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Autore: Aky ivanov    20/01/2021    2 recensioni
L'attacco a Konoha è fallito.
Temari, Kankuro e Gaara percorrono a ritroso il loro viaggio verso casa, in un tragitto diverso dai precedenti, pieno di timori, paure, incertezze, ma anche tanta speranza, quella di un nuovo inizio.
Perché anche sulla terra più arida può sempre sbocciare un fiore meraviglioso.
[..] «Prima di essere ninja siamo umani, viviamo seguendo le nostre emozioni e per quanto ci siano addestramenti realizzati appositamente per metterle a tacere, soffocarle completamente è impossibile. Alle volte c’è semplicemente un istinto superiore che ci guida e che non siamo in grado di ignorare…»
[Missing moments: post episodio 80 della prima serie]
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kankuro, Nuovo Personaggio, Sabaku no Gaara, Shukaku, Temari
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto prima serie
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Be Human

 

 

Still, I don't know what life means

All the people living in, living in the world today

Reunited by our love, reunited by our pain

Marina Diamandis - To Be Human

 

 

«Non permetterò che tu possa ferire i miei preziosi amici…Altrimenti pur di fermarti sarò costretto ad ucciderti!»

La frase rimbombava nella testa di Gaara, si insinuava e sovrastava la voce principale di Shukaku che per tutti quegli anni aveva preso il sopravvento. Gaara non riusciva a scacciarla, continuava a rimuginare su quelle parole dette dal biondino del Villaggio della Foglia oltre un giorno prima, senza capirle appieno.

Lui aveva ucciso moltissime persone per il puro desiderio di far del male, attratto da una sete di sangue inarrestabile. Bramava vederlo scorrere via dai corpi martoriati delle sue vittime racchiuse nel bozzolo della morte, gli piaceva quell’odore acre, a Shukaku piaceva. La sua sabbia ne era rimasta pervasa omicidio dopo omicidio al punto da trascinarne con sé la scia pungente.

La sua stessa venuta al mondo era stata accompagnata dalla morte, suo padre non ne aveva mai fatto mistero, era stato lui ad appropriarsi della vita della donna che lo aveva dato alla luce. Ancor prima di nascere il suo destino era stato scritto sotto quella macabra stella, la morte sarebbe stata la sua compagna di vita insieme al demone dormiente.

Inizialmente, come il resto della popolazione di Suna, aveva temuto quella straordinaria e alquanto rara abilità di manipolazione della sabbia, così irrequieta ed indomita da agire senza il suo naturale consenso. Era stato spaventato quanto gli altri, ma col passare del tempo si era lasciato trasportare dalla voce nella sua testa, cullato e condotto lungo la via dell’orrore. Sul sentiero dove non sarebbero esiste più le sue lacrime di paura ma solo e soltanto un viscerale odio verso il mondo, verso i suoi familiari diventati presenze superflue e ingombranti.

Giorno dopo giorno allevato come arma di distruzione del villaggio aveva iniziato a sentirsi sempre meno in colpa e sempre più appagato nello strappare la vita degli altri esseri umani, ergendosi giudice dell’esistenza altrui anche quando non gli era stato richiesto.

A Shukaku non piacevano gli ordini.

La sua forza tanto agognata era diventata scomoda, da utile e temuto figlio del Kazekage era diventato una macchina da guerra temuta e incontrollata, considerata psicologicamente instabile tanto da rendere autorizzati i tentativi di togliergli la vita.

L’uomo al vertice del potere non si era fatto tanti problemi a dar ordine di ucciderlo, lui, il suo stesso figlio. Era stato ritenuto una minaccia come tante altre per la pace del villaggio, importante alla stregua di un estraneo. E man mano che intorno a lui la paura era cresciuta di conseguenza il suo odio verso il genere umano era aumentato.

Corrotto fin nell’anima, Gaara aveva deciso di dare a quel mucchio di inutili persone un motivo per essere realmente terrorizzate da lui, tanto da non riuscire a muovere un muscolo in sua presenza. Per essere guardato con timoroso rispetto e educazione. Desideroso di vedere brillare nelle loro pupille la consapevolezza di una vita giunta irrimediabilmente al termine dopo aver intralciato il suo cammino.

Tutto gli era sembrato giusto e logico dopo aver vissuto circondato da persone che non vedevano in lui nient’altro che un mostro da tener distante, una bestia non dissimile dal demone dalle strane fattezze che solo lui riusciva a vedere nella sua testa.

Piccolo particolare taciuto a suo padre dopo essere stato etichettato come psicologicamente insano, così come l’informazione sui frequenti dialoghi con il suddetto demone tanto da vederne la figura corpulenta in un anfratto oscuro della mente.

Gaara aveva accolto le parole di Shukaku come unica verità, si era lasciato guidare dall’odio in una costante lotta per il controllo completo del suo stesso corpo. Assuefatto al punto da non essere stato più in grado scindere i propri pensieri, i propri desideri, da quelli del demone con cui condivideva l’esistenza.

La voce sibilante che in più occasioni aveva mostrato anche una certa contraddittorietà si era radicata fin negli angoli più reconditi della mente nei dodici anni di condivisione forzata. Mescolandosi nel suo chakra, nel suo sangue e nella sua ragione, deteriorandola, facendola propria. Gaara si era lasciato dominare completamente giungendo finanche a chiedersi nelle sue riflessioni solitarie se alla fine fosse davvero lui il contenitore di Shukaku o il contrario.

Era stato lui all’età di sei anni a permettergli di prendere il sopravvento dopo l’incidente con Yashamaru, ampliando il varco di connessione fra lui e il demone in quello che a posteriori avrebbe scoperto essere una crepa nel sigillo.

Shukaku aveva compreso il suo dolore ripetendogli costantemente quello che del resto constatava con gli occhi: tutti si allontanavano da lui per la paura, internamente desiderosi di vederlo sparire per sempre.
Da solo aveva tratto le sue conclusioni.

La figura nel limbo che odiava profondamente il genere umano era stata l’unica a parlargli e dargli attenzioni, quindi aveva meritato il suo ascolto più di colui che aveva deciso di ucciderlo. Erano stati proprio quei suggerimenti uniti a i tentativi d’omicidio falliti a spingerlo verso la ricerca della sua ragione di vita, la morte del prossimo.

L’equilibrio perfetto per comprovare la sua esistenza.

“Odia chiunque e ama soltanto te stesso”

Il mantra inculcatosi da solo aveva funzionato, lui non era scomparso dal mondo. Il suo obbiettivo l’aveva mantenuto ancorato ad esso e di conseguenza coloro messisi sul suo cammino erano morti. Sacrifici necessari utili alla sua sopravvivenza.

Gaara aveva fermamente creduto a quella visione di vita finché il dialogo con Naruto Uzumaki non aveva distrutto tutte le sue certezze così solide e logiche. Nell’alquanto poco pacifico scambio di parole, il ragazzino giudicato insignificante al suo arrivo a Konoha gli aveva aperto il cuore mostrandogli un’altra alternativa della realtà.

Il destino poteva essere riscritto.

Naruto aveva distrutto ciò che faticosamente aveva costruito negli anni, spingendolo a mettere in dubbio la sua stessa esistenza.

Chi sono io?

Garra non aveva smesso di chiederselo per un singolo istante osservando il palmo pallido della sua mano aperto e chiuso più volte alla ricerca della soluzione all’enigma.

Le venature azzurrine messe in risalto dalla carnagione chiara gli rammentavano di essere vivo, un essere umano come gli altri ragazzi e lo stesso Naruto, ma il sangue invisibile che vedeva scorrere tra le dita suggeriva il contrario.

Lui era uno spietato assassino.

 

 

Il gufo dal piumaggio rossiccio planò silenziosamente su uno dei rami malfermi nella piccola radura. Il bubolare sommesso riecheggiò nella zona delimitata dalla corona alberata tra i nodosi intrecci serpeggianti verso il cielo cupo della notte. Lo spicchio lunare ne rischiarava le sommità verdeggianti allungandosi con le sue argentee scie fin sulle acque cristalline del ruscello.

La folata notturna soffiò fra le fronde della foresta infiltrandosi sotto il leggero stato dei vestiti malridotti durante lo scontro, scuotendo Gaara dal leggero torpore riflessivo in cui stava cadendo con le sue turbe mentali.

Gaara sapeva di non poter permettersi di abbandonarsi all’incoscienza proprio dopo quanto appreso nell’acclarato attacco del biondino. Il demone avrebbe approfittato di quell’instabilità emotiva per prendere il sopravvento, per ignorare la connotazione diversa assunta dal concetto della “morte”. Non era più una semplice appropriazione della vita altrui, erano subentrati quei sentimenti a lui sconosciuti, manifestati dalle persone disposte persino a sacrificarsi al posto delle sue vittime.

«Uccidilo…»
Gara inspirò a fondo artigliando spasmodicamente le ginocchia per allontanare la voce grottesca dalla sua mente, ignorarla, dominarla, riuscire a primeggiare sulle sue volontà.
«Non respingermi…lo so che lo desideri anche tu»

Una gocciolina di sudore discese lungo la tempia madida confermando la difficoltà nel mantenere sotto controllo il demone all’odore del sangue trascinato dalla brezza precedente. L’informe ammasso sabbioso dagli inquietanti occhietti infernali ondeggiava nel buio oscuro della mente trascinando la lingua viscida lungo la bocca, pronto a prendere il pieno controllo del corpo che l’ospitava.
«No, non vincerai…» il sussurro nervoso fuoriuscì a fatica dalle labbra serrate in una piatta linea sottile, basso e ringhioso, deciso a porre un freno «..non questa volta»
La voce demoniaca si quietò in un ultimo mostruoso latrato contrariato, diventando sempre più flebile e lontana man mano che la coscienza riprendeva il pieno controllo, ponendo totalmente fine allo stato di abbandono.
Gaara ansante premette la schiena contro il tronco sotto cui si era adagiato ore prima allentando finalmente la presa dalle gambe intrecciate, provando una strana ed insolita soddisfazione nell’aver impedito al mostro di gettarsi contro colui che sanguinava emanando quell’odore così attrattivo a non molta distanza da lui, Kankuro.
Alcuni giorni prima non avrebbe provato a fermare Shukaku con tutta quell’insistenza, si sarebbe avvicinato al marionettista anche solo per il gusto di spaventarlo e metterlo in soggezione finché Temari non fosse intervenuta, come accaduto durante la seconda prova d’esame contro il trio della pioggia. Lì aveva perso il controllo incurante degli inusuali e inappropriati ordini di Kankuro di evitare scontri inutili, inebriandosi dell’odore di morte emanato dai tre massacrati nel suo funerale del deserto.

L’ombra oscura dentro di lui ribolliva d’eccitazione al sol ricordo.

Senza porsi problemi nella Foresta della Morte aveva minacciato di uccidere anche lo stesso Kankuro, suo fratello, per tale azzardo sfrontato. Aveva fatto convogliare la sabbia per l’attacco fermandosi solo alla supplica urlata di Temari.

Allora si era bloccato accondiscendente pur di non ascoltare eventuali rimostranze future, non di certo per pietà. Colei etichettata formalmente come sua sorella aveva sempre avuto atteggiamenti eccessivamente protettivi verso Kankuro, ponendosi continuamente nel mezzo delle loro liti da quando erano stati messi in squadra insieme. Liti molto più frequenti rispetto alle loro diatribe casalinghe durante i pasti o in qualunque dialogo acceso fra le mura della loro casa. Se avesse fatto del male al ragazzo avrebbe perso del tempo inutile con lei prodigata nel curarlo a tutti i costi, dedita a risanare le ferite del pazzo avventato che aveva osato sfidarlo.

In quella foresta si era goduto la scintilla di paura negli occhi dei suoi avversari e successivamente in quelli di Kankuro ma dopo il discorso con Uzumaki aveva iniziato a comprendere quanto fosse stato in realtà cieco. Soffermatosi sul guizzo di terrore non aveva analizzato attentamente lo strano attaccamento mostrato dai due fratelli. 

Gaara la sua fragile emotività l’aveva rinchiusa e barricata molti anni prima lasciando spazio solo alle risposte pervenute tramite logici ragionamenti, analisi criptiche della realtà distanti anni luce da tutto ciò che riguardava emozioni ed esternazioni dell’essere umano. Per tale ragione aveva dovuto scavare faticosamente nei suoi ricordi alla ricerca del più piccolo indizio utile a spiegare il perché Temari volesse assicurarsi a tutti i costi della sicurezza di Kankuro o perché quest’ultimo mostrasse abitualmente un comportamento altalenante. Kankuro passava dal sottolineare il suo odio verso i mocciosi come lui quando pensava di non essere ascoltato a osservarlo impaurito, dall’assecondare seppur riluttante le sue decisioni a decidere improvvisamente che avrebbe dovuto essere lui a dar ordini in quanto fratello maggiore. Un essere umano altalenante che a tratti nel suo ripensamento gli aveva ricordato la spontaneità di Naruto.

Gaara non gli aveva mentito sbattendogli in faccia di non averlo mai considerato un fratello, per lui quella era sempre stata una parola superflua e astratta utilizzata solo per etichettare un legame famigliare di cui non conosceva il valore.
Però, quei fantomatici legami e il loro inspiegabile significato avevano fatto scattare qualcosa nei meandri della sua testa, erano davvero così importanti?

La sua famiglia non era stata certamente un buon esempio per comprenderli.

Lui aveva ucciso sua madre venendo al mondo, suo padre aveva tentato di farlo fuori in svariate occasioni e suo zio l’aveva assecondato con un estremo atto suicida deciso a portarlo con sé nella tomba. Non gli avevano mai dato una valida ragione per ricercare la parvenza di un legame ma tale curiosità aveva preso il sopravvento dopo quel fatidico scontro verbale. Come prima mossa voleva capire proprio cosa tenesse così uniti i suoi due fratelli, era incuriosito da quell’istintivo e reciproco atto protettivo.
Gaara in quello spiraglio di luce intravisto alla fine del tunnel oscuro desiderava far parte di quel legame, il più vicino e fattibile rispetto a qualunque altro potesse mai provare all’interno di Suna. La sua coscienza dormiente si era smossa presentandogli non solo un crescente rammarico per le vittime innocenti cadute nelle sue grinfie ma anche una volontà che non credeva di possedere, quella di cambiare.

Era inevitabile, per raggiungere il suo nuovo obbiettivo avrebbe dovuto modificare in primo luogo sé stesso, magari incominciando a non minacciare più il prossimo per instaurare una comunicazione. Aveva appurato durante i suoi anni del terrore che erano proprio i suoi costanti atti minacciosi a far scappar via le persone, le intimidivano.

Sotto quell’aspetto il biondino non era stato diverso da lui, aveva dichiarato di essere disposto ad ucciderlo a sua volta anche se la minaccia di Naruto era stata ben distante dal desiderio di distruzione della vita altrui. No, Uzumaki aveva minacciato di ucciderlo se solo avesse nuovamente provato a far del male alle persone a lui care.
Alle altre persone, i suoi amici.
Gaara non aveva avuto idea di cosa significasse quell’affermazione, lui amici non ne aveva mai avuti. Le poche volte che aveva provato a realizzare tale desiderio si era ritrovato emarginato dagli altri bambini con tanto di porta sbattuta in faccia finché non aveva smesso di provarci o di mal tollerare le risposte altrui, finendo per attaccarli pervaso dalla rabbia.

«Perché? Perché fai questo per gli altri?»
Incapace di comprenderlo, Gaara l’aveva chiesto al ragazzo di Konoha. La domanda era sorta spontanea nel vederlo strisciare in terra senza più una briciola di chakra. Stremato, distrutto come lui da quello scontro estenuante, eppure ampiamente diverso sotto ogni altro aspetto. Lui non era più riuscito a muovere un muscolo trovando a malapena la forza per ruotare la testa e intimargli di star lontano. Naruto invece aveva continuato a trascinarsi imperterrito facendo perno con il mento nel terreno.
Il ragazzo aveva ammesso di capirlo, di comprendere appieno la solitudine che alleggiava nel suo animo, quel dolore immateriale che l’aveva logorato dentro dall’infanzia rendendolo un escluso nel suo villaggio, il reietto da tener lontano, il mostro pericoloso.
Naruto gli aveva confessato di aver provato tutta quella tristezza sulla sua pelle ma non era riuscito a credergli appieno, era apparso così diverso da lui. Aveva delle persone a cui tenere e che a sua volta tenevano a lui in quel legame così insolito e a lui estraneo in grado di motivarlo a continuare la lotta.

«Perché mi hanno salvato dalla sofferenza della solitudine»
Gaara a palpebre socchiuse poteva ancora vedere quegli occhi blu combattivi puntati contro di lui, percepire l’enfasi impressa nelle parole quasi urlate ad un centimetro da terra in grado di scuoterlo fin nel profondo.

«Hanno dato senso alla mia esistenza… Loro sono i miei affetti più preziosi!»

Era stato lì che un barlume di chiarezza si era fatto largo all’interno della sua mente e quella frase lontana detta da Yashamaru era tornata prepotentemente a galla fra i ricordi.

«L’amore è un’emozione pura, ti fa proteggere le persone preziose che ti circondano»

Amore, quel sentimento complesso che avevano continuato estenuamene a propinargli quasi come una persecuzione da quando aveva messo piede a Konoha per la missione, era la vera ragione dietro i più svariati atteggiamenti. L’aveva visto nell’incontro contro Rock Lee quando il suo maestro era intervenuto, l’aveva visto negli occhi della ragazza dai capelli rosa paratasi davanti Sasuke prima di essere schiantata contro l’albero, l’aveva visto fare anni addietro a Yashamaru davanti alla ragazzina che preso dalla rabbia di essere stato escluso aveva attaccato.

L’amore smuoveva una forza nascosta come accadeva con il demone imprigionato nel suo corpo senza però provocare dolore. Anni addietro aveva desiderato ardentemente provarlo per colmare la ferita invisibile che lacerava il suo cuore affidandosi ai consigli di Yashamaru. Suo zio aveva parlato di cura e dedizione per quanto di più prezioso lo circondava, aveva alluso alla sua sabbia come la manifestazione dell’amore di una mamma desideroso di proteggerlo. Il sol pensiero della bellissima donna in fotografia che lo proteggeva in ogni singolo momento del giorno aveva attenuato il suo tormento, finché non aveva compreso quanto tutto fosse stato tutto una bugia.

Yashamaru gli aveva mentito per tenerlo buono.

In punto di morte l’aveva reso partecipe del motivo per cui tutti l’allontanavano parlandogli del sigillo e del demone, enfatizzando come non fosse altro che il risultato di un esperimento malriuscito trasformatosi in nient’altro che un soggetto pericoloso.

Un fallimento da eliminare. 

Yashamaru aveva ritrattato ogni precedente parola distruggendo la sua fioca speranza, nemmeno suo zio l’aveva mai realmente amato. Insofferente l’uomo gli aveva riversato addosso il suo odio per la morte della sorella, la sua volontà di non rifiutare l’ordine del Kazekage e le bugie raccontate sul conto di sua madre. 

Lei gli aveva lasciato solo il nome, Gaara, il dio della guerra che ama soltanto sé stesso. Nella sua sabbia non esisteva alcuna protezione materna, non sarebbe mai esistita, neanche se ci avesse sperato con tutte le sue forze. L’unica ragione nel metterlo al mondo era stato il suo rancore verso il villaggio che attraverso di lui sarebbe stato eterno.

«Quindi ama solo te stesso…e combatti solo per te stesso. Se farai così continuerai a vivere»

Le dita sfiorarono il kanji marchiato sulla sua fronte. L’amore che si era concesso sottoforma di cicatrice, autoinfliggendosi un dolore fisico che la sabbia costantemente gli impediva di provare. Aveva proibito al demone di risanarlo per poter ricordare costantemente quanto quell’amore per lui non esistesse.

Gaara serrò le palpebre seguendo il rilievo rossastro sulla sua pelle, valutando la nuova e sconosciuta strada da percorrere. Lui non la conosceva, ma nonostante tutto credeva che parte delle parole di suo zio non fossero completamente false, almeno finché non lo riguardavano in prima persona.

La cura tanto agognata e decantata da Yashamaru alla quale doveva attingere aveva l’inconveniente di dover derivare dagli altri, per poterla ricevere e provare avrebbe dovuto trovare prima qualcuno disposta a concedergliela e lui non conosceva nessuno disposto a tanto.

Avrebbe dovuto essere accettato dagli altri, avere qualcuno capace di affezionarsi a lui.

L’ultimo tentativo non gettava un’ombra ottimistica in tale direzione, in quella notte lontana era terminato con un’esplosione suicida e una supplica lasciata andare prima di spirare.

«Ti prego, muori»

Gaara aprì di scatto gli occhi stringendosi la stoffa malridotta all’altezza del petto. Il dolore era tornato prepotente laddove per anni aveva avvertito un incolmabile vuoto, spezzandogli il respiro e dilaniandolo dall’interno. A fatica soppresse un gemito continuando a stringere con foga il tessuto alla ricerca di una distrazione per i suoi infelici pensieri, scovata nel fuocherello acceso per la notte.

Le fiamme vibravano ad ogni soffio di vento crepitando sulla legna ardente in una danza fugace, lasciando svolazzare la scia di cenere fin sui suoi pantaloni. La loro era stata una mossa sconsiderata da fare in mezzo alla foresta, situata su un territorio di confine, ancora all’interno del Paese del Fuoco, dopo aver assaltato fallimentarmente Konoha. Senza considerare che nelle regole inculcate dal canone ninja, accendere un fuoco era una delle prime mosse da evitare.

La temperatura drasticamente scesa per la notte e lo stato malaticcio di Kankuro lo avevano però reso necessario.
Dallo scontro contro Naruto Uzumaki erano passate quasi quarantotto ore e ci sarebbero voluti come minimo altri due giorni di cammino per far ritorno al Villaggio della Sabbia, se non addirittura tre. La loro andatura era rallentata drasticamente dalla fuga a causa del ragazzo più grande non in grado di reggersi in piedi.

Kankuro aveva nascosto i danni ricevuti nel suo scontro minimizzandoli per oltre un giorno di cammino e Gaara si era chiesto come avesse fatto a resistere così tanto prima di crollare considerando per buona parte del viaggio aveva sorretto anche lui.

Kankuro l’aveva infatti sollevato da terra addossandosi il suo peso e quello della giara ricostituitasi autonomamente senza che gli fosse stato richiesto.

I suoi fratelli non si erano fermati un singolo istante dal loro abbandono di Konoha e lui privato di tutto il chakra aveva fatto in tempo soltanto a scusarsi prima di accasciarsi completamente addosso al fratello. Gli era sorto spontaneo chiedere loro scusa dopo il profondo discorso impartitogli da Naruto, l’aveva visto fare tra gli altri due dopo i loro continui battibecchi e torti reciproci prima di tornare ad andare d’accordo.

Si era sentito in dovere di farlo, di non primeggiare su di loro come suo solito anche se era vagamente consapevole che due semplici parole non avrebbero potuto cancellare tutto quello che aveva combinato negli anni.

Sapeva di essere diverso ma per una volta aveva voluto provare ad essere uguale.

Dopo anni per la prima volta aveva sentito riaffiorare il senso di colpa e sentiva di doversi scusare nuovamente proprio con Kankuro per averlo fatto sforzare più del dovuto, anche se non sapeva esattamente quanto le sue scuse sarebbero state apprezzate.
La missione loro affidata era stata un completo fallimento. Lui aveva disobbedito agli ordini lasciando andare il demone in anticipo causandone in parte la disfatta. Aveva sbattuto con violenza sua sorella contro un albero e aveva mostrato più volte insofferenza proprio verso Kankuro. Nonostante ciò, i suoi fratelli l’avevano salvato.
Dopo il suo fallimentare scontro, Naruto era svenuto ma Sasuke corsogli accanto sarebbe stato perfettamente in grado di impartirgli il colpo di grazia se solo l’avesse voluto. Gaara non era stato più necessario alla causa, come arma aveva esaurito il suo compito e Kankuro e Temari avrebbero potuto lasciarlo lì anziché pararsi difronte, pronti a combattere se non avesse chiesto loro di andare via. Era stata quella strana sensazione nel vederli paradossalmente accanto a lui a spingere quell’ultima reticenza della lingua verso delle scuse sincere. Coloro a cui aveva provocato soltanto dolore inspiegabilmente l’avevano aiutato di loro iniziativa.

Kankuro dopo l’esitante «Non ti preoccupare» non aveva più detto nulla e nonostante lo stato di abbandono, Gaara ad occhi socchiusi era rimasto perfettamente vigile.

Sostenuto dalle forti braccia del fratello si era unito al loro silenzio fintanto che la stanchezza scaturita dalla trasformazione in demone non fosse completamente passata. Riflettendo su come al di là degli scontri con i suoi avversari, l’unico altro contatto umano mai ricevuto con i suoi due fratelli era stato proprio quel sostegno post battaglia.

Aveva dischiuso le palpebre solo al pronto rifiuto di Kankuro di far cambio con Temari nel trasportarlo, nell’ostinata rimostranza a non voler accollarle il compito. Una vaga idea del motivo Gaara l’aveva avuta e non aveva potuto biasimare il fratello, a modo suo la stava proteggendo per la paura di un prossimo ed improvviso scatto.

Suo malgrado, silenziosamente, aveva gioito per quel comodo contatto non venuto meno.
La determinazione di Kankuro però non era stata sufficiente costringendoli a fermarsi all’imbrunire quando aveva cominciato a barcollare.

