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Autore: PrincessintheNorth    21/01/2021    1 recensioni
Nuova edizione della mia precedente fanfic "Family", migliorata ed ampliata!
Sono passati tre anni dalla caduta di Galbatorix.
Murtagh é andato via, a Nord, dove ha messo su famiglia.
Ma una chiamata da Eragon, suo fratello, lo farà tornare indietro ...
"- Cosa c’è?
Deglutì nervosamente. – Ho … ho bisogno di un favore. Cioè, in realtà non proprio, ma …
-O sai cosa dire o me ne vado.
- Devi tornare a Ilirea."
Se vi ho incuriositi passate a leggere!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Morzan, Murtagh, Nuovo Personaggio, Selena | Coppie: Selena/Morzan
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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MURTAGH
 
Vedere Galbatorix con il sedere a terra sarebbe stata la cosa più esilarante della mia vita, se non fossi stato così sconvolto dalla situazione e dalle sue possibili implicazioni. 
Antares e Katherine erano lì, sul campo di battaglia. Il palmo di Kate riluceva ancora per l’incantesimo che aveva usato per dissipare le ombre, permettendo finalmente all’alba di mostrarsi, e aveva in volto un sorriso di sfida. Una volta atterrata, scese da Antares con un’agilità che, vista la sua condizione, non le avrei mai attribuito: il mantello nero che indossava si gonfiò alle sue spalle a causa del vento.
No, no, no …
Tutto sembrava fin troppo simile al mio sogno, anche se in realtà era completamente diverso: Katherine, tanto per cominciare, stava fronteggiando Galbatorix, non lo stava aiutando. Addosso aveva abiti diversi rispetto a quelli nei quali l’avevo sognata, ma ugualmente scuri; le uniche cose che l’accomunavano alla Kate di quella visione erano l’acconciatura (un complicato intrico di trecce che le dava un’aria piuttosto minacciosa), il potere che irradiava e la cicatrice rossastra sulla tempia destra.
Era solo un sogno, mi dissi, cercando di essere ragionevole. Non si sta avverando. I sogni sono solo sogni, proiezioni distorte della realtà e delle conoscenze. Kate indossa spesso abiti scuri, ecco perché l’avevo sognata così.
Eppure, la logicità di quell’affermazione non riuscì a scuotermi di dosso la terribile sensazione di disagio tipica di una premonizione che si sta compiendo.
O forse era solo una terribile, paralizzante preoccupazione: dopotutto, mia moglie incinta era sul campo di battaglia, di fronte ad un intero esercito e ad un nemico incredibilmente potente. Chiunque sarebbe stato preoccupato.
Rapidamente la raggiunsi con la mente e scandagliai le sue difese, in cerca di falle che andassero riempite: l’operazione mi richiese più del solito, perché erano veramente tante, ma mi lasciò soddisfatto e leggermente più tranquillo. Non c’era alcuna debolezza.
Almeno si è protetta bene.
Con la coda dell’occhio vidi Maegor inarcarsi per lanciarsi in picchiata verso Antares: all’improvviso, però, si fermò, e percepii la mente di Kate sfiorare la mia.
Per il vostro bene, vi suggerisco di stare dove siete, e magari di allontanarvi un pochino.
Poi, senza proferire parola, aprì leggermente le braccia, tenendole all’inizio all’altezza dei fianchi, e poi sollevandole fino alle spalle. In risposta a quel suo movimento, un immenso muro di sabbia si sollevò dal terreno, nascondendola alla vista di chiunque; e poi, il muro divenne un’onda.
In risposta ad un ovvio stimolo magico di Katherine, la sabbia si scagliò con violenza sull’esercito avversario, che gridò sollevando gli scudi: nello stesso istante, Antares ruggì e liberò una fiammata bianca e blu, trasformando i granelli i sabbia in terribili schegge di vetro. Per una brevissima frazione di secondo riuscii a vedere Kate, sebbene la sua immagine risultasse distorta a causa del vetro, come se si trovasse dietro una finestra ondulata; e l’attimo dopo, le urla dei soldati nemici erano di dolore. Le ferite delle schegge erano minuscole, ma profonde e molto dolorose: già sapevo che molti sarebbero rimasti ciechi.
