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Autore: Will of the Abyss    20/01/2021    2 recensioni
[Toilet-Bound Hanako-kun]
Sono in ritardo! I know it, ma ho trovato i prompt in giro per i meandri dell'internet solo ora quindi che dire... spero vi piaccia!
Raccolta di drabble e flashfic.
P r o m p t s :
day 1 – doughnuts or first date
day 2 – soulmate
day 3 – college or royalty
day 4 – valentine’s day
day 5 – marriage/domestic
day 6 – reverse AU
day 7 – free day!
Possibili spoiler!
[Rating giallo solo per il sesto capitolo]
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Reverse AU
Day 6

Amane era solito passare la pausa pranzo nel giardino sul retro del vecchio edificio scolastico, un tempo curato dagli stessi studenti dell’Accademia Kamome che si prendevano cura dell’orto e dei fiori.
Un tempo, appunto. Adesso dell’orto e dei fiori dai bei colori vivaci non se ne occupava più nessuno, eppure erano lì, tenuti perfettamente in vita senza che nessuno sapesse bene a chi affibbiare il merito. Proprio per questo, negli anni, gli studenti avevano iniziato a far circolare una voce in merito a quel giardino…

“Nel giardino sul retro del vecchio edificio puoi trovare Yashiro-san,  chiunque riesca ad evocarla avrà diritto ad un desiderio. In cambio, però, prenderà qualcosa a te molto caro…”

Questa non era che una delle voce riguardanti i setti misteri di quella scuola, a cui lui certamente non credeva. Insomma, davvero pensavano che quella scuola ospitasse sette spiriti, ognuno legato ad un particolare luogo della scuola?
Stupidaggini, pensò Amane, seduto contro il tronco di un albero di quello stesso giardino.
Certo che, però, era molto curioso di sapere chi si prendesse effettivamente cura di quelle piante, perché per essere così piene di vita qualcuno doveva abitualmente venire a curarle. E soprattutto si chiedeva perché un persona dovesse avere tanto a cuore la vita di quelle piante. Anzi, più in generale, come le persone facessero ad avere a cuore una vita. Amane si portò la mano sul braccio fasciato da delle nuove bende che proprio quella mattina il professore Tsuchigomori gli aveva messo, poi portò quella stessa mano sul cerotto che aveva a coprire il taglio sulla guancia.

«Senti, Amane… perché oggi stavi parlando con quella?»
«Con… con chi?»
«Lo sai, quella ragazza ridicola che ti ha fermato mentre stavi tornando a casa. Sai, vi ho visto all’inizio della via.»
«Lei è la rappresentante della mia classe, mi stava solo chiedendo una cosa da consegnare al professore e abita non molto lontano da qui. Non-»
«Bugiardo!» gridò lui. «Sei un bugiardo, Amane!» ripeté ancora, sventolando tra le mani quelle forbici con cui, in quel momento, si stava divertendo a tagliare le ali di una farfalla – non si faceva neanche più delle domande su come fosse in grado di catturarle – senza un apparente motivo. E lui guardava quella farfalla, ormai senza più vita fra le mani del fratello, che non aveva nemmeno avuto la possibilità di poter vivere appieno quell’unico giorno che le era stato concesso. Lui aveva a disposizione anni da vivere, mentre quella farfalla solo un giorno, eppure in quel momento Amane pensava che fossero incredibilmente simili…
Improvvisamente sentì qualcosa di freddo ed appuntito poggiarsi sulla sua guancia, il viso di suo fratello davanti al suo e i suoi occhi che non ne volevano sapere di abbandonare il suo sguardo, nel quale non c’era paura, non c’era odio, no… c’era perdono.
«Tu sei mio fratello» iniziò Tsukasa, spingendo leggermente la punta della forbice contro la pelle e facendo uscire una piccola goccia di sangue, che scese fino a raggiungere il suo mento. «Sei la mia famiglia, Amane» continuò, facendo scorrere quelle forbici per un breve tratto sulla sua guancia, ma ormai lui non sentiva più dolore. Rimaneva immobile, impassibile. «Non lascerò che qualcuno porti via la mia famiglia.»

