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Autore: ArwenDurin    24/01/2021    1 recensioni
Hannigram 13 anni, che si incontrano all'orfanotrofio dove stette Hannibal nel canone
Hannigram più soft per via dell'età (per quanto essendo gli Hannigram qualcosina di sanguinolento ci sarà XD) e perché in parte ispirato ai Patrochilles della Canzone di Achille, da cui il titolo, il resto del rapporto tra Hannibal e Will è ispirato...A Hannibal e Will XD
Dal racconto:"Poggiò una mano sul vetro, di riflesso Hannibal fece lo stesso al suo lato: connessi su una linea parallela senza toccarsi, uno specchio che rifletteva i volti di entrambi distorti dalle goccioline di pioggia, ma così riconoscibili l’uno per l’altro."
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Hannibal Lecter, Will Graham
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fissò la valigia chiusa per qualche secondo prima di decidersi a prenderla, era da solo nella camera da letto mentre gli altri ragazzi erano a lezione, alcuni insegnanti avevano dato alla possibilità a Will di accompagnarlo ma sapeva che l’altro non avrebbe accettato, odiava quella valigia e non voleva vederla.
Hannibal tirò un sospiro, poggiò la lettera che aveva scritto per l’altro sotto il suo cuscino che carezzò con le punta delle dita, e poi cancellò ogni emozione dietro una maschera di apparente calma.
Con passi calcolati senza fretta né lentezza, si incamminò verso l’ufficio del direttore, mentre le parole della lettera lasciata poco fa, scorrevano ancora davanti ai suoi occhi:
Will, noi siamo tutti soli confermo queste mie parole ma lasciami aggiungere dei versi a questi amari che ti dissi, penso che lo siamo di più quando neghiamo a chi teniamo di vivere con noi, in noi e nei nostri cuori. Tu ed io siamo oramai uniti, le nostre menti sono uguali e potranno sempre comunicare e potremmo trovarci l’uno nell’altro, in ricordi sussurrati in una stanza della mente. Non importerà la distanza, il luogo, o l’anno, noi ci ritroveremo sempre. La mia compassione per te è elevata, ma non tanto da spingermi a dirti queste cose come falsa consolazione, che poi svanirebbero come parole dette al vento, ciò che ti dico è la verità, un intima verità che tu potrai vedere se guarderai dentro te.
Come quel patto che facemmo quel giorno, niente può dividerci, Will.
Quindi my hear companion, citando l’Iliade, così ti saluto, con fiducia nel fatto che mai ti perderò. Tu sarai sempre il mio Patroclo.
Hannibal.
 