Fino a quel momento non avevo ben capito quanto esattamente Kate fosse diventata potente: ma quando me ne resi conto, non potei impedire ad un sorriso di disegnarsi sul mio volto.
Non era più la principessa timida e per certi versi spaurita che avevo conosciuto sette anni prima, che temeva il proprio potere come la peste: era diventata meravigliosa, bellissima e potente.
Dal nostro esercito si sollevò un boato di vittoria: i soldati ruggivano e picchiavano le proprie armi contro gli scudi, intimidendo ancora di più gli avversari feriti.
«Vedo che finalmente hai imparato qual è il tuo posto» disse a Galbatorix, sorridendo con perfidia. «A terra. Sconfitto. Proprio come la merda che sei».
Il re, tuttavia, non sembrò prendersela. Con la tipica espressione paternalistica che tanto amava indossare, si rialzò e si scosse lo sporco dalle vesti.
«Lady Katherine» la salutò. «Vedo che, sfortunatamente, hai seguito l’esempio di tuo padre e della famiglia di tuo marito. Il tradimento deve scorrere nelle vostre vene al posto del sangue».
Non si mette bene, capii ed iniziai a muovermi verso di lei. Eppure, notai, nessuno stava facendo altrettanto: non mio padre, non il suo, non Castigo.
«Ne ho sentite tante, di storie sul mio sangue» Kate commentò. «Che è sporco per via di mia madre, che è di drago … ma mai che è fatto di tradimento. E io che ero convinta che fosse liquido».
Kate, smettila!, le ordinai e, sorpresa, lei si voltò a guardarmi. Avrei voluto fare parecchie cose: baciarla, stringerla, sgridarla, perché non si sarebbe dovuta muovere da Lionsgate. Ma non c’era tempo. Eravamo nel bel mezzo di una battaglia e, da quanto potevo vedere, nessuno stava venendo ad aiutarci: i soldati e gli elfi, approfittando del vantaggio che Kate gli aveva dato, si erano scagliati contro l’esercito nemico, ma Derek e papà si guardavano intorno spaesati, così come Eragon ed Arya.
«Erano qui un attimo fa» Eragon fece sconvolto. «Kate, Murtagh e Galbatorix. Erano qui!»
«KATHERINE!» Derek gridò. «Katie, Murtagh, dove siete?»
Castigo emise un guaito acuto, così spaventato e preoccupato da farmi stringere il cuore.
Non ci vedono né percepiscono, capii sconcertato. E da parte mia, sebbene potessi vederli e sentirli, non riuscivo a raggiungerli con la mente.
Un brivido gelido mi scivolò nelle ossa non appena mi resi conto di ciò che questo significava: Kate ed io eravamo completamente soli.
Qualcosa della mia espressione doveva aver lasciato trapelare i miei pensieri, perché un sorrisetto si andò formando sul volto di Galbatorix. Sapeva che avevo capito.
«Bel trucco» commentai, cercando di mostrarmi molto più spavaldo di quanto mi sentissi.
«La tua piccola puttana non è l’unica persona in grado di convincere qualcuno a non vedere ciò che è proprio di fronte ai suoi occhi. Perché non andiamo a discutere in un luogo più appropriato?» propose.
«Non ho intenzione di discutere» Kate fece, per poi evocare una lucida sfera di fuoco blu sul suo palmo e lanciarla verso il re.
Sarebbe stato un colpo mortale … se lui non l’avesse assorbito. Eppure, fu questo quello che accadde: sollevò una mano, e la sfera di fuoco si estinse fra le sue dita man mano che le chiudeva.
Forse in due …
Coprii rapidamente la distanza che mi separava ancora da Katie e, questa volta, evocai l’incantesimo insieme a lei, così da duplicarne la potenza: di nuovo, Galbatorix lo succhiò via come se fosse niente.
Ci sarà un incantesimo che non si aspetta, feci a Katherine, che annuì.
Se solo riusciamo a far vacillare il controllo mentale che ha su papà e Morzan, ci vedranno e arriveranno. Più che altro, dobbiamo riuscire a distrarlo.
E ci provammo, davvero.
Provammo ogni singolo incantesimo e sortilegio a nostra disposizione, finché non ci ritrovammo ansanti e quasi non più in grado di stare in piedi.
