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Autore: Laisa_War    27/01/2021    1 recensioni
Questa storia nasce da una fantasia che accomuna, credo, ogni fan di Vikings (di cui faccio fieramente parte): esser trasportati nel mondo dei figli di Ragnar, per poter interagire con loro e combattere al loro fianco.
Hylde, una normalissima ragazza del 2020, viene spedita nella Kattegat dell'800 d.C. per volere di Odino in persona. Il motivo, per ora, è per lei un vero mistero.
Incontrerà i fratelli Lothbrok, intenti ad organizzare una grande spedizione punitiva ai danni di re Aelle e re Ecbert, colpevoli di aver contribuito alla morte del più grande re vichingo della storia: Ragnar Lothbrok.
Diventerà, col tempo, parte integrante della società vichinga, imparandone gli usi e i costumi. Quella diventerà casa sua, molto più di quanto lo fosse il mondo moderno.
Con questo racconto, i cui capitoli usciranno settimanalmente, spero di potervi trasportare con me in quella fantastica epoca, trasmettendovi le sensazioni che avevo io, durante la scrittura.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ivar, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Brandr era il ritratto della perfetta shieldmaiden, con le gambe leggermente piegate e il busto spinto in avanti, esponendo il fianco sinistro protetto da uno scudo di legno molto resistente. Il suo sguardo era pieno di competitività, mentre faceva roteare la spada stretta nella mano destra, in segno di sfida. Respirava piano e profondamente, producendo una chiara nuvola di condensa.

Gli occhi del giovane sfidante brillarono, quando furono investiti dall’unico raggio di sole sfuggito allo spesso strato di nuvole che riempiva il cielo, quel giorno. Era equipaggiato esattamente come Brandr, ma non mostrava la sua stessa determinazione, scherniva, invece, la sua sete di vittoria, non preoccupandosi nemmeno di coprire il fianco con lo scudo.

Brandr attaccò per prima con una velocità incredibile, senza un istante di esitazione, sembrava nata per quello, per combattere e scontrarsi.

Ubbe (così Ivar aveva chiamato lo sfidante, nonché suo fratello maggiore), non era così sorpreso dell’abilità della ragazza così come lo era Hylde, anzi continuava a prenderla in giro, con l’intento di farle perdere la pazienza. Nel frattempo, si manteneva in posizione di difesa, limitandosi ad evitare quegli attacchi repentini ed estremamente rapidi. Flirtava con lei, con tanto di occhiolini, si burlava di lei, conscio del fatto che Brandr fosse solita infuriarsi e a perdere il controllo.

Quando credette che fosse il momento più opportuno, Ubbe tentò un attacco frontale, levando in alto la spada come se non fosse l’arma più pesante a loro disposizione.

Un sorriso beffardo si disegnò sul viso di Brandr, la quale bloccò con fermezza quell’attacco e, dopo alcuni minuti fatti di colpi parati con gli scudi ed offensive frenate, riuscì a sottrarre la spada ad Ubbe, facendo finta di trafiggerlo con entrambe le armi in suo possesso e mettendo fine allo scontro.

Il ragazzo, caduto a terra, fu aiutato a rialzarsi da lei, che esclamò, un po’ stizzita: «Devi smetterla di sottovalutarmi.».

«Me ne ricorderò.», disse lui di rimando, quando si fu rimesso in piedi, mettendole un braccio attorno al collo e baciandole dolcemente la guancia. Con una punta d’imbarazzo, Brandr alzò gli occhi al cielo, ma non si scostò.

Il piccolo gruppo si accorse della presenza di Ivar e Hylde, la quale venne presentata con entusiasmo da lui e Brandr.

Venne investita da un principio di mancamento, quando si rese conto di trovarsi di fronte ai fratelli Lothbrok in carne ed ossa, che la riconobbero come “la ragazza della sera prima” ed ebbero tutti delle reazioni contrastanti nei suoi confronti. Il più scettico era Ubbe, cosa piuttosto comprensibile, secondo lei: come fratello maggiore, aveva la responsabilità di non fidarsi subito degli stranieri e di proteggere la sua famiglia e la città. Il secondogenito, Hvitserk, sembrava quello con i sentimenti più pacifici, Hylde gli sembrava comunque più degna di fiducia di tutti gli altri guerrieri scandinavi che iniziavano a popolare Kattegat. Sigurd, il terzo fratello in ordine di età, la studiava con lo sguardo di una persona molto attratta da ciò che sta osservando, cosa che mise a disagio Hylde, la quale si strinse nelle spalle, mentre seguiva Ivar all’interno della staccionata.

Brandr alzò il viso verso un dubbioso Ubbe, più alto di lei di almeno una testa, e tentò di calmarlo, dicendo con leggerezza: «Tranquillo, è innocua.».