Arrivato all’ufficio ci entrò subito non volendo esitare ulteriormente, trovando poco cortese fare attendere, e trovò una donna elegantemente vestita di bianco che si voltò verso di lui. Un viso candido lo accolse ma senza dimostrargli affetto apertamente almeno, furono i suoi occhi neri che glielo comunicarono.
«Ciao, Hannibal. Sono Lady Murasaki.»
La sua voce era dolce, un misto tra felicità e compostezza mentre gli porgeva la mano, davanti ad un direttore che li guardava, specialmente quest’ultima, con troppo interesse. Hannibal capì e poggiò la valigia per stringerle la mano che e le abbozzò un sorriso.
Quando raggiunsero il cortile dirigendosi verso il cancello nero e il taxi che li aspettava, sentì come se il suo cuore fosse accoltellato, passo dopo passo perdeva sempre più sangue…per quanto aguzzasse le orecchie, non sentiva l’amico chiamarlo.
Strinse forte la valigia, mascherando tutto dietro un espressione di impassibilità mentre dentro di lui moriva pian piano, quand’ecco che improvvisamente si fermò e lasciò la valigia a terra; il direttore borbottò qualcosa ma non lo avvertì nemmeno, Lady Murasaki si stoppò di rimando ma non disse nulla, mentre Hannibal si voltò.
Lì a pochi passi dall’entrata dell’orfanotrofio, c’era Will che lo guardava, non l’aveva chiamato non c’era stato bisogno che lo facesse, lui l’aveva avvertito ugualmente, nella sua pelle e nella sua anima, connessi com’erano al di fuori delle parole e delle banalità. Passarono alcuni istanti e poi si mossero l’uno verso l’altro, lentamente, per quanto Hannibal volesse correre verso di lui si frenò non volendo dare ulteriore spettacolo.
Non ci volle molto prima che fossero l’uno di fronte all’altro, negli occhi di Will poté vedere il riflesso dei suoi stessi sentimenti, si abbracciarono fortemente e sempre più stretti secondo dopo secondo. L’altro poggiò il viso nel suo collo e respirò il suo odore mentre Hannibal faceva lo stesso, chiudendo gli occhi e annusando i suoi ricci, la sua pelle, quel suo sapore agrodolce unico che voleva portare con sé.
Nulla poteva dividere quell’abbraccio tanto stretto dove tutto aveva di nuovo un senso per il giovane Lecter, e nessuno dei presenti provò a farlo… non seppe quanto durò ma non ebbe importanza, null’altro l’aveva. Quando i loro occhi si incontrarono poté seguire il suo sguardo azzurro dirigersi alle sue labbra, ed Hannibal sentì un brivido percorrergli la schiena e l’impeto chiamarlo, quando spostò i suoi occhi ambrati nelle labbra così ben disegnate dell’altro ma nessuno dei due si mosse.
Il direttore si avvicinò a loro e così si staccarono, e prese per le spalle Will, una stretta fin troppo forte mentre parlava.
«È tempo che il tuo amico vada.»
Hannibal avrebbe voluto strappare quelle mani dal suo Will, e dal disagio che vedeva scritto nel viso dell’amico, fortunatamente il direttore interruppe quel contatto velocemente lasciando libero il giovane Graham di guardarlo nuovamente.
I loro occhi si salutarono silenziosamente, dicendosi le parole che soltanto loro due potevano conoscere, prima che Hannibal si allontanasse, prendesse la valigia, e si dirigesse alla macchina dove entrò con Lady Murasaki.
Non si voltò nel finestrino per osservarlo, semplicemente si appoggiò al vetro del taxi scuro e si immerse nei suoi pensieri, la donna non gli chiese nulla del ragazzo che con tanto ardore aveva abbracciato e per tutto il viaggio stette in silenzio.
Soltanto una volta i suoi occhi si scontrarono con quelli scuri di lei, ma di nuovo non azzardò domande né vide curiosità di porle, soltanto un piccolo sorriso sincero per lui. Hannibal la ringraziò con un cenno del capo, provando del rispetto nuovo per qualcuno di adulto nella sua vita che fosse all’altezza di meritarlo, dopo i suoi genitori, e tornò a guardare il paesaggio alberato che si distanziava dando il posto alla città.
 