 

In quella serata eccessivamente ventosa e fredda di una terra altrettanto umida, Gaara quasi completamente ristabilitosi grazie al chakra di Shukaku era rimasto assorto ad osservare l’impeto con cui Temari aveva strappato parte della divisa del fratello sulla gamba. Meravigliandosi della rabbia da lei riversata sul ragazzo dolorante alla vista del taglio che correva lungo tutta la coscia, in una scrosciante carica di insulti alternata tra il blando “sciocco” e quell’“idiota” ripetuto il più delle volte.

«Avresti dovuto dirmelo prima! Ora potrebbe essersi infettata!»

La frenesia di quella frase aveva fatto pensare a Gaara quanto l’apprensione espressa contrastasse con le brutte parole sibilate fra i denti mentre Temari frugava nel piccolo kit medico alla ricerca di qualcosa per sistemare la pelle lacerata.

Onde evitare di risvegliare il demone, lui si era rintanato a debita distanza dalla carne tumefatta e loro non avevano fatto nulla per avvicinarsi, mantenendosi accovacciati sotto alcuni alberi ad oltre cinque metri di distanza.

Lontani dal mostro, lontani dal fuoco.


Gaara abbracciò una delle gambe tirate al petto continuando a perdersi nella contemplazione dello scoppiettio della legna. Temari era rimasta appiccicata al corpo esamine e tremolante di Kankuro tutto il tempo, distanziatasi soltanto per grigliare accanto al fuoco dei pesci pescati nel ruscello lì vicino, uno dei quali era stato allungato verso di lui con un leggero tentennamento. Aumentato esponenzialmente al suo grazie di risposta.

Nonostante il suo impegno era cosciente che il cambiamento non sarebbe potuto avvenire dall’oggi al domani, ma egualmente non poteva fare a meno di riflettere sui piccoli gesti che mostravano chiaramente la profonda paura radicata nei suoi confronti nonostante i due fratelli cercassero di mostrarsi impassibili.

Mezz’ora prima ne aveva avuto la prova concreta.

Alzatosi per un giro di perlustrazione si era allontanato quel tanto per sparire alla loro vista e issarsi su uno degli alberi per osservare i loro movimenti in sua assenza. I due si erano spostati accanto al fuoco dopo la sua uscita ed a contatto con il calore il tremore di Kankuro si era attenuato dandogli l’opportunità di studiare un’altra e insolita interazione. Alla luce vacillante delle fiamme aveva scorto l’espressione accigliata di Temari che dopo essersi chinata con le labbra sulla fronte del fratello era scattata verso il ruscello a bagnare alcuni pezzi di stoffa.

Confuso dal gesto era rimasto più del dovuto accanto al gufo sul ramo, catturando dalla sua altezza sopraelevata la debole rimostranza delle braccia di Kankuro mosse per scacciare la sorella prima di arrendersi allo stato febbrile. Temari, con una cura mai vista aveva inumidito i polsi e il viso di Kankuro adagiando infine la pezzolina violacea sulla sua fronte, e lui ipnotizzato ne aveva seguito ogni singolo movimento.

Alla fine, si era deciso a tornare lì con loro preannunciando volutamente il suo arrivo appurando con poca sorpresa il loro ritorno alla consueta distanza.

Una parte di lui aveva desiderato dar voce all’osservazione sprezzante sull’inutilità di aver in primo luogo acceso un fuoco giunti a quel punto ma l’altra parte aveva avuto la meglio suggerendogli di tornare a sedersi in silenzio.

 

Gaara sospirò poggiando il mento sul ginocchio ancora ritratto.

La strada dell’accettazione era ardua e in salita e dal suo punto di vista Naruto aveva compiuto un miracolo per farsi benvolere dalle cosiddette persone preziose. Lui si sarebbe accontento anche di uno sguardo non terrorizzato o di un atteggiamento non spaventato in sua presenza.

Se lo era ripromesso allo stremo delle forze il giorno prima, un giorno anche lui sarebbe riuscito ad ottenere l’amore di qualcuno e non intendeva arrendersi, non di nuovo almeno.

Seguendo la via della logica il primo passo da compiere doveva essere qualcosa di diverso dal suo solito io e stava realmente provando a metterlo in atto.

Se odiava essere solo e la solitudine dava forza al demone, allora avrebbe dovuto spazzarla via circondandosi da altre persone in grado di passare del tempo con lui, instaurando una qualche sorta di legame.

Se non voleva più essere additato come mostro, avrebbe smesso di comportarsi come tale evitando di uccidere chiunque gli passasse a tiro. Quel secondo punto avrebbe richiesto uno sforzo maggiore poiché avrebbe dovuto tenere a bada Shukaku.

Se non voleva più ferite sul cuore, avrebbe cercato di non ferire quello altrui comportandosi con le altre persone nell’esatto modo in cui a lungo aveva desiderato di essere trattato a sua volta. Niente più frasi agghiaccianti e minacce mortali, nessun respingimento aggressivo, si sarebbe concentrato su quei particolari contraddistintivi degli altri individui che aveva sempre ignorato.

Dopo la visita a Konoha una cosa sicuramente l’aveva imparata, non erano tutti uguali.

Almeno nella sua testa, l’intero ragionamento sembrava poter funzionare.

 

 

Kankuro mugugnò indolenzito avvertendo dolore dappertutto.

Sollevò faticosamente le palpebre per mettere a fuoco l’oscuro ambiente circostante riuscendo al terzo battito di ciglia a dare contorni definiti alla siluette di Temari inginocchiata accanto a lui, intenta a pulire una di quelle strane piante curative di cui soltanto lei nel gruppo era l’esperta. Lui non si era mai voluto applicare in tale ambito e l’altro componente…non aveva mai dovuto preoccuparsi di curare una ferita.
Su quella scia di pensiero cercò di mettersi seduto per appurare che fine avesse fatto il moccioso inquietante, rabbrividendo al soffio del vento insinuatosi sotto la stoffa sudaticcia appiccicata alla schiena. Temari accortasi del suo tentativo infruttuoso l’aveva afferrato per le spalle aiutandolo a raggiungere una posizione composta, sbatacchiandogli sulla fronte quasi con stizza la pezzolina inumidita lasciata cadere a terra.

«Finalmente ti sei svegliato» sbottò a pochi centimetri dal suo viso obbligandolo con poca grazia a mantenere premuta la stoffa sulla fronte «Non so se te lo ricordi ma avevi iniziato a delirare»

Kankuro corrucciò lo sguardo alla ricerca dei suddetti ricordi scontrandosi con uno strato sfocato di immagini confuse in cui erano attorno al fuoco. Temari sembrò cogliere tale stato disturbato sbuffando sonoramente, riversando tutto il suo malcontento nella spremitura del gel curativo dalla fogliolina.

«Ti rinfresco io la memoria» continuò inacidita riducendo a brandelli quel che restava della pianta «Grazie al tuo “non ho bisogno di curare le ferite” non solo hai lasciato che si infettasse, ma ti sei fatto pure salire la febbre!»

Un lampo di comprensione improvvisa attraversò la mente di Kankuro al ricordo del forte bruciore alla gamba e il successivo destabilizzante alternarsi di brividi di freddo e vampate di calore. Annuì debolmente con tale confusione termica ancora in atto seppur in maniera molto più lieve, perlomeno al tocco la sua faccia non sembrava più un tizzone ardente.

«Uhm…credo di ricordare qualcosa» borbottò in risposta distanziando dal petto la maglia scura inumidita, aggiungendo con una venatura divertita «Però…ti ricordo molto più apprensiva e delicata, potrei quasi dire sembrassi una dolce donnina»

«E tu un bambinone alla ricerca di attenzioni» ribatté lei stizzita spostando con malagrazia sul terreno lo squarcio di corteccia utilizzato come piattino per l’unguento «Vuoi che ti ripeta quello che hai detto? Non posso però assicurarti quanto farà bene al tuo orgoglio di uomo»

Il sorriso da lupo stampato sul viso fece propendere Kankuro per una resa, quel round si sarebbe concluso in parità. Temari soddisfatta dalla tacita tregua si era avvicinata alla gamba malandata sciogliendo le bende ormai imbrattate, questa volta mostrando apertamente una maggior cura per evitare di fargli male.

Kankuro iniziò a riconsiderare l’opzione di tornare svenuto, quella premura lo metteva sempre a disagio e poteva giurare di non essere l’unico a sentirsi fuori posto.

«Mi hai distrutto la divisa!»

«Oh scusami, la prossima volta penserò al tuo pantalone anziché curare i danni della tua incoscienza!»

«Capirai, alla fine la febbre è salita lo stesso» fermò il suo commento sarcastico trattenendo una smorfia allo strappo improvviso con cui la sorella aveva completamente tirato via la vecchia fasciatura «Violenta...ora oltre al pantalone vuoi portarmi via pure la carne?!»

«Se non ti piacciono i miei metodi puoi sempre far da solo!»

 

 

Gaara incrociò le braccia al petto osservando con attenzione distaccata lo strano scambio di opinioni dall’altra parte della piccola radura. Era convinto di aver visto uno strato di tensione lasciare le spalle di Temari quando Kankuro aveva riaperto gli occhi, le era sembrata più rilassata del solito, felice di averlo fatto riprendere.
Non capiva perché ad un tratto avessero iniziato a litigare urlandosi a vicenda.

Le parole di Kankuro mostravano scocciatura per quella cura manifestata verso la sua gamba ma allo stesso tempo continuava ad avere un occhio chiuso e quel sorrisetto di traverso impresso sul viso, nella classica espressione usata per sbeffeggiare gli avversari.

Perché stava prendendo in giro Temari se lei lo stava aiutando?

Temari d’altro canto, nonostante continuasse a dire di volerlo abbandonare nella foresta tornandosene persino da sola al villaggio così da godersi la sua incapacità di curarsi autonomamente, continuava i suoi trattamenti medicativi. 

Gaara rafforzò la presa sulle braccia non trovando una risposta soddisfacente, ipotizzò soltanto che le persone – i suoi due fratelli in particolare – trovassero una sorta di divertimento nel pronunciare qualcosa che non avrebbero mai messo in pratica.

Quasi come se anche solo il sorrisetto ostentato da Kankuro bastasse a far intendere che non pensava realmente quello che diceva, ma era davvero così?

Aprì la bocca pronto a minacciare loro di far silenzio onde evitare spiacevoli implicazioni per il mal di testa crescente, piegando la bocca nello stesso modo in cui stava facendo Kankuro, per sottolineare di non intendere la parte più minacciosa del discorso.

Immaginò la sua possibile espressione in quell’imitazione improvvisata richiudendo insoddisfatto le labbra l’istante successivo.

Non gli era sembrata più una grande idea.

 

 

«Voglio proprio vedere cosa avresti fatto senza il mio aiuto!»

L’osservazione seccata di Temari fu l’ennesima puntura nell’orgoglio, Kankuro restò nel suo silenzio imbronciato scattando involontariamente con la gamba al contatto gelido dell’acqua sulla ferita.

La lacerazione l’aveva sminuita dopo la caduta dall’albero al termine dello scontro con il ragazzo incappucciato. Doveva ringraziare la sua fortuna se l’atterraggio era avvenuto su una lama della marionetta non più intrisa di veleno, anche se al taglio non si era dimostrata clemente. Per ripicca sperava di aver almeno avvelenato il suo avversario ricoperto da esserini raccapriccianti perché aveva il dubbio che da lì in poi non sarebbe riuscito a guardare gli insetti allo stesso modo, un briciolo di soddisfazione lo desiderava.

Poteva ancora sentirli strisciare addosso e al sol pensiero la nausea aumentava.

Temari picchiettò delicatamente un pezzo di stoffa strappato via dall’involucro di Karasu, in gesti più automatici che posti con attenzione, la mente rivolta altrove.

«Kankuro» attirò l’attenzione del fratello smettendo la sua opera di pulitura senza sollevare lo sguardo verso di lui «Secondo te perché si è scusato?»

Il ragazzo assottigliò gli occhi passandosi una mano tra i capelli ormai liberi dal cappuccio ricaduto sulle spalle, il soggetto era superfluo in quella domanda.

«Non lo so…forse si è dispiaciuto per il fallimento della missione» ammise seccamente frizionandosi con maggior foga il cuoio capelluto «Inusuale certo, ma tu non mi sembri convinta di questo»

«E tu sei un pessimo bugiardo» fu la pronta ribattuta, la coda dell’occhio spostata dal taglio rosso vivo al fratello «Quando l’ha fatto eri pressoché sconvolto, lo so che hai pensato anche tu che fossero rivolte a noi»

«Il tuo non era da meno, e se lo sai perché me lo hai chiesto?»

«Per cercare di capire questo cambiamento improvviso»

Il silenzio cadde tra loro senza che nessuno dei due decidesse di parlare o muoversi per primo, in quella fase di stallo spezzata soltanto dal frusciare del vento.

«Sai, penso tu ti sia già risposta» si costrinse infine a parlare Kankuro, le mani premute sul terriccio per darsi una stabilità tornata a vacillare «È improvviso…domani si sarà già dimenticato di averlo fatto, avrà battuto la testa troppo forte dopo la caduta»

Temari si morse le labbra trattenendo la sua risposta, suo fratello le stava mentendo di nuovo con quell’ostentata espressione inacidita. Ostinato a non volerle dire che come lei aveva iniziato a credere che quell’insolito gesto nei loro riguardi forse l’inizio di un qualcosa di diverso.

Si costrinse ad ingoiare l’acida controbattuta capendo perfettamente lo stato di Kankuro, non voleva attaccarsi ad una vana speranza, perché volente o nolente era di quello che stavano parlando. Lei però non era ancora disposta a lasciar cadere il discorso.

«Se fosse come dici avrebbe già dovuto farlo» le mani ripreso a medicare la ferita attorniata dal pus e da un alone giallognolo, versando un ulteriore strato d’acqua dalla borraccia «Un giorno è già passato e lui non ha più detto nulla dopo quelle scuse…non che solitamente sia un gran chiacchierone ma non ha azzardato nemmeno una minaccia o frase scortese. Le sue uniche altre parole sono state un “grazie” e l’avvisarmi che andava in perlustrazione quando il tuo stato febbricitante è iniziato»

Kankuro inarcò la schiena all’indietro decidendosi finalmente a scandagliare la zona circostante, individuando il soggetto dei loro discorsi oltre le spalle di Temari, così distante da loro che i sussurri fino a quel momento utilizzati erano superflui se comparati al boato lasciato dal vento.

Le stesse fiamme davanti al ragazzino tremolavano prossime allo spegnimento.

Tornò a riportare l’attenzione verso sua sorella prima che il marmocchio alzasse lo sguardo concentrato dal falò, nella speranza non stesse architettando nulla di insano correlato a giochi con legnetti ardenti.

«Temari, non sono nella sua mente, nessuno di noi può sapere cosa gli passi per la testa»

«Non credi che noi dovremo saperlo?»

Kankuro lasciò trasparire il suo stato spazientito.

Senza le strisce di vernice a coprirgli la faccia era fin troppo facile comprendere cosa pensasse e lui stesso ne era consapevole. Senza curarsene particolarmente, probabilmente a causa degli stessi residui di febbre che ancora alleggiavano nel suo organismo, si piegò maggiormente verso la sorella avendo l’accortezza di parlare ancora sottovoce.

«No, non credo Temari» enunciò aspro imprimendo le dita nella terra sottostante, non aveva dimenticato l’ombrellino del ninja del villaggio della pioggia richiuso con nonchalance dopo lo scroscio sanguinolento schizzato sulle loro teste «Non ricordi? È stato abbastanza chiaro durante la seconda prova dell’esame chunin, noi non siamo suoi fratelli»

Le dita di Temari si fermarono nuovamente, serrandosi attorno al piattino ligneo improvvisato con il medicinale di fortuna.

«Non era lui a parlare in quel momento»

«Era ancora in sé Termari, ed ha dichiarato di volermi uccidere»

«Lo so benissimo cosa ti ha detto!» esclamò lei con più enfasi del dovuto ripensando agli occhi serrati del marionettista ormai pronto all’inevitabile, era andata troppo vicina a perderlo «Ma…non è stata la prima volta in cui lo ha detto per poi stranamente fermarsi»

«Mi stai dando ragione ammettendo ciò» la voce baritonale di Kankuro giunse dopo alcuni istanti, meno emozionale ma pur sempre scostante «Noi, non possiamo sapere cosa gli passi per la testa»

«…Tranne l'Ichibi»

Il giovane ninja sospirò pesantemente reclinando sconfortato il capo all’indietro, concordava sotto alcuni aspetti con i pensieri della sorella ma era la sua vita costantemente minacciata. Temari non poteva capire quel senso di impotenza che gli attanagliava le viscere quando si scontrava con gli occhi freddi e apatici del dodicenne desideroso di ucciderlo.

Lei aveva la fortuna di essere stranamente ascoltata in alcuni casi da Gaara.

 

«Avete finito?»

Temari sussultò al tono neutro alla sua destra portandosi una mano sul cuore per quell’entrata in scena improvvisa, la testa scattata all’insù verso il volto pallido inespressivo.

Non l’aveva sentito arrivare.

Kankuro non era stato da meno, alla voce del ragazzino aveva rialzato la testa così velocemente da procurarsi uno strappo nel collo a cui però non diede peso. La concentrazione tutta rivolta a squadrare la statura del piccoletto che da quell’angolazione non sembrava poi tanto tanto basso.

Il gioco di prospettiva e la fama di assassino non aiutarono a mitigare l’improvviso macigno all’altezza dello stomaco.

«G-Gaara» il balbettio forzato della ragazza ruppe il silenzio, il cuore ancora intrappolato in una corsa tumultuosa «Per favore, non arrivare così alle spalle»

Kankuro additò mentalmente sua sorella come un idiota, Gaara li aveva appena sorpresi a sparlare alle sue spalle e lei pensava di uscirsene con osservazioni sulla sua condotta. Lui non si sentiva a suo perfetto agio così debole e malato nelle immediate vicinanze del ragazzino, ad un qualunque scatto d’ira non sarebbe stato in grado di aiutare Temari. Sempre che il demone non avesse prima deciso di banchettare con lui, in quel caso avrebbe intimato alla sorella di scappare.

Gara a braccia conserte non batté ciglio mantenendo immutata la sua espressione stoica nell’analisi delle reazioni dei due fratelli, concludendo innegabilmente di averli spaventati.

«Mi dispiace» disse lentamente senza una particolare intonazione districando le braccia per indicare la gamba in attesa di fasciatura «Volevo sapere se aveste finito di curarla»

Kankuro inarcò un sopracciglio chiedendosi se non fosse già morto o se quelle fossero le sue ultime fantasie pre-morte, Temari invece fu più veloce nel riprendersi dallo stordimento di quelle nuove scuse.

«Tra non molto, devo solo spalmare l’unguento e fasciarla» rispose pratica con rinnovata sicurezza nell’apprendere di non essere stata ascoltata «In ogni caso non credo che saremo in grado di ripartire prima dell’alba se era questo che volevi chiedermi. La ferita è ancora infetta e la febbre di Kankuro non è ancora scesa del tutto»

Gaara restò in silenzio senza reazioni, l’unico movimento visibile negli occhi chiari alternati dalla gamba a Temari.

«Io non so farlo» dichiarò ad un tratto fermandosi a fissarla, anche se la frase sembrava molto più una riflessione personale.

«Fare cosa Gaara?»

«Curare una ferita» la voce si assottigliò trascinata dal vento nel commento successivo mentre la stoffa della maglia insanguinata venne scostata dalla spalla in una sorta di giustificazione «Non ne ho mai avuto bisogno, anche quella fattami da Sasuke si è ormai quasi rimarginata da sola»

Temari si voltò a cercare lo sguardo di Kankuro specchiandosi nelle medesime iridi soprese, quasi a volergli trasmettere quell’implicito messaggio che aveva trattenuto all’inizio del loro sparlare. Non si trattava più di un semplice botta in testa, Gaara non aveva mai avuto una conversazione tanto lunga e pacifica con loro.

«Hai ragione, le tue si rimarginano facilmente»

«Non per merito mio, le ripara Shukaku…il demone, si chiama così»

Temari puntellò le ginocchia nel terreno martoriandosi le labbra afflitta da un combattimento interno finché non si decise ad afferrare le bende pulite sollevandole a mezz’aria tra lei e il ragazzino «Ti va di imparare come si fa?»

Kankuro quasi non si strozzò con la sua stessa saliva, allarmato per le implicazioni di quella richiesta. La cavia su cui voleva farlo sperimentare era lui.

Cercò invano di richiamare sua sorella riuscendo solo a tirarle la manica delle vesti senza emettere un suono, lo choc aumentato al punto da non riuscire più a parlare. Gaara dopo un attimo di esitazione, probabilmente sorpreso a propria volta, si era inginocchiato titubante accanto a Temari in attesa di future istruzioni.

L’unica raggiante era lei.

«Allora, prima di tutto dobbiamo spalmare questo unguento che ho preparato stando ben attenti a non imprimerci forza» seguendo le sue stesse istruzioni la ragazza iniziò a spalmare il gel sull’area inferiore del taglio «Kankuro non è molto maturo nel trattenere il dolore, quindi bisogna essere molto delicati»

«Cosa diavolo vai farneticando?!» sbottò il diretto interessato cogliendo con ritardo l’allusione velata a una debolezza inesistente «Sei tu che non sei per nulla pratica quando si tratta di gentilezza! Oggi è una straordinaria eccezione!»

Temari si stampò in faccia il suo classico sorrisetto di sfida con un luccichio maligno negli occhi, piazzando lo strato di corteccia dinanzi a Gaara.

Il ragazzino tentennò un attimo prima di immergere le dita nella sostanza gelificata, strofinando i polpastrelli affascinato dalla novità anche se minimo fu il barlume lasciato trasparire.

Guidato dalle indicazioni verbali di Temari poggiò lo strato di crema sulla ferita spalmandolo come aveva fatto lei in precedenza, sorprendendosi per quel tocco totalmente nuovo. Istintivamente aveva cercato lo sguardo di Kankuro sicuro di vederci del terrore per quella vicinanza, sorprendendosi nel trovare invece un’espressione neutra. Non lo stava apertamente apprezzando ma nemmeno allontanando.

La mano fremette nel constatare di star toccando per la prima volta qualcuno all’infuori di lui e Yashamaru, qualcuno che non stava tentando la fuga, in un contatto che nulla aveva a che vedere con la morte. Tutt’altro, serviva a curare una ferita fisica.

Dovette ripassare più e più volte sullo stesso punto, perché al contrario del lavoro fatto dalla sorella il gel non veniva assorbito dalla pelle sottostante.

Kankuro a labbra serrate restò immobile al pari di uno de suoi burattini, fermo in tal posizione fin dal primo istante in cui Gaara l’aveva sfiorato. A malapena si ricordò di respirare durante il processo, troppo occupato a non lasciarsi sfuggire mugoli di disappunto per il dolore proveniente dalla ferita. Gaara non doveva aver la minima idea di cosa significasse avere un tocco delicato ma non era riuscito a dar voce ai suoi pensieri, non davanti a quel barlume di timore che il ragazzino gli aveva rivolto prima di sfiorarlo. Paura manifestata seppur debolmente da colui che solitamente la incuteva agli altri, come se si aspettasse di vederlo scappare all’istante appena l’avesse toccato.

Dando fede alle impressioni di Temari aveva concesso quell’apertura notando un ulteriore cambiamento nell’espressione imperturbabile del moccioso a due centimetri dalla sua gamba. Una contrazione degli occhi generalmente manifestata quando mostrava interesse, concentrazione per qualcosa.
Gaara ci stava mettendo impegno per svolgere al meglio quel compito e Kankuro non aveva voluto distruggere quella impercettibile soddisfazione sul volto pallido, attenzione per una volta diretta verso qualcosa di buono.

«Ne hai messo troppo per questo non è stato assorbito, ma non preoccuparti non gli farà male» Temari prese la benda pulita avvolgendola attorno alla gamba, lasciando i lembi della fascia candida al fratello più piccolo per gli ultimi due giri a disposizione «Come primo tentativo direi che può andare bene»

Un formicolio nuovo si fece largo nel petto di Gaara laddove per anni c’era stata la morsa dolorosa, il sorriso compiaciuto di Temari aveva spazzato via la titubanza sostituendola con un calore misterioso all’altezza del petto.

Restò a osservare il nodo sulla fasciatura non accorgendosi della smorfia dolorosa sul volto di Kankuro e non dando particolare peso alla scusa di Temari di voler fare un ulteriore giro di bende.

Kankuro sospirò internamente di sollievo soltanto quando la sorella sciolse e rifece il nodo in modo che la circolazione non fosse bloccata, appuntandosi mentalmente semmai si fosse ripresentata l’occasione di spiegare a Gaara l’esatta forza con cui chiudere una fasciatura.

 

 

«Ora riposa»

Kankuro roteò gli occhi ai rudi modi della sorella in grado di far sembrare un ordine anche il più gentile dei consigli.

Temari sistemato l’inventario medico gli aveva ricontrollato la temperatura confermandogli con disappunto fosse salita e senza chiedergli il permesso aveva rimosso il mantello martoriato dalla sua marionetta obbligandolo a stendersi e adagiandoglielo addosso come una coperta.

