i corpi per sfuggire alla Legge. Tanto, essendo io, ragazza più, ragazza meno… sapevano di rischiare molto, ma confidavano sulla mia bontà- sulla mia bontà- e comunque se fosse loro successo qualcosa i fidanzati mi avrebbero ucciso, e tante cose belle”

“E voi?”

“E io? Io pensai che era una follia talmente smaccata, un azzardo talmente palese e così irriguardoso nei miei confronti, che le aiutai. Le rifocillai e le mandai in una stanza a caso, sotto scorta di un servitore; e siccome ero ispirato, le pregai di non disturbarmi mentre scrivevo. Al mattino le restituii ai due titubanti loro innamorati, e diedi un po’ di denaro ai ragazzi per raggiungere Marsiglia- chissà perché, volevano andare proprio a Marsiglia. Alla fine non erano poi così stupidi, perché la loro idea ha funzionato contro ogni probabilità. D’altra parte, se c’è una che detesto, sono i matrimoni imposti, o quelli avversati. Non ho idea di che fine abbiano fatto. Adesso però mi ritrovo un’altra accusa sul gobbo, dalla quale non mi posso difendere. Tutto qui, il mistero delle due ragazze”

“E l’affaire Keller?” domandò Oscar.

“Non c’è nessun affaire. Una prostituta ha accettato di offrirmi i suoi servigi e sottostare alle mie richieste in cambio di denaro. L’ho fustigata, lei è scappata prima che potessi pagarla, mi ha denunciato per tentato omicidio. Ma il chirurgo che l’ha visitata non ha trovato segni di ferite da coltello né tagli, solo segni di frusta, come avevamo concordato. Ma, trattandosi di me… (7)”

“E l’affaire di Marsiglia?”

“Non c’è nessun affaire. Mi sono portato in casa cinque ragazze e per rendere la situazione più interessante ho offerto loro dei confetti alla cantaridina, afrodisiaci e innocui. Il giorno dopo, mi hanno accusato di averle avvelenate. E dire che abbiamo trascorso momenti interessanti. Ma, trattandosi di me…(8) Dopo il processo, finii in prigione e fuggii in maniera piuttosto creativa. Poi scappai in Italia, travestito da prete (9). C’est tout
“Volete farmi credere” si inalberò Oscar “che siete solo un uomo perseguitato dalla sfortuna? Una vittima delle circostanze? Avete organizzato orge alle quali erano presenti vostra moglie e vostra cognata, avete scritto opere blasfeme e violente, avete descritto ogni efferatezza che mente umana possa concepire!”

“Sì” gridò de Sade “Sono uno a cui piace fottere e che sa scrivere. Non credo in Dio, non credo negli uomini. Ho organizzato orge con mia moglie e mia cognata. Non ho mai ammazzato nessuno. La mia colpa sta in quello che scrivo e nella mia condotta morale. Che non è migliore né peggiore di quella degli aristocratici con cui prendete il tè. Solo che loro non lo dicono, io invece l’ho scritto. E ho scritto pure di peggio. Ecco le mie colpe! Volete mandarmi a morte per questo, rinchiudermi a vita dentro una prigione e gettare la chiave? Certo, se per voi un ladro è solo un ladro, figuriamoci…ah”

“Era l’ultima, signore”, intervenne André, sorridendogli.

Dopo un paio di secondi, sorrise anche il marchese.

“Bene, ho capito” disse, calmissimo “E comunque mia cognata si è fatta suora (10)”.

“Perché non siete rimasto in Italia?” chiese André, fasciandogli il braccio.

“Perché, amico mio, mia madre stava morendo, e volevo vederla un’ultima volta. Ecco perché. Sono stato preso prigioniero al capezzale di mia madre, portato nel castello di Vincennes in cui sono rimasto rinchiuso sette anni. Ho incontrato lì, come compagno di prigionia, il conte di Mirabeau, che scriveva pessimi racconti erotici e che adesso so essersi schierato col popolo. Abbiamo perduto un mediocre scrittore per acquistare cosa ce lo dirà la storia (11)”.

Do ut des, signore. Anche questo braccio è a posto. Vi crediamo”, disse André.

“Bene!” ribadì il nobiluomo “Adesso che sapete tutto, levatevi dai piedi”.
 