 
Si ritrovò a fissare il soffitto, l’alba tingeva i muri bianchi di un rosso pallido e si alzò dal letto, cercando di non guardare di fianco a sé per non trovare soltanto il lato di una camera vuota ad osservarlo con in fondo, una solida scrivania di legno scuro.
Si diresse in bagno buttandosi sotto il getto di doccia calda e chiuse gli occhi, assorbendo le gocce d’acqua su di sé, era il terzo giorno che non dormiva e poteva dire che era colpa del letto nuovo, della nuova città e casa annessi, ma sarebbe stato soltanto ammettere il lato meno pressante. Sapeva che il freddo che sentiva dentro non si sarebbe attenuato nemmeno con una doccia bollente, era l’assenza di dita che sfioravano le sue, occhi chiari che lo salutavano ogni notte al fianco del suo letto, e complicità, dove ora c’era solo il resto della camera.
Pensare a Will steso nel suo letto nell’orfanotrofio da solo a provare le stesse sensazioni, e vederlo con il volto rigato di lacrime in un pianto silenzioso che scuoteva il suo corpo, rendeva le sue notti insopportabili. Spesso nel silenzio che capitava nelle sue giornate, Hannibal si guardava la mano sinistra e con la punta delle dita sfiorava la cicatrice di quel patto indelebile, la sentiva “pulsare” come fosse viva e pugnalata al suo stesso modo; aveva la visione di sangue che gocciolava giù fino a svanire nella realtà.
Tirò un sospiro e uscì dal bagno con l’angosciante sensazione che avrebbe dovuto farci l’abitudine di nuovo a quella solitudine, a non essere ascoltato e visto, e pian piano sarebbe diventato sopportabile. Si accorse di una luce in salotto e trovò Lady Murasaki sveglia e intenta ad occuparsi di un piccolo bonsai tra le sue mani, non era insolito trovarla immersa tra fiori profumati e piante di cui con delicatezza si prendeva cura, a Hannibal piaceva persino osservarla, lo era soltanto l’ora ma chiedere era sconveniente e non lo avrebbe mai fatto.
«Hai passato un’altra notte insonne, vedo.» Non lo guardò continuando a tagliuzzare le parti che dovevano essere tolte della pianta.
«Vieni, ti va di aiutarmi?»
A quel punto alzò lo sguardo scuro e penetrante sul suo, porgendogli delle forbici ed Hannibal le prese, osservando il suo polso fine sbucare dalla vestaglia di seta che indossava.
Si sedette su un cuscinetto a terra vicino a lei, e Lady Murasaki gli passò un altro bonsai, mostrandogli le parti da tagliare.
«Bravissimo, sei molto delicato.»
Non era un complimento superfluo il suo, o semplicemente detto per farlo stare meglio, se c’era una cosa che aveva capito della donna di fianco a sé era che non mentiva, cosicché si sentì ben orgoglioso di avere una delicatezza forse simile alla padrona di casa.
Alzò lo sguardo soltanto un istante per osservare al meglio il suo operato, in confronto della pianta della Lady, quando i suoi occhi incontrarono il fuoco del camino che stava poco più in fondo rispetto a loro.
Su di esso cuoceva qualcosa, dell’innocuo tè, ma improvvisamente i suoni si fecero più acuti, e apparvero delle voci maschili a urlare e litigare tra loro
 
“Dobbiamo mangiare.”
“Prendete la bambina.”
 
L’urlo atroce di Mischa che spaccò ogni cosa, e fece sì che il suo dito si tagliasse con la forbice che aveva in mano.
«Hannibal!»
Lady Murasaki fu prontamente da lui, togliendogli l’oggetto tagliente e prendendogli la mano sanguinante con preoccupazione, Hannibal sbatté le palpebre con un cipiglio a coprire il suo volto perché era da anni che non gli capitava qualcosa di simile, non da sveglio almeno.
Sapeva che tutto ciò derivava dallo stress che aveva subito in quei giorni, e alla mancanza di sonno, ma il fatto che non potesse controllare il suo pensiero lo scosse, racchiudendolo così tanto nei suoi pensieri che soltanto quando sentì dell’acqua sfiorare la sua ferita, si ricordò della presenza della donna di fianco a lui che aveva preso il necessario per curarlo.
A quel punto la guardò destreggiare con la ferita con la stessa delicatezza di cui si occupava delle piante, e lei alzò lo sguardo sul suo.
«Un giorno vorrei che parlassi con me, non subito, non ora, ma quando vorrai farlo sarò qui. Potrai fare scorrere le parole come un fiume, le accoglierò e le ascolterò.»
Hannibal la ringraziò di nuovo con un cenno del capo e Lady Murasaki accennò quel sorriso a cui si stava abituando, prima di togliere il contatto visivo.
 
