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Autore: sacrogral    19/01/2021    3 recensioni
Crediti: Forrest Gump (film, 1994) di Robert Zemeckis; Remo Rapino, Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio - per l'idea narrativa. Ma è tutto di Riyoko Ikeda.
Dal testo: Io forse dovrei cominciare a raccontare da quando sono nato, ma siccome non me lo ricordo tanto bene comincio da ora e vi dico che mi chiamo Foret, come le foreste, perché la mamma dice sempre che aveva guardato i boschi mentre nascevo o qualcosa del genere, ma comunque degli alberi. Io, Foret, non è che abbia poi fatto grandi cose da quando son nato ma quelle che ho fatto le ho fatte io, ma non tutte da solo – per esempio, a contare i numeri, anche quelli grossi, mi ha imparato mio padre...
Genere: Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Io forse dovrei cominciare a raccontare da quando sono nato, ma siccome non me lo ricordo tanto bene comincio da ora e vi dico che mi chiamo Foret, come le foreste, perché la mamma dice sempre che aveva guardato i boschi mentre nascevo o qualcosa del genere, ma comunque degli alberi. Io, Foret, non è che abbia poi fatto grandi cose da quando son nato ma quelle che ho fatto le ho fatte io, ma non tutte da solo – per esempio, a contare i numeri, anche quelli grossi, mi ha imparato mio padre, che però un giorno ha detto che andava a Lione a vendere qualcosa, o a comparare qualcosa, e comunque non s’è più visto e la mamma ha cominciato a chiamarlo con quella parola brutta che inizia per “b” e di solito indica quelli che hanno un padre senza nome, ed è strano perché noi il nome suo si sapeva, ma alla fine forse era come un soprannome perché tutti hanno cominciato a chiamare così anche me, Foret il bastardo, e non mi sembra più tanto brutta come parola, è sempre il nome di mio padre, come lo chiama la mamma.

Io, a Parigi, ci sto come bene, come un topo nel formaggio, e con me son tutti buoni, anche quelli meno buoni che a volte mi tirano i sassi dietro ma mi pare normale, e son buoni anche tutti gli amici della mamma che vengono a farle visita la notte e se ne vanno che è ancora buio ma la mamma dice che è per una cosa di discrezione, e se è per una cosa di discrezione allora va bene. Anche le amiche della mamma son buone e mi fanno sempre una carezza o mi regalano dolci o mi chiamano col mio nome vero, che è Foret – per esempio, c’è Louise la zoppa, che chiamano così perché è zoppa, che è sempre vestita di rosso e c’ha tante gale addosso che mi abbracciano e mi leva anche i pidocchi e poi mi dice che sono pure intelligente, perché conosco anche i numeri grossi e a volte mi porta al mercato, perché sennò quelli della frutta le fanno la cresta sulla spesa. Che poi, chissà di preciso che è, la cresta ce l’hanno i galli, ma lei mi ha rivelato che era un modo di dire, cioè quando dici una cosa ma ne intendi un’altra, che non è facile da capire.

Quindi son cresciuto bene, anche perché c’ho tanti amici, specie alla Disperazione perché la mamma mi ci lasciava già quand’ero piccolo così, e l’oste che non dice mai nulla, a volte mi diceva qualche parola e erano e sono ancora che è oggi sempre tutte piene di saggezza. Per esempio, a volte mi presenta monsieur Sanson che tutti dicono che non bisogna parlarci perché c’ha la Morte addosso ma io ci parlo lo stesso, perché tanto averla o non averla addosso la morte è tutto un po’ la stessa cosa, e poi è una signora gentile e silenziosa, e monsieur Sanson non ce l’ha addosso ma accanto e tanto contento non è. Fra l’oste e lui son capaci di stare zitti mezza giornata, poi alla fine uno dice “Già” e l’altro dice “Mmmm” e sembrano aver capito tutto, e io invece non ho capito nulla, ma sarà per quella cosa nella mia testa che non gira bene, che bisogna metterci un po’ d’olio come alle porte per farla girare, e io una volta me lo son versato l’olio addosso ma non è successo nulla, forse è una di quelle cose che dici per intenderne un’altra, come madame Louise.

Così succede che io alla Disperazione ci sto come a casa mia, per dire, e l’oste che si chiama Joss le petit perché è grande e grosso, invece Auguste si chiama le grand perché è un nano, io questa cosa di far tutto al contrario mica la capisco tanto, davvero, e comunque l’oste mi tiene con sé e ogni tanto fa “grunf” e io gli do sempre il bicchiere che vuole, perché se fa “grunf” in un certo modo ne vuole uno, se fa “grunf” in un certo modo ne vuole un altro. I bicchieri qui c’hanno dei nomi, e allora io li chiamo così, e gli dico: “Il ladro di polli, Martin Leclercque, giusto?”, tanto per fargli fare di nuovo “grunf”  che vuol dire “sì”. E poi lui mi dice, ma qualche volta di rado: “Questo, Sanson se l’è preso perché rubava. Non rubare!” e io non rubo, perché lo dice Joss e perché monsieur Sanson mi piace, ma non è che voglia star sempre con lui o con quella signora nera, che poi nemmeno è la moglie, davanti a Dio, di Sanson.