                   7) Storico. Il cosiddetto “affare di Arcueil” vide protagonisti il marchese de Sade e Rose keller, vedova di un pasticciere di Arcueil, appunto. Accadde il 3 aprile 1768, giorno di Pasqua. Secondo la donna, era stata tratta in inganno dall’offerta di un lavoro onesto; secondo de Sade, l’offerta di prostituzione era stata chiara fin dall’inizio. Il chirurgo che la visitò, tal Le Comte, rileverà sul corpo della donna solo segni di frusta. In seguito, la Keller accetterà una forte somma per ritirare le accuse. Il fatto che lo scandalo avesse avuto luogo nel giorno di Pasqua sembrò, agli occhi dell’opinione pubblica, anche uno spregio alla Passione di Cristo.
                   8) Storico. Il 25 giugno 1772, a Marsiglia, il marchese de Sade riceve le ragazze e offre loro i confetti. Alla successiva accusa di avvelenamento, si aggiunse quella di sodomia, data la presenza del valletto del marchese. De Sade viene giustiziato in effigie ad Aix-en-Provence e condannato a morte in contumacia. La verità non è mai stata appurata con certezza.
                   9)  Storico.
                  10) Storico.
                  11) Durante gli anni di prigionia a Vincennes, dal 1777 al 1784, il marchese de Sade incontrò effettivamente il conte di Mirabeau, futuro rappresentante del popolo agli Stati generali del 1789. Il marchese de Sade fu preso e tratto in prigione in virtù della lettre a cachet perché era andato a trovare la madre morente, nel febbraio 1777. 



“Davvero gli crediamo?” chiese Oscar, davanti alla porta della sua stanza.

“Penso di sì, Oscar. Non ha ragioni per mentire. Non sembra un uomo che vuol apparire migliore di quanto non sia” rispose lui “E se non altro possiamo sperare che quelle due ragazze stiano bene, anche grazie a lui”.

E lei, d’improvviso, posò la testa sul suo petto indifeso. Come molte volte aveva fatto, ma questa era la prima dopo quella sera. Lui cercò di trattenere il respiro, giusto perché sentiva il cuore battere troppo veloce, e temeva che il rumore si riverberasse in un’eco e lei lo sentisse, spaventandosi. Perché era spaventoso, il suo cuore che batteva nel silenzio claustrale. Cercò di trattenere il respiro e appoggiò una mano, il più delicatamente possibile, sui capelli di lei, capelli che erano seta, che erano morbidi e dolci- capelli dolci pensò, senza altro aggiungere, mantenendo saldo il contatto con la terra. Allora, era quella la vita? Gli sembrava di averlo scordato.

“Quello che abbiamo appena visto e sentito mi sconvolge” disse lei, con semplicità.

Lui, che quasi non pensava più né alla disperazione né alle ingiustizie subite dal marchese, si concentrò su pensieri che lo placassero: la torta di mele che amava da bambino, Maria Antonietta che lo aveva lodato per aver definito “pulce” un marrone sbiadito, pensieri che facessero abbassare il suo livello di desiderio- pensieri che mettessero a tacere il suo demone con cui combatteva da sempre- osa, osa, osa adesso, razza di vigliacco, prendi tutto, profana, l’hai sentito quell’uomo?- mentre stringendo i denti si ripeteva: “Mai, mai”, sempre stupito che bastasse tanto poco per scatenare in lui quella voglia e quella rabbia che conteneva con sforzo. E che forse il marchese de Sade aveva incrementato, non certo placato. Qual era la differenza fra lui e un uomo come quello?

E fu così che, esercitando un controllo che lo devastava, le disse con voce dolce- dolce come aveva definito i suoi capelli, poco prima: “È solo un uomo, e un uomo solo, lo hai detto tu. Non è quel demonio che viene dipinto, non è nemmeno un innocente. È solo un uomo. A cui fa piacere raffigurarsi peggiore di quello che è”

“E la gente ci crede. Come accade con la regina” disse lei, che intanto sfiorava con le labbra la sua carne e lui non riusciva a pensare ad altro. “Osa, osa adesso! Credi che lei sia innocente? Lo sa cosa sei, cosa ci fa con la bocca appoggiata al tuo petto? Ti provoca, vuol vedere se sei un uomo! Mostraglielo, di nuovo, adesso”