Effettivamente, se questo mistero che esaudiva i desideri fosse esistito davvero, gli sarebbe piaciuto chiedere di poterne esaudire uno e non gli sarebbe importato poi molto delle conseguenze, visto che non aveva niente da perdere. Ma si trattava solo di stupidaggini create da qualcuno a cui piaceva prendersi gioco degli altri, cose senza senso.
Però… perché non provare?
«Ma che vado a pensare! Come se chiamando questa Yashiro si presentasse magicamente lo spirito di una ragazza per davvero…» borbottò, tra sé e sé.
«Mi hai chiamata?» chiese una voce di ragazza, alle sue spalle, piuttosto allegra.
Si girò di scatto e trovò il viso di una ragazza, particolarmente vicino al suo, che lo scrutava dapprima sorridente, poi confuso ed infine un po’ deluso. Era accovacciata a terra vicino a lui, le braccia conserte sulle ginocchia, in attesa di una risposta che tardava ad arrivare.
Sul serio?
È davvero lei?
«Potresti anche dire qualcosa, sai» gli disse imbronciata.
«Tu… Tu sei…?» visto che le parole non si decidevano ad uscirgli dalla bocca, allungò una mano in direzione del braccio della ragazza, notando come questa passasse attraverso. La ragazza osservò la scena in silenzio, non particolarmente colpita dalla situazione e aspettando un qualche tipo di reazione da quel ragazzo che, era evidente, non aveva ancora metabolizzato che sì, lei era uno spirito e sì, non erano solo dicerie quelle che giravano in quella scuola.
«Quindi… ora che hai verificato tu stesso, credi nella mia esistenza?» gli chiese sorridente, il mento poggiato sulle mani.
«S-Sì» rispose Amane, ancora visibilmente sorpreso da quella scoperta. «Quindi tu sei… Yashiro-san?»
«Esatto! Sono proprio io! Vorrei dire in carne e ossa, ma come vedi, non è esattamente la mia condizione. È un po’ ingiusto, non credi? Lo trovo discriminatorio, sì sì!»
Un fantasma particolarmente loquace, si ritrovò a pensare Amane, guardando l’uniforme scolastica vecchio stampo di quella ragazza.
Solo in quel momento notò che lei avesse con se una zappa e fu invitabile per lui arrivare alla conclusione che fosse proprio lei a curare quel giardino.
«Quindi sei tu ad occuparti di questo giardino, l’orto e i fiori… sei sempre stata tu, vero?»
«Esattamente, ti piace?» gli chiese, e per un attimo gli parve di vedere nel suo sguardo una certa nostalgia. Pensò che, probabilmente, doveva essere qualcosa che era solita fare quando era viva.
Effettivamente era molto giovane, dall’aspetto. Sembrava della sua stessa età.
«Ed è vero che tu… realizzi un desiderio a chi riesce ad evocarti?»
Il sorriso sparì per un istante dal volto di quella ragazza fantasma e i suoi occhi ametista si rabbuiarono per una frazione di secondo. «Beh, sì. Hai un desiderio?»
Amane ci pensò un attimo. Pensò a suo fratello, a come lui avesse paura di perderlo e come gli fosse morbosamente attaccato, alle ferite che gli causava ogni giorno, senza ormai più ribellarsi…
Qual era il suo desiderio? Di certo non voleva far del male a suo fratello, perché… perché era pur sempre suo fratello. Poteva tagliargli un braccio, lo avrebbe perdonato comunque.
Perché lui era la sua unica famiglia, Tsukasa non aveva nessun altro al di fuori di lui.
Ma c’era anche quella parte di lui che, più volte, aveva pensato di farla finita; cosa, di preciso, non lo sapeva neanche lui. Finire la vita di suo fratello? La sua?
Forse un modo affinché non dovessero più soffrire c’era…
«Senti, come ti chiami?» chiese ad un certo punto Yashiro. Adesso il sorriso era completamente scomparso dal suo volto.
«Yugi… Amane» disse, confuso del perché glie lo stesse chiedendo.
«Amane, stai attento a ciò che desideri. Non sempre ciò che desideriamo ci renderà felici o liberi. Guardandoti, mi verrebbe da pensare che il tuo desiderio sia collegato a chi ti ha fatto quelle» disse la ragazza, indicando le bende sulle sue braccia e le ferite che celavano. «Potrebbe essere qualcosa di troppo pesante da portare sulle tue spalle da solo…»
Appena finì di pronunciare quelle parole, la campanella che decretava la fine della pausa pranzo suonò, portando Amane a voltarsi verso l’edificio e una volta che si rigiratosi Yashiro non c’era più.
Era sparita.
***

