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Autore: Ciuscream    25/01/2021    9 recensioni
La prima volta che si ritrovarono tutti e tre all'interno del dormitorio di Grifondoro, lo capirono all'istante: loro erano quelli giusti, i pezzi - inevitabilmente diversi - di un puzzle che poteva comporsi solo unendosi. Nella testa di undicenni elettrizzati i pensieri non erano esattamente questi, no. Ma la forza di calamita che li teneva insieme parlava per loro, spiegava per loro. Non si erano detti nulla di particolare, si erano semplicemente visti e si erano semplicemente scelti. Lo sapevano, in qualche anfratto nascosto di testa, cuore e pancia, che – come moschettieri, come malandrini – avrebbero potuto dare e ricevere, uno all’altro, uno dall'altro, in un mutuo ed equo scambio. Avrebbero potuto completarsi – reciprocamente.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James Potter, Remus Lupin, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Testa, cuore, pancia
 
La prima volta che si ritrovarono tutti e tre all'interno del dormitorio di Grifondoro, lo capirono all'istante: loro erano quelli giusti, i pezzi - inevitabilmente diversi - di un puzzle che poteva comporsi solo unendosi. Nella testa di undicenni elettrizzati i pensieri non erano esattamente questi, no. Ma la forza di calamita che li teneva insieme parlava per loro, spiegava per loro. Non si erano detti nulla di particolare, si erano semplicemente visti e si erano semplicemente scelti. Lo sapevano, in qualche anfratto nascosto di testa, cuore e pancia, che – come moschettieri, come malandrini – avrebbero potuto dare e ricevere, uno all’altro, uno dall'altro, in un mutuo ed equo scambio. Avrebbero potuto completarsi – reciprocamente.
 
Lo sapevano.
Divisi erano tre ma insieme...
insieme erano mille.
 
 
Testa - Il controllo
 
Se un lupo mannaro ti morde quando sei solo un bambino, la sofferenza per la tua condizione si moltiplica. Non sei ancora in grado di pronunciare correttamente tutte le parole, di compiere perfettamente ogni movimento, di articolare discorsi di indubbio senso compiuto e, soprattutto, non hai ancora giocato a sufficienza. Per questo, per una creatura a cui la vita ha a malapena insegnato la disciplina e la coscienza del proprio corpo, le dolorose, incontrollate e spaventose trasformazioni stravolgono ogni regola fino a quel momento fastidiosamente assimilata. 
Prova a spiegare, ad un bambino di cinque anni, che cos'è una condanna a vita. Un bambino conosce le punizioni, sì. Ma sa bene che le punizioni seguono qualche azione cattiva, qualche errore di distrazione di troppo. 
 
“Perché? Che ho fatto di male, mamma?”
“Nulla, Remus. Prova a riposare un po’, adesso.”
 
Se l'era chiesto spesso, fissando con apprensione il calendario lunare, quale fosse stato il suo errore. Quale il suo reato, per quella condanna così dura, così prematura e così inaspettata. Non aveva mai trovato una risposta. Non l’avevano trovata i suoi genitori, che avevano continuato meccanicamente quel ruolo, intorpiditi da quella natura, spaventati per la sua e la loro sorte. Costretti a cambiare, di anno in anno, casa ed amicizie, recidere le neonate radici e trasferirsi altrove, per nascondere agli altri – e un po’ a loro stessi – che cosa era diventato loro figlio.