 
Se Dio esiste, passerebbe le sue giornate al Louvre, frase piuttosto famosa con cui il giovane Hannibal Lecter non poté che trovarsi d’accordo dopo aver percorso vari corridoi e stanze piene d’arte d’ogni dove, assorbendone le emozioni e sensazioni che scaturivano da quadri e statue. Era lì insieme a Lady Murasaki, perché la donna l’aveva premiato per la borsa di studio ottenuta, e che presto l’avrebbe condotto agli studi di medicina all’università che voleva fare. Gli dedicò la giornata completamente: andarono all’opera dove videro il Faust e pranzarono insieme prima del museo, Hannibal indossava uno smoking nero elegante che era appartenuto a suo zio e poteva dirsi felice quel giorno con la Lady. Avevano legato molto e la considerava più una fonte d’ispirazione che sua zia e lei dal canto suo, per quanto era protettiva e dolce, lo trattava da uomo che in esso vedeva. In sua compagnia e pazienza, aveva ripreso a parlare abbastanza velocemente dopo un anno, e tutto scorreva come doveva andare mentre cercava di costruirsi una vita, affinando i suoi gusti e preferenze. Al giovane Lecter era sempre piaciuta l’arte e l’eleganza, e stando insieme a lei né imparò di nuove persino nella natura: dalla delicatezza dei fiori, riconoscendoli dal profumo, a vari tipi di uccelli nella sua bellezza, pura e fragile, come gli ortolani che del canto tanto soave entrambi si deliziavano.  Imparò a combattere persino con una katana che aveva già usato…ma questa era un’altra storia.
In quel momento si trovava in una saletta circolare del museo, i muri erano impregnati di blu e c’era poca gente con lui, Lady Murasaki si era allontanata per rivedere un quadro che l’aveva colpita per conto suo, così il ragazzo aveva avviato il walkman che portava spesso con lui, e si era disperso tra altri quadri e opere insieme ai suoni di liriche e composizioni classiche.
Era tutto calmo e pacifico e si sentiva sospeso in un mondo d’arte senza nessun pensiero, quand’ecco che qualcosa attirò la sua attenzione, in un angolo della stanza c’era una statua di un uomo seduto, ne aveva viste tante quel giorno ma quella scultura lo colpì più di ogni altra. Si avvicinò lentamente, un brano di Chopin era partito mentre sentiva il mondo cadere via, ad ogni passo che faceva verso quel ragazzo in pietra seduto graziosamente su una roccia, il Desterrado di Soares Dos Reis,uno scultore portoghese lesse nella targhetta sotto di lui. Non conosceva quell’opera e non avrebbe mai voluto conoscerla, per la voragine che gli aprì nel petto quando incontrò il suo viso. Era così dolce, come se non fosse scolpito nella pietra ma fosse fatto di carne, con i ricci che contornavano il suo volto e che parvero prendere forma più li osservava…e negli occhi spenti d’un tratto poté vedere un colore accendersi, un azzurro dalle mille sfumature di blu, che cambiavano sempre sotto i raggi del sole e della luna. Un sorriso nascosto donato solo a lui, al posto di labbra di marmo e il suo nome echeggiò tutt’intorno, chiamato con varie tonalità ed emozioni. Improvvisamente quella statua si mosse assumendo le sembianze di colui a cui tanto assomigliava, un fiore apparve nei suoi ricci fattosi castani, e la sinfonia di Chopin li avvolgeva nella loro stanza segreta mentre lo sguardo di lui non si staccava da Hannibal immerso a suonare per loro.
“Hannibal, ti prego.”
Avvertì quelle labbra premere sulle sue, sentì la passione divorare il cuore di entrambi.
Will…
Sentì il bisogno contenuto nel suo abbraccio stretto e infinito, e il profumo agrodolce che gli apparteneva.
«Mylamisis.»  
Si ritrovò a sussurrare nel vuoto e tornò alla solitudine di quel momento, lui svanì e la statua tornò immobile e ferma dov’era sempre stata, Hannibal nel frattempo si era avvicinato ad essa senza saperlo e del freddo lo avvolse. In quel momento si accorse del battito accelerato del suo cuore e di che frase avesse sussurrato in lituano, a colui che più di amico era, importante e significativa che pensava non avrebbe mai detto.
Con fretta si tolse le cuffie dalle orecchie stoppando il notturno in B Major di Chopin e la statua tornò immobile, per quanto era ancora così lui che dovette deglutire l’emozione che lo stava devastando e distogliere lo sguardo.
«Hannibal.»