Quel giorno, fino alla fine delle lezioni, Amane non aveva fatto altro che pensare agli avvenimenti surreali che gli erano capitati. Aveva creduto di essere diventato pazzo, però ripensò a quegli occhi ametista e quei lunghi capelli biondo crema che sfumavano gradualmente in un leggero verde acqua… No, non se l’era immaginata.
Nella sua classe era rimasta solo lui, come al solito, aspettando che tutti i suoi compagni di classe andassero via prima di lui. Erano le quattro del pomeriggio e tra poco sarebbero finite anche le attività dei club. Le tende svolazzavano, mosse da un leggero vento autunnale, e nell’aula entrava solo la luce del sole che si apprestava a tramontare.
Così bello, pensò Amane, osservando il cielo e salendo, senza quasi rendersene conto sul davanzale della finestra, in piedi. Le braccia aperte, come ad accogliere quell’illusoria sensazione di libertà che provava nel sentire quel vento colpirlo in pieno volto.
Ogni tanto lo faceva, gli dava l’idea di essere libero, di poter raggiungere qualsiasi posto, luoghi che l’uomo non avrebbe mai potuto raggiungere.
Gli sembrava di poter raggiungere il cielo.
E assuefatto da questa sensazione non si rese conto di essersi avvicinato troppo al bordo di quel davanzale, finendo così per cadere nel vuoto.
Ecco, pensò, è finita.
Lascerò da solo Tsukasa.
Poi, però, si sentì come sospeso nel tempo e la vide, di nuovo: Yashiro era di fronte a lui, nella sua vecchia uniforme scolastica e teneva stretta fra le mani una lunga falce a mezzaluna.
«Vuoi che finisca così?» gli chiese solamente.
«Perché, puoi forse cambiare il corso degli eventi?»
«No, non posso. Attualmente qualcuno ha bloccato il tempo per me. Io ti sto chiedendo se tu vuoi che finisca così. Se vuoi morire.»
«Io… non lo so. Non so cosa significhi effettivamente vivere…»
«Non vuoi scoprirlo?»
Amane non seppe bene cosa rispondere. Voleva davvero scoprirlo? Scoprire come ci si sentisse ad essere davvero vivi?
Sì, sì io lo vorrei, ma…
«Ti basta pronunciare un desiderio, Amane» gli disse Yashiro, come a volerlo incoraggiare.
«Io… desidero vivere» disse e fu quasi un mormorio impercettibile, ma che comunque arrivò chiaro allo spirito.
«C’è un prezzo, lo sai vero?» gli chiese, vedendolo l’attimo dopo annuire in risposta.
Accadde tutto in un attimo ed Amane si ritrovò sul pavimento dell’aula dove si trovava poco prima di cadere dalla finestra.
Si voltò verso la finestra e Yashiro era lì in piedi, quella che prima era una lunga falce era tornata ad essere la zappa che le aveva visto in mano quella mattina nel giardino.
Poco prima le era sembrata una sorta di angelo della morte, mentre adesso, se non fosse per la sua condizione di fantasma, le sembrava una ragazza del tutto normale.
Gli si avvicinò, piegandosi sulle ginocchia e guardandolo intensamente negli occhi. Quegli occhi dai quali non riusciva a distogliere lo sguardo, così vivi che sembrava impossibile potessero appartenere ad una ragazza morta. Portò una mano ad accarezzargli una guancia, soffermandosi leggermente su quel punto dove si trovava il cerotto. Vide il suo viso avvicinarsi al suo e l’attimo dopo le labbra della ragazza si posarono proprio lì, su quella ferita che gli era stata fatta con la lama delle forbici appena il giorno prima.
Quando si allontanò con il viso dal suo, era tornata la ragazza fantasma sorridente di quella stessa mattina.
«Penserò poi al tuo prezzo. Fino ad allora, vuoi esaudire tu un mio desiderio?» gli chiese, prendendogli le mani e racchiudendole nelle proprie. Fu in quel momento che Amane si rese conto che ora poteva toccarla. Le sue mani erano piccole e… fredde. Eppure, pensò per la seconda volta nell’arco di quella giornata, sembrava una ragazza della sua età come altre, lì vicino a lui e viva.
E si rese conto che in realtà voleva sapere di più su di lei, su quei sette misteri. Sapere se erano solo dicerie o esistessero davvero tutti. Voleva sapere come fosse morta, da quanto fosse morta; perché si prendeva cura con tanta dedizione a quel giardino e anche come fosse possibile che quella che all’inizio sembrava una semplice zappa si trasformasse, in realtà, in una falce.
Si ritrovò ad annuire, schiavo di quelle curiosità che sorgevano una ad una nella sua mente ogni secondo che passava ad osservare quegli occhi che sembrava volessero scavargli fin dentro l’anima e vedere cosa ci si annidasse dentro.
Alla sua muta risposta vide un guizzo, per un attimo, nei suoi occhi di pura felicità. «Allora… aspetta, sono passati decenni e non sono più abituata. Potremmo… non so…» si bloccò un attimo, chiudendo gli occhi e riprendendo fiato «… diventare amici



N.d.a.
Che dire, questa è stata abbastanza difficile. Ammetto che parte di questa one-shot non mi convince quasi per nulla. Prima volevo terminarla molto prima di quanto sia arrivata a scrivere alla fine, poi mi son detta “no, ma così è fin troppo aperto”; successivamente avevo pensato ad un finale molto più… drammatico, ecco.
Poi mi son detta: “ehi, ma questo potrebbe essere un buon punto di partenza per una mini long dove i ruoli sono invertiti” e quindi non potevo far finire tutto in un colpo solo, non so se mi spiego.
Fatto sta che alla fine è uscita questa one-shot il cui finale mi lascia un po’ “meh”, ma che mi piacerebbe riprendere in futuro per rifarne una storia con una trama molto più approfondita e sviluppata…
Spero comunque vi sia piaciuta!
   
 
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