«Non per molto.», esclamò Ivar con il suo classico sorrisino sghembo, sedendosi su un ceppo e mostrando le due asce afferrate poco prima. Ne tese una a Hylde, ma prima che lei potesse prenderla, Sigurd sbottò: «Tu vorresti insegnarle a combattere? Non sai nemmeno usare le gambe!».

Ivar, adirato, non si tirò indietro e urlò contro al fratello: «Stai zitto, Sigurd! Lo sai che sono più bravo di te!».

Quell’onda di gelosia e cattiveria immotivata aveva sconvolto Hylde, che rimase immobile e sbigottita. Gli altri, invece, davano l’impressione di essere divertiti dalla situazione, le loro espressioni dicevano chiaramente: “Ecco che inizia lo spettacolo!”. Tutti tranne Ubbe, che s’irrigidì, come se avesse previsto una catastrofe imminente, era palese che non amasse quei battibecchi infantili.

Sigurd continuò, con un sorriso sadico, godendo nel fare il bullo con suo fratello: «Ti piacerebbe, storpio! Perché credi che Lagertha si sia rifiutata di combattere contro di te?».

Brandr accostò la testa vicino alla spalla di Hylde per spiegarle, sottovoce: «Lagertha ha ucciso la loro madre, quando ha preso possesso della città. Ivar ha subito cercato vendetta.».

Hylde non replicò, guardava Ivar con crescente preoccupazione, percepiva la sua rabbia aumentare ed insinuarsi nella sua mente, invadendola e facendo razzia del suo buonsenso. Il suo viso contratto in una smorfia d’ira, le mani che stringevano i manici delle asce così forte da colorare di bianco le nocche, Ivar tenne lo sguardo fisso sul fratello, intimandogli un secco: «Smettila.».

«Sigurd...», lo ammonì Ubbe, con la voce seria e autoritaria, ma non servì a granché, perché suo fratello rincarò la dose: «Povero Ivar... Il piccolo cocco di mamma cercava vendetta!».

Per fortuna, Hylde capì subito cosa stesse per accadere ancor prima degli altri, e se ne meravigliò, perché sicuramente erano dotati di riflessi più veloci dei suoi: Ivar stava caricando il braccio, pronto a scagliare un’ascia dritta nel petto di Sigurd. Dalle labbra della ragazza sfuggì un asciutto: «NO!», e si precipitò ad abbassare la mano del ragazzo, impedendogli di fare qualcosa di cui si sarebbe pentito amaramente.

Non appena il giovane sentì la mano di lei sul suo braccio e la sua voce, distolse lo sguardo omicida da Sigurd, irrigidendosi, prima di tranquillizzarsi e rilassare i muscoli tesi.

Lei, invece, rimproverò i due fratelli, senza preoccuparsi di sembrare inopportuna: «Vi sembra normale litigare così?». Sputò fuori quelle parole istintivamente, ignorando eventuali conseguenze.

Ubbe si dimostrò d’accordo con lei: «Hai ragione... Sigurd, da questa parte.», e allontanò il terzogenito, il cui viso si era colorato di rosso, in un misto di rabbia e vergogna. Vennero seguiti da Brandr e Hvitserk, straniti per la piega pericolosa che aveva preso quella situazione.

Hylde abbassò lo sguardo e si accorse di avere ancora la mano stretta sul tessuto che copriva l’avambraccio di Ivar, il quale guardava il fratello allontanarsi dall’altro lato del campo. Inaspettatamente, le si strinse il cuore, pensando che, con ogni probabilità, tutti avrebbero reagito in quel modo, se fossero stati attaccati così sul personale senza apparente motivo. Con delicatezza, si fece carico delle asce tenute saldamente dal ragazzo, che parve arrancare, alla ricerca di qualche parola di scusa da rivolgerle.

Lei però preferì bloccarlo, non c’era bisogno di sprecare altro tempo in quell’infelice faccenda, e domandò: «Non avevi detto di volermi fare da maestro?».

Ivar ridacchiò con evidente sollievo e indicò le asce che lei non aveva ancora posato da nessuna parte, chiedendole di porgergliene una. Prima che lei si decidesse a farlo, dovette assicurarle di essersi calmato, che non avrebbe fatto altre pazzie.

Solo allora Hylde si rese conto di quanto fossero pesanti e difficili da maneggiare quelle armi, nonostante lui lo facesse sembrare una passeggiata: avevano uno spesso manico in legno, non troppo lungo, per facilitarne il lancio durante un’ipotetica battaglia. Le lame erano in puro ferro, affilate come rasoi, elemento che la intimidì non poco. Da buona studentessa di scienze infermieristiche , pensò anche a quanto le si sarebbe infiammato il tunnel carpale, mentre un’incessante dolore le si palesava sempre di più all’altezza del polso, col passare dei minuti.