Ma Galbatorix rimase lì, immobile e sorridente. Il suo sguardo e la sua concentrazione non avevano vacillato nemmeno per mezzo secondo. 
Tutto il nostro potere e tutte le nuove abilità di Katherine non poterono nulla contro di lui. Rimaneva lì, in piedi, e ci fissava, ridacchiando fra sé, come se avesse a che fare con due marmocchi che facevano i capricci. Ogni nostro incantesimo, ogni manifestazione d’energia, veniva risucchiata.
Più noi lo combattevamo, più diventava forte.
Ma cos’altro potevamo fare? Arrendersi senza lottare non era una prospettiva che né io né Kate contemplavamo, e sapevo che usare le armi tradizionali contro di lui sarebbe stato, probabilmente, inutile. La magia era l’unica nostra possibilità, e ci si stava ritorcendo contro.
Murtagh …
La voce di Katherine risuonò nella mia mente, ma era venata di preoccupazione. Anche lei doveva aver capito il genere di guaio in cui eravamo finiti.
Come diavolo fa a farlo?
Non ne ho idea, lei ammise. Sto cercando di ricordare qualunque cosa … qualunque dettaglio, che possa farmi capire cosa stia succedendo. Ma …
Galbatorix aprì appena il mantello, ed immediatamente lo sguardo mi cadde sulla lucente cintura di cuoio che portava. L’avevo già vista prima … in molti libri, e anche addosso a qualcuno. Ma non riuscivo a ricordare cosa fosse.
«Ricordami di ringraziare tuo fratello, per questa» Galbatorix disse con un ghigno. «Ha perso la cintura di Beloth il Savio nei sotterranei di Dras Leona, e per un fortuito caso è finita proprio nelle mie mani. E ovviamente ringrazio voi due per tutta l’energia che avete messo nelle gemme. Mi sarà molto utile, e nutrirà gli spiriti. Nel frattempo …» disse qualche parola in una lingua sconosciuta, e sentii l’aria stringersi intorno a me, impedendomi qualunque movimento.
Ma com’è possibile? Le mie difese sono ancora attive, dovrebbero impedirlo!
Anche Kate, notai, era immobile: il suo volto era contratto nella rabbia e nella confusione.
Qualunque cosa faccia, non cercare di liberarti, le suggerii. Non sappiamo quali trucchetti nasconda quell’incantesimo.
Com’è possibile che sia riuscita a ferire tutto il suo esercito ma non riesca a fargli nemmeno un graffio?!, protestò. Non ha senso!
«Ora» commentò Galbatorix. «Andiamo a discutere in un luogo più discreto».
Approfittando della nostra incapacità di muoverci, afferrò sia me che Katherine e, improvvisamente, ci ritrovammo sull’alto promontorio che sovrastava la piana.7
Il vento, lì, era così forte e freddo da far lacrimare gli occhi. Rapidamente, controllai le possibili vie di fuga: su tre lati, il terreno finiva e basta, e ad attenderci ci sarebbe stato il mare o una caduta di almeno ottocento piedi, se non di più, che sarebbe risultata mortale. Dall’altro lato, però, c’era una foresta molto fitta: se fossimo riusciti a liberarci e a guadagnare qualche secondo di vantaggio ci saremmo potuti nascondere lì ed ingannarlo proprio come lui aveva ingannato Derek e mio padre, chiedere rinforzi e mettere la parola fine a tutta quella orribile situazione.
Se fossimo riusciti a liberarci. Considerando con quante poche forze ero rimasto, dubitavo di essere in grado anche solo di sollevare una roccia; e Kate, vista la gravidanza, non era messa meglio di me.
Una parte di me sembrava avere tutte le intenzioni di iniziare a vagare con le più terrificanti domande, ma la cacciai via. Se mi fossi messo ora a chiedermi cosa sarebbe successo a Katie ed al bambino o se sarei mai riuscito a tornare a casa dai piccoli, potevo già darmi per morto.
«Bene. Visto che siamo fra persone civili, penso di potermi permettere di liberarvi».