Kankuro aveva sorvolato sull’accaduto soltanto perché il suo corpo infreddolito dall’aria gelida notturna gli aveva fatto presente tale impellente necessità.

Ugualmente però, non era riuscito a prender sonno.

Dopo lo strano momento dedicato alla sua fasciatura, Gaara rimessosi in piedi era rimasto accanto a loro non proferendo più parola. Le braccia incrociate e lo sguardo fisso su di lui senza particolare emozione.

«Stai tremando» in altre circostanze avrebbe riso all’osservazione di Temari minimizzando il tutto, ma in quell’istante nonostante fosse ormai diventato un fagotto unico con la coperta, non riusciva proprio a trattenere un briciolo di calore «Forse dovrei provare ad utilizzare il ventaglio e far defluire altrove la corrente»

«Non mi sembra una buona idea» fu la fiacca risposta mentre il cappuccio veniva tirato sulla testa «Genereresti un ciclone momentaneo sradicando mezza foresta, le tue sono tecniche di attacco non di cambiamento climatico»

Temari accovacciata sui talloni incrociò indispettita le braccia in un modo a Kankuro fin troppo familiare. Nella fessura lasciata tra cappuccio e coperta poteva infatti comparare con una certa inquietudine quella somiglianza con l’altro ragazzino.

«Forse dovremo improvvisare un riparo di fortuna» mormorò la ragazza a sé stessa alzando gli occhi verso il cielo scuro visibile a tratti tra le chiome impetuose scostate «Il vento inizia a essere davvero troppo forte, di questo passo arriverai in condizioni ben peggiori al villaggio»

A Temari sarebbe bastato poco, con una delle sue tecniche avrebbe abbattuto e tagliato qualche albero per mettere insieme una rudimentale barriera in cui far riposare adeguatamente il fratello. Il problema per lei era metterlo in pratica, per farlo avrebbe dovuto allontanarsi dai due onde evitare di colpirli accidentalmente e non era sicura di volerli lasciare totalmente da soli. Kankuro non era nelle migliori condizioni e sapeva quanto poco fosse propenso a stare da solo in compagnia del ragazzino dai capelli rossi, soprattutto se iniziavano a provocarsi.

Occupata nel suo ragionamento non diede peso al suono di uno stappo in sottofondo, registrando il segnale soltanto all’improvvisa puntura negli occhi che la costrinse a chiuderli. Stropicciandoli per rimuovere il fastidio, si ritrovò disorientata ad osservare nella visione sfocata dei piccoli puntini scuri librati nell’aria che avevano tutta l’aria di essere granelli di sabbia.

Spettacolo paradossale, a tratti meraviglioso, a meno che non si fosse in una foresta con un tipo non proprio tranquillo in grado di usarla.

Temari col cuore in gola si voltò verso il giaciglio di Kankuro ove il ragazzo risedutosi a fatica pronunciava il nome del loro fratellino con una certa ansia.
La sabbia ruotava turbinosa su ampio raggio concentrandosi maggiormente attorno ai piedi di un imperturbabile Gaara, volteggiando in parte anche attorno alle gambe di Kankuro che invano provava a ritirarsi. Le mani usate come perno sul terreno persero aderenza e all’ennesimo scalcio di gamba il ragazzo fu improvvisamente circondato da un vortice impetuoso che lo nascose alla vista.

Temari scattò in piedi non sapendo bene cosa fare, ogni pensiero razionale lontano anni luce. L’improvvisa paura le aveva bloccato i muscoli oltre che le corde vocali. La sincera speranza di un miglioramento era andata dissolta nel ciclone sabbioso, sostituita dalla realizzazione che forse quella bestia non poteva proprio essere messa a tacere.

Non voleva crederci, si rifiutava di accettarlo dopo quel piccolo gesto precedente.

Cosa era successo mentre era distratta?

Il piede restò sospeso a mezz’aria incapace di proseguire, il ricordo piuttosto vivido e recente della trasformazione totale a cui aveva assistito il giorno prima riaffiorò bloccandole ogni movimento. Un tremito la scosse dalla radice dei capelli alla puta dei piedi alla sola possibile nuova visione di quell’essere bavoso e ringhiante.

Non c’è Shukaku… lui è ancora Gaara.

Istintivamente cercò gli occhi chiari cerchiati di nero affogando in un oceano statico, piatto, senza reazione. Una fissità che non l’aiutava a definire la sua stabilità mentale.

Il gemito soffocato di Kankuro prevalse.

«Gaara!» urlò infine scattando verso di lui con l’intento di fermarlo, schiantandosi senza possibilità di scanso contro l’improvviso muro sabbioso eretto fra loro.

Temari non ebbe il tempo di richiamarlo, così come era apparso il muro scomparve sgretolandosi in sottilissimi granelli ondeggianti attorno ai piedi del suo possessore. Abbassate le braccia usate istintivamente come protezione si ritrovò a una distanza ravvicinata mai raggiunta, a pochi centimetri dagli occhi turchesi inespressivi.

Era intatta, senza graffi, incapace di parlare.

L’intera tempesta di sabbia scatenata si era placata.

«Ma…cosa significa questo

Al suono graffiante della voce di Kankuro interrotta dai colpi di tosse tornò alla realtà ricordandosi il motivo iniziale del suo scatto. Voltò la testa sussultando alla vista del fratello racchiuso in quella che aveva tutta l’aria di essere una semi cupola sabbiosa, troneggiante su di lui come una conchiglia protettiva. Quasi nello stesso istante bruscamente cambiò rotta rigirandosi ad osservare il più piccolo alle sue spalle.

«Avevi detto che serviva un riparo» la voce di Gaara fuoriuscì meno sicura del solito mentre ricambiava il suo sguardo, la testa impercettibilmente chinata da un lato in quel guizzo di genuina curiosità a malapena riconoscibile «Non va bene?»

Temari batté le palpebre stordita guardando dall’alto in basso quello che ai suoi occhi risultò essere a tutti gli effetti un bambino che provava qualcosa di nuovo e sconosciuto. I primi approcci alla costante ricerca di approvazione.

«N-no…cioè sì! Il rifugio va bene» farfugliò gesticolando con l’adrenalina ancora in circolo, accorgendosi nel mezzo dell’azione degli occhi di Gaara proiettati sulle su mani instabili dopo lo spavento.

«Stai tremando»

Temari osservò a propria volta le mani scosse dai tremori che non riusciva a placare, sarebbe stata una bugiarda nel dire di non essersi spaventata. Spostò lo sguardo su Gaara la cui espressione corrucciata era ancora puntata verso le sue mani e d’istinto le nascose dietro la schiena, ma gli occhi restarono fissi sul punto in cui erano svanite.

I buoni propositi non erano bastati.

Un’ombra sembrò calare sul viso di Gaara che arretrò silenziosamente di alcuni passi, per lasciarle spazio, una distanza di sicurezza.

«Non preoccuparti…è colpa del freddo!» si affrettò a dire ma il diretto interessato non la stava più ascoltando, voltatosi si era diretto silenziosamente verso il fuoco lasciandole un retrogusto amaro che la spinse ad aggiungere «Gaara!...Sei sicuro di voler utilizzare il chakra tutta la notte? Non ti sei completamente ristabilito»

«Sì. La forma da sostenere è piccola»

La voce risoluta, nessun accenno a volersi fermare.

«Se volessi risposare poss- »
«Non ce ne sarà bisogno» la interruppe lui voltandosi leggermente, il tono incolore protratto in una verità raggelante prima di riprendere il cammino  «Lo sai. Se provassi a dormire, sareste morti»

Temari restò ad osservare a disagio la schiena del ragazzino tenendo per sé le parole mai espresse.

 

 

Kankuro si raggomitolò al di sotto della coperta.

La barriera di sabbia stava funzionando egregiamente e lui non smetteva di domandarsi il perché di quel gesto nei suoi confronti, pensiero che inevitabilmente lo portava a riflettere anche sulle parole della sorella. Le scuse del giorno prima erano state certamente rivolte a loro. Qualunque cosa fosse successa durante lo scontro con Naruto oltre ad aver totalmente provato e distrutto fisicamente Gaara per la prima volta, aveva penetrato anche un altro tipo di barriera, una che lui non aveva mai notato.

Sospirando osservò la fonte dei suoi pensieri rintanatasi su uno dei rami più alti.

Aveva trasportato il suo corpo afflosciato per un giorno e mezzo finché non era stato in grado di muoversi autonomamente. Dopo essersi totalmente ristabilito Gaara l’aveva scostato da sé senza troppi preamboli, scagliandolo contro il tronco dell’albero su cui si erano fermati. In quel frangente non aveva giudicato correttamente il momentaneo blocco dei muscoli di Gaara nell’appurare di averlo distanziato con troppa forza, né aveva valutato adeguatamente la stretta a pugno lungo il fianco quando si era lasciato sfuggire un mugolio per l’urto subito alla gamba. Aveva pensato fosse innervosito per l’essere stato trattenuto, per la sconfitta, per il sol fatto di avere la luna storta con il risultato di andare totalmente fuori strada.

Aveva sbagliato.

La simil reazione si era verificata dopo il disguido con Temari.

Gaara era rimasto impietrito sul posto ritirandosi nuovamente nella parte opposta della radura come un cucciolo ferito con le mani strette a pugno sulle ginocchia. Doveva aver capito di averli spaventati e a modo suo non l’aveva accettato.

Gaara per la prima volta era sembrato esplicitamente scontento di aver suscitato quella reazione.

«Temari, non ci pensare» si decise infine a sussurra alla ragazza seduta accanto a lui intenta a giocherellare con il bordo metallico del ventaglio illuminato dalla falce di luna «La tua è stata una reazione più che normale, pensavi stesse per attaccare»

«Ma non l’ha fatto…» sospirò lei continuando a rimirare il riflesso del bagliore sulla superfice riflettente «Sta cercando di comportarsi in maniera diversa e per quanto non ne capisca la ragione, spaventarmi in quel modo non credo sia un incentivo a farlo continuare su questa strada»

«Non potevi esserne certa» continuò sopprimendo uno sbadiglio, la sonnolenza sempre più prepotente «Non sappiamo cosa è successo quando ha combattuto con Naruto, cosa sia scattato nella sua testa per spingerlo a comportarsi così diversamente. Non sappiamo nemmeno quanto durerà il suo impegno nel mostrarsi più cordiale… dopo anni passati a temere un suo improvviso scatto, ad aver paura di dormire con lui accanto in missione, a sapere che alla minima parola sbagliata nei suoi confronti non avrebbe esitato ad attaccarci, non puoi, non possiamo biasimarci dei nostri istinti di sopravvivenza. Siamo ninja»
Temari scostò lo sguardo dalla sua arma voltandosi ad osservare il ragazzo in dormiveglia, un piccolo risolino di nuovo visibile sulle labbra sottili.

«Dovresti avere la febbre più spesso, diventi più riflessivo e intelligente»

«Molto divertente» una smorfia gli trasfigurò i lineamenti sostituita da un sorrisetto sbilenco «Io invece stavo pensando che questa squadra necessiti di un componente femminile»

«Stai insinuando che io non sia una donna?»
«Chi, io? Non mi permetterei mai»

 

 

«Povero sciocco, dovevi ucciderli»
Gaara inspirò profondamente, deciso ad ignorare il suo animale da compagnia nella testa, concentrandosi disperatamente sulle lingue di fuoco ondeggianti del falò sottostante.

«Se non vuoi farlo tu, puoi sempre dormire...ci penserò io»

Abbassò le palpebre solo per poter ritrovarsi faccia a faccia con il demone ed intimargli contro il suo rifiuto. Shukaku rise, un tono roco e gravoso che rimbombava e si disperdeva nella testa prendendosi gioco di lui.

«Kankuro…l’odore del suo sangue mi piace»

Gaara serrò i pugni trafiggendolo con lo sguardo, non importava se la sua statura non compensava nemmeno la grandezza della zampa di Shukaku, quell’osservazione gli aveva suscitato un insolito fastidio. Non avrebbe commesso un errore simile a quello della seconda prova nella foresta. Naruto gli aveva fatto capire che poteva scrivere il proprio destino e quello era il suo corpo, per quanto possibile sarebbe stato lui a comandare.

«Sparisci»

Gli occhi chiari si riaprirono indispettendo il demone per la disputa visiva troncata e l’insolita forza d’opposizione nei suoi riguardi. Gaara aveva deciso di ignorarlo catalizzando la sua attenzione sul chiacchiericcio dei due fratelli che avevano ripreso a litigare.

Come riuscissero a cambiare così velocemente umore restava un mistero.

Venti minuti prima li aveva involontariamente terrorizzati ed il pesante silenzio carico di tensione ne era stata la prova, così come lo strano peso annidatosi sul suo stomaco. Temari aveva creduto che volesse usare la sabbia per uccidere Kankuro, l’aveva spaventata al punto di tremare. Lo stesso colorito di Kankuro era rapidamente svanito dal suo viso quando si era ritrovato circondato dalla sabbia, eppure nonostante la tensione a cui la sua sola presenza dava vita, eccoli lì pronti a bisticciare di nuovo.

Nei loro toni sopraelevati non c’era però alcuna rabbia, anche la più piccola iniziale irritazione era scemata via dalla voce di Temari quando Kankuro aveva iniziato a fare lo sciocco con i suoi deboli fili di chakra. Le dita affusolate erano state sollevate sinuosamente nell’aria per controllare alcune foglioline sospinte dal vento.

Gaara ne seguì la traiettoria osservandone ipnotizzato il volteggiare senza meta apparente, associando la strana danza verdeggiante alle movenze della sua sabbia con la piccola differenza che qualunque forma astratta o somiglianza smozzicata stesse creando il fratello, non aveva generato un clima di nervosismo ulteriore. Tantomeno le foglie avevano tentato di ammazzare qualcuno, tutt’altro, avevano alleggerito l’atmosfera tra loro.
Temari ripresasi dal suo stato d’incanto aveva rimproverato Kankuro per lo spreco di energia schiaffeggiandolo sulla nuca, lui anziché prendersela le aveva sorriso accattivante lanciandole addosso il mucchietto di foglie ottenendo un altro schiaffetto al braccio ricambiato prontamene dalle foglie insinuatesi nello scollo della maglia. Temari gli aveva sbraitato contro calciando volutamente la zona sana della gamba medicata, i fili di chakra allora erano stati spostati sui sandali della ragazza che allo strattone improvviso aveva perso l’equilibrio cadendogli addosso. La disputa non si era fermata nemmeno sul terreno e Gaara aveva iniziato a dubitare che uno dei due stesse pensando sul serio gli insulti che si stavano rivolgendo a vicenda tra pugni leggeri, schiaffi vaganti e pizzicotti vari compreso quello alla gamba di Temari in grado di farla saltare in piedi.

«Quanto chiasso, non vorresti zittirli?»

Gaara si morse leggermente le labbra per non assecondare quella volontà come accaduto in altre precedenti occasioni. Il mal di testa martellava sulle sue tempie quasi a volerle distruggere ma non poteva dare la colpa ai suoi fratelli, non poteva porre fine a qualunque cosa stessero facendo per puro egoismo. Non sembrava corretto, non più almeno…era il loro modo di consolidare quello strano legame che riteneva più complicato dell’amicizia stessa.

Quello che univa Temari e Kankuro era diverso dal sentimento mostrato da Naruto, i due lì con lui erano legati da una sfumatura inafferrabile scaturita da ore passate ad osservarli anche quando non ne aveva la minima voglia.

«Stai perdendo solo tempo a posticipare la loro fine»

La lotta terminò con lo sbuffo irritato di Temari intenta a districare alcune foglioline dalle ciocche bionde fuoriuscite dai codini scombinati e dal borbottio scontento di Kankuro dedito a massaggiare il braccio indolenzito. Lo stato irritato solo apparente, contrastante con il sorrisetto a mezza bocca della sorella e l’aria rilassata del fratello.

Ai suoi occhi a tratti la loro confusione era sembrata persino ridicola, eppure, non poteva fare a meno di sentire una fitta acuta all’altezza del petto.

«Così infantili…così inutili…stai risparmiando coloro che non desidererebbero altro che la tua morte»

La mano salì istintivamente a stringere la maglia laddove il lampo di dolore era aumentato.

La rabbia corrosiva di Shukaku si insinuò nella circolazione del chakra non riuscendo a raggiungerne l’apice, barricata da un sentimento isolato prevalente.
Temari e Kankuro potevano essere in disaccordo e capaci di urlarsi contro le peggiori cose esistenti ma davanti una difficoltà che poteva essere un semplice nemico, una schiera di persone, una ferita, un momento doloroso o gestire la sua stessa presenza, Gara conosceva bene quanto repentinamente diventavano un fronte unico ricercandosi a vicenda. D’altronde, non importava quanto fosse arduo l’ostacolo da superare, alla fine Temari avrebbe perso il suo cipiglio a favore di un sorriso grazie al vero grande potere di Kankuro. L’aria sprezzante del burattinaio sarebbe venuta meno ogni qual volta i due erano soli e grazie a quell’indole da lui più volte dispregiativamente ed erroneamente etichettata come debole e codarda, Kankuro compiva la sua magia.
Kankuro riusciva sempre a farla sorridere.

Gaara trattenne il gemito di dolore al torace abbassando la testa incapace di reggere ulteriormente la vista dei due fratelli, accecato da tutti quei particolari registrati inconsapevolmente nel corso degli anni a cui non aveva mai dato peso.

Non sarebbe mai riuscito ad entrare nel loro modo e questa constatazione gli procurò una sofferenza più acuta di quella del demone.

Tra loro non c’era spazio per un mostro, l’avevano appena dimostrato.

Si erano dimenticati della sua presenza.

 

 


Il giorno seguente il cielo plumbeo e carico di pioggia si estendeva sulla foresta.
Temari scrutò impensierita le nuvole grigiastre sollevando un braccio al volo planante di Tamaki, il falco personale di Baki. Gli artigli affondarono nella carne mentre Kankuro srotolava il biglietto preparandosi mentalmente al contenuto.

«La nostra missione è fallita su tutta la linea» lesse seccato alla vista degli ideogrammi scritti con violenza «In compenso, l’Hokage di Konoha è morto»

«Non mi sorprende, eravamo in svantaggio già ad attacco iniziato» il braccio si abbassò dando la possibilità al falco di riprendere il proprio volo «Mi chiedo solo se la morte dell’Hokage non comporterà una nuova guerra…»

Kankuro restò in silenzio ad osservare il foglietto tra le mani, il sussurro apprensivo di Temari era bastato a procurargli una voragine nello stomaco. Non avrebbe mai compreso le decisioni politiche del suo villaggio, ancor meno quelle di suo padre.

«Kankuro…secondo te a cosa pensava quando ci ha assegnato questa missione?» la domanda restò ancora una volta senza risposta, dando pieno campo libero a Temari per le sue riflessioni «Che bisogno c’era di rompere il trattato d’alleanza con Konoha? Ok, le condizioni economiche del villaggio non sono le migliori ma alle sfere alte cosa pensavano esattamente quando hanno deciso di allearsi con Orochimaru mandando una squadra di soli genin in avanscoperta, per di più mettendo in prima linea Gaara che non sono nemmeno capaci di controllare? L’attacco è iniziato prima di quanto concor

«Il Kazekage presente a Konoha non era nostro padre» la interruppe bruscamente Kankuro sventolandole dinanzi le ultime due righe di testo «A quanto pare si trattava di Orochimaru che ha assunto le sue sembianze»

Temari confusa aprì e chiuse la bocca senza riuscire a pronunciare la successiva domanda, incapace di credere che loro padre li avesse inviati tutti in quell’impresa suicida restando al Villaggio della Sabbia. Osservò di sottecchi la smorfia contrariata sul volto del fratello e i successivi pezzettini di carta svolazzanti del foglietto che in uno scatto di rabbia era stato ridotto a brandelli.

Kankuro cercò di placare il nervosismo crescente raccattando all’interno del consueto involucro di bende le parti smembrate e il mantello della sua marionetta, per nulla pronto ad affrontare i rimproveri del padre. Il Kazekage avrebbe avuto da ridire su ogni singolo punto in cui la loro missione era fallita, da Gaara fuori controllo che lui e Temari erano stati incaricati di tenere a bada – come se fosse una sciocchezza controllare un ragazzino psicopatico in preda alla sua sete di sangue – fino allo stesso rallentamento del viaggio di ritorno generato a casa sua.

«Se ce lo chiede, abbiamo seminato dei nemici»

Sollevò gli occhi verso la sorella in piedi accanto a lui chiudendo con un deciso strattone il fagotto di Karasu. Temari rigida come un tronco non si prese la briga di ricambiare lo sguardo continuando a scrutare un punto indefinito alle sue spalle.

«Lascia perdere Temari, non ti crederebbe»

«Non mi importa. Se avessimo continuato a camminare a quest’ora non saresti nemmeno in grado di reggerti sulle tue gambe, hai ancora la febbre e…dopotutto stiamo tornando da un territorio nemico. Dover seminare qualcuno è perfettamente plausibile»

«Baki-sensei avrà mandato una comunicazione anche a lui, sicuramente più approfondita della nostra» si issò in piedi maledicendosi mentalmente per aver fatto perno sulla gamba sbagliata «Gli avrà sicuramente detto che nessuno si è preso la briga di venirci dietro. Hanno perso il loro capo villaggio, hanno altro a cui pensare… noi eravamo già costretti alla ritirata, non aveva senso inseguirci»

Temari morse le labbra senza ulteriori idee per controbattere, spalla contro spalla con il fratello, i volti indirizzati in direzioni diverse tra tante parole non dette. Suo fratello era sempre stato il più emotivo fra loro due, sia in senso negativo che positivo, sapeva quanto quel fallimento stesse pesando sul suo orgoglio e quanto loro padre l’avrebbe fatto pesare.

Stupidi test per determinare il valore.

La mano sfiorò quella di Kankuro stringendosi in sostegno attorno a due delle sue dita, una presa ferrea della durata di qualche secondo finché non lo oltrepassò completamente.

«È tornato»

Kankuro inspirò a fondo il penetrante odore della pioggia imminente alla ricerca del controllo perduto sulle sue emozioni, incolpando di ciò il suo stato febbricitante.

Caricatosi in spalle Karasu con un sospiro si voltò verso Temari ferma ad un metro di distanza dal loro fratello vagabondo. Gaara era scomparso alle prime luci dell’alba dopo aver dissolto la cupoletta di sabbia, svanendo nella boscaglia senza dire alcunché e tantomeno senza prendersi la briga di rispondere alla sua domanda su dove stesse andando.

Kankuro contemplò con attenzione l’andatura strascicata del ragazzino a capo chino mentre si avvicinava al duo. I vestiti già malridotti erano ricoperti di terra così come il resto del suo corpo, compresi i capelli cremisi oscurati a tratti da uno strato di polvere. Lui non era sicuramente nella posizione di poter giudicare l’estetica altrui dato lo stato del suo pantalone, quindi tenne per sé qualunque osservazione onde evitare spiacevoli ritorsioni.

Non era mai un buon segno quando il più piccolo iniziava a parlare apparentemente da solo in uno stato tanto selvaggio.

Giunto accanto a loro scambiò soltanto una silenziosa occhiata d’intesa con Temari prima di riprendere il viaggio.

 

 

Gaara saltò da un ramo all’altro scuotendo leggermente la testa per scacciare la fastidiosa presenza del demone farneticante del tutto deciso a non dargli un attimo di tregua da quel mattino. Lui doveva ringraziare soltanto la sua sabbia se non si era ancora sfracellato al suolo nel suo stato distratto. I granelli volteggiavano continuamente intorno a lui compattandosi senza che lo chiedesse in pedane improvvise sotto i suoi piedi o cuscinetti tra lui e i tronchi contro i quali aveva rischiato di schiantarsi.

Non capiva come mai il demone volesse torturarlo mentalmente e al contempo salvarlo con la sua sabbia, chiederlo al diretto interessato non aveva portato ad alcuna risposta.

Stranamente il demone si era zittito proprio con quella domanda.

Non era Shukaku a muovere la sabbia?

Compì due salti veloci atterrando sullo stesso ramo di Temari per poi prendere lo slancio verso una base d’appoggio più alta, una strada parallela a quella dei due fratelli così da non star loro troppo vicino.

Il legno vibrò sotto il peso oscillando le rigogliose foglie verdi così diverse dallo scarno paesaggio del Paese del Vento.

L’intera nottata Gaara l’aveva passata immerso in quella vegetazione sulla cima di un albero ad ammirare la luna, a riascoltare le frasi di Uzumaki ormai imparate a memoria come un mantra consolatore. Shukaku aveva portato avanti la sua invettiva provando a sovrascriverle, ed alle parole urlate da una parte all’altra della mente si erano aggiunti i vividi ricordi dei tremori del corpo di Temari e il volto spavento di Kankuro.

«Per quanto ti sforzi non ti accetteranno mai»

Il demone aveva approfittato della sua fragilità psicologica per le sue tossiche insinuazioni fino all’alba. Malignamente aveva instillato in lui il dubbio con frasi velenose e accattivanti sui due fratelli e i loro possibili comportamenti: sulla facilità con cui l’avrebbero scaricato se fosse stato lui quello febbricitante, oppure, su come l’avrebbero offerto come merce di scambio con Konoha se fossero stati fermati dalla squadra speciale e messi alle strette. Kankuro e Temari volevano la sua morte, stavano aspettando soltanto il momento opportuno per mettere fine alla sua vita sotto ordine del Kazekage. Temporeggiavano nella foresta in attesa di un attacco che mascherasse la sua dipartita come una controindicazione della missione.