E poi c’è Gobemouche che c’ha quella faccia strana, che mi fa ridere e fa ridere tutti, ma alle volte, quando è in serata e non si capisce perché sembra diventare un altro, tira fuori cose incredibili, di quelle che io vedo nei sogni, e allora fa piangere tutti e Joss si asciuga gli occhi con uno straccio e gli offre da bere e poi nessuno dice nulla, nemmeno la signora che è coperta di nero e forse per questo nessuno la saluta, che mi pare anche scortese ma lei non se ne risente, dev’essere una democratica, come Louise la zoppa e mia mamma, che non si arrabbiano mai, o almeno io non le ho mai viste, arrabbiate.

E insomma io alla Disperazione ci sto come il cacio sui gamberoni, che è un altro modo per dire il contrario di quello che si vuol dire, ma insomma, c’è tutta gente a modo qui, e poi quando arriva qualcuno che non è a modo poi non si vede più, Joss alza le sopracciglia cioè quelle cose pelose che stan sopra le ciglia – lo dice la parola, come ripete sempre Gobemouche – e c’è sempre qualcuno cortese che accompagna fuori chi non deve stare qui perché non è a modo e poi non si vede più, quello non a modo; come uno, una volta, che m’ha detto che ero scemo, perché gli ho rovesciato la birra sul vestito della domenica, e s’è messo a urlare; e allora Joss ha alzato le sopracciglia, e la signora tutta nera non lo so, perché non mi riesce di vedere se c’ha il colore degli occhi, però non era contenta, e Sanson lo ha guardato male e tutti si son fatti zitti zitti e lui doveva essersi pentito perché si è asciugato la fronte – c’aveva una gran panza, come quella dei preti vestiti di rosso – e poi Gobemouche, che si chiama anche Michel, s’è alzato, e si è alzato anche il padre di Hortense, che lavora con me da mastro Decambrais e ci mettiamo insieme a fondere e a tirare colpi nell’incudine, che io lo so fare bene, c’avevo dieci anni quando ho cominciato e non è difficile, solo pieno di affaticamento, e comunque si sono alzati tutti e due e Gobemouche tutto serio ha detto: “Bastiamo noi” e son bastati davvero, perché quel signore ha buttato un po’ di quattrini sul banco e erano anche troppi perché poi Joss, zitto zitto, ha offerto un giro a tutti, pure a me, e comunque quello è andato via e non è tornato più, che magari aveva fretta perché era stata colpa mia, che avevo sporcato il suo vestito buono, ma nessuno s’è arrabbiato con me, e la signora tutta nera che nessuno saluta mi ha detto: “Tu hai la Luce, mia creatura”, e a me “mia creatura” nemmeno mia madre me l’aveva mai detto, e nessuno ha sentito, per una volta che mi dicono “mia creatura”, ma il boia ha sentito, forse, perché le ha sorriso e non l’ha chiamata “vecchia lupa”, che poi non somiglia a una lupa, ma deve essere una di quelle cose al contrario; e allora mi sono scusato con tutti, ma tutti hanno fatto finta di niente, che a Parigi funziona così, credo, e Joss le petit ha detto “bevi” e io ho bevuto, e credo che mi abbia dato roba buona, quella che dà ai signori quando vengono per le tasse, perché, non fo per dire, ma era proprio buona, quella roba.