“Sì” mormorò, con la voce spezzata, pregando che lei non se ne accorgesse “Come accade con la regina. Nessuno sa niente di nessuno” e si disse che aveva enunciato una sciocchezza, ma sentiva i capelli di lei fra le sue dita, la sua bocca su di sé, la sua resistenza faceva a pugni col cervello.
“È difficile capire cosa sia il bene e cosa il male. A volte la gente onesta è così canaglia” si lasciò sfuggire lei, e lui capì che con gente onesta intendeva i nobili ma non solo, tutti gli ipocriti che non volevano vedere oltre il loro naso; e sentì il dilemma che la lacerava, e che doveva riguardare le sue origini nobili e la sua vita di lusso, ma anche altro,  e sperò che coinvolgesse anche lui, questo dilemma, ma tutto era così veloce che non riusciva nemmeno a sperare, distratto da un istinto che era il suo demone e non gli faceva articolare bene le parole. E poi pensò che la vera canaglia era lui, che si dipingeva migliore di quanto non fosse, al contrario del marchese, e come tutti. Lo sforzo immane di non schiacciarla contro quella parete, di non frugarle l’anima con le mani avide, di non succhiarla nel cuore col suo cuore ormai torbido… “Cosa fai, cosa aspetti? Non lo senti il sangue ribollire? Smettila di pensare, schiavo impotente! Osa, osa, una volta in vita tua, vigliacco, punta tutto!”

“Eppure abbiamo scoperto che il divin marchese ha un cuore” cercò di razionalizzare lui, mentre vide con terrore se stesso cessare di fissare il muro e abbassare lo sguardo su di lei che lo alzava; e allora vide se stesso prendere le sue labbra in maniera drastica, vide lei stupita come un’altra volta l’aveva vista- sentì il suo demone esultare- e vide se stesso spingerla contro la parete, insinuarsi fra le sue gambe senza sapere ciò che faceva, avanzare le sue mani sotto di lei, non far caso alla sua voce; e sentì e vide nella sua testa Donatien-Alphonse-Francois, marchese de Sade, ridere e osservarlo soddisfatto. Il desiderio che è dentro a ogni uomo, quella voglia di prendere, quella rapace voglia di distruggere…

La sua fronte si bagnò di sudore, e si accorse di essere ancora in piedi, la mano fra i capelli di lei- ma leggera- mentre Oscar continuava a parlare, piena di fiducia e senza pensieri- senza nessun pensiero a quella sera, ricordò a se stesso: “Si vive intrappolati in una rete che ci han messo addosso. Io non sono migliore di lui. Sono solo più vile”
 
e lui, che sentì queste parole sulla carne, che pensò fossero rivolte a lui, udì di nuovo la risata del marchese de Sade come l’aveva sentita quel pomeriggio.
“Io no!” si disse infine “Desiderare non è peccato. Neppure scrivere lo è, divin marchese dei miei stivali. L’azione è il peccato”.
 
“Voglio che tu sappia che avrei voluto ucciderlo, quando ti ha fatto raccontare del tuo occhio. E voglio che tu sappia che ho lasciato la Guardia Reale per ritrovare me stessa, non per fuggire dalla regina o da Fersen” continuò lei, orgogliosa- e appena lui sentì che pronunciava il nome del conte, fosse lei sincera o meno in quel che diceva, strinse impercettibilmente più forte i suoi capelli, fermò la carezza, si impose di controllare il respiro, pensò a sua nonna- tutto, pur di evitare di muoversi, di lasciar ancora una volta traboccare parole che dovevano essere celate nel cuore, quel cuore che sentiva spaccarsi; e quelle parole che non riusciva a buttare fuori si sedimentavano dentro di lui, come pietra di basalto.

“Oscar, tu sei la persona più coraggiosa che io conosca. Fai sempre di tutto per non deludere gli altri. Hai il coraggio della vera forza” disse, con voce quasi neutra, forse più bassa del dovuto ma solo- pensò- in segno di rispetto a lei, alla casa, all’ora della notte, e intanto vide se stesso entrare in lei rimuovendo ogni ostacolo, quasi  incurante di lei, godere del puro godimento come il marchese aveva detto- detto, non fatto- e strinse i denti nel buio, in quel dialogo continuo e doloroso con se stesso: “Mai. Non approfitterò di lei. Non approfitterò di niente. Mai” .

E allora gli si schiarì la mente e quel dolore che sentiva, quella rabbia di servo che gli era impressa nei muscoli e lo rendeva sempre incerto davanti all’immagine di un Fersen di uno Girodelle, di un nobile qualsiasi che si avvicinasse a lei, svanì come neve al sole. “Io la amo e sono al suo fianco” si ricordò “Sono con lei, adesso; sono con lei anche quando lei non lo sa. Non c’è confine fra me e lei. Ecco quello che ho capito io, ecco quello che il marchese ha avuto paura a capire. Eccola, la forza”

E dettosi questo, si limitò a gioire del momento, a sentire lei e i suoi capelli dolci fra le sue dita. Il marchese non aveva buttato la sua anima nella scrittura, aveva buttato le sue paure, il suo risentimento, chissà che altro. Pover’uomo- pensò lui, e forse era l’unico in tutta la Francia a pensarlo.
“Sei la persona più coraggiosa che conosca e anche la più trasparente. E devi anche andare a riposare, comandante, visto che ormai non abbiam null’altro da fare e abbiamo saputo ciò che volevamo sapere. Posso rimanere di guardia, se lo desideri, non sono stanco”, disse allora, scostandola un po’ da sé, e con una naturalezza da fratello.

