Anime & Manga > Lady Oscar
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Autore: sacrogral    25/01/2021    6 recensioni
Bisogna prender fiato un istante. Se qualcuno ha letto "Il cavaliere innamorato" e "Lei arriva coi fulmini nel cielo sereno" è più comprensibile. Ma si può capire lo stesso. Tutto sommato, un "What if". O anche un "Missing moment". Non del tutto rassicurante. Poi, avete presente l'episodio 24, che io mi giro e mi rigiro? Quando appare sul finale quell'uomo misterioso che ha aiutato sempre Jeanne Valois, e che somiglia tanto al duca d'Orleans con una maschera? Ed ha accanto un suo servitore che sembra il povero Quasimodo di "Notre Dame de Paris" di Victor Hugo? Ecco, io ho pensato che quello fosse il duca d'Orleans con una maschera. E poi ho intrecciato l'essere "fan" con la "fiction".
Linguaggio non sempre da gentiluomo.
Sicuramente strafalcioni storici- perdono, ricordo che nell'anime la bandiera francese aveva i colori al contrario, nessuna pretesa da parte mia.
Mina, la storia è per te. In qualcosa ti ritroverai. Non perché tu meriti questo, meriteresti che sapessi usare altre parole, ma a volte anche la distrazione può essere una cosa positiva; e poi al momento non ho altro da offrirti.
Come al resto dei lettori, d'altra parte.
Genere: Avventura, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier, Jeanne Valois, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Facilis descensus Averno
Virgilio, Aeneides, Libro VI
 
PRESENTE

“Allora è questo l’inferno?” si domandò Jeanne Valois, aprendo gli occhi, credendo finalmente di essere lucida. Muri incrostati di salnitro, niente finestre. Impossibile pure capire se fosse giorno o notte. Un doppiere a illuminare la stanza, umida, disadorna.  Jeanne Valois sentiva addosso una stanchezza di secoli, e sentiva le tempie pulsare, un dolore che era anche un rumore insopportabile.

“Allora è questo l’inferno?” si domandò ancora “Solitudine e buio eterni”. Lei che aveva sempre avuto paura del buio, e della solitudine. Riaffioravano i ricordi, piano piano, lenti, e densi come fanghiglia melmosa, pieni di disgusto. Era morta, non c’era dubbio. Aveva pugnalato suo marito per non morire sola. Aveva ancora in bocca il sapore della polvere da sparo, negli occhi l’espressione rassegnata e priva di rimprovero e rancore di Nicholas – forse sarebbe stato un brav’uomo, se non avesse amato lei. La menzogna più grossa che l’umanità si era bevuta dall’inizio dei tempi è quella dell’amore come fonte di salvezza, pensò. Quando è la prima causa di rovina e dannazione.

Chi dice che il denaro fa girare il mondo dovrebbe ricordarsi che l’amore è stato inventato prima.

E poi il pensiero scorse indietro, a Nicholas che strangolava quella donna vestita da uomo, Oscar Francois de Jarjayes… a lei che lo aveva impedito, chissà perché poi – si domandò – e si rispose che l’aveva fatto perché era stata gentile. E perché l’aveva sempre ammirata, ammise. Non è facile guardare sempre il sole quando quello che ti circonda è fango e melma. E a Versailles tutto era fango, fango e finzione. Lei più di ogni altra aveva desiderato sguazzarci, in quel pantano – a lei, che sapeva cos’era soffrire la fame, non era mai bastato nulla. Per riempire quel buco nello stomaco, quel vuoto atavico, ci sarebbe voluto il mondo intero. Ma quella donna, che fissava il sole, non riusciva a disprezzarla. Le aveva portato l’anello di sua madre, le aveva portato l’amore di sua sorella. E Jeanne Valois forse era stata felice nella povertà – pensava adesso, da morta –  era stata felice quando era Jeanne Lamorliere, in quella innocenza da adolescente inconsapevole, divorata da quella fiamma fredda di ambizione, ma ancora intatta, senza macchia.