Shukaku era quasi riuscito nella sua impresa.
Gaara si era contorto silenziosamente sullo scomodo ramo fino alle prime luci del mattino, oppresso dai lancinanti dolori alla testa per non aver ceduto immediatamente a quella vocina ammaliatrice. Appeso in extremis a testa in giù in seguito alla perdita di equilibrio, si era ritrovato ad ammirare i bagliori rossastri del cielo mattutino così diverso dalle maestose albe ammirabili nel deserto, attorniato dalla sabbia vibrante insinuatasi tra le foglie.

Aveva contemplato la strana associazione con i nomi stessi dei due grandi villaggi spalancando gli occhi al ricordo dei due fratelli paratisi davanti a lui due giorni prima, pronti a difenderlo e non a ucciderlo.

Shukaku era esploso di rinnovata rabbia facendogli a stento udire la voce di Kankuro appena svegliatosi proveniente dal basso. Senza pensarci su due volte aveva raccolto la sua sabbia fuggendo per svariati minuti nella foresta per non arrecare un danno irreparabile di cui si sarebbe pentito. Quel suo insolito desiderio di protezione aveva fatto infuriare definitivamente il demone che all’ennesima ed intollerabile negazione aveva ruggito selvaggiamente desiderando proprio il sangue di colui che per tutta la notte era stato salvato dalla sabbia.

La forza possessiva di Shukaku era affluita nelle vene prendendo il sopravvento in un luogo remoto della foresta, acquisendo forza dalla non digerita sconfitta con Naruto e dall’impossibilità di aver potuto assaporare il sangue di Sasuke. Il braccio destro e metà del volto erano stati facilmente deformati e assoggettati al suo dominio e Gaara parzialmente fuori controllo aveva sfogato quella rabbia estranea contro gli alberi, le rocce e il terreno circostante arrivando persino a graffiare violentemente la terra sotto i suoi piedi.

Con non poche difficoltà aveva infine ripreso il controllo giacendo disteso ansante per un tempo inquantificabile in mezzo alla zona devastata, soffermandosi ansioso a riflettere sulla macabra alternativa che si sarebbe presentata ai suoi occhi se non si fosse allontanato in tempo.

Il sangue incrostato sulle nocche non sarebbe appartenuto ad alcun animale.

«Sei uno sciocco, hai già dimenticato che per loro sei un estraneo?»

Gaara serrò gli occhi ritornando al presente alla frase rimbombante nella testa, schiacciando le dita sulla tempia pulsante senza prestare attenzione alla strada.

Un salto stordito verso la successiva base d’appoggio per ritrovarsi a scalciare nel vuoto alla meta mancata, in completa caduta libera.

Il sussulto doloroso risuonò all’istante nella boscaglia fra le foglie staccatesi all’attrito e sabbia svolazzante.

Gaara frastornato aveva riaperto gli occhi a fatica, beandosi della leggerezza della sua testa privata dalla voce vaneggiante mentre metteva a fuoco gli alberi svettanti e il cielo grigiastro.  

Temari rientrò immediatamente nel suo campo visivo, ferma su un ramo a circa tre metri sopra di lui con l’espressione più strana che le avesse mai visto, un incrocio fra lo spaventato e il perplesso. Al secondo gemito dolente Gaara realizzò un’altra cosa, il familiare formicolio della sabbia sul suo corpo non aveva mai emesso calore e particolare più importante, non era stato lui a lamentarsi.

«Gaara… potresti togliere la tua gamba dalla mia malandata?»

Sussultando leggermente alla voce di Kankuro recepita per risonanza sotto di lui, constatò effettivamente di non star disteso solo su uno strato di sabbia ma suo fratello incredibilmente scottante. Attraverso i sottili strati di stoffa poteva avvertire il calore penetrargli la schiena e irradiarsi in modo non dissimile dal sole rovente del deserto.

A discapito di quanto aveva detto al mattino, la febbre non era ridotta a pochi decimi.

Kankuro aveva mentito.

Gaara spostò la gamba come da richiesta mettendosi di scatto seduto sullo stomaco del ragazzo più grande, vagamente stralunato per quella nuova vicinanza che inconsciamente aveva trovato piacevole.

Era così strano riuscire a entrare in contatto con un altro essere umano che non tentava la fuga.

Ruotò la testa all’indietro osservando il fratello abbandonare la smorfia dolorosa a favore di un sospiro di sollievo mentre lo fissava con un solo occhio aperto.

«Ragazzi…state bene?»

Temari atterrò accanto a loro guardandoli dall’alto in basso, incerta su cos’altro dire dopo lo strambo incidente a cui aveva assistito. Non le era mai capitato di vedere Gaara tanto distratto da precipitare su Kankuro trascinandolo con sé al suolo.

Entrambi stavano bene, la sua era stata una domanda superflua.

La giara di Gaara si era fortunatamente dissolta in un cuscino di sabbia non schiacciando il povero Kankuro ed attenuando la caduta.

La sorpresa più grande fu però il costatare che la difesa automatica avesse protetto entrambi.

«Benissimo Temari, ho sempre desiderato imparare a volare» fu la risposta sarcastica ricevuta da Kankuro mentre stentatamente provava a muovere la gamba fasciata.

«Se sei in vena di fare lo spiritoso stai benissimo»

Gaara alternò lo sguardo fra i due chiedendosi se avesse soltanto immaginato la domanda di Temari rivolta al plurale e la nonchalance con cui Kankuro continuava a parlare senza mostrare spavento verso di lui.

Era ancora seduto sul suo stomaco.

All’ennesima blanda rassicurazione del fratello sulla propria salute contrasse gli occhi leggendo facilmente attraverso la bugia, senza però farlo presente.

«Voglio vedere te con i pezzi di Karasu premuti nella schiena»

«Guardala da un’altra prospettiva, è il momento giusto per cambiare jutsu» lo derise lei con sorrisetto facendo imbronciare il burattinaio sbraitante sul terreno.

«Per scegliere qualcosa come uno stupido ventaglio?!»

«Sempre meglio un ventaglio che dei pupazzi, non sei troppo cresciuto per giocarci?»

«Non insultare Karasu, è una marionetta non un pupazzo!»

«Allora tu non insinuare che la mia arma sia stupida! Altrimenti la prossima volta te la tiro in testa!»

«Ehi, che brutti modi! Sono appena caduto da più di sei metri! Gaara sarà anche piccolino ma non è esattamente un peso piuma se ti cade addosso all’improvviso»

Sentendosi preso in causa proprio dopo essersi rimesso in piedi, Gaara non capì appieno l’improvviso silenzio generato al suo nome. Voltandosi a fissarli trovò lo sguardo accigliato di Temari rivolto a Kankuro che a propria volta ricambiava invece il suo con un tremolante sorrisetto di circostanza.

«I-io non intendevo dire che sei pesante…cioè, potresti esserlo nella forma di Shukaku ma non ora!...No, aspetta, non intendevo dire che il demone è obeso» Temari si schiaffò una mano in faccia senza che Kankuro la calcolasse, tutto preso dalle sue giustificazioni farneticanti mentre Gaara continuava a fissarlo leggermente confuso «Intendevo che la forza di gravità ti ha reso pesante, sei basso ed ovviamente sei leggero…non che la tua altezza sia importante! Voglio dire, sei al di sotto della media ma-»

«Kankuro…per favore smettila» sussurrò la ragazza nel misero tentativo di salvare il salvabile, pensando seriamente che suo fratello avesse tendenze suicide nascoste nel lanciare provocazioni così apertamente «Stai solo peggiorando le cose»

Gaara si accigliò riflettendo sulle parole di Kankuro, rivolgendo la sua attenzione ai suoi piedi e poi ai due esplicitamente a disagio in attesa di un cataclisma. Non aveva mai pensato alla sua altezza come un problema, ma suo fratello sembrava aver ritenuto in qualche modo offensivo il commento e voleva vederci chiaro.

«È così fuori luogo avere la mia altezza?»

«NO!»

Gaara lasciò trasparire un briciolo di sconcerto all’urlo dei due all’unisono, alle altre strane spiegazioni agitate di Temari su come parlasse a vanvera Kankuro e agli strani colpetti che avevano iniziato a darsi a vicenda alle rispettive frasi tanto da spingerlo ad imporre loro di ripartire. Imposizione dovuta al desiderio di non sentirli parlare oltre di cose senza senso che gli avevano fatto ritornare il mal di testa.

Soltanto quando si ritrovò fuori dalla loro vista sollevò una mano sul petto dove il dolore del mattino si era attenuato.

Kankuro e Temari l’avevano coinvolto in una delle loro strambe conversazioni senza senso.

 

 

 

«Etcì!»

«Temari, il tuo corpo sprizza salute»

«Stai zitto idiota»

«Oh certo, sarei io l’idiota e non tu che te ne vai sempre in giro mezza nuda»

Kankuro evitò per un soffio il ventaglio della sorella allontanandosi repentinamente da lei, sempre più immerso nel vicolo cieco della piccola caverna in cui si erano rintanati. La pioggia che pensavano di aver scampato il giorno prima era infine arrivata all’imbrunire cogliendoli di sorpresa sul confine tra il territorio del Fiume e del Vento. Ad essa si era poi aggiunta la tempesta di sabbia che li aveva costretti a trovare riparo, con una certa reticenza da parte del più piccolo del gruppo che avrebbe voluto continuare incurante di poter perderli per strada.

Temari starnutì di nuovo intimandogli con gli occhi di far silenzio.

«Grandioso…ora sono in due a volermi uccidere» borbottò Kankuro reggendosi il mento con il palmo, evitando accuratamente ulteriori battutine ironiche che avrebbero coinvolto la terza persona silenziosa ed evitando accuratamente di poggiare la schiena nuda contro la fredda pietra della caverna.

Le gelide temperature notturne del deserto stavano torturando il suo corpo accaldato continuamente in bilico fra il caldo e il freddo.

«Cosa stai borbottando?»

«Ammiravo la bellezza del sole lì fuori»

«Giuro che prima di tornare a casa io...etcì!»

«Sì, tu ti sarai ammalata» commentò sarcastico avvicinandosi a lei, trascinandola di peso molto più vicina al fuoco e sedendosi volontariamente nel mezzo tra lei e Gaara più imbronciato e contrariato del solito «Staresti meglio se ti togliessi e lasciassi asciugare i vestiti bagnati accanto al fuoco come ho fatto io con la divisa»

«Sai benissimo che non lo farò»

«Lo so» Kankuro le avvolse un braccio in torno alle spalle avvicinandola a sé incurante dello strato gelato del tessuto bagnato a stretto contatto con la pelle, poggiandole una mano sulla bocca per impedirle di dire alcunché «Qualunque osservazione su quanto tu sia forte puoi risparmiatela ora, consideralo un ricambio di favori per l’altro giorno»

Gaara scrutò di sottecchi i due meravigliandosi di come nonostante Temari fosse sempre pronta ad attaccare quel tono rude aveva effettivamente lasciato perdere la guerra verbale, abbracciando le proprie gambe e accoccolandosi contro il petto di Kankuro.

«Kankuro, sei un bugiardo» il flebile sussurrò di Temari venne fagocitato dal crepitio delle fiamme.

«Cosa? Credi di non essere forte?» fu la controbattuta maliziosa mentre dondolava il corpo della sorella con un sorrisetto sfacciato «Suvvia non abbatterti così facilmente, si sa che sono il più in gamba fra i due!»

«Non intendevo quello razza di idiota! Hai ancora la febbre…sei bollente»

«Esagerata, è il calore del fuoco»

Temari strinse le labbra in una linea sottile chiaramente contrariata.

Raccolse la sua borraccia d’acqua sbattendola senza troppe cerimonie nello stomaco del fratello, preoccupandosi di cercare nel piccolo kit medico le erbe raccolte il giorno prima.

«Bevi» ordinò con gli occhi ristretti non ammettendo repliche.

Kankuro assecondò il poco gentil consiglio con un brivido lungo la schiena, dubitando altamente che la febbre ne fosse la causa e con riluttanza masticò il fascio amarognolo del mix di erbe fornitogli come cura momentanea.

Gaara non ricordava di aver mai visto i fratelli così vicini durante nessuna delle precedenti missioni. Dopo il quasi soffocamento di Kankuro per le medicine improvvisate di cui solo Temari era certa degli effettivi benefici, i due erano ritornati accoccolati l’uno. L’attacco al Villaggio della Foglia doveva averli provati più di quanto sospettasse, probabilmente più psicologicamente che fisicamente.

Lo dimostrava il fatto che a discapito dei due giorni precedenti non mantenevano le distanze ma si erano seduti accanto a lui, anche se la vocina sibilante nella sua testa continuava a ripetergli che fosse solo una scelta dettata dall’istinto di sopravvivenza.

«Non credo durerà ancora molto» bisbigliò la ragazza con gli occhi semi chiusi proiettati sulle fiamme sempre più deboli «Tra poco si spegnerà del tutto, avremo dovuto procurarci più legna»

«È stato un miracolo aver trovato questa in mezzo al deserto» le rispose Kankuro strofinandole la mano lungo il braccio nel tentativo di scaldarla maggiormente «Accontentiamoci»

«Potremo sempre bruciare quello»

Kankuro spostò lo sguardo sul fratello a pochi centimetri da lui al suono della voce piatta. Gaara con i vestiti ancora grondanti e la sabbia ridotta in poltiglia tutt’intorno rasentava uno stato di puro disordine insieme alla capigliatura scombinata con punte cremisi proiettate in ogni direzione. Kankuro se davanti non avesse avuto una persona dall’aria perennemente contrariata e incline all’omicidio, probabilmente con una grassa risata le avrebbe consigliato d darsi una sistemata.

Si limitò invece a seguire la direzione indicata dal pallido indice perdendo un battito.

«Ohi! Karasu non è legna da ardere!» sbottò infastidito tanto da far sussultare Temari addossata lui che si coprì istantaneamente l’orecchio «Non ti azzardare a prenderlo!»

«È andato completamente in pezzi, almeno così torna utile»

Temari si sollevò allarmata consapevole della direzione appena intrapresa, Gaara aveva toccato l’unico argomento in grado di far perdere il controllo di Kankuro. Nessuno poteva parlare male delle sue marionette o sminuirle, quando succedeva suo fratello perdeva completamente il senno senza tener da conto chi si trovava davanti, come in quel momento.

Forse perché agevolato dalla sabbia bagnata inutilizzabile o da una riserva di coraggio mai vista prima, Temari non riuscì a placare lo scatto inviperito.

«Non sono dei comuni pezzi che puoi prendere e utilizzare a tuo piacimento!»

«Ho solo suggerito un modo per scaldarvi, è pur sempre legno»

«Quelli non sono rametti trovati nel bosco, sono i componenti di Karasu, una delle grandi marionette di Sasori della Sabbia Rossa! Non hai la minima idea di quanto valga!» incurante delle braccia di Temari che lo stavano trattenendo si spinse in avanti, incapace di arrestarsi davanti alla sufficienza con cui erano state giudicate le sue marionette «Ogni marionetta non è un comune assemblaggio di pezzi di legno, c’è del lavoro dietro, una cura speciale condotta su ogni singolo componente! Incarnano la volontà del loro creatore!»

«Perché ti infervori così tanto per una marionetta che non hai nemmeno creato?»

La domanda apatica di Gaara ebbe l’effetto della fantomatica goccia che faceva traboccare il vaso. Kankuro ignorò la supplica di Temari afferrando il ragazzino per il bavero della maglia, costringendolo a restare sulle mezze punte per non finire strozzato.

Gaara restò sorpreso dalla reazione, aveva fatto la domanda soltanto per capire perché il fratello tenesse così tanto ad un oggetto inanimato non per provocarlo.

«Sì, è vero, non l’ho creata io ma ciò non ti dà il permesso di giudicarla con sufficienza! Non spetta a te decidere cosa sia più o meno importante per gli altri anche se è praticamente quello che fai con la vita di tutti quelli che ti incontrano!»

«Kankuro smettila!» urlò sua sorella afferrandogli la mano con l’intento di staccare la presa prima di assistere a una carneficina.

«Karasu come le altre marionette che ho a casa non sono dei semplici oggetti, anche loro hanno una propria anima! Ogni volta che muovo i loro i loro arti esse prendono vita, si muovono e combattono mettendo in mostra quella passione che le ha create!»

«Kankuro!»

«Se le vuoi considerare degli inutili oggetti fai pure, ma non farlo in mia presenza e tanto meno non provare a toccare le mie per dargli fuoco!» sibilò a corto di fiato ad un centimetro dagli occhi dilatati dell’altro, la mano tremante per la rabbia «Anche se oggetti, per me sono speciali. Ti è così difficile da capire il concetto?!»

Uno strato di sabbia si insinuò nella presa rompendola e distanziando entrambi i fratelli di qualche centimetro. Temari ingoiò in apprensione all’espressione vuota del fratellino parandosi il più possibile nel mezzo dei due litiganti, maledicendo in ogni singolo istante di attesa l’avventatezza di Kankuro.

«Per favore Gaara…Kankuro vol

«Capisco»

Temari sbatté incredula le palpebre quando Gaara arretrò di qualche passo arrestando il vorticare della sabbia, risedendosi accanto al fuoco come se nulla fosse successo.

Si voltò verso Kankuro che l’osservava scioccato in egual misura.

Misteriosamente la rabbia di Gaara non era esplosa e lei non voleva gettare all’aria quella tregua totalmente inattesa.

Kankuro annuì in accordo al cenno silenzioso riprendendo posto con Temari ma lanciando di tanto in tanto occhiate incerte all’espressione di Gaara proiettata sulle fiamme, scuotendo la testa quando arrivò a giudicarla malinconica.

 

 

Gaara osservò la flebile scia di fumo segnare il definitivo spegnimento del fuoco.

La tempesta di sabbia non ancora placatasi accompagnava col suo fruscio il misero soggiorno nella caverna dove era rimasto l’unico sveglio. Temari e Kankuro dopo aver discusso animatamente su chi di loro due avesse dovuto fare la guardia erano crollati esausti fra le braccia di morfeo.

Gaara alle volte si chiedeva davvero perché sprecassero fiato per discussioni inutili, ai suoi occhi era stata lampante la stanchezza di entrambi, soprattutto quella di Kankuro. Lo stato febbricitante per quanto a lui sconosciuto, non migliorava sicuramente dopo un giro sotto la pioggia.

Si era stupito di tanta resistenza.

Kankuro imperterrito aveva continuato a muoversi in quei giorni nascondendo a Temari il più possibile le proprie condizioni per non farla preoccupare. Dimostrando di possedere più forza di quella che gli aveva sempre attribuito.

«Io mi chiedo perché non mi hai lasciato giocare con quel moscerino e i suoi pupazzetti»

Gaara digrignò i denti stringendosi saldamente la testa nell’immane sforzo di ignorare la voce famelica, il demone ostinatamente perseguiva i suoi tormenti approfittando di ogni possibile breccia.

Alcune volte aveva lui stesso trovato confortante ascoltarlo, era stato l’unico a tenergli realmente compagnia e a suggerirgli consigli su come migliorare la sua offensiva verso il nemico, ma negli ultimi giorni desiderava soltanto che stesse zitto.

Lo stava distruggendo psicologicamente.

«Torna a dormire…tu che puoi» ringhiò flebilmente ricevendo una risatina sarcastica.

«Potresti anche tu, ma non vuoi farmi uscire»

Gaara serrò i pugni non vedendo realmente lo strato di cenere sull’arenaria, davanti ai suoi occhi c’era soltanto la bocca seghettata ghignante. Il demone aveva accolto il suo rifiuto con una risatina, accucciandosi con la lunga coda avvolta attorno.

«Buonanotte Gaara»

Gaara si lasciò sfuggire un verso stizzito alzandosi in piedi ed iniziando a girovagare silenziosamente nella piccola rientranza semicircolare, particolarmente nervoso.

Il suo animo irrequieto dava forza al demone, ed era quello il vero problema.

La pioggia l’aveva messo di malumore, l’insonnia non lo stava aiutando e la tempesta era diventata talmente forte da fargli rinunciare anche all’idea di uscire all’esterno.

Non lo bloccava la paura di girovagare fra vortici di sabbia ma la poca voglia di usare il chakra per una passeggiata fuori programma. Il giorno dopo sarebbero ritornati a Suna e non era perfettamente sicuro della sua incolumità con suo padre nelle vicinanze, avrebbe potuto tentare di ucciderlo nuovamente dopo il fallimento della missione.

Al tenue mormorio risuonato nella caverna abbassò lo sguardo sul fratello ancora placidamente addormentato, un braccio sotto la testa e l’altro attorno alla vita di Temari rannicchiata contro di lui. Gaara era del tutto ignaro del motivo che spingeva i suoi due fratelli a parlare mentre dormivano, una volta aveva persino risposto ad una domanda di Kankuro senza ricevere altre risposte.

Erano discorsi a sensi unici come se parlassero da soli con la differenza che loro non avevano un demone rinchiuso.

Proprio contemplando il fratello ritornò con la mente allo sbotto ricevuto. Era rimasto lui stesso sorpreso da quella coraggiosa presa di posizione finendo col domandarsi se quel suo volersi integrare non avesse minato il rispetto che prima Kankuro gli elargiva. Non voleva perdere quel riguardo ma neanche mantenerlo come aveva fatto fino a quel momento.

Infatti, a prevalere fu proprio l’altra emozione del tutto nuova verso il fratello, quella che presupponeva fosse ammirazione.

La difesa enfatica di Kankuro aveva mostrato lo stesso ardore di quella di Naruto anche se diretta a qualcosa di inanimato. Suo fratello non si era fatto problemi a difendere a spada tratta quello in cui credeva e teneva, non fermandosi neanche davanti a lui. Kankuro sapeva benissimo che avrebbe potuto rischiare la pelle, ma incosciente o meno, a Gaara quell’atteggiamento era piaciuto.

Aveva capito cosa volesse intendere Kankuro parlando di oggetti speciali, anche lui un tempo aveva avuto un peluche insostituibile. Un orsetto abbracciato innumerevoli volte fino a consumarne la stoffa, stretto al petto ad ogni ora del giorno alla ricerca di calore e affetto, di conforto. L’ultima reminiscenza che aveva dell’orso non era però piacevole, risaliva alla notte in cui in preda ad una delle crisi isteriche di Shukaku ne aveva morso l’orecchio strappandone parte dell’imbottitura.

Osservò i due fratelli per svariati minuti associando la loro posizione ai suoi vari ricordi insieme al peluche. Kankuro stringeva Temari come lui da bambino aveva stretto l’orsetto nelle ore insonni, con la sola discrepanza che sua sorella ricambiava l’abbraccio.

Il suo orsacchiotto inerte non l’aveva mai fatto.

Si sedette accanto a loro più di quanto non avesse mai osato fare, gli occhi puntati sul ritmo regolare con cui il petto di Kankuro si alzava e abbassava, quasi identico a quello di Temari e senza rendersene conto si ritrovò a seguirlo omologando il suo sulla stessa frequenza. Meravigliandosi dello stato di pace e tranquillità in cui cadde la sua postura inquieta sulla scia di quel semplice movimento.

Desideroso di bearsi quanto più possibile di quella situazione armonica, allo spiffero penetrato nella caverna spostò senza pensarci ciò che restava della divisa ormai asciutta di Kankuro sui due rabbrividiti per il freddo. Ricoprendo il pezzo di stoffa con uno strato di sabbia compattata per evitare di far disperdere il poco calore accumulato.

Al termine del suo operato, soddisfatto si distese accanto a loro in attesa del mattino.

 

 

Il sole battente di mezzogiorno penetrò attraverso le fessure ovali della struttura ospedaliera oppressa dai picchi termici elevati del deserto, picchiando con i suoi raggi roventi sulle pareti color sabbia della piccola camera di degenza situata al secondo piano.

Temari seduta ai piedi del letto su cui era riverso il fratello ondeggiava svogliatamente un piccolo ventaglio sperando di poter ritornare a casa al più presto, prima di evaporare completamente nell’angusto stanzino. Il piccolo ambiente, infatti, aveva tutta l’aria di essere uno dei vecchi ripostigli adattati all’ultimo secondo a stanza di primo soccorso, probabilmente a causa del notevole afflusso di feriti dopo l’incursione fallita al Villaggio della Foglia. Il letto addossato alla parete occupava gran parte dello spazio accanto al tavolino con la bacinella d’acqua e medicinali, rendendo difficoltosi gli stessi movimenti della ragazza intenta a medicare Kankuro. 

Temari con un sospiro si accasciò sulla sbarra metallica grondando sudore da parti corporee di cui aveva dimenticato l’esistenza, aumentando l’andatura del ventaglio rivolto anche a Gaara seduto sull’unica sedia situata accanto al letto. Il ragazzino nonostante la postura composta sembrò ridestarsi da un coma in cui era caduto ad occhi aperti, lo sguardo trasognato sollevato verso di lei in un cenno del capo che etichettò come apprezzamento.

Immaginò che per una volta i loro desideri non dovessero essere dissimili, volevano star ovunque tranne che in quella fornace infernale in cui erano stati costretti a recarsi dalle sentinelle appostate davanti le porte di Suna. Baki aveva dato loro persino l’ordine di accompagnarli personalmente all’ospedale.

Avrebbe volentieri riflettuto approfonditamente sulla questione se il caldo non avesse ucciso le sue facoltà mentali.