Lei, quasi risvegliatasi da uno strano sogno, lo guardò. Sembrò rendersi conto d’un tratto di aver poggiato la testa sulla sua carne nuda, sul suo torace accogliente e fresco nonostante quella strana avventura vissuta; lo vide nella penombra per quello che era, un uomo bello e un uomo gentile, e un corpo desiderabile che avvolgeva un’anima pura e rigorosa.

Non percepì nessuna tensione provenire da lui, non sentì neppure l’eco di ricordi fonti di imbarazzo.

Fece un passo indietro, per vederlo meglio, mentre lui toglieva le mani dalle sue spalle, ma solo perché quasi non si notasse che era stata lei a cercare un contatto, a costringerlo al contatto, dopo una serata come quella, in una casa come quella.

“Un uomo ancora innamorato?” si chiese lei, arrossendo, e dimenticando nell’attimo stesso.

“Abbiamo fatto ciò che dovevamo, ci meritiamo un po’ di riposo. Ci mettiamo in viaggio all’alba. Adesso il marchese de Sade se la vedrà da solo con la Legge, e con la sua coscienza, se ne possiede una” concluse lei, sapendo che avrebbe impiegato le ore che li separavano dall’aurora in pensieri inusuali.

“Buona notte, comandante (ti amo ancora, ti amo di più ogni giorno che passa)” e si mise sull’attenti, scherzoso.

Lei trattenne un attimo il respiro.
 
 
  
Non era ancora l’alba, quando André, assopito, sentì una carezza lieve come l’ala di una farfalla. Sorrise nel sonno.

“Oscar” mormorò.

“Non credo proprio, amico mio” rispose la voce suadente del marchese de Sade.

André scattò e si allontanò nel buio, svegliandosi di botto.

“Voi!” gridò piano “Cosa ci fate qui? Come siete entrato?”

Nel buio, immaginò la smorfia noncurante sul viso del marchese.

“Orsù, giovanotto, pensate davvero che non abbia un passpartout per ogni stanza del mio castello? C’è sempre un modo di passare dalle porte chiuse. Se la mia visita vi spiace, posso andare a trovare Oscar, che magari mi accoglierà con maggior gentilezza”

“Non osate”, sibilò André, stringendo i pugni.

La risata di de Sade lo colse impreparato.

“Amico mio, era solo una boutade, giusto per avere tutta la vostra attenzione. Figuratevi se, dopo una delusione come quella ricevuta, potrei mai aver voglia di trovarmi di nuovo la spada di quella donna alla gola. Superiore pure alle mie forze. Volevo scambiare due parole con voi, le ultime che scambieremo in vita nostra”

“Signore, mi avete tolto tre anni di vita, e in tre anni si scambiano molte parole” rispose lui, ancora un po’ diffidente. La luce dal doppiere non bastava perché vedesse qualcosa di più di ombre vane, inconsistenti.

“Sapete, amico mio, talvolta capita che qualcuna delle ragazze che gravitano attorno alla mia persona si ritrovi in situazioni spiacevoli e difficili da gestire. Non sempre certi piaceri sono senza conseguenze, non so se mi capite. Possono sorgere complicazioni di vario tipo, e la più frequente…”

“Signore, vi prego di risparmiarmi qualunque dettaglio relativo alla vostra gestione delle conseguenze. Sono molto stanco”, lo interruppe André, con una punta di disgusto.

La voce del marchese cambiò tono.

“Voi vedete con molto sforzo, amico mio. Vi ho osservato, e lo nascondete bene, ma ci sono segnali che sfuggono anche al rigore più ferreo, mentre son lampanti per uno spirito allenato all’osservazione. Forse è solo fatica, forse è qualcosa di più grave. Avete un solo occhio funzionante, e dovete tenerlo caro. Io sono in contatto, per la mia personale gestione di personali faccende, con i migliori medici della Francia, nonché della Svizzera e dell’Italia. E fra tutti, ce n’è uno che è un luminare. Se dovreste aver bisogno, andateci a mio nome e presentate il mio biglietto e questa lettera con sigillo. Fatevi aiutare e non pensate ad altro”

André senti scivolare dei fogli nelle mani, e per un attimo percepì il calore della stretta del marchese.