Remus gli leggeva in faccia quanto quella condizione li ripugnasse. Certo, era sempre il loro bambino ed era senza colpe, era la vittima di una vendetta. Ma… quel ma lo aveva sempre punto talmente tanto nel vivo, all’interno delle pieghe del cuore, che aveva deciso di diventare – nel resto della vita, quella da semplice bambino prima, da ragazzo e uomo poi – una persona quadrata, misurata, controllata, mite. Non voleva che i suoi genitori credessero che quel veleno che gli scorreva nel sangue avesse infettato ogni parte di lui, rendendolo una bestia incapace di amare o ricevere amore. Si era addestrato al controllo. Lo ripugnava talmente tanto il pensiero che durante le trasformazioni sarebbe sono stato un folle animale senza scopo, che prese a misurare ogni passo della e nella vita. Si allenò alla mitezza, alla pazienza, alla rassegnata accettazione. Quella che aveva dovuto mettere su per accogliere il nuovo sé stesso, per riuscire ad aprire gli occhi ogni mattina e non rivolgere ogni pensiero alla sfera piena e brillante della luna. Era questo bagaglio che teneva nel baule, insieme alla divisa, alle penne d’oca e alla montagna di libri di scuola. Era questa la lezione che la vita gli aveva così duramente impartito.
James e Sirius sembravano impermeabili, invece, a quel suo tentativo di frenare la loro esuberante frenesia: incontrollati, scanzonati, liberi. Il primo era stato un bambino amato e viziato, per cui i divieti erano sempre stati pochi e poco incisivi. L’altro era stato l’esatto opposto: i divieti erano sempre stati così tanti e così permeanti, che appena saggiata un po’ di libertà lontano dal raggio d’azione della madre, l’indole malandrina era esplosa incontrollata. Loro combinavano disastri, lui metteva le pezze. Loro finivano in punizione, lui indossava la spilla da Prefetto.
Ma Remus se ne accorgeva nei piccoli dettagli che il pezzo di puzzle che lui rappresentava era indispensabile all’equilibrio di quel trio: ormai, prima di fare qualsiasi cosa che reputavano vagamente pericolosa o proibita o scorretta, ne cercavano lo sguardo e l’approvazione, saggiandolo con una deliberata aria di sfida. Lo notava da come Sirius si tratteneva sempre un po’ di più, prima di esplodere e appendere qualcuno a testa in giù, fargli raddoppiare la testa o fargli sgorgare copioso muco dal naso – tranne con Severus, quell’odio non era mai riuscito a sedarlo. Però con James sì. James, che detestava quell’essere untuoso che aveva posato gli occhi su ciò che più ardentemente desiderava, era andato a riprenderlo a metà di quel corridoio sotterraneo. Aveva abbandonato le immagini in cui gioiva di un Piton spaventato, ferito; era arrivato a salvarlo. E non lo aveva fatto per salvargli la vita, Remus ne era sicuro. Nemmeno per salvarla a sé stesso. Lo aveva fatto per Remus. Perché quella vita che aveva faticosamente ricondotto nel tracciato del metodico controllo, della paziente mitezza, non fosse distrutta – un’altra volta – nell’unico momento in cui non poteva decidere chi essere, in cui era totalmente, completamente, incontrollato, incontrollabile.
 