 

«Kankuro dovresti prenderti più cura di te stesso!» borbottò la quindicenne in camice bianco esaminando alcune boccette ordinatamente sistemate sul tavolo «Di questo passo farai diventare l’ospedale la tua seconda casa!»

Kankuro gemette interiormente cercando di non ridere dinanzi all’esile corpicino poco più alto di Gaara che continuava a squadrarlo con la sua buffa aria di rimprovero.

«Dai Raja, non esagerare ora! Sono solo un ospite più assiduo di altri!»

Gli occhi ambrati di lei si assottigliarono pericolosamente mentre si avvicinava con le mani suoi fianchi proprio come quando erano ancora in squadra insieme.

«Tu sei un’incosciente, ti conosco fin troppo bene!» le corte ciocche castane non raccolte nei codini sbarazzini le ricaddero sul viso mentre picchiettava con foga il petto del ragazzo «Ti ricordo che anche la settimana prima di partire per l’esame chunin sei stato capace di tagliarti con una delle lame avvelenate delle tue marionette!»

«Ehi, quello è stato un incidente!»

«Parliamo della nostra missione nel Paese dell’Erba allora?»

«Va bene! Potrei essere un po’ spericolato, contenta?»

«No, non sono contenta! Vorrei che non ti facessi male così spesso, non sempre sono ferite leggere» sbuffò lei gonfiando le guance contrariata prima di addolcire i lineamenti in un sorrisetto sghembo «Però… mi procuri lavoro, quindi va bene! Sei la mia cavia preferita!»

Temari roteò esasperata gli occhi al cielo continuando a farsi aria, di quel passo sarebbe morta disidrata prima di poter rivedere la propria casa. Non aveva nulla contro Raja e la sua preoccupazione genuina, era una delle ragazze più promettenti nelle arti mediche che aveva avuto modo di conoscere nel villaggio oltre che amica profondamente affezionata a Kankuro, ma lei non vedeva l’ora di chiudersi in un bagno e godersi il getto della doccia.

«Ohi voi due, avete finito di flirtare? C’è gente che vuole andare a casa»

Gaara concentrato a studiare ogni singola interazione del fratello spostò incuriosito lo sguardo su Temari alla brusca osservazione. Non capiva il repentino cambio d’umore, sicuramente c’erano state parole superflue da parte dei due ragazzi ma nulla di particolarmente esagerato. Kankuro a differenza di sua sorella sembrava avere molte più sfaccettature caratteriali, diverse a seconda della persona che si trovava davanti e lui trovava interessante analizzare tali sfumature, gli mostravano il fratello sotto un’altra luce.
Il caldo torrido era sopportabile ai fini delle sue ricerche.

«Temari! Non iniziare a blaterare a casaccio come tuo solito»

«Io non parlo a caso fratellino, mi baso sui fatti» Temari chiuse di scatto il ventaglio azzurrino picchiettandoselo sulle labbra con fare onnisciente e malizioso «Chissà come mai non ho mai sentito una tua lamentala sugli ospedali da quando c’è lei a curarti amorevolmente»

Le guance di Raja puntellate di lentiggini assunsero un colorito visibilmente più accesso e le iridi color oro si sbarrarono all’improvviso movimento di Kankuro, il profilo del volto del ragazzo sollevato a pochi centimetri dal proprio. Il suo ex compagno si era seduto all’improvviso senza tener da conto lei intenta a medicargli la ferita, fortunatamente troppo occupato ad inveire contro la sorella per prestarle attenzione.

«Perché l’alternativa saresti tu e fattelo dire non sei il massimo come medico!»

«Ti ricordo che se non fosse stato per me ora non staresti nemmeno qui!»

«Ecco perché preferisco chiederlo a lei e non a te, continui a rinfacciare di avermi aiutato!»

Temari nonostante l’accusa sorrise vittoriosa con uno strano luccichio negli occhi che fece provare a Raja il forte desiderio di trovarsi altrove, magari a chilometri di distanza in qualche postazione sperduta nel deserto.

«Oh, sono sicura che Raja non te lo rinfaccerà mai, dopotutto sei l’unico che conosco a tornare contento e soddisfatto dopo il soggiorno in ospedale» il sorrisetto ambiguo si ampliò diventando ammiccante «Peccato stavolta sia così pieno…persino gli stanzini sono occupati»

«Temari-san non è come pensi!» strillò la giovane ninja agitando appassionatamente le mani davanti a sé, colpendo accidentalmente nella frenesia alcune boccette che caddero sul pavimento frantumandosi «Accidenti! Akihiro-sensei mi farà fuori!»

Gaara batté le palpebre perplesso allo schiocco del vetro. Diverse erano le domande che gli arrovellavano la mente a cominciare dal colorito del volto della ragazza sempre più simile a quello dei suoi capelli fino alla domanda più importante di tutte: perché improvvisamente tutti si erano agitati?

Raja si era chinata di scatto a raccogliere i frammenti mormorando parole incomprensibili, completamente sconnessa dal resto del mondo e dall’accesa e infervorata discussione scattata tra i due fratelli. Kankuro aveva spostato le gambe oltre il bordo del letto continuando a fornire rispostacce a Temari in un’enfasi del tutto estranea a Gaara, accesa come quella riserbata a lui la sera prima ma al contempo più protettiva. Il tono aveva raggiunto una nuova nota nella scala vocale associata a Kankuro, una tonalità morbida che non aveva mai pensato potesse uscire dalla bocca del burattinaio.

Raja rifiutato l’aiuto di Kankuro si era ricomposta in fretta e furia sbiasciando scuse a nessun soggetto in particolare, obbligando il suo paziente a tornare disteso per completare il lavoro. Le mani avevano eseguito impacciatamente la medicazione nel più completo e assoluto silenzio interrotto di tanto in tanto dai flebili sussurri di raccomandazione. La giovane ninja aveva rimarginato col chakra la parte più significativa del taglio ma data l’infezione scatenatasi parte di esso era stato cosparso da un unguento in modo da eliminarla nel minor tempo possibile.

«Hai ancora qualche decimo di febbre» la mano abbronzata indugiò sulla fronte al flebile mormorio distaccato mentre l’altra appuntava la diagnosi sbilenca sulla cartellina medica «Assicurati di applicare l’unguento che ti ho dato e di cambiare regolarmente la fasciatura nei prossimi due giorni…e la prossima volta evita di far passare un giorno prima di fornire il primo soccorso alle tue ferite»

«Te l’ho detto, pensavo fosse un taglietto da nulla» fu l’esasperata risposta.

«Le lame delle tue marionette sono affilate!» il sopracciglio chiarò tremolò irritato e la cartellina venne sbattuta sulla testa del povero malcapitato seguita da una rinnovata foga «Come puoi pensare che sia un “taglietto da nulla” se le usi per infilzare la gente! E se ti fossi sbagliato e il veleno entrato in circolo ti avesse ucciso?!»

«Conosco i veleni che uso e non ve n’era traccia…ohi! Vuoi smetterla di sbattermi in testa quella cartellina?!»

«No! C’era eccome una traccia di veleno nel tuo organismo e sicuramente saresti in condizioni peggiori se Temari-san non ti avesse aiutato! Però, veleno o meno non puoi permetterti di sottovalutare i danni che subisci!»

«Non ti sembra di star esagerando?!»

La cartellina restò sospesa a mezz’aria prima di ricadere con rinnovata forza in una lite dai toni sempre più variopinti in cui Temari restò a picchiettarsi amaramente il ventaglio sulla fronte, maledicendo lei e la sua lingua lunga. La prossima volta avrebbe dovuto stuzzicare il duo quando non era afflitta dai propri bisogni esistenziali.

Gaara invece si ritenne sempre più lontano dalla completa comprensione dell’essere umano, nella sua concezione un ninja medico curava il proprio paziente, non gli procurava una commozione celebrale.

 

Raja ad autocontrollo riconquistato evitò accuratamente di guardare negli occhi i ragazzi lì con lei, compreso il suo ex compagno di squadra occupato a massaggiarsi la testa dolorante. Si era proposta volontaria per accogliere il trio dopo la recente notizia circolante nel villaggio, voleva assicurarsi con i suoi occhi che almeno Kankuro fosse realmente sano e salvo ma ne stava rimpiangendo la scelta. Non era un mistero che non riuscisse a mantenere un atteggiamento professionale nei suoi confronti ma un conto era fallire su quel versante, un altro fingere con lui che tutto andasse bene.

La strana aria di tensione caduta nella camera fece salire un leggero senso di colpa a Temari e aggrottare la fronte a Gaara.

Il più piccolo dei fratelli quella tensione l’aveva percepita fin dal primo momento in cui erano entrati, era comune una tale reazione se associata alla sua presenza ma la strana agitazione nel corso della permanenza era aumentata considerevolmente senza che lui facesse nulla. Raja aveva richiuso il fazzoletto con i frammenti delle boccette e sistemato tutto il kit medico ad una rapidità disarmante se confrontata alla velocità con cui si era prodigata alla fasciatura dove sembrava averci impiegato una vita. Come se non bastasse, l’amica di suo fratello non aveva smesso per un istante di lanciare sguardi inquieti alla porta in attesa dell’arrivo di qualcuno, quasi come se ogni sua mossa fosse accuratamente studiata per non lasciarli soli prima di tale evento.

Il sospetto di Gaara divenne certezza quando Temari provò ad alzarsi e Raja le si piazzò davanti impedendole di muovere un singolo passo, le dita serrate attorno alla cartellina tanto da farle sbiancare.

«Temari-san, sei sicura di non necessitare di alcuna cura?» la voce si alzò di alcune ottave e il sorriso vacillò catturando i movimenti di Kankuro rimessosi seduto sul materasso cigolante.

«Uhm, si tranquilla io sono l’unica ad esserne uscita indenne dallo scontro» fu l’incerta risposta di Temari mentre recuperava il fan adagiato accanto al letto, nella muta analisi dell’ennesimo comportamento esagerato in quella giornata.

La minuta ragazzina sorrise sbilenca oscillando sui talloni qualche secondo prima di voltarsi verso il membro più piccolo del team, con somma sorpresa dell’interessato. Anche se rimasta ferma davanti Temari, Gaara poteva vederlo il barlume del consueto timore lampeggiare negli occhi ambrati, ma la paura era mescolata a qualcos’altro che ancora non riusciva ad afferrare.

«Gaara-kun…a te serve aiuto?»

«No»

Raja annuì a sé stessa mordendosi le labbra ed arretrando con passi incerti verso Kankuro quando Temari finalmente si rimise in piedi invitando il fratello malandato a fare altrettanto. 

«Sono felice di vedervi sani e salvi»

Gaara riconobbe la voce del loro maestro ma non si voltò verso la porta, preferendo restare concentrato sul sospiro sommesso di Raja e il suo alquanto ed improvviso interesse per il pavimento. Sembrava aver perso tutta la precedente energia, in una postura che ricordava l’abbandono in cui cascavano le marionette del fratello quando venivano private dai fili di chakra.

Baki entrò senza aspettare risposta e mostrare il minimo segno di fastidio per il caldo eccessivo, accompagnato da altri due ninja di mezza età facenti parte del consiglio, Kalyan e Namit, che finirono per rendere ancor più piccolo e angusto lo spazio a disposizione.

Temari incrociò le braccia sul fan usato come supporto più attenta di quanto non lo fosse stata pochi secondi prima, avevano sì fallito la missione ma ciò non giustificava la presenza dei membri del consiglio nell’ospedale. Per la prima volta nell’arco della giornata si chiese dove fosse suo padre, si aspettava una lavata di testa da lui non da quei burattini.

«Raja-kun, il tuo lavoro qui è finito» il giovane jonin poggiò una mano sulla spalla della ragazza minuta esortandola platealmente ad uscire «Akihiro-sensei ti sta aspettando nel blocco tre con altri feriti, ti sei trattenuta abbastanza»

Raja annui mestamente mordendosi nervosamente il labbro fino a farlo internamente sanguinare, sapeva di dover prendere tempo fino al loro ritorno ma non l’aveva di certo fatto solo per assecondare i suoi superiori. Sollevò gli occhi da terra solo quando fu al centro dell’attenzione e in altre circostanze avrebbe sorriso all’ironia presentatasi, il ragazzo di cui tutti si preoccupavano e che le avevano richiesto di provare ad avvelenare non era di sicuro il mostro più pericoloso nella stanza. Ne aveva paura, suo padre ci aveva quasi rimesso la vita durante una delle notti di follia del demone ma restava comunque il figlio del quarto Kazekage non più esistete, nonché fratello di Kankuro. L’aveva visto il colore dei granelli di sabbia sui vestiti dell’ex compagno e non erano quelli del deserto, come non le era sfuggita la mancanza di circospezione solitamente mostrata nei confronti del piccolo diavolo dai capelli rossi.

Il suo amico ancora inconsapevole non aveva perso solo la guida del loro villaggio e lei non gli avrebbe strappato pure un fratello, psicopatico o meno che fosse. Per lei i veri mostri restavano i due anziani lì presenti che senza pensarci due volte alla morte del loro capo avevano prima di tutto pensato a come far fuori il silenzioso ragazzino.

 

«Qualcosa mi dice che siamo nei guai…sapevo che avrebbero trovato da ridere sulla mia scappatella durante l’esame»

Gaara ignorò quello ed altri commenti a senso unico di Shukaku diventato d’un tratto un gran oratore. I due uomini alle spalle di Baki avevano malcelato una smorfia irritata alla sua vista, rivolgendola poi alla ragazza che non li stava degnando d’attenzione poiché impegnata a osservare lui. Il tutto risultava sicuramente più interessante della risatina sibilante del suo fastidioso compagno mentale.

«Vado subito da Akihiro-sensei» proferì infine la giovane ninja dando le spalle al trio dei fratelli, i primi ed incerti passi mossi verso l’uscita durante le successive parole prosciugate dalla precedente freddezza «Temari-san assicurati che Kankuro rispetti la prescrizione e…prendetevi il tempo necessario» una piccola pausa prima di aggiungere «Gaara-kun…guardati le spalle»

Gaara sussultò stupito all’inusuale raccomandazione unendosi alla sorpresa dei due fratelli per quel cambio di atteggiamento.

«Baki-sensei che sta succedendo?» chiese circospetta Temari marcando la domanda con una certa durezza, non le piaceva essere estromessa dalle informazioni importanti che la riguardavano in prima persona.

«Raja» la voce stanca di Baki risuonò ammonitrice tra le pareti e fortunatamente per lui la sua ex allieva trattenne qualunque altra osservazione dinanzi alle occhiatacce furenti rivoltele dai membri del consiglio «So a cosa stai pensando e non puoi permettertelo. Vai da Akihiro-sensei, qui ci penso io»

«Ascoltalo e porta a termine almeno questo tuo incarico»

Raja schioccò la lingua e il sangue le ribollì nelle vene al commento di Kalyan. Lei aveva scelto la via del campo medico non quella del killer su commissione, erano stati loro ad affidarle l’incarico sbagliato per le sue competenze.

La sua acida risposta fu anticipata.

«Tzé, dopo i mocciosi odio proprio i nonnetti che parlano per enigmi non considerandoci»

«Kankuro! Ti sei dimenticato chi hai davanti?!»

«E con ciò? Vengono qui e anziché risponderci pensano ai fatti loro!»

Raja ancora voltata di spalle non poté fare a meno di sorridere leggermente nel constatare come nonostante i mesi trascorsi in squadre diverse i suoi ex compagni non erano cambiati poi molto. I modi rudi di Kankuro restavano una costante, così come i rimproveri sibilati tra i denti di Temari.

Sperava che Gaara fosse in grado di apprezzarli come in passato aveva fatto lei.

Sollecitata dall’occhiataccia arcigna di Namit, il buon senso le suggerì di lasciare la stanza ma i ricordi nostalgici ebbero il sopravvento insinuandole il desiderio di una deviazione. Ruotò improvvisamente sui talloni dirigendosi spedita verso Kankuro incurante di qualunque cosa la classe dirigente le stesse dicendo, le braccia aperte quel tanto per racchiudere il suo amico in un abbraccio serrato. Poco importava l’imbarazzo del gesto o il sol fatto che da seduto la testa di Kankuro fosse finita schiacciata proprio contro il suo petto, gli voleva bene. Aveva taciuto la notizia della morte del Kazekage assecondando l’ordine del consiglio sulla non divulgazioni di informazioni strettamente riservate ai figli di Rasa finché non fossero arrivati, ma nessuno di loro poteva impedirle di svolgerle il ruolo di amica.

«Kankuro…per qualunque cosa, ricordati che ci sarò sempre per te»

La frase intenzionalmente sussurrata risultò udibile a tutti i presenti nello scomodo silenzio senza che la diretta interessata se ne rendesse conto. Raja distaccatasi ignorò chiunque altro all’infuori di Kankuro abbozzando un triste sorriso ed in barba ad un qualunque canone di austerità ninja gli accarezzò il volto prima di uscire a passi svelti dalla stanza.

Temari attanagliata dall’inquietudine crescente aggrottò sempre più perplessa le sopracciglia in un muto invito al suo maestro a metterli al corrente dei fatti.

«Baki-sensei, lo richiedo, cosa sta succedendo?»

«Si tratta del Kazekage» l’uomo si assicurò di avere l’attenzione di tutti prima di continuare, non avendo la benché minima idea di quali reazioni aspettarsi «Poco prima del vostro ritorno la pattuglia di ricognizione guidata dal sottoscritto ha ritrovato nel deserto lui e la delegazione incaricata di dirigersi a Konoha»

Il volto di Baki non espresse alcuna emozione, l’uomo rigido e composto da perfetto guerriero enunciava i fatti ma a nessuno dei tre fratelli serviva un’esternazione emozionale per capire dove era realmente diretto il discorso.

«È morto» si intromise piattamente Gaara dal suo angolino facendo sussultare gli altri due fratelli per aver dato voce a quel pensiero inespresso.

Baki voltò il capo in direzione della forza portante seduta compostamente sulla sedia attorniata da un velo di sabbia sibilante. Nessun accenno di smarrimento o di sorpresa era reso visibile, gli occhi chiari erano puntati verso l’unica finestra della stanza in direzione del deserto.   

«Sì, il nostro Kazekage e tutti gli uomini al suo seguito sono morti poco dopo essere partiti dal nostro villaggio prima dell’esame chunin, probabilmente da un attacco lanciato dallo stesso Orochimaru» tornò a rivolgere la propria attenzione a Temari e Kankuro rimasti impietriti sul posto «L’uomo con cui ci eravamo alleati ci ha tradito per perseguire i propri scopi, ha ucciso il Kazekage e ne ha assunto le sembianze. Dopo il nostro infruttuoso attacco a Konoha come ben sapete la situazione è precaria»

Temari deglutì a vuoto incapace di prendere parola limitandosi a muovere la testa in cenno d’assenso, invidiando per un fugace istante la fortuna di Kankuro di essere seduto.

«Attualmente siamo sprovvisti di un capo villaggio e sull’orlo di una guerra con il Paese del Fuoco» aggiunse gracchiante Namit spingendosi in avanti verso il duo escludendo volutamente il più piccolo dalla conversazione «Abbiamo inviato a Konoha una missiva con la nostra resa spiegando anche quanto accaduto al nostro villaggio, la colpa del danno attualmente in corso è imputabile direttamente ad Orochimaru»

«In altre parole ce ne stiamo lavando le mani dopo aver architettato la pazzia» rimbeccò sottilmente Kankuro fissando un punto indistinto del pavimento, guadagnandosi una leggera gomitata da Temari che silenziosamente lo stava implorando di star zitto.

«Puoi definirlo come meglio credi ma la nostra priorità è garantire la sicurezza del villaggio che come ben sai versa già sull’orlo di una crisi economica» l’uomo incrociò solennemente le braccia dietro la schiena contenendo a stento il nervosismo «Attualmente Konoha è sprovvista come noi di una guida ed il villaggio ha subito ingenti danni, è molto probabile che date le circostanze accettino le nostre scuse senza sfociare in un conflitto armato»

Kankuro sorrise senza gioia ringraziando di non essere visto. Si sentiva svuotato delle energie appena riacquistate, incapace di discernere nel miscuglio incasinato di emozioni quella giusta da far prevalere. Il rigore dei ninja gli imponeva un certo contegno ma in quel momento rispettare il sistema era l’ultimo dei suoi pensieri.

«Comprendiamo la situazione» la mano di Temari si strinse sulla spalla del fratello intimandogli di lasciar parlar lei, tra loro era sempre stata quella più diplomatica «Resteremo all’erta e a completa disposizione se la situazione dovesse precipitare»

«Ovviamente, dopo quanto accaduto a Konoha è il minimo» alla nota sarcastica del consigliere, Kankuro sollevò lentamente il capo facendo scattare le dita su fili di chakra inesistenti «Per i prossimi giorni sarete esonerati da ulteriori missioni, prendetevi il tempo necessario a ristabilirvi e a sistemare tutte le vostre questioni. Domani mattina si terranno i funerali del Kazekage, ci si aspetta la vostra presenza»

«Possibilmente di tutti e tre» aggiunse Kalyan sbirciando di sottecchi il ragazzino che sfacciatamente disinteressato alla conversazione continuava a guardare verso l’esterno.

«Non mi interessa» gli occhi acquamarina si spostarono lentamente verso l’uomo, inespressivi come la sua stessa voce «Piuttosto, ora sarete voi a organizzare i miei prossimi tentativi di omicidio?»

La scia di sabbia conquistò velocità e consistenza sgorgando senza freni dalla giara depositata in terra attorno alla figura impassibile del proprio padrone, impregnando con il suo odore acre l’aria saturata dalla calura.

Kankuro arricciò il naso faticando a mantenere i succhi gastrici all’interno dello stomaco senza rendersene effettivamente conto, completamente estraniato da tutto quello che gli accadeva intorno. Il colorito cereo calato sul viso non dissimile da quello di Temari intenta a coprirsi discretamente la bocca, decisa a farsi gli affari suoi e non intervenire almeno per il momento. La sottile insinuazione del fallimentare esito sul mancato controllo di Gaara non le era sfuggita, se le sfere alte credevano di poterli giudicarli allora non avrebbero avuto di certo problemi a tenerlo a bada da soli.

«No, nessuno tenterà di ucciderti» proruppe Baki smorzando qualunque altra risposta con il suo tono austero, squadrando dapprima i due superiori alle sue spalle e successivamente i penetrati occhi chiari cerchiati di nero «Il Kazekage ha soltanto cercato di mantenere la pace all’interno del suo villaggio con i suoi metodi ma ora più che mai non è il momento di fare la guerra tra noi. Ci sono questioni più urgenti a cui pensare tra cui la nomina del nuovo Kazekage e le difese del villaggio se Konoha decidesse di rescindere il trattato di alleanza»

«I due uomini qui con te non la pensano allo stesso modo» fu la fredda risposta accompagnata dallo schiocco della sabbia volteggiante ripiegatasi su sé stessa.

Namit digrignò i denti ingialliti torcendosi le mani sulla schiena nell’illusione di avere nella presa il collo del moccioso, strozzarlo sarebbe stato il piacere più soddisfacente della sua vita.

L’unico in grado di placare le manifestazioni del potere demoniaco era morto lasciandogli in eredità quell’arma senza controllo e amaramente era consapevole di non avere la forza necessaria per metterlo a tacere. Neppure intere squadre addestrate avevano raggiunto l’intento.

Scambiò un’occhiata obliqua con Kalyan intento a lisciarsi il pizzetto bruno, le loro paure avevano un valido fondamento. Al prossimo scatto di rabbia del ragazzino gran parte di Suna avrebbe rischiato grosso, l’unica alternativa rimasta era estrarre il demone e sigillarlo nuovamente nella teiera di contenimento.

Baki sembrò leggere nella testa dei due superiori e a discapito del rango inferiore li fulminò con l’unico occhio scoperto per evitare ulteriori risposte maldestre. C’era un motivo se il Kazekage aveva affidato a lui la gestione di quel team.

«Sono preoccupati per le sorti del villaggio» proferì con il suo tono saldo nettamente in contrasto con la scia di sudore freddo che gli correva giù per la schiena «Ho raccontato loro quanto accaduto a Konoha, non vorrebbero vedere proprio ora gli stessi danni qui a Suna. Vorrebbero soltanto che cercassi di controllare il demone con più accuratezza»

 

«Al diavolo!»

Il pugno di Kankuro colpì con un sonoro tonfo il tavolino accanto al letto. Le dita ritratte graffiarono la superfice lignea prima di essere totalmente serrate con rabbia sotto lo sguardo sorpreso dei presenti. Temari allungò la mano verso la spalla sfiorando la stoffa della divisa scura prima di ritrovarsi ad agguantare l’aria.

Scivolato via dalla presa, Kankuro urtò erroneamente Baki e lo stipite della porta nella fuga repentina, stufo dei discorsi futili del consiglio, della finta clemenza riservata a Gaara e dell’angusto stanzino in cui era stato segregato. La benda sulla gamba pizzicò la ferita ricordandogli la sua stupidità nell’averla sforzata eccessivamente nei giorni precedenti, mettendo in risalto la scarsa coordinazione a sua disposizione e il peso che non avrebbe dovuto scaricare su di essa per i prossimi giorni.

Inciampò in un ostacolo invisibile agguantato prontamente da un braccio sottile intorno alla sua vita, un lieve movimento e i crini biondi oscurarono la sua vista.

«Temari…?»