E poi una sera entrò quel giornalista che scrive i pettegolezzi sulla regina e a volte ci mette pure i disegnini  sul giornale, di Marie Antoinette mezza nuda, con accanto un pezzo d’uomo alto e bello e che dev’essere anche un po’ scemo, perché c’ha sempre la faccia allupata e le guarda le tette, che son quella cosa che hanno le donne al posto del torace che abbiamo noi, e che non so perché ti fa venir voglia di toccarle e anche di sentire il sapore, e che io ho visto dalla verità quelle della mamma ma forse non vale perché non mi veniva tanta voglia, e poi scrive tante cose sulla libertà che è una bella cosa, e sulla fraternità che è ancora meglio; e quindi entrò e c’avevano tutti la faccia seria perché è il cavaliere nero, lui,  anche se era vestito di verde, e Joss disse a Lucien, il fornaio, che era tempo di chiudere e qualcuno se ne andò un po’ di contrabbando, come chi non vuol sapere nulla di qualcosa di cui è meglio non sapere nulla. Io mi misi in un angolo, sotto il dipinto grosso con la Morte che è uno scheletro che suona e trionfa, e tutti la seguono, vecchi e giovani, ricchi e poveri, donne e uomini; perché eran discorsi da adulti e a sedici anni bisogna anche capire qual è il proprio posto, sennò finisce come con quel signore che mi ha detto che ero scemo e poi non s’è visto più; e allora Lucien il fornaio chiuse e quello, che era il giornalista, e si chiamava Bernard Chatelet e “Chatelet” è pure un nome che mi fa ridere, il perché non lo so, però è uno che quando ride fa anche un po’ paura, ecco, dice che è arrivato un momento importante e che lui vuol rubare – anche se Joss mi dice che non si deve rubare – proprio a Versailles e alla regina, che è Marie Antoinette che poi è proprio bella e vedere una donna bella dà speranza a tutti, dico io, ma lui dice che è per il popolo, e siccome dunque il popolo siam tutti noi, e anche il mio amico ma più piccolo Jean Louis che sta male e il dottore vuole soldi per guardare e farlo tornare sano, ma anche perché si possa correre di nuovo nelle strade, ecco allora che magari stavolta va bene, e anche Joss non è contrario, anzi, sembra – come si dice? – orgoglioso, ecco, ci sta volentieri a ‘sta cosa, e Gobemouche mi par convinto, e sta zitto come anche monsieur Sanson e la dama vestita di nero non dice nulla, sta lì a guardare e nessuno la saluta, ma io avrei voglia di chiederle se desidera qualcosa, ma lei si mette il dito sulle labbra che vuol dire che non devo dir nulla manco io, e infatti faccio così.

E comunque il signor Chatelet che è un giornalista ma anche il cavaliere nero o per lo meno si veste di nero a momenti e ruba ai ricchi per dare ai poveri, e questo è cosa buona e giusta, perché i poveri hanno dei bisogni e i ricchi no, e i bisogni non son quella cosa che fai quando scendi sulla riva della Senna e stai via per un po’, ma è roba tipo mangiare, curarsi, coprirsi e anche guardare il cielo, credo, perché a volte ce n’è bisogno… ma io guardo o anche penso agli alberi prima di dormire, poiché il mio nome da quelli deriva, e poi penso che il signor Bernard fa bene a fare quel che fa, se lo dice Joss le petit che per me è come un altro padre, anche se il mio è a Lione e bastardo è una parola grossa, e non è come monsieur Decambrais che grida sempre e alla fine mi scoppia la testa, lui non dice nulla. E comunque il signor Bernard che si chiama anche Chatelet dice che è tempo di rubare il tesoro della Corona o roba del genere, ma io non ho ben capito chi sia la Corona, che è una roba che sta in testa ai nobili con gli abiti di porpora, mica a noi pezzenti, e comunque la Corona non ha mica voce e sangue, dev’essere quelle cose che non son come sembrano.  E il signor Chatelet dice che ci serve un piano, che è una cosa che sta su una dimensione sola ma anche pare una specie di scorciatoia, un intrigo cioè una parola grossa che serve a dire che bisogna far le cose di nascosto.

E allora mi accorgo che c’è anche il curato, che è come dire il prete, ma non di quelli che si vestono di rosso e stanno con la panza di fuori a farsi vedere nelle occasioni importanti, ma è uno che fa la fame come tutti e va nelle case della gente e a chi muore gli dà l’estremità dell’unzione e a chi nasce lo battezza e fa quelle cose che un servo di Dio deve fare, e poi zappa l’orto e le verdure le divide con chi capita, e poi magari dice anche parole poco convenienti quando succede qualcosa per la quale litiga con Dio ma poi ci fa pace perché Dio è come un padre che perdona  i figli, anche quando li trova con le dita nella marmellata, per dire, e poi alla Disperazione c’è Joss le petit che non va tanto per il sottile, e gli dà da bere e non si mette a far ghirigori e poi il conto, qualcuno ci penserà, magari ci pensa Dio, e mamma sta sempre a ascoltarlo quando parla e con lei parla sempre di paradiso e mai d’inferno, e insomma è come dire che c’è anche lui e allora se ne esce fuori e dice: “Non si può fare, Bernard. Anche se tu potessi entrare a Versailles, e non si può, e anche se tu arrivassi al tesoro, e non ci si può arrivare, il punto sono le Guardie Reali, e il loro comandante, Oscar Francois de Jarjayes. E darebbe la vita pur di proteggere quella cagna austriaca  (proprio così, disse, il prete, mentre buttava giù una grappa forte e si faceva il segno della croce), prete che poi si chiama fra Etienne, il “fra” da frate, mentre “Etienne” perché era un ragazzo che quelli cattivi hanno messo a un palo e trafitto con tante frecce o colpito con tante pietre, credo perché diceva che Cristo è la via, la verità e la vita, o qualcosa di simile.