Veloce com’era arrivata, la costrizione intorno ai miei arti sparì. Ovviamente Katherine fece per correre verso Galbatorix per fargli capire quanto era arrabbiata, scaricandogli addosso una serie di improperi e sortilegi, ma la trattenni.
Sarebbe inutile, le dissi. Risparmia le tue forze.
La sua espressione non si mitigò per niente, ma almeno smise di contorcersi nella mia presa. Era un risultato.
Niente domande, Murtagh, mi ricordai. Non è il tempo delle preoccupazioni. Niente domande.
Eppure, ce ne fu una che non riuscii a trattenere.
Ma perché sei venuta qui? Avevi detto che saresti rimasta a casa …
«Oh, non è colpa sua, ragazzo» Galbatorix fece, e per un attimo mi chiesi, con stupidità, come avesse fatto ad indovinare i miei pensieri, e soprattutto la conversazione privata che stavo avendo con lei. Evidentemente, non ero stato così bravo a nascondere quel che provavo come credevo. Di nuovo.
«Non ha avuto altra scelta se non quella di venire qua» il re proseguì con tono mellifluo. «Trianna … è un’ottima incantatrice. È in grado di creare sogni e visioni così realistici da lasciarmi a bocca aperta».
«No …» Kate sussurrò appena, la voce tremante di paura e negazione. «Non è possibile …»
«Ma certo che lo è, mia cara. Ma d’altra parte, non è forse vero che il solo pensiero di Murtagh è sufficiente ad aprire una breccia nel tuo cuore e nella tua mente? Una volta scavato un passaggio, una volta conosciuto il tuo cuore, quanto mai sarà difficile manipolarlo? E dire che è bastata una semplice visione» questa volta rise sguaiatamente, senza preoccuparsi di nascondere la propria soddisfazione.
E perché dovrebbe?, pensai amaramente.
Aveva vinto.
Katherine ed io, ormai era evidente, non eravamo abbastanza forti o esperti da sconfiggerlo nemmeno con i nostri draghi al fianco: e guarda caso, non ce li avevamo. Morzan, Derek ed Arya erano la nostra migliore possibilità contro di lui, avendo una conoscenza magica imparagonabile a quella mia o di Kate. Sapevamo che, per sconfiggere lui e la magia degli spiriti, avremmo dovuto fare tutti gioco di squadra.
E invece, Galbatorix ci aveva fregati tutti.
«Ora» il re fece, fingendosi pensieroso. «Ho qui di fronte a me due piccoli bastardi che non sanno fare altro che sputare nel piatto in cui mangiano. Cosa potrei farne? Ucciderli sul colpo? O sfruttarli per attirare i loro genitori e poi ucciderli?»
«Non funzionerà» dissi, cercando di apparire meno spaventato di quello che ero. Belle, Killian, Evan. Non devo morire. Devo tornare da loro. «Conoscono i tuoi trucchi. Non si lasceranno ingannare».
«Ma io non ho intenzione di ingannarli» lui commentò. «Io ho intenzione di uccidere voi e loro. Ma ovviamente, tagliare le vostre gole davanti ai vostri cari padri sarà molto più divertente. Non concordi?»
«Mio padre ti prenderà a calci nel culo prima ancora che tu possa anche solo pensare di farci qualcosa» Kate puntualizzò. Non sapevo dove avesse trovato quella spavalderia, visto che fino a due secondi prima sembrava sul punto di vomitare dalla paura, ma finché era ancora in grado di lottare e di rispondergli a tono, meglio sfruttarla. In quel frangente, sia io che lei avevamo bisogno di tutto l’aiuto possibile.
«Davvero?» Galbatorix sorrise. «E dimmi, cos’ha fatto tuo padre per impedirmi di portarti ad Uru’Baen? Quando mai ti ha salvata, fiorellino
Quando pronunciò quella parola, Kate divenne improvvisamente rigidissima fra le mie braccia. Ogni colore le scomparve dal viso, contratto nel terrore. Sembrava … sembrava aver visto un fantasma.
«Katie?» la chiamai, cercando di scuoterla, ma senza risultato. Lei rimase immobile, bloccata nel panico, lo sguardo fisso su Galbatorix, che la guardava come un lupo che ha adocchiato l’agnello più tenero del gregge.