«Sì, mi chiamo ancora così» ignorando il tono sorpreso la ragazza caricò sulle sue spalle il braccio corpulento aiutandolo a stabilizzarsi «Sai, credo che non abbiano apprezzato la tua uscita di scena maleducata»

Kankuro sbuffò sonoramente camminando lentamente lungo i corridoi soleggiati attraversati da un costante via vai di ninja barcollanti, uomini adagiati su barelle di fortuna e medici che venivano chiamati da una parte all’altra. Per la sua buona sorte Raja era da qualche altra parte nella struttura, dopo soli dieci minuti aveva infranto tutte le sue raccomandazioni e non desiderava ricevere ulteriori rimproveri.

«Mi hanno dato fastidio i loro discorsi»

«Lo so»

L’involucro di Karasu sobbalzò sulla schiena di Temari scontrandosi con la bordatura metallica del ventaglio che mandò in frantumi qualunque speranza di passare inosservati. Gli occhi commiserativi delle persone pungevano sulla nuca insieme ai sussurri sommessi dati al loro passaggio. Temari premette le dita nel fianco del fratello per bloccare l’aspra frecciatina nascente, conosceva fin troppo bene il temperamento istintivo del ragazzo e l’ultima cosa di cui avevano bisogno era di litigare con il resto della popolazione di Suna.

Kankuro per una volta sembrò recepire l’ammonimento chiudendo la bocca.

«L’hanno presa così male?» chiese scostante giunti vicino alla rampa di scala non desiderando conoscerne realmente la risposta, chiedere scusa ai vecchiacci non era esattamente il suo passatempo preferito e sua sorella era la classica persona ligia al dovere.

Ignorò il bruciore alla mano adagiata sul corrimano bollente sorreggendosi imperterrito ad esso, maledicendo nella sua lunga lista di imprecazioni silenziose anche l’architetto che aveva ben pensato di posizione un’ampia finestra su un edificio nel bel mezzo del deserto.

«Non so, sono uscita subito dopo di te senza dare spiegazioni» bofonchiò lei aggiustando la cinghia della marionetta «Ma credo che Namit-sama sia impegnato a maledire il mio ventaglio caduto accidentalmente sul suo piede per prestarti attenzione»

Kankuro si bloccò in mezzo alla scalinata obbligando poco garbatamente Temari a fare lo stesso sul gradino successivo, troppo sorpreso per badare all’insulto poco velato rivoltogli dalla ragazza a cui aveva quasi fatto perdere l’equilibrio.

«Tu hai volontariamente colpito un membro del consiglio?»

«Accidentalmente»

L’ombra di un sorriso solcò la bocca di Temari e Kankuro non poté che ridacchiare sommessamente continuando a scendere i gradini fino al pianerottolo, dimenticandosi per qualche istante di tutti gli eventi recenti.

Terminata la seconda rampa si ritrovarono al primo piano ed anziché proseguire da lì fino al pian terreno di tacito accordo optarono per recarsi verso la vecchia ala dismessa dell’edificio. Le pareti giallognole scrostate dal tempo divennero una costante sempre più evidente man mano che la sezione ovest si avvicinava facendo diminuire drasticamente il numero di persone incontrate che in ogni caso avevano iniziato a mantenersi alla larga.

Kankuro con la coda dell’occhio scrutò il volto di Temari seguendone i passi, arrestandosi e riprendendo il cammino con lei al minimo cenno. Ripetendo più volte la sequenza finché anche lei non gli rivolse la stessa attenzione.

I passi alle loro spalle seguivano lo stesso ritmo mantenendosi perennemente alla stessa distanza e non molte loro conoscenze camminavano accompagnate da un costante fruscio.

Al termine del corridoio si fermarono definitivamente voltandosi verso il loro accompagnatore silenzioso, bloccatosi a propria volta a due metri di distanza.

Kankuro sollevò un sopracciglio perplesso non perdendo di vista la scia tremolante della sabbia più instabile di quanto non fosse stata negli ultimi giorni. Gaara li osservava senza proferir parola ed era difficile comprendere cosa stesse pensando.

Temari lasciò andare il fratello adagiando le mani ai lati del bacino, mentalmente esausta dal suo ruolo d’intermediaria all’interno del terzetto.

«Gaara cosa stai facendo?»

«Vi seguo»

La ragazza serrò le labbra per non proferire l’ovvia risposta sarcastica, aveva capito da sola quel punto della situazione, le mancava comprendere il motivo dietro l’azione. Distrattamente si chiese che fine avessero fatto i due membri del consiglio lasciati da soli con lui e Baki, non volendo davvero rischiare di presenziare tre funerali l’indomani.

«Perché ci staresti seguendo?» si intromise stancamente Kankuro incasinandosi ulteriormente i capelli selvaggi.

Gaara scompariva sempre chissà dove dopo ogni missione ed anche nei periodi di permanenza all’interno di Suna la sua presenza nell’abitazione era registrata soltanto durante i pasti. La domanda poteva sembrare stupida visto che abitavano nella stessa casa ma Kankuro aveva sempre ritenuto inutile dar ascolto alla retorica quando si parlava del fratello minore. Tranne che quel giorno, il mondo e l’intera retorica ce l’avevano con lui.

«State tornando a casa»

«Uhm…sì, giusto»

Temari silenziosamente tornò ad avvolgere il braccio attorno al fratello nella trasmissione di un implicito messaggio di comprensione attraverso la stretta più salda. Il disagio malcelato nell’ammissione l’era stato fin troppo chiaro. Kankuro come lei non voleva tornare a casa, avevano allungato di proposito il tragitto anche se entrambi si sarebbero ostinatamente nascosti dietro la scusa di poter parlare con Gaara lontani da occhi indiscreti.

Non potevano scappare in eterno da quelle mura più vuote e silenziose.

Per quanto i doveri di Kazekage l’avessero tenuto lontano ci sarebbe stato ugualmente un posto vuoto a colazione, una camera non più occupata e un’altra figura genitoriale venuta meno. Temari poteva esternamente fingersi forte per lei e suo fratello, mantenere il suo sguardo duro davanti al consiglio l’indomani, ignorare l’indifferenza di Gaara mostrata alla notizia ma internamente stava andando in pezzi.

«Sì, stiamo andando tutti a casa…non c’è bisogno di camminare alle spalle» enunciò altrettanto stancamente accennando verso la direzione d’uscita, per quanto possibile avrebbe cercato di mantenere intatto quel che restava della sua famiglia.

Gli occhi di Gaara si restrinsero per un’istante in due lame taglienti prima di ritornare inerti.

«Capisco, se resto alle spalle temi possa uccidervi»

«Io…Io non intendevo questo»

Il balbettio sconcertato di Temari passò inascoltato alle orecchie di Gaara direttosi lentamente sul lato rimasto libero, accanto a Kankuro, che non si preoccupò nemmeno di contenere la sua agitazione sotto lo sguardo inquisitore direttogli da capo a piedi.

«Cos’hai da guardare?»

«Non riesci a camminare»

«Oh davvero? Non me ne ero accorto»

Temari tirò una gomitata nello sterno del fratello stanca di dover prestare attenzione ad ogni singolo discorso per bloccare sul nascere eventuali parole sbagliate. Il pungente sarcasmo di Kankuro era un’arma a doppio taglio quando si lasciava coinvolgere dal proprio stato emotivo squilibrato e lei doveva sforzarsi già di controllare il proprio.

«Kankuro…»

«No, niente “Kankuro”» ringhiò lui acido volgendosi con il medesimo tono verso il ragazzo dai capelli rossi intento a studiarlo «Devi proprio metterti accanto a me?!»

«Voi avete fatto così»

Kankuro restò sorpreso dalla mite affermazione senza riuscire però a discernere il significato delle parole, concentrato a capire come mai Gaara continuasse a parlargli con innata calma senza provare nemmeno a minacciarlo di star zitto.

«Di cosa stai parlando?»

Gaara rifletté accuratamente sulla risposta, alla ricerca del modo più corretto per esprimere le sue intenzioni senza ulteriori fraintendimenti. Suo fratello continuava a prendere per il verso sbagliato ogni suo gesto o parola senza dargli suggerimenti su quale fosse il modo più appropriato per relazionarsi con lui. Dubitava che chiederglielo direttamente fosse la mossa più saggia in quel momento ma progredire per tentativi si stava rivelando un’ardua fatica.

Poteva disinteressarsi totalmente della morte del padre ma aveva ucciso così tante persone da riconoscere fin troppo facilmente il dolore della perdita alleggiante negli occhi due fratelli. Tuttavia, non capiva come mai Kankuro sembrava avercela tanto con lui proprio quando aveva deciso di non stuzzicarlo.

Pensava fosse stato lui ad uccidere il padre?

«L’altro giorno a Konoha, dopo che Naruto mi ha sconfitto, vi siete disposti così per poter portarmi con voi anche se alla fine hai fatto tutto da solo» la mano pallida indicò la disposizione in atto fermandosi in direzione di Kankuro «Io ero al centro e voi due ai lati, adesso quello ferito sei tu, quindi dovresti restare al centro senza far storie. Temari sta trasportando la sua arma, Karasu e anche te dopo tre giorni di viaggio, pensavo volesse alleggerire il proprio carico»

Temari sbatté incredula le palpebre allo stesso ritmo della bocca aperta e richiusa di Kankuro.

«Il tuo ragionamento ha senso Gaara e ti ringrazio per l’offerta ma…» la ragazza sorrise traballante umettandosi le labbra con difficoltà «…Kankuro è troppo alto per aiutarlo come vorresti, finirebbe per sbilanciarsi e sforzare la gamba più del necessario»

Un sospiro di sollievo le fuoriuscì dalle labbra quando il più piccolo annuì senza porle ulteriori domande, seguito da un sussulto sorpreso quando la sabbia volteggiante si compattò sotto il braccio di Kankuro per fungere da sostegno.

«Così dovrebbe essere equilibrato»

 

Temari mosse il capo in assenso stupita dall’inesistente atteggiamento scostante a cui era abituata, incapace di fermare il piccolo sorriso d’orgoglio delineatosi sulle labbra. Aveva avuto ragione, Gaara stava provando a cambiare e nel giorno in cui il suo cuore si era spezzato per la perdita del padre non avrebbe potuto chiedere consolazione migliore.

Immersa nel torpore curativo del suo animo non pensò minimamente che quell’emozione non fosse condivisa finché non si trovò spinta verso la parete, nell’esatto istante in cui il supporto sabbioso finì disintegrato dal colpo rabbioso. La sabbia recisa cascata in parte sul pavimento le sfiorò le caviglie mentre la restante rimasta stridente nell’aria si riversò contro Kankuro avviluppandosi intorno al braccio ancora sospeso.

«Gaara!» richiamò il fratellino rimasto sorpreso ad osservare la scena giusto in tempo per evitare di vedere l’altro infilzato da spuntoni di sabbia fuori controllo «Kankuro! Si può sapere cosa stai combinando?! Vuoi farti ammazzare?!»

Kankuro liberatosi non la considerò di striscio spostandosi lentamente fra le lance acuminate bloccate a poca distanza dal suo corpo, un ringhio rabbioso diretto a Gaara rimasto chiaramente sbigottito quanto lei dalla situazione.

Avrebbe voluto fermare Kankuro ed impedirgli di parlare ma non lo fece.

«Stammi lontano! Non ho alcun bisogno di essere aiutato da qualcuno come te»

Temari sussultò al suono della ferocia e del disgusto calato sull’ultima sillaba rivolta a Gaara, avvertendo le parole inespresse graffiarle la gola senza trovare una via di uscita. Il desiderio di controbattere ed immischiarsi nella diatriba era stato soppiantato totalmente dalla sorpresa, da quell’atteggiamento che Kankuro non aveva mai mostrato nemmeno nei primi tempi in cui il demone prendeva possesso di Gaara uccidendo i loro amici.

«Temari, non seguirmi»

Lei non si mosse assecondando quell’ordine, né provo a controbattere.

Lo osservò allontanarsi e svanire alla vista consapevole di poter ottenere null’altro se non il medesimo trattamento riservato al fratello. L’astio soppresso era tornato a galla offuscandogli la ragione e lei non aveva davvero la forza per sostenerlo, non finché il suo stato emotivo viaggiava sulla stessa lunghezza d’onda frastagliata.

Deglutì a vuoto al sibilo della sabbia con l’immensa paura di trovarsi ad affrontare la rabbia di Gaara, rivivendo i ricordi del demone ringhiante sul villaggio e nella foresta di Konoha.

«Gaara, per favore…non arrabbiarti con lui» sussurrò sommessamente tanto da non essere sicura di aver reso udibile la sua supplica finché Gaara non ritirò la sabbia nella giara, abbassando il braccio con il quale aveva bloccato l’attacco «Kankuro non pensa davvero quello che ha detto…almeno, non ora. È sopraffatto dagli eventi recenti, dalla missione fallita di cui il consiglio ci dà la colpa e dalla morte di nostro padre…. non sempre è bravo a dominare tutte le sue emozioni, anzi, spesso parla proprio senza pensare in tali circostanze ma non voleva etichettarti. Almeno per questa volta, perdonalo per favore»

Gaara continuò tacitamente ad osservare il fondo del corridoio non dandole il minimo segno di assenso o diniego, ma il sol fatto che fosse ancora lì e non a tentare di uccidere suo fratello la faceva sperare.

«Un ninja non deve mai mostrare debolezza» esordì ad un tratto Gaara articolando freddamente la sua constatazione priva di qualsivoglia intonazione e colore «Non è questo uno dei capisaldi ninja insegnati in accademia?»

Temari ingoiò il magone amaro scuotendo il capo, schiacciata dal nuovo e opprimente silenzio ricaduto nel corridoio.

«Insegnano anche che “un ninja deve sempre mettere al primo posto la missione”se avessimo deciso di seguirlo a Konoha, avremo dovuto lasciarti lì» continuò a bassa voce ottenendo finalmente l’attenzione del ragazzo voltatosi verso di lei  «Essere umani non è una debolezza»

«Essere…» scandì lentamente il ragazzino socchiudendo gli occhi «…umani

«Sì, umani» rimarcò lei specchiandosi in quelle iridi più chiare delle sue persa in un ricordo lontano «Prima di essere ninja siamo umani, viviamo seguendo le nostre emozioni e per quanto ci siano addestramenti realizzati appositamente per metterle a tacere, soffocarle completamente è impossibile. Alle volte c’è semplicemente un istinto superiore che ci guida e che non siamo in grado di ignorare…» si fermò un’istante a contemplare la totale attenzione con cui Gaara stava letteralmente pendendo dalle sue labbra aggiungendo sarcasticamente «Vorrei dirti che queste sono parole mie ma in realtà me le ha dette Yashamaru ai miei primi tempi all’accademia»

Temari rifletté in ritardo sul nome appena pronunciato osservando apprensiva il fratello che a discapito delle peggiori ipotesi la fissava non mostrando la benché minima traccia di fastidio. Le era venuto spontaneo parlare a ruota libera menzionando proprio le parole dello zio, senza considerare sufficientemente per mano di chi fosse morto.

«Come mai te le ha dette?»

Improvvisamente le fu chiaro perché assumeva poche volte il ruolo di saggia sorella maggiore. Aveva sempre dato per scontato che Kankuro fosse l’unico a poter porre l’unica domanda scomoda del discorso, invece tale abilità dovesse essere una sorta di prerogativa dei fratelli minori.

«Ehm… Durante uno degli iniziali scontri di coppia Kankuro fu facilmente sconfitto dal suo avversario che non si fece problemi a sbeffeggiarlo per la sua scarsa abilità con i kunai…io l’ho attaccato alle spalle senza pensarci, volevo dimostrargli che non era bravo come credeva» si morse nervosamente le labbra concludendo piccata il racconto «Però mi sono dimenticata di Raja che in quel momento era la mia avversaria…»

Fu certa che seppur non verbalmente Gaara la stesse silenziosamente giudicando. D’altronde lei stessa continuava a sentirsi stupida al ricordo del ruzzolone sul terreno seguito all’attacco a sorpresa di Raja, era stata sconfitta dopo aver fatto la paternale al ragazzino borioso per la sua scarsa attenzione all’ambiente circostante, commettendo il medesimo errore.

«Ad ogni modo…per questa volta ti chiedo di ignorare Kankuro» squadrò Gaara avanzato di qualche passo nel corridoio aggiungendo flebilmente «Dovrei andare a cercarlo io prima che combini altri casini…accidenti, spero solo abbia incontrato Raja»

«Raja…» il fratello si voltò leggermente lasciando oscillare la stoffa bianca della propria divisa da combattimento «Perché prima di uscire dalla camera è tornata indietro da Kankuro?»

«Ad abbracciarlo intendi?»

«Sì»

Temari incrociò le braccia spremendo le proprie meningi alla ricerca di una risposta soddisfacente per una domanda totalmente fuori dalle sue corde. Kankuro paradossalmente sarebbe stato più indicato di lei a fornire spiegazioni sui comportamenti umani di cui non aveva mai avvertito necessità di domandarsi l’origine. Era lui quello più espansivo della famiglia e puntualmente assente quando serviva.

Per lei era già difficile realizzare di star avendo una pacifica conversazione con Gaara.

«Spesso, quando non si trovano le giuste parole le persone ricorrono agli abbracci o più semplicemente è un modo per far saper all’altro che gli vuoi bene. È una manifestazione d’affetto usata nelle più svariate situazioni» rispose infine avvicinandosi alla parete dove stancamente si lasciò scivolare seduta a terra «Alcuni la vedono come una debolezza mentre altri come una forza, Raja appartiene a questa seconda categoria. Lei vuole bene a Kankuro… più di quanto lui stesso possa pensare, lo ha abbracciato con l’intento di consolarlo per la sua perdita»

«Tu pensi sia una debolezza»

«No, non ho detto questo» borbottò messa alle strette dalla continua lettura tra le righe che Gaara continuava a fare alle sue parole «Un abbraccio serve a far star bene le persone, ne sono convinta anche io, solo che… non farei mai come Raja»

No, Temari era certa che non si sarebbe mai messa ad abbracciare neppure suo fratello così apertamente in pubblico, come ninja aveva una reputazione da mantenere anche se in quel momento il ricordo sbiadito dell’abbraccio di sua madre la stava tormentando. Le domande di Gaara involontariamente avevano rigirato il coltello nella piaga ricordandole l’imminente funerale del padre e la solitudine che stava cercando di scacciare dal suo cuore.

Almeno a sé stessa poteva ammettere di desiderare proprio l’abbraccio della donna.

«Temari! Gaara! Finalmente vi ho trovato, dov’è Kankuro?»

Alla voce del proprio maestro prese seriamente in considerazione l’idea di studiare un nuovo jutsu, magari con qualche tecnica dell’invisibilità.

 

 

Le dita intrecciate sulla nuca impressero il loro marchio nella pelle umidiccia.

Una valvola di sfogo superficiale per l’agglomerato confuso di emozioni che senza sosta continuavano a sostituirsi l’una con l’altra lasciando Kankuro profondamente confuso.

Amarezza, tristezza, rabbia.

Il suo orgoglio bruciava, gorgogliava furioso alla luce dell’incapacità di restare impassibile, freddo, distaccato. Lo sapeva, era un ninja, non avrebbe dovuto lasciarsi sopraffare dai suoi sentimenti eppure tutto quello che era stato in grado di fare era stato scappare.

La risata amara fuoriuscì dalle labbra mentre si afflosciava contro le gambe. I gomiti premuti sulle ginocchia scivolarono sulla ferita conficcandosi nell’addome, scatenando un mugolio scontento attutito da quel che restava della stoffa del pantalone, della sua impassibilità al dolore sia fisco che emotivo.

Perché non riusciva a calmarsi?

Nell’irreale silenzio alle spalle dell’ospedale Kankuro udiva solo il proprio respiro tumultuoso.

Era scappato via dal corridoio infernale per porre quanta più distanza possibile da Gaara e dal suo atteggiamento bipolare, dal proprio orgoglio ferito dinanzi all’evidenza di essere dovuto ricorrere persino al suo aiuto dopo una misera ferita da taglio provocata dalla sua stessa arma. Gaara aveva incassato colpi ben peggiori durante lo scontro con Sasuke e in seguito con Naruto camminando con la sua pelle di porcellana perfettamente intatta.

Poco importava la presenza del demone per Kankuro, lui si sentiva inutile.

I membri del consiglio l’avevano velatamente sottolineato, Gaara non perdeva occasione per sbatterglielo in faccia e suo padre non gliel’aveva espressamente detto ma dallo sguardo di disappunto perennemente appunto sul viso non ne sarebbe di certo sorpreso.

Lui non era nemmeno mai riuscito a far ragionare Gaara durante la sua sete di sangue, come invece faceva Temari.

Temari…Temari era rimasta da sola con Gaara.

Il cuore saltò un battito al pensiero inondandolo d’apprensione, era andato via provocando il demonietto ambulante senza pensare alle conseguenze del suo gesto. Temari non c’entrava nulla con il suo rancore, probabilmente Gaara l’avrebbe ignorata – perlomeno lo sperava –, se a causa sua le fosse successo qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato.

Non voleva nemmeno pensare alla sua casa svuotata persino dalle continue punzecchiature di sua sorella sulle marionette definite giocattoli o dai commentini sarcastici quando insinuava parlasse più con esse che con le persone in carne ed ossa.

Affondò i denti nelle labbra martoriate tanto da farle sanguinare.

Doveva darsi una calmata e tornare da loro.

Le missioni alle volte fallivano anche se minima doveva essere tale percentuale, nei fallimenti si cercava sempre un capro espiatorio ed in quel caso parte ne erano loro, la morte era una costante nella vita di un ninja doveva esserci abituato. Erano gli effetti collaterali con cui aveva imparato a fare i conti in passato, o almeno così aveva creduto dato che il suo istinto razionale assopitosi aveva incominciato a lavorare sulla scia della libera interpretazione. Alla ricerca del proprio personale capro espiatorio per la sua inquietudine nella persona più sbagliata possibile. Era stato fin troppo semplice arrabbiarsi con Gaara dati i torti passati ma al prossimo incontro con lui nella migliore delle ipotesi sarebbe finito schiacciato nel funerale di sabbia. Perché in fondo, le persone non cambiavano dall'oggi al domani. Gaara stava recitando un atto contorto per pregustarsi al meglio la sua fine, un modo alternativo per soddisfare il demone rispetto alle solite uccisioni.

Il leggero alito della brezza bollente scosse la divisa scura impregnata del persiste odore pungente, insinuando il contrario.

Kankuro quella mattina si era svegliato con la sua tuta e lo strato di sabbia a far da coperta, condizione ben lontana dall'essere vittima di un possibile omicidio anche se non aveva avuto modo di chiedere il perché al diretto interessato. Gaara era rientrato nella grotta dopo il risveglio di Temari suggerendo di ripartire prima della prossima tempesta di sabbia, tranquillo e pacato come i due giorni precedenti. Senza far alcun accenno all’aiuto silenzioso offerto loro durante la notte, a quell’altruismo inaspettato.

Kankuro trattenne l'urlo rancoroso al lieve senso di colpa che piano piano si stava facendo strada, aveva attaccato il fratello nell’unico momento della sua vita in cui aveva provato a cambiare per il meglio.

Imprecò silenziosamente per evitare di rendere pubblico il suo nascondiglio situato in una di quelle rientranze della parete rocciosa che abbracciava il villaggio, cercando di elaborare le giuste parole da rivolgere al ragazzo senza morire.

Aveva condannato l’intero villaggio con la sua avventatezza.

Se non l’avesse ucciso Gaara, ci avrebbe pensato Suna.

La brecciolina a poca distanza da Kankuro sfregò sotto le suole di un paio di sandali riattivando i suoi sensi da ninja, annunciandogli di non essere più solo.

Alzò di scatto la testa colto alla sprovvista per la nuova compagnia maledicendosi per essersi distratto fino al punto da non sentire alcun passo avvicinarsi, in missione con un atteggiamento simile sarebbe morto all’istante.

Tra un rimprovero e l’altro la speranza di confrontarsi con Temari scemò velocemente.

Un brivido gelido corse giù per la spina dorsale alla vista dell’appariscente capigliatura cremisi, così simile al colore del sangue. I battiti furiosi del cuore rimbombarono nell’orecchie cancellando qualunque altra emozione al di fuori della paura.

La fortuna aveva un sadico senso dell’umorismo.

«Come hai fatto a trovarmi?» domandò titubante con l’intenzione di non far tremare troppo la voce, mostrarsi debole era il primo segno di resa.

Gaara si limitò ad alzare un dito verso l'alto e Kankuro desiderò avere i classici segni tribali a coprirgli la faccia. Il familiare occhio di sabbia fluttuava indisturbato sulla sua testa chissà da quanto tempo e non se n’era nemmeno reso conto, oltretutto aveva fatto la domanda più stupida di tutte.

 

Gaara silenziosamente tolse le due dita dalla palpebra serrata annullando la tecnica, immobile nella sua posizione d’arrivo.

Il sudore colò giù dalla fronte di Kankuro all’attenta analisi glaciale, i freddi occhi turchesi lo squadravano da capo a piedi lasciandogli addosso la bruttissima sensazione di essere ormai prossimo alla fine dei suoi giorni. Era decisamente più preoccupato di quell’innata calma rispetto alla furia omicida del demone fuori controllo, quando restava perfettamente controllato Gaara era più brutale e sadico, ideava persino delle morti piuttosto pittoresche e scenografiche.

