LE
ALI DELLA FARFALLA
*
Capitolo 12 – Sensi di colpa
*
Marinette
non credeva ai suoi occhi.
Rilesse
circa una decina di volte quel messaggio, per assicurarsi di averne compreso
bene il testo, e soprattutto da chi poteva essere stato spedito.
Era
anonimo, le chiedeva se fosse disponibile ad incontrarlo al parco dietro la
scuola alle quattro, sapeva che Adrien, avrebbe avuto lezione di scherma, e che
fino alle cinque sarebbe stato impegnato in palestra, quindi di conseguenza,
lei sarebbe stata disponibile se solo lo avesse voluto.
Nascose
il telefono giusto in tempo prima che Adrien la raggiungesse sulla panchina
della scuola, con in mano il sacchetto che conteneva il pranzo di entrambi, con
lui anche Nino ed Alya, un gesto che non sfuggì di certo all’amica.
“Chi
ti ha scritto? Hai una faccia?” Chiese assottigliando gli occhi.
“Mia
nonna, le hanno ritardato il volo ed è molto arrabbiata” Inventò.
“Facciamo
qualcosa oggi tutti e quattro?” Domandò Nino addentando il panino al sesamo
imbottito di bresaola e insalata.
Adrien
sospirò “Ho lezione di scherma oggi, però se volete possiamo fare domani, che
dite?”
“Sarebbe
perfetto” Disse entusiasta Alya per poi guardare la sua amica “…ci sei anche tu
vero?”
“Dove
volete che vada?”
“Certo,
ora abitate insieme” Le lanciò un’occhiata complice, non aveva ancora avuto
modo di parlare con Marinette, sapeva solo che Adrien, dopo una litigata con
suo padre, aveva cercato conforto nella sua amica, e che questo abbia fatto si
che i due si riavvicinassero? Che avesse capito che essere solo amici, non fosse
una buona idea?
Questi
dubbi che l’assalivano, la stava logorando dentro, ma per quieto vivere, aveva
deciso di tacere, anche se significava uno sforzo non indifferente.
Per
fortuna c’era Nino che la sopportava e la supportava, era stato proprio a causa
di quest’ultimo che stava tenendo a freno la lingua e ingoiando rospi su rospi
solo per rispettare la loro privacy.
Erano
sicuri che ben presto avrebbero scoperto le carte in tavola, rivelando che
infondo stavano insieme.
Solo
che non riusciva ancora a capire il motivo per il quale si fossero lasciato
qualche settimana fa, eppure sembravano molto affiatati, a tal punto a volte,
di finire le frasi dell’altro.
“Quando
tornerai a casa? E’ chiaro che non potrai stare sempre da Marinette, a meno che
non progettate di andare a vivere insieme”.
La
mora si stava quasi per strozzare con un pezzo di prosciutto cotto “Nino!”
Esclamò cogliendola di sorpresa, quella sarebbe stata un’uscita degna di Alya,
ma si vede che lo stare insieme a lei, lo stava influenzando, e di parecchio.
“Non
lo so amico, e non ne voglio parlare, scusami” Si alzò prima che potesse dire
qualcosa di cui si sarebbe sicuramente pentito poco dopo, ma non riguardante i
suoi amici, ma qualcosa che aveva a che fare con suo padre.
Marinette
lo raggiunse dopo aver assicurato ai suoi amici, che ci avrebbe pensato lei, e
detto a Nino di non rammaricarsi.
“Quella
non me la racconta giusta…non sembra comportarsi come solo un’amica”. Imitò con
l’indice e il medio di entrambe le mani le virgolette.
“Dici?”
“Ne
sono sicura”.
*
Con
grande stupore dell’uomo, Marinette si era presentata all’appuntamento e in
perfetto orario, cosa che apprezzò, la puntualità era tutto per lui, sia in
ambito lavorativo che in quello personale, anche se si trattava di una ragazza
di sedici anni.
“Ciao,
Marinette, grazie p…”. Si alzò per aiutarla a sedersi, da bravo galantuomo qual
era.
“Si
risparmi i convenevoli, sono qui solo per Adrien”. Si accomodò accanto a lui,
mantenendo una certa distanza, e non solo a parole.
“Te
ne sono grato”.
“Arrivi
al punto”.
Per
quanto odiava ammettere, ma quella ragazza gli piaceva, forte e decisa, le
ricordava la sua Emilie, ed è per questo che suo figlio stravedeva per lei.
“Voglio
che mio figlio ritorni a casa” Suonò come una supplica.
La
mora increspò un labbro “Glielo sto ripetendo da giorni”.
“Però
non mi troverà”. La interruppe prima che potesse continuare a parlare.