E allora fra Etienne disse che non si poteva fare, perché c’era questo Oscar che voleva preservare i cani della regina, qualcosa così, mentre invece questi cani bisognava che si passassero, perché era importante, e il popolo un po’ bisogno aveva di quel tesoro, che non si poteva immaginare da quanto era grande.
“Ogni uomo ha il suo prezzo” disse Chatelet, che dev’essere un altro modo per dire che comunque anche, come le cose, le persone si possono comprare alla bottega.
E il dottor Lassone disse che no, stavolta non si poteva, che quell’uomo era una donna ed era pure interissimo cioè integrissimo o interrimo cioè una cosa del genere, che è come dire che non si compra.

Io, per me, chi mi vuol comprare, tanto non deve spendere, io sarei tutto contento se qualcuno mi comprasse, ma anche la mamma, che poi dice sempre che lei vende a tutti la stessa rosa e non ho mai capito bene come fa a venderla tante volte, se la rosa è la stessa. Però, comunque, questo o questa  Oscar non si comprava, non c’era verso, e allora Bernard ha detto che serviva un cavallo di Troia, che io non ho capito bene, perché anche quella mi sembra una parola brutta e quando la dicono alla mamma io mi devo arrabbiare, ma comunque ci voleva questo cavallo, che doveva essere insospettabile, tanto per capire cosa succedeva in quel Palazzo e anche per vedere se alla fine questo o questa Oscar si comprava, e allora viene fuori che io sono il cavallo, ma non ho la coda e quattro zampe, viene fuori che io devo andare a lavorare non per monsieur Decambrais o comunque non più, devo andare a fare del lavoro a casa di questa gente e riferire tutto, che ogni cosa serve. E io guardo la signora nera, perché non la guarda nessuno, nemmeno Sanson che eppure le è affezionato, e allora dico sì, che ci vado, che tanto male non fa.

Ora, io faccio dei sogni strani. Dev’essere quella Luce che mi diceva la signora, che ad ogni modo io al buio accendo un doppiere, per cui non ci vedo senza – io comunque sogno cose strane, che sono tipo la gente che parla con altra gente a distanza lunga, e c’hanno in mano degli oggetti che ammazzano il parlare ma intanto la gente ci parla dentro anche se non si vede fra loro stessi; e una volta ho sognato di un signore che era innamorato ma proprio tanto di un bove, e i bambini gli dicevano “bravo” e se lo imparavano a memoria, e quest’uomo sembrava grave e con la barba tanto che non pareva uno innamorato di un bue, pareva serio, che l’amore è roba complessa anche fra cristiani e con un bue deve essere più complicato assai; o anche un altro che diceva alla consorte novella di un suo amico che c’aveva i petali un poco gualciti e non ho capito tanto bene, ma non mi sembra una bella cosa da dire alla moglie di un amico, che comunque questi petali son meglio belli floridi, tanto più che ‘sto signore stava a spiare la casa dell’amico la prima notte di nozze, e non è una bella cosa; oppure anche un giovanotto che correva sotto la pioggia a mani nude con una bella ragazza che rideva e le diceva che il mondo è tutto una favola, e questo mi sembra buono, ma era tutto un illudere e illudersi, che vuol dire che pare in un modo ma invece è in altro; ma fra i sogni che ho fatto io ho visto anche questo o questa Oscar, che rideva, e guardava non ho visto chi, ma magari ero io e – mondo gatto! Come dice sempre fra Etienne quando sta stupito per qualcosa – era proprio bella, anche più bella della statua della Madonna che sta nella cattedrale, anche più bella di Louise la zoppa quando mi fa una carezza sui capelli, anche più bella di tutto quello che al mondo c’è di bello, e dalle mani le nascevano o forse le cascavano dei petali di rosa bianchi bianchi come la neve ma quando cade dal cielo, e poi c’era tutto quel vento che le muoveva la chioma, ma bionda bionda, e io la guardavo, e non sapevo che dirle, che una cosa così bella io non l’avevo vista mai. E poi, l’ho vista – e allora l’ho capito che era una donna ma per davvero – tutta avvolta dalle spine, ed era nuda come mamma l’ha fatta, tanto che anche nel sogno non sapevo se guardare oppure no, però ho guardato lo stesso, ma ho visto poco, insomma, volevo vedere di più ma non si poteva, e c’aveva anche una spada in mano, e un’espressione che era triste ma – come dire – rassegnata, ma era tanto bella lo stesso, e io l’ho detto a me stesso medesimo: “Se è questa, l’Oscar che dicevano quelli, allora non si compra, nemmeno col tesoro così grosso che non c’è nemmeno un numero per dirlo”. 

E comunque finì che io in quella famiglia ci andai a lavorare, e tutti mi avevano detto di star zitto e di non farmi notare, che è un po’ la stessa cosa perché se uno sta zitto non lo nota mica nessuno, però c’era una signora che mi fece l’esame come fanno i bambini ricchi che hanno un maestro tutto per loro, e mi chiese vita, morte e miracoli di me stesso, e le dissi che mi chiamavo Foret ma anche il bastardo che era uguale, e lei guardò il dottor Lassone che mi aveva accompagnato e comunque era pure un po’ – come dire? – in imbarazzo, ecco, ma io avevo detto e anche di più, tranne la cosa che dovevo poi riferire tutto alla Disperazione e che io ero un figlio di Troia, che è come dire un cavallo della stessa razza; ma quello a una signora così perbene e severa era bene non dirlo, che il dottore non avrebbe approvato e nemmeno Gobemouche, che poi diceva pure a me “Bastiamo noi” con il padre di Hortense accanto che insomma, non saranno grossi come Sanson che è meglio non parlare con lui, ma son sempre in due.