Lui gli stava servendo l’occasione perfetta, aveva abbandonato Karasu alla sorella privandosi della sua difesa.

«Dov’è Temari?»

Gaara mosse un passo nella sua direzione e istintivamente si ritrovò ad arretrare sulla roccia dove era seduto, per quanto fosse possibile retrocedere avendo una parete rocciosa alle spalle che bloccava ogni via di fuga. Le labbra serrate di Gaara risaltavano sul volto pallido contratto, al pari delle vene azzurrine ben in vista sulle braccia chiare.

«A parlare con Baki»

Kankuro tirò un sospiro di sollievo alla notizia accovacciandosi sul podio improvvisato al lento avanzare, la ferita bruciava sotto le bende adeguandosi alla scomoda posizione di difesa offuscandogli la visuale già confusa dalla febbre.

«G-Gaara…che ne dici di provare a parlarne?»

Macchioline rossastre fuoriuscirono dal taglio riapertosi inumidendo il candido tessuto nello scomodo silenzio circostante. Gaara non lo stava ascoltando, proseguiva imperterrito verso di lui senza il minimo accenno di cambiamento d’espressione, le braccia leggermente distanziate dal busto attorno al quale si agitava un velo di sabbia. Al successivo tentativo di domanda più simile ad una supplica, Gaara si bloccò un istante, un fragile frangente in cui Kankuro si ritrovò ad osservare gli inespressivi occhi chiari in un campo visivo disseminato da tanti puntini luminosi svolazzanti. L’andatura decisa riprese. Kankuro barcollò in avanti sfregiando il ginocchio nudo contro la roccia per frenare la caduta, scagliando alla cieca un kunai estratto dal fodero come ultimo misero tentativo di difesa.

La punta metallica volò per dieci centimetri affondando nel muro di sabbia materializzatosi automaticamente fra i due.

Kankuro rialzò il volto affaticato sovrastando di poco l’altezza del fratello immobile davanti a lui, vicino, troppo vicino, parzialmente nascosto dalle fragorose scie di sabbia cascanti sul terreno.

Boccheggiò a vuoto alla seconda perdita d’aderenza alla realtà.

L’ossigeno si era dissipato dalle vie respiratorie alla vista delle minute braccia pallide protese verso di lui, bloccate a mezz’aria prima riuscire a sfiorarlo.

Fermate al suo fianco, non davanti.

A palmi aperti, non contratti.

Della tomba di sabbia, nemmeno l’ombra.

Gaara non aveva tentato di ucciderlo.

 

Il kunai incastonato all’altezza della fronte ricadde a terra con un tonfo sordo.

La sabbia aizzatasi in protezione si sgretolò completamente non rientrando nella giara ma alleggiando nell’aria in attesa di future istruzioni.

«Io te l’avevo detto»

Gaara annaspò alla ricerca d’aria fremendo nei muscoli contratti, tesi allo spasmo per non reagire, per non lasciare la sabbia libera di operare senza controllo. I polmoni imploravano pietà premendo nella cassa toracica per quel bene vitale inesistente, in una realtà sempre più sbiadita e lontana.

«I tuoi tentativi sono inutili, per lui resterai sempre un mostro»

Una fitta lancinante gli attraversò il petto costringendolo a piegarsi su stesso, ad aggrapparsi spasmodicamente alla fascia bianca alla disperata ricerca di un modo per placare il dolore che lo stava perforando da parte a parte. Non stava sanguinando come all’attacco di Sasuke ma la ferita invisibile faceva più male di qualsiasi altro colpo fisico ricevuto negli ultimi combattimenti, più degli insulti costantemente ricevuti fin da bambino.

«Gaara…i-io…»

«Illuso, pensavi davvero di poter essere accettato?»

Le ginocchia cozzarono sul terreno tra le rocce dai contorni indistinti, immerso in una spirale di ricordi del passato che martellavano nella testa annientando ogni fugace pensiero razionale. La sabbia scomparsa dalla visuale era stata sostituta dalle braccia oscure che pian piano lo stavano circondando, inghiottendo tutto il mondo e la precaria coscienza in lontane notti dell’infanzia.

«Quel moccioso del Villaggio della Foglia ti ha raccontato un mucchio di scemenze, non puoi cambiare quello che sei, nessuno ti accetterà mai. Hai ucciso centinaia di persone senza fare la minima distinzione fra uomini, donne e bambini innocenti. La via che hai scelto, quella che il destino ti ha donato, non prevende amore»

Gaara urlò a squarciagola scuotendo furiosamente la testa, artigliandosi le tempie con le dita tremanti, non distinguendo una sola parola di quello che Kankuro gli stava urlando contro. Tutto ciò che vedeva era un ammasso di capelli biondo cenere macchiati di sangue al di sotto della luce della luna, tutto ciò che sentiva era la supplica di morire.

«I-io volevo solo…aiutarti» sputò fuori a fatica placcato dall’etero peso sul petto che lo prosciugò del poco respiro ottenuto «L’abbraccio…Temari aveva detto che aiuta le persone»

«Non se sei tu a darlo»

Gaara ululò di dolore contorcendosi in terra sotto gli occhi esterrefatti di Kankuro rimasto impietrito ad osservare il vorticare selvaggio della sabbia, un braccio sollevato a parare il viso dallo sferzare furente dei granelli divenuti lame taglienti. L’impetuoso tornado li aveva circondati disintegrando parte delle rocce confluite sottoforma di polvere all’interno della massa d’aria agitata di grandi proporzioni. Sempre più massiccia e impetuosa, ingrandita ad un ritmo tale da poter inglobare l’ospedale alla base del pendio distruggendolo in un istante.

Kankuro strinse i denti al lampo di dolore sulla gamba contusa, un pezzo di roccia vagante attraversate le bende era penetrato nella carne precedentemente ferita. Il sangue sgorgò copioso dal taglio, giù lungo il polpaccio fin sul terreno, articolandosi in macchioline cremisi sulla coltre instabile di sabbia.

Risvegliando una sete malata parzialmente assopita.

«Kankuro è come Yashamaru. Entrambi ti hanno aiutato per circostanza provando invece tanto rancore nei tuoi confronti»

Gaara sollevò costernato la testa verso il fratello cercando di metterlo a fuoco. Kankuro continuava a ripetergli disperato di riprendere il controllo evitando goffamente alcuni frammenti acuminati. I loro occhi incrociati all’ennesima supplica enfatizzarono la preghiera di Kankuro, quella di prendersela solo con lui e di non scatenare la sua furia sull’ospedale. Gaara lo ascoltò senza capire il significato delle parole divenute vuote per la sua mente catalizzata dalla massa di capelli castani sbatacchiata nel vento.

«Ha provato ad ucciderti»

Un ringhio rabbioso lasciò le labbra di Gaara quando il volto dinanzi a lui assunse tratti più spigolosi e maturi, guance meno tondeggianti e una sfumatura ramata sulle ciocche irte.

Il viso di colui che aveva più volte provato ad assassinarlo.

«Nessuno vuole stare con te, Gaara»

 

Barricato al centro del ciclone Kankuro poteva soltanto udire attutite le urla del popolo proveniente dalle strade vicine, sovrastate dalle grida disperate di Gaara che maldestramente arretrava dimenandosi come un pazzo. I denti sporgenti e affilati grondavano bava trasfigurando lentamente l’intera bocca in una voragine mostruosa ringhiante.

Schivò per un soffio la frustata di sabbia rotolando per diversi metri sul terreno eroso a causa della mancata coordinazione degli arti. I frammenti di terra esplosi nell’aria all’attrito gli finirono in bocca e negli occhi aumentando la sua difficoltà a deviare il secondo colpo, incastrato nel terreno ad un centimetro dal viso. L’onda d’urto aprì la terra sottostante scagliandolo dritto contro la parte rocciosa dell’altura, mozzandogli il respiro al contraccolpo.

Saliva e grumi insanguinati fuoriuscirono dalla bocca e senza concedergli ulteriori concessioni di ripresa, la mano sabbiosa lo inchiodò con la sua pressione lasciandolo in grado soltanto di boccheggiare.

Kankuro dondolò la testa frastornato dal persistente ronzio nelle orecchie continuando ad accusare sé stesso per quella spiacevole situazione. Aveva distrutto il precario equilibrio psicologico che il fratello stava provando a mantenere integro, l’aveva attaccato senza valutare ulteriori ipotesi, senza pensare alle conseguenze.

Temari non si era sbagliata e aveva compreso quella voglia di cambiare per il meglio.

Il biondo moccioso petulante aveva risvegliato quell’umanità sopita all’interno di Gaara mentre lui non aveva fatto altro che ignorare quei piccoli gesti distruggendo il tentativo. 

«I-io volevo solo…aiutarti»

Era stato incredibilmente cieco.

Gaara l’aveva aiutato più volte durante il loro viaggio di ritorno senza che lui e Temari gli chiedessero alcunché, senza lasciarlo indietro quando li ha rallentati con la sua debolezza come avrebbe fatto il Gaara di una settimana prima.

L’aveva riparato dalle raffiche di vento con la sua cupola di sabbia per non fargli salire la febbre, il cuscinetto di sabbia aveva attutito la sua caduta quando gli era piombato addosso senza che fosse necessario includerlo per salvarsi, aveva coperto lui e Temari nella caverna ed infine aveva tentato di non fargli sforzare eccessivamente la gamba provando a sorreggerlo.

«L’abbraccio…Temari aveva detto che aiuta le persone»

No, Gaara ci aveva provato di nuovo ricevendo in cambio un kunai vagante.

Kankuro batté le palpebre pigramente soggiogato dalla fame d’aria avvertendo la sabbia insinuarsi attorno alle braccia, alle gambe e nel sottile spazio dietro la schiena fino ad avvolgerlo completamente. Un bozzolo di sabbia, una scena tristemente vista fin troppe volte come spettatore per lasciargli una qualche speranza di fuga.

«Temari…Kankuro…mi dispiace»

La costrizione scomparve e Kankuro si ritrovò a saltare tra le foglie da un ramo all’altro sorreggendo il corpo esausto di Gaara. Le prime e vere sincere scuse mai ricevute dal fratello, senza la blanda circostanza con cui le aveva rifilate in altre occasioni al nemico per fargli abbassare la guardia come all’arrivo a Konoha.

Gaara si era scusato per tutto quello che gli aveva fatto passare.

«…no…è colpa mia, ti chiedo scusa Gaara»

 

Il manto di sabbia aumentò la propria forza centrifuga contorcendosi su stesso fino a compattarsi in una palla ed esplodere nel mezzo dell’impetuoso tornado.

Kankuro tastò la nuca dolorante schiacciato con la schiena sul terreno mentre osservava il funerale del deserto verificarsi senza alcun obbiettivo all’interno.

La mano di sabbia l’aveva lasciato cadere prima della tragica fine facendolo sfuggire alla morte.

Dolorosamente rotolò su di un fianco fissando quel che restava del fratello ringhiante piegato sulle gambe instabili, il braccio destro trasformato in quello del demone insieme alla metà del volto. Trasfigurato nelle fattezze mostruose che aveva visto in svariate occasioni da quando era solo un bambino.

La lunga coda sbatacchiata qua e là piovve sulla terra frantumandola.

«Vai…via» fu l’ordine sibilato verso di lui tra i gemiti dolorosi.

Kankuro lentamente si mise in ginocchio squadrando gli occhietti stellati del demone lampeggiare sullo strato turchese, in una lotta al completo controllo ancora in corso.

Gaara l’aveva liberato all’improvviso risparmiandogli la vita e seppur attanagliato dalla paura di morire, Kankuro non smise di fissarlo né provò ad assecondare l’ordine velato.
Forse le sue scuse erano state ascoltate in quel caos anche se non lo credeva possibile, forse lo stesso Gaara nonostante il bieco atto nei suoi confronti non voleva provare ad ucciderlo con tutte le intenzioni, forse era solo il suo giorno fortunato.

Qualunque fosse la ragione Kankuro non desistette.

Faticosamente, un passo dopo l’altro coprì la distanza che lo separava da Gaara dando fondo a tutta la determinazione a sua disposizione prima di essere dominato dalla paura. Incurante dei taglietti apertisi sul volto alla vicinanza con il vortice sempre più feroce, incurante dell’aura omicida lasciata liberamente trapelare e ben lontano dal voler dare una risposta alla forza posseduta dai denti della bestia.

Abbandonando il suo ultimo istinto razionale Kankuro fece quello che non aveva mai osato fare in tutti quegli anni, rompere la distanza di sicurezza con il fratello durante una crisi isterica.

Le urla di Gaara gli perforarono i timpani cariche di rabbia repressa e brama di sangue ma per la prima volta Kankuro vi sentì altro, vide altro nelle dita serrate sulla pelle. Non c’era un dolore per l’uscita del demone perché tale processo lo presupponeva, Gaara stesso era la pura espressione del dolore nella più tormentata delle forme con le sue grida disperate.

Un richiamo di aiuto per contenere la belva sigillata.

Kankuro approfittò di quella lotta interiore per avvicinarsi, consapevole di comportarsi da incosciente. La componente fondamentale per un marionettista erano le mani, tutto il controllo del burattino dipendeva dall’abilità delle dita di controllare i fili di chakra ed anche una in meno poteva fare la differenza in uno scontro.

Lo sapeva, eppure allungò ugualmente la mano nella tempesta.

La sabbia riconobbe immediatamente la presenza estranea avvolgendola in una morsa feroce, strappando una smorfia dal volto di Kankuro che a gran voce continuava a chiamare il fratello. I piedi impuntati nel terreno e una spinta disperata in avanti per raggiungerlo laddove le parole fallivano.  

«Gaara…!»

Un’onda di sabbia lo investì in pieno impedendogli di parlare.

Intorpidito dal colpo, Kankuro tossicchiò grumi ferrosi scostando con difficoltà il resto della scarica dell’attacco senza voler ammettere una possibile resa. In ultimo sforzo disumano riuscì ad afferrare la spalla minuta del fratello crepando la coltre di sabbia che ancora gli imprigionava la mano.

Gaara smise di urlare riducendosi a ringhi adirati e risate isteriche.

Kankuro lo richiamò l’ennesima volta gemendo alla fitta nelle falangi avvinghiate attorno alla stoffa, le ossa scricchiolavano pressate dalla forza ruggente della sabbia.

L’istinto di conservazione era diretto nella direzione totalmente opposta.

«Gaara ascoltami!»

Le dita affondarono nella pelle delle spalle e un lampo di sofferenza attraversò gli occhi bruni all’aumento della pressione dell’aria. La sabbia irascibile rivendicò la propria preda agguantandola da un punto cieco nella sua presa mortale fatta di corde striscianti, strappandola violentemente da quell’unico appiglio conquistato.

Kankuro incapace di muoversi finì sbattuto con forza sul terreno, al di sotto della coda alzata furiosamente in aria pronta a schiacciarlo.

«Shukaku sparisci!!» la voce al limite della sopportazione graffiò brutalmente le corde vocali «Voglio parlare con Gaara, non con te!»

Gaara rialzò di scatto la testa sbarrando gli occhi tornati alla consueta tonalità turchese un attimo prima del colpo mortale, incapace di credere a quanto appena udito.

Le braccia ricaddero penzoloni lungo i fianchi nell’esplosione dei detriti rocciosi confluiti nel tornado senza riuscire a eliminare la sua sorpresa.

Suo fratello aveva riconosciuto la differenza fra lui e Shukaku.

Kankuro li aveva considerati due esseri separati.

«Non essere un tale credulone»

«K-Kankuro»

Kankuro inspirò a fondo con le palpebre serrate e ogni fibra del corpo scossa dai tremori involontari, incredulo di essere ancora vivo e vegeto.

Era stato estremamente fortunato considerando le scarse previsioni di sopravvivenza alla presenza del demone.

La sabbia persa la forza soffocante, lo lasciò pienamente libero di muoversi, di allontanarsi, ma lui non fece nessuna delle due cose.

«Gaara…mi dispiace» la voce gracchiò per il disgustoso sapore del sangue impastato nella bocca «Non avrei dovuto attaccarti»

La sottile linea scura attorno agli occhi quasi scomparve all’apertura eccessiva.

Gaara non capiva, aveva quasi ucciso il fratello scambiandolo per il padre a causa della forte somiglianza senza pittura ma anziché ricevere ingiurie otteneva delle scuse.

«Non ascoltarlo»

Il ciclone di sabbia circostante aumentò la rotazione sotto gli attacchi esterni di qualche squadra speciale mandata ad arginare i danni, progredendo a ricambiare autonomamente le interferenze grazie al chakra di Shukaku.

«Perché?...» la mano scattò sulla tempia pulsante «Perché ti stai scusando?»

Kankuro premette la mano sul terreno senza riuscire a rialzarsi come desiderato, le ginocchia cedettero sotto il peso costringendolo a rispondere dalla sua posizione scomposta.

«Per lo stesso motivo per cui tu l’hai fatto con me a Konoha» un sorriso tirato si aprì sul volto tumefatto macchiato dal rivolo di sangue sgorgato dalla fronte ferita «Ti ho causato del dolore…ho rovinato il tuo tentativo di…non so bene nemmeno io cosa, ma so che ho rovinato qualcosa di buono»

«Sta mentendo»

Le labbra di Gaara tremolarono senza esprimere il tormento interiore, sopraffatto da un’emozione ignota bruciante sotto la pelle. Un insolito calore generato nel petto lo aveva invaso in ogni parte del corpo come uno strato di sabbia protettivo, avvolgendolo in un torpore piacevole e impossibile da scacciare.

Accogliente come l’accecante tramonto fra le dune.

Appagante come il sorriso d’orgoglio datogli da Temari.

Calmante come le lontane parole consolatorie di Yashamaru.

«Consolatorio, Yashamaru? Non ricordi cosa ti ha fatto?»

 

Kankuro tossì spingendo il ginocchio sul terreno, le costole dolevano al tatto rendendogli difficoltoso respirare ma non poteva permettersi di restare seduto inerme a lungo. Facendo leva sulla gamba integra riuscì seppur barcollante a raggiungere una posizione eretta nel momento esatto in cui la sabbia riprese il suo turbinare.

Gemendo interiormente osservò il fratello scosso da tremori mentre sbiascicava parole confuse scuotendo violentemente la testa, le mani premute nuovamente sulle tempie in quella che sembrava una lotta senza fine.

«No…non è vero!»

L’urlo improvviso lo lasciò spiazzato ma Gaara non stava parlando con lui, lo capì dalla totale mancanza di attenzione nei suoi confronti rivolta invece ai propri piedi.

Il ricordo lontano della notte di molti anni prima tornò prepotente alla memoria, insieme alle frasi farneticanti e al sorriso inquietante sul volto del ragazzino di appena otto anni che senza alcun rimorso aveva ucciso la kunoichi incaricata di stare con loro. Non aveva idea di cosa l’avesse spinto o cosa avesse detto la donna, l’unica cosa certa erano stati i farneticanti sussurri, gli occhi che nulla avevano dell’innocenza di un bambino e il demone in tutta la sua possenza apparso nella cucina della sua casa disintegrandola.

La situazione si stava ripresentando nell’intensità delle parole che si presentavano più disperate negli urli e più supplicanti nei sussurri.

«Yashamaru…lui non è qui!»

Kankuro passò la lingua sulle labbra secche ingoiando saliva inesistente.

Un passo, due passi, tre passi…quattro passi.

Il corpo diventò sempre più pesante e rigido man mano che si avvicinava, mosso a scatti come il braccio di Karasu dopo essere stato bloccato dagli schifosissimi insetti. L’articolazione del gomito sembrò ticchettare nella massa d’aria al pari di un ramoscello agitato in mezzo a una tempesta. Spostò il poco chakra nei piedi per restare ancorato al suolo e il braccio sospinto in diverse direzioni trovò una stabilità forzata raggiungendo il guardiano della sabbia, afferrandogli l’arto superiore. Il lamento uscì involontario dalle sue labbra quando la raffica dei granelli sgorgò dal braccio mortalmente pallido su cui aveva la presa, dritta nel palmo della sua mano.

«L-lasciami…» gli occhi privi di pupilla si erano sollevati, i corti capelli simili a scie di sangue erano appiccicati sulla fronte in quell’ordine glaciale nettamente in contrasto con un’umanità che Kankuro continuava a vedere.

Un’umanità riflessa sulla distesa turchese in cui poteva osservare il proprio riflesso disadattato, una scintilla forse inesistente che lui si ostinava a voler cercare come ormai unica via di fuga dalla sua morte certa. Non riusciva a negarne l’esistenza.

Scosse la testa incapace di formulare la negazione verbale sotto il peso della scia di sabbia che gli stava letteralmente distruggendo la mano con i tanti piccoli taglietti, il sangue defluiva scivolando sulla sua pelle fino ad incunearsi nella sabbia e sul braccio chiaro.

Troppo piccolo per uno shinobi di quell’età, troppo pallido per un abitante di Suna.

Kankuro ipotizzò di aver perso più sangue di quanto ne aveva visto scorrere.

Affidandosi al suo istinto si era autocondannato al colpo di grazia con quella decisione suicida di toccarlo, perdendosi in osservazioni insignificanti nel momento più cruciale della sua vita.

Era un uomo coraggioso? No.

Il suo corpo tremava incontrollato da capo a piedi e forse era proprio la paura di un possibile e ultimo passo falso a mantenerlo ancora radicato al braccio del fratello.

«Ti ho detto di lasciarmi…»

Riprova con meno pause e meno tremolio.

La lingua impastata non diede voce alla riposta sfacciata, schioccò sul palato all’ennesimo scatto negazionista del capo.

 

Gaara tra l’incavo delle dita premute sulla fronte soffiò faticosamente l’aria trattenuta.

L’insistenza non era mai stata la caratteristica predominante di Kankuro, il ragazzo aveva il suo modo di far prevalere le proprie idee e il proprio pensiero ma non azzardava tali mosse contro un avversario con cui sapeva di non poter avere la meglio. Poteva commettere alle volte tale sciocchezza come nella grotta, ma solo se soggiogato dal proprio orgoglio.

Orgoglio di morire combattendo?

Possibile, se soltanto vi fosse stato uno dei burattini e Kankuro stesse cercando di attaccarlo sul serio. Quello che stava facendo era reggersi al suo braccio lasciandosi deliberatamente torturare dalla sabbia che non riusciva a fermare, aggrappato a lui come ultimo sostegno per non crollare. Difficile giudicare chi dei due stesse facendo il maggior sforzo per non cedere agli istinti celati della paura o della brama di uccidere.

Kankuro piagnucolò tra le labbra serrate all’onda più forte, barcollando di poco in avanti, vibrando in ogni singolo tratto visibile del corpo. Il sangue della ferita alla testa aveva smesso di scorrere incrostandosi sul viso, sostituendosi alla solita pittura che l’adornava come nuova estetica di guerra.

Stesso volto sofferente, stessa situazione contusa, stessa convinzione delle proprie scelte viste anni addietro sul volto di un'altra persona che per diverso tempo gli era stata accanto.

«N-non riuscirò a fermarlo…il demone prenderà il controllo»

Gaara avrebbe voluto aggiungere di andar via ma l’accecante dolore alla tempia gli mozzò la frase, i dolci e insanguinati lineamenti di Yashamaru si sovrapposero a quelli di Kankuro, il turbante sostituì i capelli castani sovrapponendo le due figure.

«Succederà come allora, vuole illuderti con le parole per poi distruggerti»

«No» la voce di Kankuro tremò incontrollata al mare di sabbia alzatosi dietro la figura minuta, incombente come il ciclone sempre più ristretto pronto a fagocitarlo nella sua morsa.

Gaara scostò le mani dal volto nonostante il dolore, le dita del marionettista premute nell’avambraccio schiacciavano la pelle vibrando senza ritegno tanto da scuotere il suo stesso arto.

«Ti prego, muori»

«No…» il suono rantolò nella gola di Kankuro alla ricerca di maggior aria per continuare «Non prenderà il controllo se glielo impedisci»

Gaara sentì l’incoscienza farsi largo e le forze venir meno, attratto nel mare nero in cui affondava la sua psiche quando Shukaku prendeva il sopravvento. Il volto cereo di Yashamaru illuminato dal tenue bagliore della carta bomba scomparve mostrandogli un volto altrettanto smorto che non smetteva di fissarlo, pieno di terrore e…speranza?

Perché Kankuro non lo chiamava più “mostro”?

«Io…»

«Lo so che puoi farlo»

Poteva farlo?

Gaara non aveva mai cercato di contenere con la forza il mostro come negli ultimi giorni, nella foresta aveva fallito nonostante le buone intenzioni e nulla gli faceva credere di poterci realmente riuscire. Kankuro lo stava plagiando con le sue parole per farlo placare, gli stava parlando solo per non farlo esplodere per poi tornare ad osservarlo scettico a distanza di sicurezza, magari decidendogli di non avvicinarsi più. Il Kazekage era morto, il cambio squadra non era più un desiderio irrealizzabile e non dubitava che i due fratelli avrebbero colto la palla al balzo.

«Lasciati andare, Gaara»

Il buio inghiottì la sua vista bloccando il vagare dei suoi pensieri, rintanati in un angolino remoto ridotti a flebili sussurri. Il buio inghiottì la sua vista bloccando il vagare dei suoi pensieri ridotti a flebili sussurri. Senza che potesse fermarlo il suo corpo sussultò lasciando vagare la mente alla deriva nella coltre oscura, gli occhi sbarrati verso un imprecisato punto d’osservazione nella stoffa premuta sulla sua faccia.