Non voleva che morisse, Oscar Francois de Jarjayes, che si era avventurata da sola a prendere lei, in quel convento sconsacrato e abbandonato, in cui – ricordò – parlava tutti i giorni con una statua di Madonna scheggiata, chiedeva consiglio, imprecava, da ubriaca la vedeva muoversi – all’inferno dov’era, non l’avrebbe rivista.
E poi c’era stata quella sorpresa, e lei che non si stupiva più di niente l’aveva visto come un segno del destino, o di quella Madonna in pietra, scheggiata: l’apparizione improvvisa di quell’uomo, di quel ragazzo, sbucato dal nulla, col fiato corto per la corsa, col nome di lei sulle labbra. Si concentrò. André, ecco. André, era il suo nome. E lo sapeva perché quella donna lo aveva chiamato, due volte, prima di perdere i sensi, con la voce che le rimaneva. Restava il mistero di lui che l’aveva sentita. Forse era stato un sogno. Un principe, quell’uomo, un cavaliere. Un cavaliere innamorato. Sorrise fra sé, Jeanne Valois. Dopotutto, era una sentimentale. Dopotutto, era stato lui, non lei, a salvare madamigella Oscar. Perché non era lì per salvare il colonnello, era lì per salvare la donna. Oh, quello lo vedeva con chiarezza pure lei, nelle mani alzate di lui, nel suo fissare soltanto quel corpo a terra, nei movimenti lenti, nell’averle cercato subito il respiro e nell’espressione sollevata dopo averlo trovato nel collo, il battito del cuore di lei.

Con quella violenta percezione che precede l’attimo in cui tutto sta per finire, Jeanne Valois aveva provato rispetto per quel principe senza terre né rango, che non cercava quello che lei aveva sempre considerato indispensabile – fame di soldi, fame di vita, fame atavica di benessere – al contrario, cercava lei.
Lui l’aveva sollevata da terra con delicatezza, senza smettere di fissare lei, Jeanne Valois, e lei ridendo – trovava tutto buffo, in quel momento, l’aver ferito a morte suo marito, l’aver scritto libri sulla Regina, pure l’esser a un passo dalla morte, tutto buffo – e lei ridendo aveva pensato che esistono tante sfumature di verde, nel mondo, ed era strano fissare il verde degli occhi di quel cavaliere che era solo un sogno con il verde dei propri occhi in fiamme, e forse quel sogno era solo la parte migliore di lei, uccisa da tempo, che adesso riemergeva da anfratti bui, e diveniva principe senza macchia e pantocratore, e monito per lei.

Come aveva fatto, a sentirla? Rimaneva il mistero di lui.

Poi la porta della stanza si aprì, e Jeanne Valois dimenticò il passato, tornò al presente e si riscosse sorpresa capendo che alla fine non era morta.

“Ben svegliata, Jeanne Valois” scandì l’uomo dalla porta, e nella penombra e nella fatica non poté comunque non riconoscere – ma forse ancora stava sognando – il duca d’Orleans, il cugino del Re, la seconda dignità di Francia.

A Jeanne Valois venne da ridere. Una risata folle, che risuonò nel silenzio, come era accaduto quell’altra volta – “Corri, cavaliere innamorato, corri” – che rimbalzò su altri muri, che si spense in singhiozzi cadenzati, da passerotto ferito.

“Voi” gridò “Siete sempre stato voi. L’uomo potente che mi proteggeva. Ma certo. Chi più interessato di Luigi Filippo agli scandali a Corte? Chi più felice di far cadere Marie Antoinette in basso, sempre più in basso? L’unico in Francia più ambizioso di me, ma certo! L’ambizione di essere chiamato sua Maestà!”

Ma il duca d’Orleans non sembrò scomporsi. Quando anche l’indiscutibile posizione di vantaggio non fosse stata sufficiente, qualora l’uomo di Corte avesse avuto un moto, pur minimo, di indignazione, tuttavia non si scompose. Nomina sunt consequentia rerum. Numina sunt consequentia rerum. Doveva essersi sempre sentito, una divinità, o ad un passo dal diventarlo.