Poi tanto zitto io per davvero non stavo, perché c’era un ragazzo che in realtà era più grande di me e pareva anche intelligente che magari lo capiva che cosa io ci stavo a fare lì, che non era nemmeno cosa troppo bella magari, ma c’era quella storia di noi poveri e del tesoro di mezzo e io allora ci stavo lo stesso, e quando potevo me ne scappavo alla Disperazione e stavano tutti zitti e buoni quando parlavo, anche se fra Etienne scuoteva la testa e Joss le petit si toccava il mento; e io comunque ci stavo bene in quella casa, anche se mi toccava farmi il bagno spesso spesso, e si sa che lavarsi troppo fa male, ma André – che era il mio amico, quello che prima dicevo io – invece pensava che fosse un bene, che tanto erano sciocchezze belle e buone, che l’acqua dei fiumi lava e leviga e purifica e la sporcizia fa sporcizia e basta, ma lui lo diceva meglio, e poi se si puliscono i cavalli tanto vale pulire gli uomini e a me mi convinceva assai, questo discorso; e poi vidi madamigella Oscar che era davvero una dama anche se tutti la chiamavano “conte”, tranne André che la chiamava col suo nome che è Oscar, e era proprio come nel sogno solo che aveva i vestiti nella verità, e quando il vento le muoveva la chioma era proprio da restare a bocca aperta e non dire nulla, e infatti anche André non diceva nulla pure lui che sapeva tante cose e era pure più bello anche di Gobemouche, e anche degli amici di mia mamma, e insomma, era bello come mio padre che se n’è andato a Lione, ma forse di più, perché c’aveva gli occhi verdi verdi e poi le ragazze volevano baciarlo ma sulla bocca, e questo vuol dire che anche la bocca era bella, ma quella di Oscar di più. E quando li vedevo insieme, Oscar e André, io pensavo che erano fatti apposta, come il ferro e la calamita, come la testa è fatta per stare sul collo e via dicendo, ne ho tanti di esempi ma di quelli che vogliono dire proprio quella cosa, mica il contrario.

E infatti stavano insieme sempre o quasi, Oscar e André, che comunque anche se era mio amico quando Oscar lo chiamava lui rispondeva sempre e smetteva di fare quel che faceva e di dire quello che diceva per andare da lei e io lo capivo proprio bene, perché Oscar quando tendeva il braccio con la spada in mano si vedeva nella luce che era proprio bella e penso così che anche André lo vedeva e credo che se Oscar lo chiederebbe lui facesse ogni cosa per lei – e io lo dissi questo, alla Disperazione e feci bene perché poi, a forza di parlare di lui, fra Etienne fece in modo di incontrarlo e lo invitò a certe serate che si facevano in una chiesa ma di quelle dove non si celebra più la messa e si parla di politica che è come dire della libertà che è una bella cosa e della fraternità che è ancora meglio. E poi c’era il generale Jarjayes che era come dire un padre e che aveva avuto quell’idea così intelligente di far diventare Oscar un maschio tanto tempo prima e mi pareva proprio un uomo valido e parlava sempre della Corona, la Corona qua, la Corona là, e le loro Maestà che lui diceva che era fedelissimo e Oscar faceva sempre di sì con la testa, e poi quando lo raccontavo alla Disperazione fra Etienne ma anche Joss scuotevano invece la testa come a dire che non si poteva fare. E pertanto il generale pure mi piaceva e doveva essere anche lui interissimo o integrissimo o comunque molto intero, e mi trattavano molto bene tutti e la signora Marie, che era quella che mi aveva fatto l’esame e era anche la nonna di André mi aveva regalato anche i vestiti buoni e mi dava da mangiare tanto, e il punto era che ne portavo anche alla mamma che faceva gli occhi grandi, a pensare che mi ero sistemato proprio bene se non era per quella faccenda del cavallo di Troia.