 
Cuore - L'amore
 
Quando nasci dopo che i tuoi genitori hanno perso la speranza di avere figli, non sei solo un figlio, sei una benedizione. James era sempre stato trattato da tale. Era stato invaso, fin dalla culla, da un’ondata di affetto così densa, che poteva a volte annegarci dentro. Era stato assecondato ogni suo desiderio, benvoluta ogni sua aspirazione, incoraggiata ogni sua dote. Era cresciuto scanzonato e solo, indiscusso detentore del cuore dei suoi genitori, che lo avevano riempito di attenzioni e cure, le più accorte, le più sicure. Non c’è da sorprendersi – loro non si erano sorpresi – che le poche e blande barriere e le inarrestabili premure, lo avessero reso vagamente arrogante, vanaglorioso. Non se ne curava; non se ne accorgeva, forse. E finiva per combinare un guaio dietro l’altro, protetto dalla consapevolezza ferma che sarebbe stato sempre, immancabilmente, perdonato.
 
“Perché? Che ho fatto di male, mamma?”
“Ma niente, amore mio. Sei solo un po’ monello!”
 
Era sempre vissuto con l’idea che ogni sua emozione fosse accresciuta, ingombrante, strabordante. Dalla Lettera per Hogwarts aveva sperato, con ogni centimetro quadrato di pelle, di finire in Grifondoro, perché solo lì, secondo lui, erano destinati quelli in grado di sentire così tanto. E lui sentiva il cuore da tutte le parti. Lo sentiva nelle mani, mentre le immergeva nell’acqua gelida del lago, mentre stringeva il boccino dopo una picchiata o le dita contro il legno della bacchetta. Lo sentiva sul viso, quando l’aria della corsa sulla scopa gli sferzava tagliente le gote o il sole pallido di marzo gliele arrossava appena. Lo sentiva nelle narici, quando la torta alla melassa arrivava dalle cucine o quando Lily Evans sedeva proprio davanti a lui, lasciando una scia di arancia e gelsomino. Lo sentiva nelle orecchie, quando la folla rossodorata ululava il suo nome con gioia e riconoscenza o quando, nel bel mezzo della notte, si svegliava e sentiva il respiro pesante dei suoi amici. Lo sentiva negli occhi, quando si ritrovava a sbirciare di nascosto gli altri due, intenti a darsi qualche pacca sulle spalle, qualche gomitata d’intesa o qualche spinta di disappunto. Lo sentiva quando incocciava nella cascata di capelli color rame, che attiravano magnetici il guizzo delle sue pupille. Lo sentiva salire fino alla gola, ad ingolfargliela di troppe parole per riuscire a dirne qualcuna sensata, per riuscire a reprimere – per un po’ – il modo in cui era stato cresciuto, per smettere di essere così tanto. Perché non da tutti, non ogni cosa, poteva essergli perdonata.
Remus e Sirius non erano avvezzi all’amore, se ne era accorto fin da subito. Non ne aveva compreso i motivi, inizialmente. Non sapeva come si potesse essere stati non amati, non capiti. Ci aveva messo un po’ a convincerli a schiudersi, a lasciarsi andare al calore dei sentimenti positivi. Remus aveva vissuto in solitudine la sua condizione, era stato allontanato dagli altri, per proteggerli e per proteggerlo. Perché nessuno avrebbe capito, nessuno avrebbe accettato. Nessun genitore avrebbe voluto un figlio a fare magie accanto ad un piccolo lupo mannaro, nessun insegnante avrebbe voluto a mettere a repentaglio la sua classe, nessun amico lo avrebbe voluto a dormire sotto il suo letto a castello. E si era nascosto, lo aveva nascosto a quei due occhi tanto diversi per colore e forma dai suoi ma così simili nello scintillio che li animava. Sirius, invece, era stato cresciuto nell’aridità di una casa buia, nella penuria di sorrisi. Si era come disabituato, all’amore. Si era disabituato a preoccuparsi per qualcuno, a che qualcuno si preoccupasse davvero per lui. Non del suo nome, non del suo status. Di lui. James conosceva entrambi, conosceva ogni piccolo loro segreto e glielo aveva detto, in qualche contorto modo, che li amava. Non così esplicitamente, non sono concesse queste debolezze fra maschi tredicenni. Gli aveva detto che amare è come allacciare le scarpe a qualcuno. Devi unire le stringhe, stringerle bene perché non si lascino più. E, per farlo, devi necessariamente abbassarti, chinare un po’ la testa. Aveva aggiunto che lui, per loro, si sarebbe sempre chinato ad allacciare le scarpe.
Aveva capito che quella malattia dell’amare li aveva contagiati quando Remus aveva confessato loro di essere un lupo mannaro. Sapeva che lo aveva fatto solo per la inebriante certezza che nessuno dei due se ne sarebbe andato, per la inebriante certezza che, se era giunto a quella confessione, nessuno li avrebbe mai potuti separare. Di Sirius lo aveva capito da tempo ma la conferma era arrivata quando si era presentato davanti a casa, con niente se non la bacchetta e qualche galeone in tasca. Aveva suonato alla sua porta, lo aveva aspettato e poi, al suo sguardo interrogativo, aveva semplicemente risposto che non aveva nessun altro posto dove andare. Ma, James lo capì, voleva dire altro. Voleva dire che non sarebbe voluto andare in nessun altro posto.
 
 
Pancia - Il coraggio

Quando nasci come primogenito in una delle Sacre Ventotto, non hai molta scelta. La strada, quella che hai impressa nei geni, scritta col sangue nelle tue vene, è segnata, è tracciata. Ci sono obblighi, ci sono oneri. Ci sono delle aspettative da tenere alte, sangue da tenere puro, regole da imparare con la disciplina marziale del rispetto incondizionato a quella causa. Se sei poco incline all'ubbidienza, però, poco incline alle lusinghe della purezza del sangue, la strada che ti si era parata davanti, disegnata, potrebbe diventare sconnessa, tortuosa, irta di ostacoli e peripezie. E, per affrontarle, se sei solo un bambino, serve una gran dose di coraggio.
 
"Perché? Che ho fatto di male, mamma?"
"Farei prima a dire cosa hai mai fatto bene, Sirius."
  
