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Autore: eeuphoria    26/01/2021    2 recensioni
[daisuga]
Glielo aveva detto lui stesso, in quello stesso periodo, appena un anno prima. "Prendi al volo tre petali di ciliegio e il tuo desiderio d'amore diventerà reale. Tuttavia, affinché funzioni, è necessario essere in compagnia della persona amata. È così che mia nonna si è dichiarata a mio nonno. Con tre petali di ciliegio. Romantico, no?"
E Daichi non aveva più smesso di pensarci.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Daichi Sawamura, Koushi Sugawara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Vedi, Suga, i petali di ciliegio che cadono sono come jump float, solo molto più lenti. Riceverli è praticamente impossibile»

E Koshi rideva. La sua risata era bellissima.

«Ok, ok. Ma che cosa stai facendo?» gli chiese -la voce era acuta e tremante, quasi come un pianto, solo l'esatto opposto.

Daichi si sentiva un po' folle in quel momento -ad inseguire i petali di ciliegio, dondolando su un piede e sull'altro in una buffa danza che accompagnava i fiori nel vento. Ma aveva solo diciassette anni, e aveva deciso di dichiararsi. Aveva tutto il diritto di essere folle.

«Così faremo tardi» disse ancora, Sugawara; nella sua voce non c'era traccia rimprovero. I grandi occhi castani erano lucidi di risa, brillavano nel sole di primavera.

Koshi era sempre bellissimo, Daichi non avrebbe potuto pensare il contrario, ma lo era un po' di più quando rideva per lui.

«Ci sono quasi, ma non ci riesco se mi distrai! Serve concentrazione»

«Ah, io ti starei distraendo?» e rise ancora, le braccia strette attorno allo stomaco; i capelli che parevano fili d'argento si agitavano, danzando leggeri sulla fronte candida. «Sul serio, Daichi, che cosa stai facendo?» ripeté. «Soprattutto, devi farlo proprio ora

«È una cosa super importante che non può assolutamente essere rimandata»

Sì, aveva aspettato abbastanza. E non ne poteva più. Celare quel sentimento enorme, ingombrante era diventato impossibile -qualunque cosa Koshi facesse, brillava davanti agli occhi di Daichi. E Sawamura si era svegliato d'improvviso, quella mattina, con la strana consapevolezza che avrebbe dovuto fare qualcosa al più presto.

Per poco non cadde, inciampando sui suoi stessi piedi, mentre cercava di afferrare un petalo al volo. I suoi riflessi erano abituati a ricevere palloni rapidi e potenti, i piedi a stare ben saldi al suolo, quasi gli rendevano più difficile quell'impresa tanto delicata.

Ci era riuscito, però. Poteva percepire il morbido fiore stretto tra i polpastrelli.

Aprì la mano sinistra con cautela, per evitare che l'altro petalo -quello che aveva catturato solo poco prima- volasse via a causa di un soffio di vento. Se avesse dovuto rifare tutta quella fatica da capo... no, non se ne parlava neanche. (Una parte di lui sapeva che non era vero; per Koshi questo ed altro. Tanto, tanto altro.)

Si era un po' rovinato, il primo petalo, dopo tutti i minuti passati rinchiuso in quel pugno saldo. Un peccato, ma se lo aspettava. Anche il secondo si era un po' sgualcito, quando le dita lo avevano afferrato. Non erano perfetti, ma sarebbero andati bene comunque. Almeno sperava.

Il buonsenso gli diceva che non importava; non sarebbero stati dei fiori ad aiutarlo, era solo una credenza popolare, un mito, una favola. Ma non c'era niente di male nel fare un po' di scena. Aveva deciso di lasciare da parte il Daichi maturo, quella mattina, e permettersi di essere romantico, e folle -o forse stava solo temporeggiando, nella speranza che i ciliegi gli dessero il coraggio di cui aveva bisogno.

«Spera che nessuno dei nostri kohai ti veda in questo momento, caro il mio capitano» Suga continuava a ridere, e più lui rideva più Daichi sentiva il viso scaldarsi.

Una nauseante sensazione di euforia nasceva in un punto indefinito tra lo stomaco e i polmoni, rendeva i pensieri confusi, intorpidiva i sensi. Quella stessa sensazione che tante altre volte lo aveva fatto sentire pronto a sfidare il mondo intero -la stessa che poi, la notte, lo aveva portato a piangere come un bambino, avvolto tra le coperte fino a soffocare.