Bernard diceva sempre che tutti i nobili devono essere odiati ma io non ce la facevo tanto, in quella casa, perché non erano da odiare o comunque non mi riusciva mica, anzi, volevo proprio bene a tutti e poi André diceva che nessuno è responsabile per quello che alla nascita gli viene dato in sorte e finiva lì. Io però mi ricordo ancora di Pierre, che era molto amico mio, e che il duca della Germania – si chiama così anche se è francese – gli aveva detto che lo perdonava, per aver cercato di rubargli una moneta e lo aveva lasciato andare ma poi, mentre tornava dalla mamma, ecco che quello gli aveva sparato e alla schiena, come non si fa coi cristiani e nemmeno coi bambini, e me la ricordo come piangeva la signora sua mamma e anche Bernard e Rosalie, che è un’altra amica mia, e anche Gobemouche e Joss e il padre di Hortense e monsieur Sanson che non c’erano, se lo ricordano lo stesso; e la macchia del sangue di Pierre che poi è diventata sempre più scura e tutti ci passavano accanto e nessuno la calpestava e tutti ci facevano il volto nero quando la vedevano e anch’io, e lo capisco perché Bernard lo dice, che questi nobili vanno odiati, e quello lo odio ma tanto pure io, e alla fine la macchia l’ha lavata il cielo perché se aspettava gli esseri umani era ancora lì.

E poi una volta a casa Jarjayes venne una signora che era di Polignac a cantare, ma non erano tanto contenti nessuno e nemmeno questa signora e allora perché era venuta lo sa il Cielo ma André diceva che era per una cosa di buoni rapporti tipo di diplomazia che dev’essere pari alla discrezione che dice la mamma, e comunque venne e cantò e io mi misi zitto zitto, dietro una tenda, perché volevo sentire le parole nell’aria anche se non le capivo. Erano tutti attenti e io guardavo il conte Oscar da lontano che seguiva tutto e aveva la faccia che ha quando fa il colonnello e non quando scherza con André e il generale invece faceva finta di dormire o forse si è addormentato davvero, non lo so, e quando è andato dalla signora tutta azzurra a complimentarsi aveva pure la parrucca un po’ spostata e insomma: “Signora, avete cantato magnificamente l’aria di Pergolesi” le disse, compìto; “Veramente, era un’aria del giovane Mozart” rispose lei, piccata; e il generale Jarjayes, senza fare una piega, disse: “Meglio ancora, meglio ancora”, e Oscar sorrise un pochino, come quando si vorrebbe ridere ma si capisce che è meglio non farne di nulla, come per discrezione.
E poi Bernard in quel periodo aveva preso a fare il cavaliere nero la notte, e tutti a Parigi lo benedicevano e dicevano cose belle anche se che lui era lui, cioè Bernard, non bisognava dirlo a giro, e alla Disperazione bisbigliavano e lo dicevano solo Joss, e fra Etienne, e Gobemouche, e qualche volta, ma poco, monsieur  Sanson, e quando non c’era nessuno e li ascoltavano solo l’affresco sul muro che ride e io. Ma Oscar invece non ne parlava tanto bene e voleva arrestarlo, quel cavaliere che poi era Bernard, e a volte diceva che le sgusciava fra le mani, come se avesse una spia che lo avvisava dei pericoli, e quando diceva così guardava André dritto in faccia e negli occhi e lui la guardava dritto in faccia e negli occhi e non diceva niente; e siccome la spia ero io che ero anche un cavallo di Troia a me dispiaceva tanto, ma non tanto da non dire tutto quel che sentivo a Palazzo a Bernard per non far prendere il cavaliere nero, e anzi le cose da sentire me le andavo a cercare.

Poi un giorno di notte non dormivo e giravo a caso per prendere il sonno e vidi il cavaliere nero che entrava nel Palazzo di notte ma con Oscar e si guardavano intorno con sospetto come chi non vuole che lo si veda e avevano gioielli e altra roba preziosa, tanto che io stavo per gridare “Bernard!” e me ne accorsi per un capello che invece era André vestito di nero, dato che aveva gli occhi verdi e poi a guardarlo bene era anche un po’ diverso e comunque non dissi nulla, rimasi a bocca aperta. E André salutò Oscar e mi venne vicino e mi fece sedere sulle scale e si sedette anche lui che si tolse la maschera che aveva tenuto e si mise comodo e mi mise pure il braccio sulla spalla e mi raccontò che era un segreto sempre per la discrezione e che Oscar e anche lui avevano un piano che io lo so cos’è per tendere una trappola al cavaliere nero che io sapevo era come dire a Bernard. E io gli domandai perché alla fine lo volevano prendere, che lui dava tutto ai poveri, e alla fine di quello si diceva alle riunioni con fra Etienne e Gobemouche e anche Joss che per me era quasi il padre che se n’è andato a Lione, si diceva che i poveri son poveri perché hanno troppo poco e che i ricchi sono ricchi e anche nobili perché hanno troppo e allora André si fece triste, disse che le cose eran più complicate, che le cose sono sempre più complicate, e disse qualcosa sulla società ma non so se era convinto davvero; e poi disse che lui a Oscar voleva tanto bene, e se qualcuno doveva attirare il cavaliere nero era bene che fosse lui, che ci somigliava pure di più e doveva essere per cui Oscar ha i capelli biondi e non è neppure un maschio del tutto e comunque poteva essere pericoloso e lui era nato per tenere il pericolo lontano da Oscar e prenderselo lui, questo pericolo, se era proprio il caso. E io forse ancora non lo so tanto bene cos’è l’amore, anche se una volta ho fatto un sogno e c’era un signore col cappello che amava davvero ma davvero tanto una donna e proprio per questo la lasciava volare via con un altro, proprio volare, su un uccello ma fatto tipo di ferro e grosso grosso che se li prendeva nella pancia, lei e un altro, e l’amore dev’essere come quella cosa lì, che pensi prima alla persona che ami e poi a te; ecco, non lo so bene, ma a me André sembrava uno molto innamorato e era come se questa fosse la risposta a tutte le domande – una volta ho sognato che la risposta a tutte le domande era 42 ed era proprio un sogno scemo, a me convince di più quella che ha pensato André senza dirlo, ed è come dire che per l’amore fai tutto e anche quello che non vorresti tanto fare, perché ti viene di farlo lo stesso.