Quando l'amore viene a mancare, quando essere figlio risulta solo un’espressa volontà di sottomissione, rimanere confinato nei recinti – per chi ha sempre avuto l'istinto di animale – è complesso, è soffocante. Quando riconosci negli occhi di tua madre un non velato disprezzo per il modo in cui non tieni dritte le spalle, non abbozzi convenevoli cortesi, non attecchiscono in te generazioni di ideali, essere figlio è soltanto una gabbia da cui speri di evadere. Premuta sotto la coltre dell'essere un Black, la vita di Sirius correva spenta, non riuscendo a vedere in quelle cinque lettere tutta la fulgida luce della nobiltà. E allora la ribellione era sorta spontanea, naturale; si sentiva annegare, schiacciato sotto metri di acqua toujours pur, e aveva fatto semplicemente quello che gli era sembrato normale fare: aveva iniziato a nuotare, sbattere i piedi, cercare di riemergere. Con ogni contrapposizione, ogni ribellione, ogni screzio metteva un tassellino in più verso la sua libertà, affondava centimetri in quel muro d'acqua. Essere diventato un Grifondoro aveva spinto una zampata letale alla pressione; sapere di essere amico di un lupo mannaro, la seconda. Certo, non era stato così immediato. Quando sei bersagliato di storie fin da quando sei in culla, storie di superiorità e di sdegno verso il diverso, per quanto tu ti senta ribelle, per quanto tu ti ritenga migliore, quelle un po' attecchiscono, frizzano sulle mani di bambino, si insinuano fra le pieghe del cervello. Ma Sirius non le aveva lasciate vincere. Con lo stesso coraggio con cui poi avrebbe abbandonato la sua casa e la sua famiglia, aveva allungato una mano, l'aveva stretta, si era poco preoccupato di cosa avrebbe portato la luna piena. Quello davanti a lui non era altro che il suo amico. Niente di più, niente di meno.
James e Remus erano sempre stati ammirati dal coraggio di quel viso arrogante, dalla sua lucente ribellione. Il primo era stato sempre rinchiuso in una bolla di protezione ed amore, in cui le concessioni erano tante, le occasioni di rottura minime. Non aveva mai osato spingersi troppo in là di quello che sarebbe stato concesso e poi perdonato. L'altro, del resto, aveva rinchiuso il coraggio dentro la stanza in cui era rinchiuso lui stesso, quando la luna era piena. Il suo coraggio era ormai lacero, dolorante, sfinito. Non ne aveva più, gli era servito per trasformarlo in accettazione. E, adesso, si sentiva minacciato da ogni situazione insolita, così stanco di sentirsi sulle spine, di avere la paura elettrizzante del rischio. Sirius aveva restituito ad entrambi la gioiosa forza del coraggio, della trasgressione, dell'infrangersi di vetri e regole. James aveva letto nel suo sguardo l'eco di quella forza che aveva già intravisto sul loro primo Hogwarts Express e l'aveva, incondizionatamente, condivisa da subito. Remus, che il coraggio lo declinava diversamente, si era fatto forte del controllo e dell'amore, per arrivare a dare loro in mano quel segreto che lo frustava da dentro le viscere. Lo aveva seppellito così a fondo, che aveva avuto bisogno di tutto il coraggio che possedeva per spaccare gli strati di negazione e vergogna con cui lo aveva ricoperto, per riversarlo addosso ai due amici. Insieme, lo avevano raccolto, per scegliere di diventare Animagi, sotto il naso di Silente, contro ogni regola. 
Per amore, con coraggio, senza controllo – per quelle poche ore di luna piena.
Dopotutto, immancabilmente, insieme.


 
 
“Noi siamo come una Creatura Magica, capito? Una potente, inarrestabile.
Dovremmo fonderci, dovremmo trovare il modo di sommare i nostri poteri”.
Si bloccò, guardò gli altri due. “Tu sei la testa…” e indicò Remus, “Tu, il cuore” e indicò James
e, puntandosi il dito al petto, “Ed io la pancia. Non può fermarci nessuno, uniti.”
 
 
James sentì la porta crollare, divelta dall’incantesimo di Voldemort. Sentì il suo odio investirlo violento, sentì le gambe tremare di una paura antica e di nomi che gli rimbombavano nella testa: Harry, Harry, Harry. Lily. Harry. Poi vide solo il verde fulgente fiottare dalla bacchetta che aveva puntata contro, le parole nemmeno le udì.
Sirius sentì il gelo scendere quando i dissennatori arrivarono per scortarlo ad Azkaban; tutto quello che aveva avuto, nella sua vita, di prezioso ed importante – James, Remus, Lily, Harry, la certezza nell’eterna fedeltà dei suoi amici – gli era stata strappata via. La sua vita stava per essergli strappata via.
Remus era di fronte alle macerie della casa di Godric’s Hollow e fissava il muro scoppiato dalla potenza della morte, dal moto dell’odio e del tradimento. James era morto, Sirius li aveva ingannati. Gli unici due pilastri portanti della sua vita erano crollati e tutto il resto era rovinato dietro a loro.
In loro, non c’era più controllo, non c’era più amore, non c’era più coraggio.
 
Lo sapevano.
Insieme erano mille ma divisi...
Divisi erano (solo) tre.
 
 
 
 

Nda: Questa storia è nata nel contesto dell'iniziativa Scrivimi del gruppo Fb "Caffè e calderotti". Il prompt che mi è stato suggerito dato da Rosmary è questo:
“Personaggi: direi i Malandrini o comunque personaggi legati da un forte legame di amicizia
Prompt (obbligatorio): "Le persone capitano per caso
nella nostra vita,
ma non a caso.
Spesso ci riempiono di insegnamenti.
A volte ci fanno volare alto,
altre ci schiantano a terra
insegnandoci il dolore…
donandoci tutto,
portandosi via tutto,
lasciandoci niente." di Alda Merini
Nota: missing moments”.
Forse ho utilizzato il suggerimento un po' in senso lato ma mi è venuta questa ispirazione e l'ho seguita. Il risultato non so se mi piace, non so cos’è ma è questo e ve lo posto qua. Grazie per la lettura e per essere arrivati fin qui.
A presto!
 
   
 
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