Lady Murasaki gli fu vicino, la vide con la coda dell’occhio guardare la statua e poi di nuovo guardare lui, e Hannibal sapeva esattamente cosa stava per chiedergli.
«Va tutto bene.»
Le rispose in anticipo, un sorrisetto forzato sulle labbra mentre si accorse che la sua guancia destra era stata solcata da una lacrima bagnata di ricordi, così si allontanò sbattendo le palpebre. Voltò le spalle alla Lady e a Will Graham formato statua, potendo finalmente asciugarsi quei ricordi dolorosi, che gli trafiggevano il petto così forte da farlo smettere di respirare.
«Ho soltanto bisogno d’aria, se vuoi scusarmi...»
«Ti accompagno.» Lei gli fu nuovamente vicina e percorsero l’uscita del museo in silenzio.
Will… non l’aveva di certo dimenticato, aveva provato a pensarlo di meno per non privarsi il sonno e riuscire a raggiungere al pieno i suoi obiettivi con lo studio, ma nei silenzi lui era sempre presente.
Per i primi mesi si scambiarono persino delle lettere: Hannibal gli raccontava i posti che vedeva e cosa sentiva il più possibile, l’altro di canto suo rispondeva con lettere più corte ma sempre ricche di domande e stati d’animo. Non c’era bisogno che cadessero nel sentimentale, visto che c’era il rischio che quelli dell’orfanotrofio potessero leggerle, ma erano impregnate in esso ad uno sguardo attento. In ogni emozione, domanda di Will o nelle parole di Hannibal su quanto fosse bello un luogo, un posto, una situazione, erano sussurrati i vari “mi manchi, vorrei che fossi qui.”
Il giovane Lecter non avrebbe smesso di scrivergli in realtà, se non fosse che ad un certo punto fu il suo amico a non rispondergli più, pensò che da una parte volesse dimenticarlo e dall’altro che fosse fuggito, possibilità probabile conoscendolo come lui lo conosceva.
Raggiunsero la piazzetta vicino alla piramide di vetro, nel suo denso significato di illuminare un ingresso nel sottosuolo, il sole li colpì con i suoi raggi caldi, creando piccoli cristalli lucenti in quella scultura. Il tempo era sereno e il cielo aveva il riflesso degli occhi di Will…stettero ancora un po’ in silenzio l’uno a fianco all’altra, finché Lady Murasaki non gli poggiò una mano delicata sulla spalla.
«Lo pensi ancora, non è vero?»
Hannibal respirò il venticello fresco che sfiorava entrambi, lo sguardo perso da qualche parte ancora scombussolato da ciò che era accaduto, era abituato a tenere le sue emozioni sotto controllo e ci era riuscito per quasi un anno. Aveva raggiunto i 17 ed era un uomo oramai, ma in quel momento la sua assenza era così tanto presente che sarebbe potuto cadere a pezzi, come una tazzina da tè.
E fu in quel momento che realizzò ciò che doveva fare: chiudere la stanza della memoria che gli apparteneva, non ci sarebbero stati più momenti di spontanea volontà in cui si sarebbe chiuso con Will Graham lì dentro. Doveva chiudere tutto a chiave perché non poteva più permettere una reazione del genere e forse da un lato, lo fece persino per vendetta nei suoi riguardi.
Lui e Lady Murasaki non aveva mai parlato di Will per quanto c’era dell’interesse da parte sua a iniziare un dialogo, erano in un luogo pubblico in quel momento così Hannibal ne trasse vantaggio, non costretto a risponderle su ciò che voleva sapere e il suo volto divenne impassibile.
Riuscì a guardarla con un sorriso, celando ogni cosa.
«È stata una persona importante, lo sarà sempre ma da domani ho un futuro da inseguire.»
Lo studio, la personale vendetta per sua sorella che stava portando avanti…doveva concentrarsi su questo.
Lady Murasaki tolse la mano dalla sua spalla, un sorriso di risposta appena accennato.
«Non dimenticarti chi sei Hannibal, non annegare nella vendetta… può essere più pericolosa di un coltello.»



Angolo Autrice: Ciao a tutti, ebbene eccoci giunti a 6 capitolo!

Pensare a Will da solo in quell’orfanotrofio mi fece piangere, giusto per dire,  per ciò che Hannibal sentiva e vedeva e Will prova🤧…
Dico soltanto che il pezzo dell’abbraccio è tra i miei fav, per l’amore, devozione, e totalità di appartenenza che Hannibal e Will hanno l’uno per l’altro che 🥺💗💗

p.s. La scultura che nomino, non è presente nel museo del Louvre ma guardatelo (il link su è cliccabile) e ditemi che non è Will 💗💗, ho dovuto metterlooo.

Grazie a chiunque leggerà e/o commenterà😊

 
   
 
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