Io però questa cosa che c’era un falso cavaliere nero e che era André non la dissi anche se dicevo tutto, e perché ora mi veniva difficile anche avere un’idea su chi far vincere, perché Bernard mi piaceva ma non tanto, mi piaceva di più André e c’era questa nuova cosa di tutti che odiavano e di André che amava o comunque voleva tanto bene e soprattutto a Oscar, che mi sembrava anche che lei fosse così fatta apposta per la vita e per l’amore e quando suonava il pianoforte o anche il violino mi pareva che tutti e tutto, anche la natura tutta intera, la stessero ad ascoltare e insomma secondo me aveva tante cose dentro da dire, ma non le poteva dire, come anche a me succede, e chissà perché poi è così.

E poi qualcosa andò storto ma storto davvero perché André tornò a casa come svenuto e aveva faccia piena di sangue e fu chiamato in tutta sveltezza il dottor Lassone che lo curò e disse che l’occhio era un bel problema perché aveva ricevuto la ferita di quelle più gravi e Oscar era bianca bianca tanto che credevo svenisse a terra ma non era così, e credevo che piangesse ma Oscar piangeva difficile; e André mi faceva tanto dolore vederlo così, che tanto dolore doveva sentire anche lui, ma a Oscar glielo disse che non era colpa di lei e che comunque, se le cose andavano male ma male proprio, lui di occhi ne aveva sempre un altro e che gli occhi di Oscar erano più importanti di quelli di lui e che alla fine l’occhio per lei lo dava volentieri e per davvero; e Oscar io pensai che lo volesse abbracciare ma poi si tratteneva, così come quando vuoi fare una cosa ma alla fine non la fai, e il dottore gli disse che poi doveva stare fermo e al buio per non so quanti giorni ma pochi no, che sennò l’occhio era davvero tutto morto, mentre  così facendo magari rimaneva un po’ vivo – e Oscar la vidi che non c’aveva voglia per niente di lasciarlo da solo nel buio indi per cui rimaneva con lui, ma il dottore mi disse piano di andar via dal Palazzo quella notte stessa e medesima, e tornare a casa mia, perché ogni faccenda si faceva più complicata e tanto lui l’aveva detto che quel tesoro grosso non si poteva prendere e grassa grassa se si prendevano dei tesori più piccoli per la fame del popolo, e aveva detto anche che quella donna che poi era Oscar non si comprava mai, figuriamoci adesso.

A me però dispiaceva non poco lasciare così la signora Marie e anche il generale, e di più Oscar e ancora di più André che comunque doveva star fermo al buio, ma non è ci potessi fare qualcosa, e nemmeno salutare potevo, che poi chissà se a qualcuno saltava nella testa che potevo essere io, quel cavallo che spiava, e poi era peggio per tutti.

Quindi io credevo che la storia poi finiva qui, ma invece c’è un’altra fine, perché Bernard e gli amici suoi presero prigioniera Oscar e la chiusero nelle segrete che son delle celle del palazzo del duca d’Orleans, che è uno parecchio nobile e pure parente del re, ma per motivi della sua persona stava anche dalla parte del popolo – e io questa cosa però non la potevo accettare, perché se c’era qualcuno che doveva star libero all’aria a cavallo e poi anche a suonare il violino quella era Oscar, e poi ora doveva stare anche al buio a tirare su il morale a André che aveva l’occhio moribondo, e allora feci quella cosa di nascosto, che entrai nel Palazzo del duca dalla porta quella di dietro per cui Bernard e i suoi amici passavano di lì e mi dissi poi che era tempo di liberarla. E io non sarò grande e grosso però a aprire una porta lo so fare anche senza la chiave vera, e al momento buono ci potevo ad ogni modo provare. E proprio mentre quasi ci stavo per provare vedo che Marcel sta accompagnando Bernard che è il cavaliere nero alla prigione ma anche che ad un certo punto il cavaliere nero tira a Marcel un cazzotto da stendere un toro e infatti Marcel casca a terra come una pera dall’albero; e il cavaliere nero gli prende in fretta le chiavi perché è a terra ma poi alza gli occhi e mi vede e c’ha gli occhi verdi verdi anche se uno non è più bendato, per cui non è Bernard ma è André per forza. E lui mi guarda e mi riconosce e allora capisce che io sono il cavallo di Troia per non dire la spia per cui loro il cavaliere nero non riuscivano a prenderlo, ma anche quello in conseguenza del quale il suo occhio è stato ferito, e allora adesso mi ammazza e se scappo mi spara alla schiena, come il duca della Germania al mio amico Pierre, e la macchia del mio sangue la laveranno via senza tanti pensieri; e mi viene da piangere allora e da raccomandare l’anima al buon Dio e mi viene anche voglia di vedere di nuovo quel padre che se n’è andato a Lione che mi ha imparato i numeri, anche quelli grossi, e non provo nemmeno a difendermi o a dire qualcosa e nemmeno a fare qualcosa, che tanto non c’è gara, e ora che mi vuole ammazzare m’ammazza e amen.