Marinette
sobbalzò a quelle parole e chiese spiegazioni.
“Ho
già predisposto un tutore che si prenderà cura di lui finchè non sarà
maggiorenne ed erediterà tutti i nostri averi, purtroppo qui non abbiamo
parenti, e i più vicini sono a Londra, ma non voglio privare mio figlio dei
suoi amici più cari e di te”. La guardò quando pronunciò quell’ultima parola.
“Lei
cosa farà?” Chiese preoccupata mordendosi le unghie della mano.
“Farò
quello che è giusto, marcirò in galera. Dopo che ti avrò salutata, andrò a
costituirmi e lo farà anche Nathalie”.
A
Marinette si strinse il cuore, quell’uomo amava suo figlio più di qualsiasi
altra cosa al mondo e voleva solo il suo bene, abbassò lo sguardo e torturò i
pantaloni di jeans all’altezza delle ginocchia.
Non
poteva permettere che Adrien soffrisse ancora, non avrebbe sopportato il fatto
che suo padre fosse finito in prigione solo per dargli una vita migliore.
Aveva
già perso sua madre, e sarebbe stata dura per lui vivere anche senza suo padre.
“No,
non lo deve fare” Balbettò.
“E’
la cosa giusta, per tutto il male che ho causato a mio figlio, a te e alla
città di Parigi”.
“Signor
Agreste, sono sicura che lei non è una cattiva persona, e capisco perché lo ha
fatto”.
“Chiamami
Gabriel” La corresse facendole dono di quella confidenza, che solo a Nathalie
aveva accordato.
“Gabriel…”
Lo accontentò parlando lentamente per quella confidenza che gli aveva concesso
“…Adrien non merita di soffrire ancora e ha bisogno di suo padre accanto”.
“Non
mi perdonerà mai per quello che ho fatto, per quello che ha dovuto sopportare
per causa mia, me ne sono reso conto solo ora”.
“Ha..hai”
Si corresse “…provato a contattarlo?” Sapeva che se lo avrebbe fatto, Marinette
ne sarebbe ci certo stata informata, ma quella domanda era d’obbligo.
Lo
stilista scosse la testa “Preferisco non farlo, e sarai tu a dirgli di cosa
abbiamo parlato”.
Marinette
inarcò un sopracciglio mentre le saliva il nervoso “No, no, no e poi no. Mi
puoi chiedere tutto, ma non posso comunicare ad Adrien che suo padre non ha
avuto il coraggio di dirgli addio”.
Aveva
ragione, maledettamente ragione, questo compito non spettava di certo a lei.
“Ha
detto che per lui sono morto”
“Mi
dispiace, ma…” Non sapeva come avrebbe continuato quella frase, quando la
interruppe.
“Amavo
sua madre più di qualsiasi cosa al mondo, è stata l’unico amore della mia vita.
C’eravamo incontrati al liceo, ed è stato come amore a prima vista, anche se il
nostro rapporto non è stato facile all’inizio, lei mi rifilava spesso un due di
picche senza tanti complimenti” A Marinette sembrò di aver già vissuto tutto
questo, con l’unica differenza che del suo futuro, non conosceva niente.
“…perderla
in quel modo è stato un duro colpo, soprattutto perché è stata colpa mia”.
“Com’è
successo?” Chiese timidamente.
“Adrien
non te lo ha detto?” Fece eco lui.
Lei
scosse la testa “Ho sempre volutamente evitare l’argomento”.
“Si
ammalò gravemente a causa dell’utilizzo del miraculos del pavone”.
“Come?
Fanno ammalare?” Se fosse così, anche lei ed Adrien sarebbero in pericolo di
vita.
“No,
no. Solo se sono danneggiati, e quello lo era, li avevamo trovati quando
eravamo stati in Tibet”.
“A
che cosa vi servivano i miraculous?”
Gabriel
si massaggiò gli occhi “Li avevamo trovati per caso durante un’escursione prima
di sposarci, io ero alla ricerca di stoffe per la mia collezione e…eravamo giovani e stupidi”
Marinette
lo invitò a continuare il racconto.
“…abbiamo
cominciato a trasformarci per gioco, ci sembrava tutto così innocente, non
facevamo del male a nessuno. All’inizio ero catturato dai costumi, incuriosito
dal materiale, dalle loro rifiniture, mi serviva un modo per trarre ispirazione
per le mie creazioni”.
“Quindi
la storia che mi aveva raccontato quando le ho restituito il Grimorio era
vera”.
“Si
esatto” Gabriel si sistemò gli occhiali sul naso “Poi, un giorno fu troppo
tardi per tornare indietro”.
Il
cellulare di Marinette iniziò a suonare, segno che la lezione di scherma
sarebbe finita tra un po’, spense l’allarme con un solo gesto.