Fu difficile per Ivar non notare la goffaggine di Hylde, che la rendeva molto buffa, mentre tentava di replicare i movimenti insegnatile. Decise di aiutarla di più, perché in battaglia si sarebbe fatta ammazzare, o peggio, si sarebbe uccisa accidentalmente da sola. Così le suggerì di avvicinarsi.

Hylde arrossì di vergogna e pensò: “Sta andando così male?”. Crogiolandosi nell’autocommiserazione, si avvicinò al giovane che, dal ceppo sul quale sedeva, continuava a spiegarle tecniche di combattimento abbastanza elementari, ma tremendamente complesse per lei.

Quando furono l’uno di fronte all’altra, tutte le paure e le insicurezze di Hylde scomparvero, guardando negli occhi di Ivar, che non giudicava affatto la sua totale mancanza di prestanza atletica, come se avesse compreso il suo disagio.

Le prese delicatamente la mano che reggeva a fatica l’ascia, mostrandole la giusta impugnatura, il che le diede immediato sollievo al polso. Il tocco gentile di Ivar sulla nuda pelle della sua mano, fece avvampare il viso di Hylde, che si distrasse, facendo cadere l’arma. Scoppiarono entrambi a ridere e lei si finse oltraggiata: «Ti sei trattenuto fino ad ora con le risate, vero?». Lui fece finta di nulla, ma poi confermò i sospetti di Hylde, senza smettere di sbellicarsi.

Si sedette vicino a lui sul ceppo, dopo aver recuperato l’ascia da terra, e, mentre Ivar la guidava nei movimenti d’attacco, gli chiese: «Tu e Sigurd...litigate sempre così?».

«Sì, è sempre stato così tra noi due. Fin da quando eravamo bambini.», rispose lui con amarezza. Da seduti, era decisamente più alto di lei, di parecchi centimetri, ed Hylde si ritrovò a pensare a quanto lo trovasse attraente, in quella leggera armatura indossata sopra agli abiti civili.

Distraendosi da quei pensieri, Hylde cercò di tirargli su il morale: «Sai, mi dispiace per lui. Non sarà facile esser meno capace del suo fratello minore...».

«...che non sa neanche usare le gambe.», completò la frase Ivar, con un ghigno spietato, che però nascondeva anche una rabbia bruciante, che lo divorava da dentro, da troppo tempo.

«Arrabbiarti così tanto per qualcosa che non puoi controllare non ti porterà da nessuna parte. Mai.», disse lei, animata da un fuoco sconosciuto, mettendogli una mano sulla spalla e lasciandolo, per la prima volta, senza le parole per replicare.

Hylde continuò: «Io e Floki ti costruiremo qualcosa che ti metterà nella condizione di partecipare ad ogni battaglia che vorrai. E allora la tua rabbia avrà un senso, contro i nemici». Parlò a raffica, dimenticandosi di scandire bene le parole, per farsi capire meglio.

La sua determinazione lasciò esterrefatto Ivar, che posò la propria mano su quella appoggiata da lei sulla sua spalla, limitandosi ad annuire. La guardò intensamente e la trovò sincera, cristallina, bellissima, coi capelli e i vestiti che iniziavano a riempirsi di candidi fiocchi di neve, gli occhi color grigio ghiaccio che risaltavano più del solito.

Ruppe la magia del momento, quando si schiarì la voce, invitandola a riprendere l’allenamento e strappandole la promessa di tornare lì anche nelle giornate successive. Desiderava, bramava altro tempo in compagnia di quella strana, buffa straniera.


Molti dei giorni a venire furono caratterizzati da un’incessante tormenta. Il paesaggio circostante era completamente cambiato da quando Hylde era piombata in quel mondo: il terreno, le case, le navi ormeggiate al molo, tutto quanto era stato invaso da ghiaccio e candida neve fresca. L’inverno era davvero arrivato.

Anche gli alberi erano stati assoggettati dai cambiamenti meteorologici, infatti era diventato pericoloso, per Hylde e Floki, lavorare nei boschi, cosa che provocò forti ritardi nella costruzione della flotta. Però, per fortuna, erano riusciti a portare a termine il progetto per Ivar, ed entrambi erano impazienti di mostrargli la loro creazione, di cui andavano davvero fieri.

Le piaceva moltissimo lavorare insieme a Floki, la faceva sentire utile alla famiglia e lui le faceva da papà molto più di quanto avesse mai fatto suo padre biologico, ma sapeva di non esser granché portata per quel lavoro. Certo, aveva imparato a svolgere i compiti più semplici, sempre sotto la supervisione dell’uomo, tuttavia era consapevole che non fosse affatto la sua strada, quella non sarebbe stata la sua occupazione a lungo termine. Ne erano certi entrambi.