E invece mi fa una carezza sui capelli, anche se ha capito che sono il cavallo ma di quelli senza coda, e mi dice di andare via e non farmi vedere da nessuno, e non sembra neppure uno pieno di rabbia, sembra solo uno che ha fretta. E io lo capisco che André non odia nessuno e per cui non odia nemmeno me, e non ha disubbidito al dottore perché vuole vendetta e della vendetta non gliene importa proprio nulla, come a me non importa proprio nulla di tante altre cose; André vuole solo prendere di nuovo con sé Oscar per portarla a casa dove possono di nuovo giocare insieme anche con le spade e coi cavalli, quelli veri, e dove può guardarla a vista anche quando gli altri non lo vedono che la guarda, e questo lo vuole perché se lei sta nella cella non lo può fare. E penso anche che quando uno è buono è buono sempre.
E mentre penso queste cose tutte in fila, proprio tutte, e penso che Oscar non c’entra nulla colla fame del popolo anche se sta per l’aristocrazia e il mio amico Pierre aveva rubato perché aveva fame lui e anche la sua mamma e non bisognava sparargli alla schiena, sto fermo, anche se André mi ha detto di sparire ala svelta, e lui ha già aperto la porta e non so che è successo, ma vado a guardare solo un momento di quelli piccini.

È strano adesso, perché li vedo proprio bene, anche se nelle celle c’è poca luce perché si sa che è così, e quella stanza è proprio tanto grande, adesso, e loro sono così vicini che mi pare non ci passi uno spillo nemmeno; e Oscar è vestita con uno di quegli abiti che è proprio come quelli di una donna, e anche lei è proprio come una donna, tutta bella e bianca, che sembra una sposa nel giorno in cui dice “sì”; e mi vedo tanta gente davanti, laggiù dietro voglio dire, e ci sono il generale e anche madame sua moglie, e la signora Marie, e poi ci sono tanti soldati vestiti da soldati, alcuni meglio come uno coi capelli tanto lunghi e l’aria tanto elegante, altri invece peggio ma sempre con la divisa sono, e poi – oh – c’è anche quella che mi pare la regina e c’è anche il re Luigi e poi c’è anche quel signore alto e bello che ora però ha l’espressione normale, non come quando guarda le tette della regina nei disegni, e poi c’è Bernard, e c’è Rosalie e c’è anche il mio amico Pierre, dev’esser tornato per l’occasione; c’è proprio un monte di gente, è come se ci fosse tutta Parigi in quel posto, dove Oscar che è proprio una donna e non ha le spine addosso perché ha un abito di quelli bianchi e tutti lunghi, adesso dice “sì” ad André, che sembra tutto contento di quel “sì”, anzi, secondo me sta pure per piangere un pochino, tanto è contento. E la cosa più bella è che sembrano davvero contenti tutti, alla fine, anche fra Etienne, anche Joss, anche Gobemouche che saltella ora su un piede e ora su quell’altro, e anche Louise la zoppa tutta commossa e anche Auguste le grand e persino Sanson, il boia di Parigi e scusate se dico poco, mi par sorridere. E fra tutta quella gente io vorrei conoscere tutti dal vero della verità e dire che nessuno oggi ha fame, e che nessuno ci avrà più fame e nemmeno freddo, o meglio ce li avrà sì, ma quando ce li avrà mangerà e si coprirà, come è giusto che sia.

Pertanto io ho visto questo, anche se la cella prima era buia e poi era tutta luce e chissà come ha fatto a entrarci tanta gente dentro, e nemmeno so come faceva ad essere così piena di profumi che erano di rose e di gelsomini, poiché ce ne erano tante di rose e anche tanti di gelsomini, anche sui capelli di Oscar, che glieli avranno dati perché stesse meglio, nella cella, e doveva starci non male alla fine, con André così vicino, perché rideva per davvero e in tutta la sua persona.

E questo è tutto quello che ho da dire su questa faccenda.
  
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