Percepiva come un sogno lontano il vento sul viso, i rumori erano stati completamente soverchiati da quella meravigliosa risata. Ai suoi occhi c'era Koshi e Koshi soltanto, bello e luminoso come una creatura angelica, sotto una pioggia di petali.

Giunse da lontano il suono della campana; salendo lungo quella strada, appena svoltato l'angolo, li attendeva la scuola. La borsa, però, era stata abbandonata da qualche parte sul marciapiede e lì dimenticata.

Si prese un attimo per cercarla con lo sguardo, eccola. E, delicatamente poggiata vicino alla sua, ce ne era anche un'altra.

Suga ancora rideva, ma si era unito al suo gioco. Saltava da un piede all'altro, le braccia tese verso il cielo. Era un ballerino molto più aggraziato di lui, e Daichi perse la cognizione del tempo mentre lo osservava -non si sarebbe mai stancato di guardarlo.

Poi Koshi si fermò e per un attimo solo parve che il mondo intero si fosse fermato con lui. Ma il vento riprese a soffiare e i petali a danzare nell'aria e il cuore di Daichi a martellare forte mentre il suo alzatore gli si faceva incontro.

C'erano piccoli calli, sui palmi delle mani e le punte delle dita, risultato di ore e ore di allenamento per perfezionare le sue alzate. Con delicata lentezza, Suga gli fece aprire il pugno in cui stava custodendo i petali -al contatto, Daichi ebbe l'impressione di essere sul punto di svenire- e delicatamente ne poggiò un terzo sui primi due. «Ecco, tieni»

Boccheggiò senza essere in grado di ricordare come si facesse a parlare, disporre le parole in ordine una dopo l'altra con la mente appannata si rivelò un'impresa estenuante.

«Devo prenderli io, se no non funziona» riuscì a dire e si scoprì ad ansimare per lo sforzo, lui che pur era il capitano della squadra di pallavolo.

«Cosa non funziona?»

Koshi non era stupido. Le sue guance si stavano tingendo di un rosa che si faceva pian piano più intenso, Daichi era convinto che non fosse dovuto solo alle risate.

Glielo aveva detto lui stesso, in quello stesso periodo, appena un anno prima. "Prendi al volo tre petali di ciliegio e il tuo desiderio d'amore diventerà reale. Tuttavia, affinché funzioni, è necessario essere in compagnia della persona amata. È così che mia nonna si è dichiarata a mio nonno. Con tre petali di ciliegio. Romantico, no?"

E Daichi non aveva più smesso di pensarci.

«Indovina»

Koshi sgranò gli occhi, lo stupore si faceva largo sul suo viso sotto forma di una macchia rossa -dalle guance si estendeva rapidamente fin alla punta delle orecchie- mentre processava che sì, la sua ipotesi era esatta.

Spostò il capo come a voler evitare il suo sguardo -ma Daichi non ci sarebbe riuscito neanche a volerlo, a togliergli gli occhi di dosso.

Tratteneva il fiato, Sawamura, ormai Koshi aveva capito. Avrebbe potuto fermarlo subito, lì e ora, senza dargli neanche il tempo di provare.

La colpa non sarebbe stata sua, in quel caso? Per averci messo così tanto a trovare il coraggio di fare la prima mossa?

Ma le iridi castane di Koshi percorsero la linea di vernice in mezzo alla strada, poi i tronchi dei ciliegi e le loro fronde rosate, e infine -per un secondo soltanto- si posarono di nuovo su di lui.

«Sai... forse funziona anche con due»

Non sarebbe riuscito ad udirlo, se non fossero stati così vicini -un po' troppo, poteva sentire il suo profumo delicato-, ma rendersi conto del significato di quelle parole fu forse il minuto più lungo della sua vita.

Stava cercando di convincersi di ciò che aveva appena sentito, quando Koshi parlò di nuovo. «Non ti fidi?»

«Certo!» quasi non urlò, prima ancora di rendersene conto. «Certo che mi fido!»

«Ma...» proseguì Suga per lui, e Daichi si sentì andare a fuoco più di prima.

La sua vita finiva lì. Sarebbe morto quel giorno, d'imbarazzo.

«È stupido... però...» balbettò, senza saper bene cosa dire. «Prima devo fare... questo... non so come spiegarlo...»

