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Autore: Fiore di Giada    22/01/2021    1 recensioni
[Sandokan]
Decine di candele illuminavano l’ampia stanza e la preghiera monotona di un frate si mescolava al greve aroma dell’incenso.
Lui, Yanez, seduto a sinistra del letto di suo madre, le sfiorava la mano scheletrita. Gli sembrava di galleggiare in un incubo.
Eppure, quella era la realtà.
Ma la sua mente di bambino non riusciva ad accettarlo.
Quella creatura debole, consumata dal colera, non poteva essere sua madre.
Lei, malgrado la sua corporatura sottile, era una donna indomita e coraggiosa.
Ad un tratto, gli occhi di lei si erano aperti e si erano fissati su di lui, lucidi d’amore.
Il dolore aveva dilaniato il suo cuore di bambino. Per un istante, la consapevolezza era riverberata nel suo sguardo, annebbiato dalla malattia.
I suoi sentimenti per lui non erano mutati, malgrado gli atroci dolori da lei patiti.
[I nomi dei genitori di Yanez, il suo background e la sua regione di provenienza è mia invenzione. Semi what if introspettivo. Almeno credo.]
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La luce della luna penetrava da una finestra semiaperta della capanna e si posava sul pavimento, illuminandolo di deboli riflessi argentati, mentre il debole respiro del vento increspava le tende.
Il silenzio di Mompracem era interrotto dal canto dei pappagalli, a cui si sovrapponevano i richiami delle scimmie e i ruggiti dei predatori notturni.
Yanez, seduto sotto un grosso albero di tamarindo, greve di frutti, osservava il paesaggio. Come sempre, il sonno non giungeva il ventisette aprile per lui.
Gli incubi del suo passato tornavano a tormentare la sua mente.
Si irrigidì e, invano, cercò di frenare un singulto. Per fortuna, in quel momento, riposavano tutti.
Nessuno avrebbe veduto la malinconia del suo volto.
E a lui andava bene così.
Con ostinato pudore, copriva le sofferenze del suo animo indossando la maschera di un giullare.
Si alzò in piedi e fissò l’astro notturno, che illuminava il velario blu cobalto del cielo, libero da stelle.
Se non fosse per il clima, penserei di essere nell’Algarve. – mormorò, malinconico. La bellezza di quella notte faceva riemergere nella sua mente i ricordi della sua infanzia…
Eta nato a Ericeira, da una dignitosa famiglia di pescatori, ed era stato costretto ad aiutare suo padre fin da piccolo…
La sua vita era stata dura, ma il suo genitore, in quei momenti sfibranti, non gli aveva mai fatto mancare una carezza.
Alcune lacrime tremarono sulle ciglia di Yanez. Era cresciuto, quei giorni erano lontani, ma non riusciva a dimenticare quel tocco…
E, in alcune occasioni, gli mancava.

Avevano concluso la loro giornata di pesca e stavano ritornando sulla terraferma.
Suo padre, ritto sulla prua, fissava lo sguardo diritto davanti a sé.
Di tanto in tanto, il suo sguardo di fanciullo si posava sulla sua figura alta e imponente. La vita del pescatore era parecchio dura, ma lui aveva sempre mostrato un senso dell’orientamento e del comando notevoli.
Inoltre, il suo istinto lo avvertiva dei mutamenti del tempo con una precisione quasi assoluta.
Non sembrava umana quella sua dote.
Si sentiva sicuro sotto il suo sguardo ceruleo, attento e vigile.
Ad un tratto, la grande mano di suo padre si era posata sulla sua testa e gli aveva scompigliato i capelli.
Cosa c’è, Yanez? – gli aveva domandato.
Papà, perché quando eravamo in mare tu guardavi sempre il cielo? Cosa stavi cercando? – aveva chiesto.
Un mezzo sorriso aveva sollevato le labbra sottili dell’uomo.
Cercavo la via. E la via, per noi naviganti, è l’Orsa Maggiore. Quando sarai in mare, ricordalo sempre, figlio mio. –

Accennò ad un debole sorriso. Paulo de Gomera era un gran lavoratore e non aveva paura di rischiare, pur di dare un sostentamento adeguato a sua moglie e a suo figlio.
Si rammaricava di non riuscire a dargli la possibilità di frequentare la scuola, ma a lui non importava.
Adorava quell’esistenza faticosa, dolorosa, ma a contatto con l’azzurra immensità dell’oceano.
E poi c’eri tu, mamma… – mormorò. Paulo de Gomera era un uomo roccioso e forte e, come sua sposa, aveva scelto Adriana Pereira, figlia unica di un negoziante di Ericeira.
Anche lei, malgrado il suo aspetto etereo e fragile, era dotata d’una tempra rocciosa, che ben risplendeva nei suoi occhi neri, simili a carbonchi.
Sostenuta da tale carattere, riusciva a tenere testa a suo padre, quando discutevano.
Eppure, oltre i loro caratteri fumantini, si amavano e si rispettavano.
Le lacrime tremarono nei suoi occhi e il giovane, con un gesto deciso del braccio, le allontanò. Non voleva ammetterlo, ma vedeva nei suoi genitori un ideale d’amore forte e immune al logorio del tempo…
Non erano ricchi, eppure riuscivano a vivere con dignità ed erano paghi di quello che avevano.
La mascella di Yanez si irrigidì e un ruggito di rabbia impotente salì sulle sue labbra. Quel quadretto idilliaco, costruito sulle rocce dell’Algarve, al compimento dei suoi undici anni, si era sgretolato, colpito da una crudele malattia…
Il colera, col suo atroce di sofferenze, aveva ucciso prima suo padre, poi sua madre, a distanza di sette mesi l’uno dall’altro.