“Senza dubbio, madame. Sempre io. E io ho fatto sì che foste portata in salvo ma ovviamente creduta morta. Peccato che il vostro sposo non si sia trascinato all’inferno il comandante Jarjayes, ma tant’è, mi posso considerare soddisfatto”.

“Soddisfatto, signore? Riuscissi a comprendere le vostre motivazioni, forse potrei comprendere anche la vostra soddisfazione. Mi avete fatto evadere da una prigione per rinchiudermi in un’altra, avete diffuso i miei libri – “Trovo, madame, che siano pieni di menzogne e fantasie rancorose. Ma trovo anche che siano scritti benissimo”,  le aveva detto il cavaliere – promettendomi la libertà, e quando non vi servivo più, avete lasciato che fossi scoperta, e quando ho scelto la morte mi avete sottratta a lei, per rinchiudermi in un’altra cella. Potrei sapere, signore” alzò la voce, Jeanne Valois “qual è la ragione che guida tutto questo, qual è il motivo della vostra soddisfazione?”

“Quello è presto detto” disse il duca d’Orleans, il princes du sang “La ragione è che voi, Jeanne Valois, non siete solo una pazza criminale, un rifiuto vomitato da una società di pezzenti rosi dall’invidia, ma siete anche una bella donna”.

E fece due passi verso di lei.

“Voi non uscirete da qui mai più, Jeanne Valois. Non vedrete il sole mai più. Se vi comporterete bene, potrò rendere la vostra esistenza più confortevole. Siete diventata roba mia” spiegò il duca d’Orleans – Jeanne Valois osservò le labbra sottili, la linea regale del naso, cupa – “Dovete essere migliore delle puttane di Corte e forse anche più sana. Avete tutti gli artifici di una Circe, o almeno così dicono. Siete stata l’amante del cardinale Louis-René-Édouard de Rohan, e anche del Conte di Cagliostro – sarà un piacere più raffinato, per me, pensarvi fra le braccia di quei due gaglioffi”.

Jeanne Valois lo guardava a occhi sbarrati. Non aveva detto niente di falso.

“E più ancora” disse il duca d’Orleans avanzando “vedervi fra le braccia del mio servitore più fedele. È deforme, sapete? È l’essere più deforme che abbia mai visto”, concluse, e stavolta fu la sua risata, che sembrò fresca, spontanea persino, a squarciare quel silenzio da chiostro.

“Non è addirittura splendido poter avere questo senza dover stare gomito a gomito con la plebaglia in cerca di sensazioni forti? Non esser costretto a vestirsi da plebe, per assistere a un’esecuzione di un ladro di polli, ma aver a disposizione lo stesso tipo di piacere, più civile, in casa propria?”

“Siete voi il pazzo!” gridò Jeanne Valois “Non osate toccarmi! Dov’è la statua della Madonna? Devo pregarla. Andate a svegliare Oscar de Jarjayes, sarà lei a spiegarvi, mi porterà mia sorella e io non la farò frustare. Voglio la Marchesa de Boulainvilliers, voglio mia madre”.

“Oh, Jeanne Valois vuole sua madre” le fece eco il duca d’Orleans, il prince du sang “Vuole la Marchesa de Boulainvilliers. Devo forse ricordarvi che avete contribuito, son certo, alla precoce dipartita di entrambe? Di una sgualdrina pari vostro, e di una vecchia baciapile? Orsù, Jeanne Valois, mantenete il vostro decoro, e lasciate piuttosto che vi spieghi il significato preciso dell’espressione per il piacere di sua Maestà…”

Gridò prima ancora che le fosse addosso. Ma, stupendosi ancora, e senza un vero motivo, e sovrapponendo il vero e il falso, intrecciando pensieri e ricordi, e anche quello che lei non poteva sapere, il cosciente e il subcosciente, la censura saltata in aria nel momento del perturbante, gridò due volte: “André”.