“Nessuno, in vita mia, mi aveva mai curato con così tanta pazienza. Nessuno aveva mai tolto schegge di vetro dalle mie braccia. Nessuno vi aveva avvolto delle bende. E nessuno ha mai fatto qualcosa per me senza volere nulla in cambio. Vi prego, non lasciate passare troppo tempo, e abbiate cura di voi. Se qualcuno può far qualcosa per alleviare il vostro dolore, l’uomo è questo. E lo farà per me e in nome mio, perché possiate voi dire con vanto che il marchese de Sade è stato conquistato dall’ultimo dei soldati della Guardia di Parigi, e che si è trovato ad ammirare delle virtù che non conosceva e che non saranno mai sue”

“Io non so che dire, signore” mormorò André, incerto.

“E infatti non dovete dir nulla, amico mio: voi parlate poco, io molto. Passeranno anche i tempi dei titoli e del “signore”. Forse ne verranno in cui potremo liberamente salutarci da uomo a uomo. Forse verrà il momento in cui rideremo nelle piazze e potremo tenere due donne nel letto. Forse potremo bere insieme una pinta, senza che voi dobbiate chiamarmi “signore” e io temere la vergogna. Forse verrà il tempo in cui sarò un uomo libero”
“Marchese, voi siete un uomo libero. Sarete un uomo libero anche in una cella, su questo non ho dubbi” 

“Lasciamo solo in sospeso se questa sia una cosa buona o meno” disse la voce di de Sade “Un’ultima raccomandazione: lei vi vuole molto bene, amico mio, ma non credo che vi ami come voi vorreste. Non credo che ne sia capace”

André, nel buio, sentì come un piccolo morso.

“Non importa, signore. Va bene lo stesso”

“No che non va bene. Abbiamo una vita sola, non possiamo sprecarla dietro ai sogni”

“Io non sto sprecando la mia vita, io la sto vivendo. La mia vita ha acquistato un senso grazie a lei. Io sono felice di vivere perché lei è viva. Senza di lei, niente avrebbe importanza”

“Amico mio” disse il marchese “Voi non siete una preda, e non siete neppure un uomo di questo secolo. Un secolo di ambiziosi e meschini, ipocriti con quattro soldi di filosofia addosso. Se solo ci provaste, a vivere una vita vera…”

“Signore, non conosco vita più vera e più piena della mia. Ogni giorno è memorabile perché le sono vicino. Oscar ha la capacità di rendere prezioso e indimenticabile ogni banale dettaglio. Accanto a lei, son sempre appagato. Sono anche troppo fortunato”

De Sade sospirò.

“Ricorderò questo momento in cui un giovane che ha perduto un occhio e passa le sue giornate a faticare e obbedire,  mi venne a dire che è anche troppo fortunato, perché la sua felicità sta nell’amare. E fece sentire il marchese de Sade un povero pezzente che ha sbagliato tutto, nella sua vita. Forse ci scriverò sopra qualcosa. Vi auguro ogni bene”

Un attimo dopo, André era solo nella stanza.
 
  
 
“Chissà dove si è nascosto” disse Oscar, mentre cavalcavano verso casa “Forse è scappato, alla fine”

“O forse non voleva mostrarsi ancora una volta a noi, dopo che lo abbiamo visto in quelle condizioni”, continuò André. Teneva in tasca l’ultimo dono del marchese, quello che era il suo saluto. Alla fine, quell’uomo era rimasto un mistero, e solo coi “forse” era possibile definirlo.

“Mi ha lasciato una rosa bianca alla porta. Cosa ne pensi?” sorrise lei.

“Bisogna ammetterlo, sa come entrare in scena e sa come uscire dalla scena. Non me la sento di esprimere giudizi”. Poi le si affiancò nel cavalcare “È una rosa molto bella. Ed è un fiore che ti si addice molto”

“Già”, si limitò a dire. Una rosa bianca dal marchese de Sade. Uno strano omaggio, forse una particolare forma di ammirazione. O forse no. Magari solo un caso.

D’improvviso, si accorsero di  una carrozza che veniva verso di loro, dalla direzione opposta.

Avvicinandosi al ciglio della strada, riuscirono comunque a vedere, all’interno, per un momento fugace, un bagliore di rosso di capelli, un profilo eburneo di fanciulla.

“André” chiese Oscar, calmando Cesar e stupita “Credi che sia lei?”

Ci pensò un istante.

“Lo spero intensamente” rispose infine “E spero anche che lui si sbagli su molte cose” disse, infine.
 
 
 
 
  
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