Kankuro lo stava abbracciando.

Le braccia scosse lo stavano stringendo in una presa malferma senza che la sabbia l’ostacolasse, la sua protezione automatica non era scattata lasciandolo avvicinare completamente. Gaara trovava difficile definire cosa si stesse agitando al suo interno in quel momento, le sue braccia erano completamente bloccate così come il corpo che non reagiva a nessuna delle sue istruzioni di movimento ma non aveva paura di alcun attacco.

Kankuro avrebbe potuto pugnalarlo nella schiena, ma il pensiero così velocemente com’era arrivato se ne era andato. Il fratello lo stava stringendo talmente tanto forte da averlo avvolto interamente ed in quella posizione non avrebbe potuto nemmeno con la più ampia flessione dei polsi riuscire a estrarre uno dei kunai dal fodero sulla gamba.

«U-un abbraccio?» sussurrò stralunato contro la stoffa impregnata dall’odore del sangue che non suscitò alcuna reazione consueta nel demone, Shukaku sembrava distante.

«Sì» la voce traballante di Kankuro giunse a poca distanza dall’orecchio «Avevo finito le idee…pensavo potesse funzionare»

Funzionava davvero?

Gaara non ne era certo ma si sentiva leggero, libero da quel dolore che gli aveva lacerato il cuore tanto tempo prima. La sua ferita invisibile formicolava senza le fitte pungenti, il suo cuore batteva suggerendogli di essere vivo senza che avesse dovuto richiedere una vita per appurarlo, lo sentiva rimbombare nelle orecchie.

«La medicina che può guarire la tua ferità è l’amore»

«Perché hai insistito così tanto?» non era sicuro di averla pronunciata a voce o soltanto pensata, chiederlo implicava ricevere una risposta brutta o meno che fosse.

Voleva davvero conoscere il motivo?

Yashamaru aveva sempre provato a rispondere ad ogni sua domanda con contorti ragionamenti o semplici risposte senza mai tirarsi indietro, aveva tentato di ucciderlo ma allo stesso tempo gli aveva fornito la gran parte delle conoscenze che aveva sul mondo e gli uomini che lo vivevano. Non gli era ancora chiaro cosa l’avesse spinto a prendersi cura di lui tutti quegli anni per poi attaccarlo alle spalle, probabilmente si era stancato di tutti gli attacchi in cui finiva invischiato per difendere le possibili vittime o per il puro rancore che aveva cercato di allontanare per sua stessa ammissione.

Nonostante i suoi discorsi Gaara però non riusciva a ricordare un singolo istante in cui Yashamaru l’avesse abbracciato, forse era accaduto quando aveva pochi anni di vita ma non ne conservava alcuna reminiscenza.

«Perché…» trattenne il respiro all’incerta pausa di Kankuro sentendo affluire quella recondita paura provata durante i primi tentativi di omicidio da parte di suo padre «..sei mio fratello»

Bastava quello?

Quel legame di sangue che Gaara per anni non aveva considerato importante era una ragione valida per Kankuro, tanto da spingerlo ad abbracciarlo per placare Shukaku. Impossibile da credere se non l’avesse visto accadere.

«L’amore è quella cosa che ti regala una persona vicina, che ti vuole proteggere dalle sofferenze»

«Io non capisco» la presa attorno al busto si intensificò alla frase mormorata rendendogli stranamente difficile il proseguo del suo discorso, il calore dell’abbraccio lo cullava suscitandogli un senso di smarrimento crescente «Ti ho sempre minacciato di morte. Ti ho quasi ucciso anche adesso...ti ho deriso, insultato, tratto male in diverse situazioni. Ho eliminato i tuoi legami, ho ucciso i tuoi amici…perché? Perché non hai lasciato perdere?»

Gaara si ritrovò a corto di fiato.

Senza rendersene conto aveva urlato sulle ultime parole spinto dalla flebile vocina di Shukaku che continuava a commentare il contrario e dalle dannate parole di Yashamaru che gli ronzavano in testa peggio di mosche fastidiose.

«Perché anche io e te abbiamo un legame»

Kankuro lo strinse tra le forti braccia in una morsa soffocante più di quanto Gaara potesse ritenere possibile. Allentarla era fuori discussione, Gaara voleva continuare a bearsi di quel senso di sicurezza provato in precedenza solo all’interno del bozzolo sabbioso in cui si rifugiava per sfuggire agli attacchi. Non voleva rinunciare a quella nuova fonte di calore in grado di appianare tutti i suoi pensieri negativi, seppur in parte il calore era generato dalla febbre innalzata.

«Abbiamo un…legame?» soffiò contro il cerchio rosso e giallo disegnato sul petto della tuta.

«Sì, te l’ho detto» le parole di Kankuro suonarono sicure, intrise di rinnovata convinzione tanto da sorprendere il suo stesso enunciatore.

«Siamo fratelli, ho accettato le tue scuse a Konoha e non voglio portarti ulteriore rancore...non lo faccio con Temari che prende continuamente in giro le mie marionette senza scusarsi mai!» lo sbuffo sarcastico fu ostruito da un colpo di tosse «Durante il viaggio di ritorno ho avuto modo di riflettere non solo sulle tue azioni ma anche sulle mie. Io, te e Temari siamo tutto ciò che resta della nostra famiglia e se tu hai problemi a contenere Shukaku…vorrà dire che ti aiuterò nell’impresa!» ci fu una piccola pausa prima della sussurrata riflessione personale «Anche se…non ho la minima idea di come aiutarti»

Gaara avvertì i muscoli facciali tirare alla piega involontaria delle labbra.

Era quella la sensazione di un sorriso?

Sentiva di essere tornato indietro nel tempo, ai suoi anni di bambino alla completa scoperta dei misteri del mondo, con la differenza di non avvertire la fredda solitudine come unica compagna.

«Lo hai già fatto»

 

Kankuro solo in quel momento si rese pienamente conto di non essere stato distanziato dal minimo flusso di sabbia per il suo azzardo. Neppure la più piccola difesa era stata eretta tra loro e lo stesso mulinare irrequieto dal quale si era liberato nel suo ultimo istante di ragione non l’aveva seguito.

Mosse circospetto le dita per appurare di non aver alcun osso rotto confermando solo qualche sottile lesione nell’anulare e nel mignolo destro, senza abbandonare l’abbraccio. Inaspettatamente la sua ultima idea non proprio coscientemente elaborata aveva avuto successo, aveva seguito lo stesso istinto riservato agli incubi notturni di Temari dopo la prima manifestazione di Shukaku. Non poteva che definirsi soddisfatto del risultato e di quella risposta fugace seguita da un grazie a malapena udibile se non l’avesse avuto tanto vicino.

Gaara nonostante il demone e la grande forza posseduta restava pur sempre un essere umano pieno di incertezze e paure che negli anni aveva nascosto così bene tanto da non renderle riconoscibili. Negli ultimi giorni l’aveva visto tremare per la paura, perdere il controllo per la rabbia, restare spaesato per la sorpresa, rammaricato per aver fatto loro del male e aveva scoperto probabilmente una delle poche cose in grado di calmarlo. Dopo l’iniziale sussulto sorpreso Gaara non si era minimamente mosso ne aveva provato a rompere la presa dell’abbraccio, allentando la tensione nelle spalle e nella testa che alla fine era caduta abbandonata contro di lui.

Banalamente un gesto tanto semplice aveva vinto dove anche le tecniche più potenti avevano fallito.

Kankuro sorrise tra sé poggiando il mento sulla massa di capelli rossi.

Al suo strano e squilibrato fratello gli abbracci sembravano piacere.

Il vortice circostante divenne sempre meno intenso, rallentando la sua andatura fino a dissolversi in sottili scie di granelli sospesi nella sottile scia del vento.

Kankuro registrò la presenza di alcuni membri della squadra speciale a qualche metro di distanza, circa quattro posizionati sull’altura a difesa del villaggio ed altri cinque disposti sul punto più estremo del terreno in direzione dell’ospedale. La gran parte delle forze erano ancora ricoverate o disperse e con quel numero esiguo, nemmeno operando con tutta la buona volontà sarebbero riusciti a fermare l’assalto se non avesse bloccato tempestivamente Gaara.

Voltandosi alla sua sinistra catturò dapprima lo sguardo di Baki che si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo – evento più unico che raro – e successivamente quello di Temari, eretta nella sua posizione di battaglia con il fan ancora spiegato dinanzi a lei. I capelli biondi ormai liberi da qualunque elastico sfuggito via nella tempesta, ricadevano sul viso ricordando prepotentemente a Kankuro una vecchia fotografia sbiadita posta nella sua camera.

L’aveva sempre notata la forte somiglianza fra Temari e la loro madre ma non gli era mai sembrata tanto schiacciante. Temari l’aveva guardato colma di preoccupazione e terrore, probabilmente non comprendendo come mai stesse abbracciando il piccolo demonio che fino ad un attimo prima stava per distruggere mezzo quartiere. Aprendosi pochi istanti dopo in un sorriso dolcissimo, quasi materno, da spingerlo a non considerare il suo gesto il più fuori luogo di tutti.

Sentendosi leggermente osservato – non solo da parte della sorella –, allentò lievemente a disagio la stretta dal corpo di Gaara mossosi a propria volta.

Eventuali giustificazioni non raggiunsero mai le sue corde vocali, bloccate dalla furia di Temari direttasi spedita verso di lui dopo aver quasi lanciato la propria arma addosso a Baki.

«Kankuro!? Come ti sei ridotto?!»
L’urlo gli trapassò i timpani e istintivamente si ritrovò a spostarsi dietro un incapiente Gaara che stava ancora registrando confusamente le varie presenze attorno a loro.

«La sabbia non è proprio delicata»

«Questo perché tu non mi ascolti mai e devi sempre parlare a sproposito!» il piccolo ventaglio si abbatté improvvisamente sulla sua testa, in quella usanza ormai divenuta comune «Ti avevo detto di non provocarlo, ma tu no! Devi rischiare di farti ammazzare per non saper tenere chiusa la tua maledetta boccaccia!»

«Quanto sei esagerata! Sono ancora vivo, no?»

Temari avrebbe voluto strozzare il fratello, trucidarlo, rompergli ogni dannato arto al sorrisetto sarcastico apertosi fra le scie di sangue incrostate sulle guance. Aveva passato gli ultimi dieci minuti bloccata davanti al ciclone di sabbia, pienamente consapevole di chi ne fosse l’artefice e gli occupanti senza poter far nulla per placarlo. Ogni suo attacco era andato a vuoto nonostante gli sforzi e le peggiori ipotesi si erano fatte strada alla realizzazione di avere con sé Karasu fino a darlo per spacciato. Kankuro non aveva la minima idea dell’onda di sollievo che aveva provato alla vista della divisa nera ridotta a brandelli, del suo corpo martoriato ma ancora vivo, della gioia di poter rivedere quel sorriso sbilenco.

 

«Non farmi spaventare più in questo modo…»

Kankuro sbatté incredulo le palpebre al sussurro tremolante a pochi centimetri dall’orecchio, avvolto nell’abbraccio maldestro in cui improvvisamente Temari l’aveva attirato. I suoi occhi lucidi intravisti di sfuggita avevano smorzato ogni eventuale tentativo di protesta, compreso quello di ritrovarsi la giara ingombrante piantata nello stomaco.

Gaara trovatosi nel mezzo tra i due non aveva capito cosa stesse succedendo finché non era finito schiacciato contro la piastra metallica del corpetto. Incerto, aveva dissolto il pesante fardello sulla schiena per crearsi una via d’uscita e permettere ai due di avvicinarsi senza in realtà riuscire a sgusciar via. L’apertura generata era durata poco e i suoi movimenti erano stati troppo lenti confrontati con quelli di Temari.

La distanza era stata repentinamente coperta e le braccia della sorella abbassate quel tanto necessario a bloccare ogni sua uscita laterale.

Non era stato coinvolto accidentalmente.

La sua inesistente visione periferica venne ulteriormente chiusa dalle braccia di Kankuro avvolte in egual modo attorno alla sorella.

Che cosa avrebbe dovuto fare?

Nell’abbraccio precedente non si era mosso e lo stesso Kankuro non aveva espresso alcuna considerazione sul suo essere rimasto inerte, non gli era ancora chiaro se fosse d’obbligo quel ricambio o se dipendesse dalla volontà di far sapere di stare apprezzando il gesto. Se la seconda opzione fosse stata quella giusta, aveva involontariamente offeso il fratello senza ricambiarlo, in caso contrario la cosa non cambiava poi molto perché non aveva adempiuto al suo compito in quel tipico gesto relazionale. Poteva rimediare approfittando di quel secondo abbraccio ma aveva Temari dinanzi e seppur fosse riuscito a muovere gli arti bloccati, gli sembrava offensivo darle le spalle rivolgendosi esclusivamente a Kankuro.

Confusione.

Gaara si trovava nella più completa confusione.

L’inaspettato contatto umido sulla pelle non l’aiutò a mitigarla.

La chioma rossiccia sfregò contro la divisa di Kankuro all’inaspettata goccia d’acqua insinuatasi nell’incavo del collo. Il viso sollevato a disagio nello stretto spazio a disposizione accogliendo la seconda gocciolina sulla guancia, seguita da una terza che accompagnò il medesimo percorso scivolando lungo lo zigomo fino a disperdersi tra le labbra secche. Il sapore salato si diffuse nella bocca mentre osservava sorpreso gli occhi serrati e il triste sorriso della sorella solcato dalla scia di lacrime.

 

Baki adagiò in terra il grosso ventaglio sentendosi più un portaoggetti ambulante che il maestro di una squadra di genin. Il ciuffo dell’involucro di Karasu gettato sulla schiena gli solleticò il volto all’atterraggio del ninja della squadra speciale accanto a lui.

Hassan era uscito piuttosto contuso dallo scontro con il ciclone di sabbia, il giubbotto color sabbia era stato squarciato da uno dei picchi di roccia e lo stesso turbante avvolto sulla testa era macchiato di rosso. L’ospedale era stato risparmiato ma non la sua caduta per oltre sei metri sul terreno frastagliato.

«Cosa dovremo fare adesso?»

Baki fu costretto ad abbandonare lo sguardo dai tre fratelli per sopperire al suo punto cieco, voltandosi verso il ninja in visibile affanno. Il drappo di stoffa gli copriva il volto ad eccezione degli occhi verdi offuscati dalla stanchezza, le ultime quarantotto ore le aveva passate senza alcuna pausa barcamenandosi negli impieghi più disparati.

«Perché lo chiedi a me? Non sono io ad averti mandato qui» rispose freddamente afferrando il braccio del giovane ragazzo accanto a lui prima di vederlo collassare al suolo «Non dovresti sforzarti così tanto, un ninja che non sa nemmeno reggersi in piedi è inutile»

«Oh no, non sono più suo allievo si risparmi la predica»

Baki fece una smorfia al tono cantilenante del ventenne accovacciatosi in terra ad esaminare il gruppo dei suoi attuali studenti, i ragazzi da lui addestrati erano sempre stati l’uno più testardo dell’altro e non sapeva fino a che punto esserne orgoglioso o infastidito.

«Data l’assenza del Kazekage so che vi siete mossi autonomamente allo scoppio del vortice» al pollice in su sollevato svogliatamente sentì le proprie sopracciglia scattare nevrotiche «Dovresti far rapporto al Consiglio e ottenere da loro successive istruzioni anziché agire come più ti pare, credo che in attesa della nomina del nuovo Kazekage sarà Kalyan-sama a gestire le truppe speciali, puoi trovarlo nell’ospedale con Namit-sama»

«Quel vecchiaccio scorbutico sarà il nostro coordinatore?!» la voce tuonò in tutto il suo giovanile fastidio rendendo quasi impossibile non pensare ad un broncio infantile celato oltre la stoffa «A malapena riesce a camminare, figuriamoci se è capace di riprendere in mano la sua katana e fare qualcosa di concretamente utile!»

Baki sospirò sconfortato incrociando le braccia, i suoi studenti erano davvero troppo simili.

«Quando capirai che non puoi rivolgerti a loro in quel modo?»

Hassan sembrò pensarci su per poi scuotere allegramente le spalle continuando imperterrito ad osservare con estrema austerità il trio a poca distanza dove gli urli di Temari si erano placati, sostituiti dall’abbraccio in cui aveva attirato i fratelli.

«Probabilmente mai»

«Io mi chiedo come tu sia finito a capo di una squadra con tale atteggiamento» commentò piatto il jonin più anziano, indeciso se raggiungere il gruppetto o restare a combattere una battaglia persa con il suo vecchio allievo «Soprattutto, mi chiedo come tu abbia fatto ad ingraziarti anche la squadra di Rashad-kun»

«Perché sono forte e non potevano fare a meno di me?»

«Ho i miei forti dubbi»

«Hassan!!»

Al familiare isterico urletto femminile, Baki si voltò per seguire i movimenti della minuta ragazzina lanciatasi addosso al ragazzo che finì completamente seduto sul terreno. Il volto coperto sorretto dalle mani a coppa mentre scrutava il resto del corpo alla ricerca di ulteriori ferite oltre quelle visibili.

«Sorellina quante volte ti ho detto di non dire il mio vero nome quando sono a lavoro?!»

Raja interruppe il suo controllo apprensivo attirata dalla ferita alla testa e senza badare alle altre rimostranze vi adagiò le mani sopra generando un flusso azzurrognolo di chakra.

«Lavoro?!» sbottò socchiudendo gli occhi alla forte luce solare «Ti avevo detto di rimanere a casa a riposare!»

«Raja ha ragione» si intromise laconicamente Baki fulminando con uno sguardo il ragazzo in minoranza che sbuffò arrendendosi «Qui non c’è più bisogno di alcun aiuto, Gaara ha ripreso il controllo e la situazione è stabile. Nel caso sorgano ulteriori problemi te lo farò sapere io»

Raja seguì lo sguardo del suo vecchio maestro sbattendo perplessa le ciglia allo strano quadretto di famiglia, rendendosi finalmente conto del perché tutti i compagni del fratello erano rimasti in attesa di future istruzioni parlottando fra loro senza alcuno che si prendesse la briga di tornare nella struttura.

«Va bene, ho capito» bofonchiò stancamente Hassan facendo segno a tutti gli altri di ritirarsi verso l’ospedale per far controllare le proprie ferite, aggiungendo seriamente a voce bassissima «Baki-sensei, questa volta ci è andata bene. Non ho capito come Kankuro-kun sia riuscito a placarlo ma lui resta un pericolo. Il Kazekage aveva difficoltà a tenerlo sotto controllo e noi dovremo faticare il doppio… vorrei evitare di trovarmi di nuovo senza casa a causa sua. Dato che lei è il suo maestro, per favore provi a trovare una soluzione»

Baki osservò sorpreso l’improvvisa serietà che sfortunatamente il suo studente esternava in pochissimi casi, comprendendo fin troppo bene quella paura nascosta dietro la facciata sempre allegra. Hassan nonostante la giovane età si era ritrovato schierato contro Shukaku la notte in cui era apparso sei anni prima.

Quel momento di serietà durò però molto poco e Baki si ritrovò a sopprimere il desiderio di tirargli Karasu sulla testa quando il drappo venne blandamente tolto dal viso mandando all’aria tutta la segretezza tanto decantata un minuto prima.

Hassan abbandonato il cipiglio scuro tornò ad assumere il sorriso accattivante che tanto detestava mentre cospiratorio gli faceva segno di avvicinarsi. Baki intuì presto che in quel segreto non ci sarebbe stato nulla di veramente importante.

«La prossima volta… posso chiamare lei quando non voglio portare la mia marionetta?»

«Sparisci!!»

 

 

Kankuro non sapeva se sua sorella avesse considerato pienamente i loro numerosi spettatori o il ruolo da loro occupato quando l’aveva abbracciato, ma definire il suo stato come “sorpresa” era un eufemismo. In quindici anni non aveva mai visto tutte quelle emozioni scorrere sul viso di Temari, la preoccupazione c’era sempre stata ma magistralmente celata dietro la sua corazza di pietra. Ascoltare la sua voce impaurita era stato strano, gli aveva fatto provar l’irrefrenabile desiderio di prometterle di non farla più spaventare in quel modo senza però dargli forma a parole. Si era limitato a ricambiare il suo abbraccio incurante del ragazzino finito probabilmente totalmente schiacciato, d’altronde se Gaara avesse voluto realmente liberarsi l’avrebbe già fatto vivacemente presente.

Aveva deciso di fregarsene del resto delle persone presenti scattando sull’attenti solo all’urlo improvviso del suo maestro. Temari rannicchiata contro di lui non aveva dato il minimo cenno di riconoscimento e Gaara pur volendo non avrebbe potuto muoversi bloccato com’era. Lui era rimasto l’unico ancora consapevole di quello che succedeva intorno a loro, per questo non esitò a scrutare perplesso l’unico terzetto rimasto.

Hassan nonostante la mano insanguinata premuta sul giubbotto ridacchiava trascinando via Raja profusa in inchini di scuse imbarazzati. Quel ragazzo ai suoi occhi sarebbe sempre rimasto un mistero, durante uno degli allenamenti nel vecchio teatro l’aveva visto ridere con una delle lame avvelenate di Karasu infilzate accidentalmente nella sua gamba. Hassan aveva riso finché il veleno entrato in circolo non gli aveva fatto perdere i sensi.

Sotto quegli aspetti Kankuro lo trovava inquietante al pari di Gaara.

Alla sparizione dei due ragazzi si ritrovò a fissare Baki in un ringraziamento silenzioso per aver scacciato via tutte le presenze indesiderate e nonostante lo sdegno apparente mostrato dal suo maestro, fu certo di aver notato un sorriso sparire dietro la stoffa bianca.

Baki dopo aver abbandonato poco carinamente la sua marionetta accanto al fan era svanito all’istante su qualche tetto nelle vicinanze, lasciandoli alla loro privacy.

 

Kankuro accarezzò con movimenti circolari la schiena della sorella, stringendola maggiormente a sé al silenzioso sussulto oltre a far finta di non accorgersi della scia bagnata sul suo colletto.

«Mi dispiace averti fatto preoccupare»

Le scuse sussurrate flebilmente all’orecchio ricevettero in cambio una maggior pressione nella schiena, laddove le mani artigliarono con forza la stoffa della divisa. Temari scosse leggermente la testa mormorando qualcosa di incomprensibile che a Kankuro non importò davvero comprendere, in quel momento avrebbe accettato col sorriso sulle labbra pure un insulto su Karasu.

 

Le gambe non ressero più il proprio peso e Temari trascinò seduti a terra con sé i due fratelli a cui era ancora aggrappata, finendo per creare un’accozzaglia scomposta. Le ginocchia strusciarono sul terreno e fu costretta a lasciar la presa da Kankuro per non far loro del male.

Gaara finito seduto sulla gamba integra di Kankuro, piegata sulla sabbia in un’angolazione insolita, restò a fissare gli occhi arrossati senza batter ciglio.

«Non piangere» fu la dubbiosa constatazione adeguata ai sussurri precedenti.

Le dita pallide si sollevarono incerte verso il volto bagnato, bloccandosi a metà strada nell’aria pronte a tornar indietro, contorte su sé stesse all’ennesimo dubbio fino a spingersi mosse da uno sprazzo di coraggio. Goffamente l’indice accarezzò la pelle attraversata dalle lacrime scacciandola con una delicatezza che non pensava di possedere.

Un singulto soffocato lasciò le labbra di Temari contratte in un sorriso stentato.

 

Kankuro sorrise a sua volta afferrando il braccio della sorella per attirarla accanto a lui, felice di aver visto un gesto talmente inaspettato proveniente dal fratellino e il pianto di Temari finalmente attenuato. La mano scacciò l’aria alla debole rimostranza di lei nel non voler farsi vedere tanto abbattuta in un luogo così esposto, perseguendo imperterrito l’intento di passarle un braccio sulle spalle.

Quello che nessuno dei due si era aspettato furono le braccia di sabbia richiuse su tutti loro in quello che per una volta non fu all’unanimità definito un contatto spiacevole.

 

Gaara aveva finalmente trovato la sua risposta.

Non tutti potevano vantare un abbraccio di sabbia.

 

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Note finali

 

Buon compleanno Gaara! 

Sì, in qualche parte del mondo è ancora il 19 Gennaio.

La fanfiction non era stata scritta con tale intento ma colgo la palla al balzo e la pubblico come omaggio al mio personaggio preferito nella serie (non si era notato, vero?).

Questa è la prima che scrivo nel fandom di Naruto e il risultato non era proprio quello che desideravo, nella mia fantasia funzionava molto meglio ma dovevo impedire alle mie dita di cancellare nuovamente interi blocchi, quindi l’ho pubblicata. >.<

 

Come si sarà capito nella storia, Raja, Hassan e i due consiglieri sono personaggi di mia invenzione. Suna è un po’ sprovvista di componenti femminili dell’età di Temari o Kankuro o di approfondimenti sostanziosi sulla gioventù che ne fa parte, per i fini della fanfiction mi sono dovuta adeguare.

 

Detto ciò, ringrazio tutti coloro che sono arrivati fin qui dandole un’opportunità di lettura e se volete lasciare un vostro commento sentitevi liberi di farlo. 

 

Aky

 

 

 

Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Masashi Kishimoto, questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

 

   
 
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