E fu sempre sulla soglia del limen, nel confine fra il sentire e il conoscere, che Jeanne Valois sentì la voce di Oscar Francois de Jarjayes, comandante delle Guardie Reali: “Fermatevi, signore. E restituitevi parvenza di dignità. Avete una spada puntata alla gola”.


Non ci credeva, Jeanne Valois. Ma aprì gli occhi e vide quella donna che guardava sempre il sole, l’espressione austera, il volto scolpito; e dietro di lei vide il suo cavaliere, quello innamorato, che, malgrado l’incongruenza del tutto, sorrideva.

“Voi… come osate…” balbettò la seconda carica di Francia, cercando di rivestirsi in fretta, il collo che sanguinava lievemente “E come siete entrati? E Quasimodo? E… voi qui” concluse.

“Se Quasimodo è quel brav’uomo che abbiam visto sulla soglia” disse André serafico “state tranquillo, monsieur, dorme il sonno dei giusti”.

“Adesso” si introdusse con semplicità Oscar Francois de Jarjayes “noi ce ne andremo assieme a madame Valois. E tutti dimenticheremo questa spiacevole vicenda. La dimenticheremo per sempre, signore. Perché nel caso abbiate qualche obiezione, farò chiamare le Guardie Reali, e dovrete spiegare a sua Maestà in persona come mai Jeanne Valois, che tutti credono morta, si trovi invece nelle vostre segrete, da voi insidiata. Comportamento indegno per un nobile del vostro rango, e per ogni uomo degno di tal nome”.

Mentre il duca d’Orleans impallidiva, André Grandier si avvicinò a Jeanne Valois: “Copritevi, madame, usate la mia giacca. Non avete niente da temere”.

E Jeanne Valois prese la sua giacca, si coprì, e glielo chiese, arrossendo: “Tu… tu hai sentito anche me?”

André Grandier sorrise, e lei si stupì una seconda volta nel vedere la bontà in quel sorriso, valore da lei sempre disprezzato, e che invece – tardi capiva – era proprio dei forti e non dei deboli.

“No, madame. Non vi ho sentita. Se vi dicessi come è potuto accadere tutto ciò, non mi credereste. Cercate solo, adesso, di stare tranquilla”.

E sentendosi di nuovo quindici anni e nulla più addosso, Jeanne Valois lo abbracciò e pianse.


Ma noi, amici che leggete, lo possiamo sapere, come era accaduto tutto ciò. E la spiegazione non è poi complicata, se sospendiamo per un attimo l’incredulità, ma soprattutto se siam convinti che in tutto il male ci può essere un po’ di bene, e che quella che chiamiamo “realtà” sia un’illusione per sognatori.


LA SERA PRIMA, PALAZZO JARJAYES.

Tre tocchi a una porta, pausa, un altro tocco. André Grandier, assonnato, apre la porta.

“Oscar, son le quattro del mattino…”

Oscar Francois de Jarjayes, perfettamente vestita, il volto austero, parla.

“André, devo raccontarti un sogno”.

Era una donna, ne son certa. Bella, credo. Non che sia importante. La vedevo sfumata. Straniera. Mi ha detto di averci incontrati alla ‘Taverne des âmes perdues’, pochi giorni fa. Quel posto dove ci siamo fermati, quel posto molto strano, Mi ha detto che io non potevo ricordare, ma tu sì. Mi ha detto che ci siamo meritati un dono, non so perché. Mi ha detto che era felice che ce lo fossimo meritato. Mi ha detto che lei perde raramente, ma con stile. Poi ha detto che la sola cosa che lei rispetta è il vero amore, e non so cosa intendesse, ma ha detto proprio così. E poi mi ha detto che, il suo dono, non l’abbiamo trovato. E allora ce ne faceva un altro: mi ha detto che Jeanne Valois non è morta nell’esplosione, mi ha detto che è prigioniera – André, ascolta bene – del duca d’Orleans, e mi ha detto come poter entrare a Palais Royal e trovarla. Mi ha detto di ricordare le sfumature, e che non esiste mai il bianco e il nero, non so perché. Mi ha detto che in tutto il male c’è un po’ di bene. E quando mi sono svegliata, perché non poteva essere che un sogno, ho trovato davvero questa mappa accanto a me, per entrare nel palazzo del cugino del Re. Dovevo dirtelo subito, André. Che ne pensi?”