Decine di candele illuminavano l’ampia stanza e la preghiera monotona di un frate si mescolava al greve aroma dell’incenso.
Lui, Yanez, seduto a sinistra del letto di suo madre, le sfiorava la mano scheletrita. Gli sembrava di galleggiare in un incubo.
Eppure, quella era la realtà.
Ma la sua mente di bambino non riusciva ad accettarlo.
Quella creatura debole, consumata dal colera, non poteva essere sua madre.
Lei, malgrado la sua corporatura sottile, era una donna indomita e coraggiosa.
Ad un tratto, gli occhi di lei si erano aperti e si erano fissati su di lui, lucidi d’amore.
Il dolore aveva dilaniato il suo cuore di bambino. Per un istante, la consapevolezza era riverberata nel suo sguardo, annebbiato dalla malattia.
I suoi sentimenti per lui non erano mutati, malgrado gli atroci dolori da lei patiti.
Ti voglio bene, bambino mio… Vivi la tua vita e non avere rimpianti… – gli aveva detto, la voce palpitante di dolcezza.
Aveva sgranato gli occhi, sgomento, poi le sue mani si erano strette attorno a quella di lei. La mamma gli aveva parlato con la sua solita tenerezza, ma lui non riusciva a comprendere il senso di quelle parole…
Gli sembravano così lontane, prive di significato, e lui bramava solo il suo ritorno in piena salute…
Era un desiderio doloroso, crudele, straziante, ma irrealizzabile.
Un sorriso aveva sollevato le labbra della mamma, poi il suo corpo si era abbandonato nella morte.

Yanez strinse le braccia sul petto e il suo corpo si irrigidì, mentre il vento scompigliava i suoi capelli.
Quel ricordo, per lui, era devastante e la pena premeva nel suo cuore, come una belva bramosa e prigioniera.
Il tempo gli aveva permesso di crearsi una nuova famiglia, nelle lontane terre d’Asia, eppure quel senso di vuoto permaneva.
Ti invidio, fratellino. – mormorò. Il suo amico Sandokan, malgrado le sue sofferenze, aveva conosciuto l’amore di Marianna e questo sentimento aveva riaperto in lui la paura dell’abbandono e della solitudine.
Inoltre, non poteva negare di provare invidia per il loro legame, perché in lui e in Marianna vedeva il legame d’amore da lui visto quando era un fanciullo.
Quel sentimento gli rimembrava l’amore tra suo padre e sua madre.
Aveva avvertito una mancanza orribile e, per questo, si era esibito in una patetica scenata di gelosia.
Si avvicinò ad un albero e, per alcuni istanti, fissò delle orchidee bianche, venate di rosa, da cui si spandeva un inebriante profumo.
Ho invidiato qualcosa che cerco anche io… Quanto sono stupido. – mormorò. Anche lui desiderava stringere un legame amoroso, simile al sentimento che aveva unito i suoi genitori…
Eppure, perché gli sembrava una utopia?

Una mano, ferma, si appoggiò sulla sua spalla destra e il giovane, colto di sorpresa, sussultò e si girò.
Ah, sei tu… – affermò, perplesso, vedendo il volto di Sandokan.
Il principe malese corrugò la fronte, stranito, e la sua bocca si piegò in una linea diritta. Il suo fratellino bianco non era mai stato così serio e malinconico, se non quando era stato usato come un burattino da Suyodhana.
Eppure, in quel momento, i suoi occhi cerulei erano oscurati dalla malinconia, ma il suo cuore era libero dalle magie del crudele capo dei thugs.
Quale pensiero turbava il suo amico? Perché non gli rivelava la verità?
Mi sembra che tu abbia visto un fantasma. Che cosa ti rende così triste? – chiese, premuroso. Desiderava conoscere la ragione della tristezza del suo amato fratellino.
Si era perdutamente innamorato di Marianna Brooke, nipote del governatore di Labuan, ma non si era dimenticato del suo compagno portoghese.
E gli dispiaceva vedere il suo volto, di solito sorridente, piegato in una espressione melanconica.
Quella statuarietà, sul suo volto, era innaturale e lui desiderava aiutarlo.
Yanez accennò ad un sorriso sottile. Gli faceva piacere una tale premura, ma non riusciva a parlare al suo amico della sua infanzia.
Si sentiva indegno di paragonare il suo passato a quello del suo amico, ben più tragico e tormentato.
Prese il coltello e lo fece roteare tra le lunghe dita, con gesti pigri. Forse, poteva raccontare a Sandokan un frammento di verità…
Ti invidio. Tu hai trovato la tua metà perduta, amico mio e l’hai trovata in Marianna. Avete un legame forte, che nulla può distruggere. – spiegò, calmo.
Sandokan, per alcuni minuti, fissò sull’amico uno sguardo smeraldino, indagatore, poi le sue labbra sottili si sollevarono in un sorriso comprensivo. Yanez non gli aveva spiegato la ragione completa della sua pena, ma non voleva forzarlo.
Ne era sicuro, si sarebbe liberato del suo distorto pudore dei sentimenti e avrebbero condiviso ogni aspetto dell’esistenza.
Non essere triste. Anche tu troverai la metà perduta del tuo cuore. Forse, ti sta aspettando e non lo sai. – lo incoraggiò, sincero. Yanez, oltre la sua maschera ironica e strafottente, nascondeva un cuore gentile e un animo eroico.
E lui ben conosceva questi suoi pregi.
Un uomo come lui avrebbe attirato le attenzioni delle donne e Yanez avrebbe potuto costruire un legame amoroso saldo, capace di sfidare il tempo e le avversità.
Yanez, a stento, frenò un singhiozzo e, di scatto, posò la mano sulla spalla destra dell’amico.
Ti ringrazio, Sandokan. –











   
 
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