«Dov’è tuo padre ora?» le chiese di nuovo. «Dove sono il tuo papà e la tua mamma, piccola Kate? Chi verrà a salvarti?»
Bastò che nominasse Derek, chiamandolo papà, perché capissi, e mi sentissi immediatamente infuriato e disgustato.
Non le aveva mai cancellato i ricordi delle torture; aveva convinto la sua mente a nasconderli, a rifiutarli, e a riportarli alla coscienza a comando. Aveva elaborato un perfetto meccanismo per avere Kate sempre sotto il suo controllo, senza dover dipendere dalla magia: così come al cane bastava la vista del bastone per smettere di abbaiare, a Galbatorix bastava una parola per distruggere Katherine.
«N-nessuno» Kate sussurrò con un filo di voce, spostando lo sguardo sulle proprie mani. «Nessuno».
«Katherine» la chiamai e, per buona misura, le diedi una scossa. Non potevo permettere che il re la manipolasse in quella maniera. «Kate, amore, non ascoltarlo. Ti sta riempiendo la testa di bugie …»
Ma lei scosse la testa, mentre nei suoi occhi spuntava qualcosa di nuovo, qualcosa che mai avrei voluto vedere: l’orrore. «Tu le stai dicendo» sibilò. «Le hai sempre dette. Hai detto che mi amavi, ma … ma non sei mai arrivato! Sei tu il bugiardo qui!»
«Non alzare la voce» Galbatorix le ordinò. «O sai cosa ti aspetta, Katherine».
Immediatamente, lei serrò le labbra e annuì, abbassando la testa. «Per favore, no» mormorò. «Fa … farà male».
«Se ti comporterai bene, non sarò obbligato a punirti» il re commentò. «Dipende da te, mia cara».
Fu a quel punto che decisi di averne abbastanza.
Potente o no, non potevo permettere a quel mostro di distruggere mia moglie come aveva distrutto me e centinaia di altre persone. La magia non aveva funzionato, e sapevo che usare la spada molto probabilmente non avrebbe avuto effetti migliori, ma era la mia unica, ed ultima, possibilità.
L’occasione era perfetta: era così occupato a tormentare Katherine e a ridere della sua espressione spaventata e delle sue lacrime che non si sarebbe mai accorto di me. In silenzio, scivolai alle sue spalle ed estrassi Varya dal fodero.
“Dannato sia il giorno in cui urlerai prima di sferrare un colpo, ragazzo” le parole di Tornac risuonarono nella mia mente, forti e chiare come il giorno in cui le aveva pronunciate. Erano passati anni dalla mia prima lezione di scherma, ma quell’insegnamento mi era rimasto particolarmente impresso. Nelle ballate gli eroi urlavano sempre prima del colpo mortale; se non lo facevano, di solito perdevano. Avevo imparato a mie spese che, in realtà, era tutto il contrario.
Per il puro gusto di farlo, Galbatorix sollevò una mano: Kate gridò di terrore e si accucciò a terra, portandosi una mano al volto ed una al pancione …
Ed io mulinai la lama verso la base del suo collo, imprimendo nel colpo ogni singola goccia di forza che mi era rimasta.
L’attacco si bloccò a circa un pollice di distanza dalla pelle, e sarei stato un idiota a non aspettarmi un qualsiasi tipo di difesa fisica: ma almeno si voltò verso di me, il volto contratto nello shock e nella furia.
Non aveva tempo di tormentare Katie se doveva combattere me.
«Non impari mai dai tuoi errori, vero?!» sibilò, per poi brontolare qualcos’altro in quella lingua sconosciuta che, avevo capito, lo aiutava a controllare la magia degli spiriti. Dal terreno si sollevò danzando una piccola nube di particelle scintillanti e, un attimo dopo, lui aveva in mano una lunga spada scura.
Adesso è in grado di forgiarsi armi dalla terra, sospirai. Meraviglioso.
Mi attaccò, urlando e mulinando la spada in un fendente diretto alla mia testa: un colpo che schivai abbastanza facilmente, abbassandomi e spostandomi a sinistra al momento giusto. In quella lotta, i miei unici vantaggi erano l’abilità e la resistenza: sapevo che Galbatorix non era bravo quanto me nell’arte nella spada, e per fortuna ero più giovane ed allenato di lui.
