_Dedicato
a due mie amiche molto speciali,e
ad Heath naturalmente, che mi ha donato l'ispirazione per questa storia_
_Buona lettura mio caro lettore_
*
L'uomo è nudo davanti allo specchio a capo chino,nella
penombra sinistra creata dalle fioche lampadine sulla cornice. Sorride
e le guarda. Una parte di esse
è spenta,le lampadine sono solo un annerito ammasso di fili
metallici. L'altra parte è illuminata,le lampadine integre e leggermente
impolverate svolgono alla perfezione il loro lavoro. Quella scena suscita
un ricordo nell'uomo davanti allo specchio. Ricorda quando la sua vita
era ancora illuminata da mille felici lampadine,ricorda
emozioni,frammenti,ormai lontani, di una vita normale. Aveva dieci anni
quando tutta la luce dorata della sua vita cominciò ad affievolirsi. L'uomo finalmente alza
la testa,lentamente,come a voler ritardare il più possibile
il momento in cui osserverà ancora la sua faccia davanti a se. La sua immagine ora
è perfettamente riflessa sulla superficie davanti a lui. Si
ritrova a fissare il suo riflesso e a rimuginare. Il suo viso
è ancora giovane. E ride a questa considerazione. Nessuno
potrà mai vedere il suo vero volto, nessuno potrà
mai vedere la sua faccia. E' uno spettacolo che avrà per
sempre un solo e unico spettatore. La natura a volte
è così stramba,pensa. Regalare lineamenti
così particolari ad un'uomo destinato a diventare il
più spietato criminale che si ricordi. Si ritrova a pensare
ad un suo vecchio
compagno di scuola a cui sfugge il nome, tanto buono,di così
buone maniere e così...insignificante.
La natura non è solo stramba,pensa. E' crudele. Ripercorre ogni
momento della sua vita che riesce a ricordare. Chissà come
sarebbe stato avere una vita normale. Chissà come sarebbe
stato incontrare una ragazza,magari...innamorarsi. Avere
un bambino, pensa,
donare ad una piccola e innocente creatura la vita perfetta che a me
non è stata mai concessa. L'uomo
pensa,pensa,ancora. Pensa alla possibilità di
redimersi,rifarsi una vita normale. Seguire delle regole,vivere
civilmente,far parte di una comunità,senza vivere nascosto. La sua mano ruvida e
grande si dirige sulla sua guancia e scende di poco. Tocca piano le
cicatrici ai lati della bocca, le percorre lento con
la punta dell'indice e del medio,chiude gli occhi e ricorda.Un piccolo
sorriso compare sulle sue labbra,che in pochi secondi esplode incontrollato e si trasforma
in una risata folle,eccitata. Continua a ridere in quella maniera
delirante,quasi spaventosa mentre inginocchiatosi a terra cerca frenetico
qualcosa nel mobile grigio sotto il lavandino. Spalanca le porte quasi
sradicandole dalle giunture e afferra due contenitori senza alcuna scritta.
Apre il primo,quello più grande e impaziente passa sul viso
una densa cera bianca,donando al volto un'aspetto minaccioso. Un
immagine balena nella sua mente: il bianco dei frammenti delle
stoviglie che sua madre scagliava contro suo padre per difendersi.
Emette un latrato sinistro. Con l'altro
contenitore prende veloce una piccola dose di pasta nera e la passa
intorno agli occhi. Ricorda la terra nera sulle sue ginocchia mentre
correva
con tutte le sue forze per la strada sterrata cercando di dimenticare.
Si rimira allo specchio da ogni angolazione e la sua risata,se possibile,
diventa ancora più stridente e acuta. Afferrà sul
lavandino incrostato un ultimo barattolo più piccolo e
leggero. Il barattolo
è sporco e un cerchio rosato e appiccicaticcio si rivela
quando solleva il contenitore. Contiene qualcosa di
rosso,un rosso intenso. Il ricordo più lancinante si insinua
nella sua mente caotica. Le sue
mani sporche del suo
sangue. Ripete il movimento di
poco prima dipingendo l'ultimo spietato pezzo di quell'inquietante
quadro. Non riesce più ad osservarsi in quello specchio che nella sua
banalità rifletteva così spudoratamente tutta la
sua esistenza.
Ora c'è solo il buio. Comincia a
scaraventare tutto il contenuto dei cassetti sul pavimento e ride,
ride, ride. Si riveste,di tutto
punto. Ride talmente tanto che quasi non riesce a respirare. Ha una
mano sul petto,che pare incollata e si muove al ritmo del suo respiro stentato. Poi all'improvviso la
risata poi si spegne con la stessa rapidità con cui era
esplosa. L'uomo
riflette,ancora. Come diamine ha fatto a pensare a tutte quelle
stronzate prima? Il mondo era stato crudele con lui
più che con ogni altro. Non voleva essere una persona
normale perchè sarebbe significato adeguarsi alle regole di
quel mondo,e si credeva uno stupido
solo per averlo anche solo immaginato.Soprattutto per averlo,anche solo
per un secondo,desiderato.
Una stupida futile
vita con delle fottutissime regole. Era il suo turno adesso,era la sua
vendetta contro il mondo. Avrebbe scatenato il caos più
assoluto e così perfetto. Avrebbe distrutto tutto
ciò che era...inadeguato. -Caos Caos Caos Caos Caos ripeteva con voce
bassa e roca mentre sistemava il suo arsenale nella giacca. Gli serviva
qualcosa contro tutti i pensieri di quella mattina,qualcosa che gli facesse
dimenticare ogni debolezza. Le emozioni sono per la gente comune. E lui
non lo è. Si trascina fino alla
finestra guardando fuori.Nel silenzio tombale del vecchio rifugio
isolato, il rombo di un motore annuncia l'arrivo di un veicolo di grossa
cilindrata. L'uomo ghigna leggendo
la scritta sul furgone,è strano come si possa trovare una
risposta nelle cose più semplici.