Con il tempo, le erano passati tutti i dolori muscolari dovuti all’intenso carico di lavoro e stress a cui Hylde era sottoposta ogni singolo giorno, senza troppe occasioni per riposare, o oziare. Era stato un piccolo trauma ritrovarsi privata delle comodità del mondo moderno, le era capitato spesso di ripensare ad Internet, alle sue playlist musicali (solo gli dei potevano sapere quanto le mancasse la sua musica, i Blink 182, i Guns ‘N Roses...), a tutte le schifezze dolci che le facevano compagnia durante i momenti più malinconici.

Nelle giornate interessate meno dalla tempesta di neve, Hylde aveva preso l’abitudine di allenarsi con Ivar, nel tardo pomeriggio, insieme anche agli altri fratelli e Brandr. Sebbene si sentisse ancora molto imbranata e inesperta, l’aiuto di Ivar fu per lei fondamentale per prender coscienza di sé, per acquisire fiducia nelle proprie capacità. Lui si dimostrò un maestro paziente ed estremamente abile, tendeva a non colpevolizzarla mai, a spronarla sempre, inducendola ad impegnarsi, per raggiungere sempre più traguardi. Era diventato il suo amico più caro e leale, dopo Brandr, la quale era considerata da Hylde come una sorella, anche se non era sempre possibile vedersi, essendosi inaspriti gli addestramenti dell’esercito che sarebbe stato guidato da Bjorn in Inghilterra, mancavano pochi mesi alla partenza.

Gli allenamenti pomeridiani avevano dato a Hylde l’occasione di passare del tempo anche con gli altri fratelli Lothbrok, cosa che permise loro di conoscerla di più, e quindi di potersi fidare di lei. Perfino Ubbe si era arreso, abbandonando lo scetticismo iniziale, soprattutto grazie all’intercessione di Brandr, per la quale provava una fiducia e un rispetto incredibili. Era anche palese agli occhi di tutti che quelli non fossero gli unici sentimenti che egli rivolgesse alla giovane shieldmaiden, che fu felicissima di avere una quasi-sorella con cui confidarsi riguardo all’argomento.

Un giorno, al campo d’addestramento, si era avvicinata di soppiatto a Hylde, per chiederle: «Secondo te è vero che gli piaccio?». Sussurrò piano quelle parole, rossa in viso, con evidente imbarazzo, sperando che Ubbe non le sentisse.

Hylde, che era rimasta davvero stranita da quella domanda, credendo stesse scherzando, tornò subito seria e le mise entrambe le mani sulle spalle: «Brandr, quando ti guarda i suoi occhi prendono letteralmente fuoco. Se non è interesse quello, io sono Thor in persona!». Ogni volta che riusciva a fare un discorso lungo e ben articolato, provava una sincera soddisfazione, era la prova che lo studio della lingua stesse procedendo benissimo.

Brandr si era imbarazzata ancora di più, era capace di combattere un’orda di nemici senza batter ciglio, ma non di parlare dei propri sentimenti: «Non sono brava in queste cose.». Quando Hylde le chiese se Ubbe le piacesse, era quasi entrata nel panico, prima di annuire impercettibilmente e aggiungere: «E se non fosse l’uomo giusto? Se non riuscisse a tenermi testa? Se la sua serietà soffocasse il mio spirito?».

Imbottì la testa di Hylde con una miriade di dubbi, tanto che la ragazza fu costretta ad interromperla bruscamente, scrollandole le spalle con le mani per scandire il ritmo delle sue parole: «Voi. Due. Vi. Piacete.». Ottenuta la totale attenzione di Brandr, poté continuare con più calma: «Conta solo questo, per ora. Frequentatevi, conoscetevi meglio. E se per caso scoprissi che lui non è il ragazzo giusto per te, prenderemo possesso di tutte le scorte di birra e ce le scoleremo, fino ad arrivare a cavalcare gli orsi bruni per tutta Kattegat, oltre che a dimenticare per sempre Ubbe.».

Il senso dell’umorismo di Hylde fece scoppiare a ridere Brandr, facendola rilassare e permettendole di dimenticare qualcuno dei suoi assurdi dubbi.

«Devi solo goderti questi sentimenti bellissimi e, se ci saranno problemi, li affronteremo a tempo debito.», aveva concluso Hylde, cercando di trasmettere a Brandr tutta la solidarietà di cui avesse bisogno in quel momento.



---Note dell'Autrice---

Ciao a tutti!
Come al solito, grazie di cuore per essere arrivati fino a qui!

Se volete, lasciate una piccola recensione, ci tengo davvero a leggere le vostre opinioni!

Un abbraccio,
Laisa_War
  
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