Sfortunatamente, dalla sua lui aveva la magia oscura, quella degli spiriti e la maledetta cintura di Beloth il Savio, che ora custodiva anche gran parte delle riserve energetiche mie e di Kate.
Non esattamente uno scontro alla pari: ragion per cui, mi stupii di essere ancora vivo dopo un minuto di duello. Certo, avevo parecchie ferite ed escoriazioni, ma non ero l’unico: a causa della violenza dei colpi, le difese di Galbatorix si stavano esaurendo rapidamente, per cui, grazie ai sortilegi di cui Varya era intrisa e a quelli che stavo utilizzando io stesso, riuscii a fargli perdere sangue in ben più di un’occasione.
«Maledetto traditore!» gridò nuovamente, stavolta mirando più in basso, verso le gambe. Un colpo che, di nuovo, fui in grado di evitare con relativa facilità, saltando in alto. Le stoccate ed i fendenti arrivavano con la rapidità tipica di un duello combattuto all’ultimo sangue, il genere di scontro che si vuole finire il prima possibile e con la minor quantità di lividi. Il problema era che non ero in grado di determinare un sufficiente vantaggio per vincere: grazie alla maggiore esperienza che Galbatorix aveva nell’uso delle arti oscure, riusciva a parare ogni mio colpo.
Improvvisamente, lo vidi perdere l’equilibrio per un secondo. La sua espressione si contorse nel terrore, e seppi che quella era la mia occasione.
Invece di mirare alla sua testa, mirai alla vita, e più precisamente alla cintura.
Senza quella, potevo essere in grado di batterlo.
La lama di Varya tagliò il cuoio e la corda di cui era fatta la cintura di Beloth come se fossero acqua, e questa cadde a terra, sotto lo sguardo attonito del suo ultimo possessore. L’attimo dopo, un getto di magia blu scuro la colpì, spedendola giù dal promontorio e dritta nelle tumultuose acque del mare.
Con la coda dell’occhio, vidi che Kate sembrava più o meno essersi ripresa: nonostante fosse ancora visibilmente spaventata dalla presenza di Galbatorix, ora che ricordava ciò che lui le aveva fatto, sembrava un po’ più propensa all’ucciderlo che all’accontentarlo.
Questa è la mia Kate.
Ma forse non avrei dovuto permettere a quei pensieri di vagare troppo liberamente.
«MURTAGH, ATTENTO!» la sentii urlare, e mi voltai un attimo troppo tardi.
Il dolore esplose nella mia gamba sinistra come un barile pieno di polvere da sparo. Era riuscito a ferirmi in due punti, entrambi nella parte posteriore; sulla coscia e sul polpaccio, così che non fossi in grado di sostenere adeguatamente il mio peso nella lotta … o in generale. Gli bastarono altri due colpi per mandarmi a terra, in ginocchio.
È finita, capii. Non tornerò mai più a casa.
«Guarda bene, Katherine …» sentii Galbatorix dire. Feci per sollevare almeno la testa per poterla vedere un’ultima volta, ma il re se ne accorse, e con un unico movimento infilò la punta della spada sotto la placca che proteggeva il mio addome, sfruttando la piccola apertura sul fianco. La lama perforò la cotta di maglia e arrivò alla pelle, lacerandola appena sotto l’ombelico.
Non era un taglio mortale, ma era sufficientemente profondo da impedirmi una posizione eretta.
Morirò senza rivedere Kate e i bambini.
«Questo è il prezzo dell’insubordinazione».
Il re sollevò la spada e chiusi gli occhi, prendendo un respiro, preparandomi per il colpo finale.
Sarà rapido, pensai. Più facile che addormentarsi.
Ma invece del colpo, arrivò un suono umido, terrificante, che avevo sentito tante, tante volte: quel genere di suono che ti fa rabbrividire di paura, che ti riempie le ossa di gelo. Il suono della carne attraversata da una lama.
Quel rumore fu seguito da quello di un unico ansito, rapido ed acuto, colmo di dolore.
Aprii gli occhi, e ciò che vidi mi paralizzò dall’orrore: di fronte a me, di spalle, c’era Katherine.




 
   
 
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