“Devo
andare, tra un po’ Adrien uscirà dalla palestra”. Si alzò in piedi e si sistemò
la borsetta sulla spallina.
“Si,
certo, ti ho già rubato fin troppo tempo”.
“Non
mi hai rubato proprio niente, se non avessi voluto, non sarei venuta.” Poi si
fermò a guardarlo prima di andarsene “Per la cronaca, sono stata qui nelle
vesti di Marinette e non in quelle di…si…insomma, tu sai chi”.
“Lo
sospettavo che eri tu, e ti ringrazio”. Ancora quello sguardo triste, quello di
un padre che crede morto un figlio, non sopportava vederlo dipinto sul suo
volto, figuriamoci in quello di Adrien.
Deglutì,
e già si stava pentendo di quello che stava per dire “Non andartene, aspetta
qui. Farò fare una deviazione a tuo figlio, così avrete modo di parlare”.
L’euforia
del momento, mista a preoccupazione, fece desistere il suo mentore ad
abbracciarla scoppiando a piangere, finalmente avrebbe rivisto il suo Adrien,
come avrebbe reagito non gli importava, ma solo la consapevolezza di sapere che
lo avrebbe potuto anche solo dirgli un banalissimo ciao, si sentì lo stomaco in subbuglio, come se stesse andando al
suo primo appuntamento.
*
Marinette
lo aspettava infondo la scalinata, seduta sull’ultimo scalino con i gomiti
appoggiati alle ginocchia e le mani chiuse a pugno a schiacciarle le guance.
“E’
da molto che i aspetti?” Le chiese sedendosi accanto a lei, dopo che i due
hanno salutato Kagami.
“No,
ho finito in tempo delle commissioni, altrimenti questa sera non avremo cenato”
Si alzò e si pulì la parte dietro dei pantaloni “…andiamo?” Chiese porgendogli
la mano.
“Andiamo”
Disse in tono rassegnato, no che gli dispiacesse stare da Marinette, anzi in
quei giorni lo aveva aiutato tanto dandogli modo di sfogare la sua rabbia e
frustrazione, ma doveva trovare presto un’altra sistemazione, non poteva
approfittare ancora della sua gentilezza e disponibilità, anche perché i suoi
genitori sarebbero presto tornati dall’Italia.
Marinette
gli fece fare una deviazione per il parco, con la scusa di godersi quegli
ultimi raggi solari della giornata e il sole che stava lasciando Parigi.
Adrien
si fermò di colpo quando vide suo padre seduto da solo su quella panchina, con
la faccia da cane bastonato.
“Forse
è meglio che torniamo indietro” Disse, ma Marinette gli si parò davanti.
“Va
da lui, è tuo padre”.
“Cosa?
Ti sei messa d’accordo con lui? Alle mie spalle?” Chiese furibondo sentendosi
preso in giro.
“Adrien!
Lei non c’entra, sono stato io, ti prego, ascoltami” Gabriel corse in aiuto
della ragazza che si stava addossando una colpa che non aveva.
“Non
voglio stare qui a sentire altre assurdità” Scansò Marinette con delicatezza,
ma venne bloccato per un polso dal padre.
“Cinque
minuti, non chiedo altro”.
Adrien
guardò la sua ragazza che lo supplicava con lo sguardo di starlo a sentire, che
per lei era importante.
“Va
bene” Disse in tono rassegnato e allo stesso modo offeso.
Marinette
disse al biondo che lo avrebbe aspettato a casa, e dopo avergli stampato un
tenero bacio sulla guancia, si defilò, lasciando padre e figlio da soli a
parlare.
*
Adrien
se n’ era appena andato e a Gabriel non restò altro che vederlo sparire dietro
l’angolo che aveva appena girato, si sentiva più leggero e più sereno dopo
quella conversazione.
“Sto
ancora aspettando i tuoi ordini” Una voce familiare dietro di lui, gli stava
parlando, nascosta da una quercia.
Sapeva
di chi si trattava, non si girò per non darle soddisfazioni.
“Non
ho più bisogno di te”. La liquidò senza tanti complimenti, ora aveva altre cose
a cui pensare, e non a una ragazzina repressa e in cerca di attenzioni.
Si
alzò e s’incamminò nella direzione opposta a quella di Adrien, l’autista lo
avrebbe aspettato nel luogo prestabilito.
Lila
Rossi digrignò i denti, era appena stata usata e gettata via come un sacco per
la spazzatura.
“Stai
pur certo, che sentirai ancora parlare di me Gabriel Agreste, so cosa nascondi
e cosa hai fatto…la vendetta è un piatto che va servito freddo”. Grugnì in un
sibilo.
*
continua