«Non è stupido» con la stessa delicatezza della sua voce, Koshi si riprese il petalo che gli aveva ceduto. «Però fai in fretta, per favore» e finalmente i suoi occhi si posarono su quelli di Daichi e dalle sue labbra uscì un risolino leggero come un soffio. «L'attesa mi sta uccidendo»

I minuti successivi trascorsero in silenzio. Koshi aveva smesso di ridere, lo osservava con occhi spalancati -uno sguardo quasi famelico sotto cui Daichi si sentiva schiacciato- e le guance rosse.

Quando infine si ritrovò con tre petali stretti nel pugno, fu come svegliarsi da un sogno. Ecco, aveva finito le scuse.

«Temo che la prima ora sia andata...» fu l'unica cosa che riuscì a dire, mentre gli si avvicinava.

Koshi fece a sua volta qualche passo verso di lui -le mani dietro la schiena in un vano tentativo di apparire tranquillo, che però non bastava a mascherare l'espressione tesa sul viso. «Già»

«Mi dispiace»

Perché non aveva aspettato il pomeriggio? O un giorno in cui non rischiassero di far ritardo?

Ma ad aspettare ancora, probabilmente non si sarebbe mai deciso. Avrebbe guardato impotente -ma solo perché l'aveva deciso lui- l'occasione sfumare, il tempo correre, il loro terzo anno finire e le loro strade allontanarsi.

No, non se ne parlava. Prima di allora doveva fare qualcosa.

«Non importa» la voce di Koshi lo riportò alla realtà.

Ok, era il momento. Prese un respiro profondo.

«Cosa avevi?» proprio non ci riusciva, a tirar fuori quel discorso -il pugno in cui stringeva i petali ora pareva incollato.

«Scienze»

«Ah. Io inglese»

«Daichi!» esclamò Suga, esasperato.

Giusto, gli aveva chiesto di fare in fretta. Nella sua mente un campanello prese a suonare, mentre realizzava l'ovvio.

Koshi stava aspettando ed era teso quanto lui.

E, nella speranza di non essere troppo affrettato, Daichi poteva già immaginare la sua risposta.

L'ansia che gli faceva trattenere il fiato si dissipò a quella rivelazione; rimase solo un divertito imbarazzo -non era pesante, perché se lo stavano spartendo.

«Ok, ok» e tornò a respirare, mentre le sue labbra si incurvavano in un sorriso un po' ebete. «Se sei così impaziente perché non inizi tu?»

«Sei tu che hai preso l'iniziativa, vai fino in fondo!»

«Mi sto pentendo»

Lui incrociò le braccia al petto e scosse la testa. «Troppo tardi»

«Suga... Koshi... ehm... mi piaci. Tanto e più di un amico... o di un migliore amico...» cosa stava blaterando? «Insomma mi piaci nel senso che mi piaci»

E desiderò poter tornare indietro e rifare daccapo.

Koshi scoppiò a ridere, il viso rossissimo e le lacrime agli occhi -lacrime vere. Ma si ricompose in fretta, abbastanza per dargli quella tanto agognata risposta.

«Anche tu mi piaci nel senso che mi piaci, Daichi»

La sensazione che lo pervase era la stessa di quando vincevano una partita: felicità allo stato grezzo, qualcosa di fresco e inebriante.

In mezzo al groviglio caotico e confuso della sua mente, una vocina flebile lo spronava a fare qualcosa, ma Daichi aveva perso il controllo del suo stesso corpo e dei pensieri.

Fu Koshi -dopo un tempo che nessuno dei due si prese la briga di scandire, ma che di certo non si era trattato solo di pochi secondi- a prendere in mano la situazione.

«Quindi... ti andrebbe di uscire insieme, qualche volta?» domandò, con un sorriso e quel tono tranquillo e maturo che assumeva solo quando ce n'era bisogno.

«SÌ!» rispose -urlò- immediatamente, forse un po' troppo forte. «Sì mi andrebbe!»

«Ok... bello» e si mosse, andando a raccogliere le borse e portandogli anche la sua, mentre Daichi faceva una fatica immane solo per schiodare i piedi dal suolo. «Andiamo, forse facciamo in tempo ad arrivare prima che inizi la seconda ora»

«Mi dispiace per il ritardo... di nuovo»

Koshi ridacchiò e gli afferrò la mano senza dire una parola; gli fece aprire il pugno e prese i tre petali, infilandoli in un taschino laterale della borsa -il cuore di Daichi saltò un battito, li stava conservando.

E poi fece intrecciare le loro dita. «Ne è proprio valsa la pena»

   
 
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