André Grandier, adesso completamente sveglio, ricordava tutto. E subito, senza che potesse farci nulla, gli tornò alla mente il sapore delle labbra di lei – “Io ti amo, Oscar Francois. E adesso ti bacio” –  che aveva davanti e che sempre aveva pensato fissasse il sole, senza danno alcuno ai suoi occhi.

“Penso che dobbiamo fare qualcosa, Oscar. Penso che i sogni siano il modo in cui i morti o gli angeli o i demoni ci comunicano quello che dobbiamo fare. Penso che quello che hai sognato sia la pura verità, Oscar”.


PRESENTE

“Credi davvero che potrà cambiare, André?”

André Grandier, le mani incrociate dietro la nuca a stirare il collo, rispose incerto:

“Non lo so, Oscar. Ma tutti meritano una seconda possibilità, e anche una terza. Non è facile distinguere fra ciò che è bene e ciò che è male”.

Oscar Francois de Jarjayes lo trafisse con lo sguardo. Lui si sentì fatto di paglia, in difetto, come sempre,  sempre un passo indietro. E ne provò piacere e orgoglio.

“Solo perché me lo hai chiesto tu, e solo perché tutti la credono morta” continuò lei “E solo perché mi hai salvato la vita. Con tutto il male che ha fatto alla mia Regina…"

“In tutto il male c’è un po’ di bene, Oscar. Un esilio sereno è la giusta conclusione della vita piena di tormenti di Jeanne Valois. Andremo a trovarla, qualche volta, ad Arras. Potremmo portare anche Rosalie, se mai sarà pronta a saperlo. E se dovesse andare diversamente da come speriamo, Oscar, ci siamo sempre noi”.

“Sì, ci siamo sempre noi” ripeté lei, pensierosa. Il popolo e i diritti del popolo. Marie Antoinette e i suoi diritti di Regina. Da tanto cercava di conciliare gli opposti, di non sentirsi come si sentiva ogni volta che percepiva un’ingiustizia. Cioè colpevole in prima persona.

Lui invece capì solo il noi.

“Lo sai qual è la cosa più divertente, Oscar?” chiese lui, per spezzare il dramma.

“Forza, André, dimmi la cosa divertente”.

“Ad essere sincero, nemmeno con tutta la forza dell’immaginazione, avrei mai potuto pensare di vedere la seconda carica di Francia, il prince du sang, con le chiappe al vento” precisò sorridendo.

Anche lei rise, senza volere.

“Modera il linguaggio, André. Lo sai chi è quell’uomo!” esclamò, ma leggera, ironica, bellissima.

“Sì, lo so chi è, Oscar. Un porco” avrebbe voluto dire, ma la lasciò ridere, perché così raramente rideva, da sempre.

E fu con una certa perplessità che ascoltò il suo demone, sempre pronto ad insinuarsi in ogni piccola crepa:

“Attento a giudicare, uomo. Non sei infallibile. In ogni bene c’è un po’ di male. Potresti presto stupirti tu stesso, fin troppo presto, di quello che sei capace di fare…”

 
NOTE: fra tutti gli altri rimandi e mezze citazioni e auto citazioni, ricordo il noto progetto Miranda (o ‘operazione Miranda’) messo in atto da Leonard Thomas Lake, serial killer (1945-1985). Il nucleo fondante del progetto era quello di procurarsi schiave sessuali, pare influenzato dalla lettura del romanzo Il collezionista di John Fowler, ma certo già abbastanza fuori di testa di suo. Gli sono attribuiti 11 omicidi. Per una sorta di corto circuito mentale, e forse da figlio del popolo, non mi è sembrato improbabile che un’idea del genere potesse venire, anacronisticamente, al duca d’Orleans, almeno come descritto nell’anime.
 
 
 
 
  
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