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Autore: Alyeska707    27/01/2021    2 recensioni
una vecchia palazzina
arte, musica, agape ed eros, sentimenti e nostalgie
qual è il prezzo del successo?
dove conduce l'amore?
ma esiste davvero, la purezza?
♒︎
─ dal testo: ❝ Piccola. Stretta. Letteralmente a pezzi. Duncan aveva affittato una topaia, non una casa. Però era la sua topaia, ed era a pezzi esattamente come lui: un bordello, il disordine, una grezza anti-eleganza… ma non è affascinante, la distruzione? Agli occhi del punk, eccome: la distruzione era il suo riflesso specchiato.❞
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan, Gwen, Heather, Trent | Coppie: Alejandro/Heather, Duncan/Courtney, Duncan/Gwen, Trent/Gwen
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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CAPITOLO 6 

Voci, passi, tic: la serratura. Passi. Ma che ore erano? Heather rivolse uno sguardo alla sveglia: neanche le 7 di mattina. Maledisse Courtney: la considerava così stupida, forse? Sbuffò. Con quell’irritazione pompata nelle vene, Heather non sarebbe sicuramente riuscita a riprendere il sonno; tentò comunque: si voltò, la testa sul cuscino morbido, chiuse gli occhi: niente. Si sentiva soltanto sempre più sveglia. Al diavolo. Si alzò e raggiunse la cucina per iniziare la giornata con la colazione. Grazie a Courtney, che aveva rovinato il suo preziosissimo rituale di otto ore di sonno, sarebbe parsa uno straccio. Quanto non sopportava quella ragazza, ma perché vivevano insieme?! Sospirò conoscendo bene sia la risposta, sia il fatto che non esistessero alternative: per scappare dai rispettivi genitori, così rigidi… I loro padri erano fratelli, appartenenti a una buona e fin troppo pudica famiglia: per entrambi le figlie erano come un tesoro che, come tale, deve formarsi in uno splendore di cure e attenzioni, dando il massimo in tutto: nell’apprendimento scolastico, negli sport e nelle varie discipline, senza alcun tipo di distrazione. Quando Heather aveva detto ai suoi, secca come al suo solito, che la laurea in medicina per prendere in mano lo studio di famiglia proprio non le interessava, che voleva soltanto cantare, suo padre le aveva dato l’ultimatum: se vuoi fare di testa tua, allora esci da questa casa. Heather aveva seguito alla lettera le sue indicazioni. La cugina Courtney, principessa per vizi e aspirazioni, non aveva fatto attendere il suo: «Anch’io voglio andarmene di casa!» Non che Heather volesse sorbirsela, le cene di Natale insieme erano più che sufficienti, però i soldi come li avrebbe trovati da sola, per una casa decente? Heather non era mai stata il tipo da accontentarsi con poco, infondo. Erano stati i genitori di Courtney ad anticipare la caparra; veniva sempre accontentata, lei. Ogni volta che Heather glielo faceva notare, Courtney ribatteva a denti stretti: «Perché io lo merito! Io studio, Io sarò un avvocato di grande fama!» Heather ruotava abitualmente gli occhi: «Come no.»
Nonostante le loro divergenze caratteriali però, la convivenza procedeva bene: i genitori di Courtney si occupavano della sua parte di affitto, Heather invece, oltre ai piccoli compensi per le occasionali esibizioni canore, era stata contattata da un’agenzia di modelle; la sua bellezza asiatica, ereditata dal ramo materno, non la faceva certo passare inosservata, e posare per l’agenzia le forniva un compenso mensile soddisfacente per le sue necessità. Non poteva che dirsi abbastanza soddisfatta del suo presente; non del tutto, certo: la perfezione è un lavoro continuo, ma con la costanza, Heather ne era sicura, sarebbe riuscita a sfondare col suo gruppo. La sua voce sarebbe diventata la sua arma, il suo lavoro: tutta la sua vita.

Courtney, già in cucina all’arrivo di Heather, sobbalzò notandola. «Già sveglia?»
Heather annuì rivolgendole un’occhiataccia. «E chissà di chi è la colpa… Anche se le nostre stanze non sono attaccate, ho sempre delle orecchie, sai?»
Courtney abbassò il viso sui suoi cereali al miele, in un tentativo di mentire con più disinvoltura: «Devo andare in università, per questo mi sono svegliata presto…»
Heather sbuffò divertita, scegliendo una bustina di thè.
«Ma davvero pensi che sia tanto ingenua? Ti sentivo parlare, so che porti un ragazzo in casa, e non è la prima volta!»
«Non è vero!» avvampò Courtney.
«Sì che è ve-ve-ve-ro!» canticchiò Heather. «Lo sai che ho ragione. Così anche la principessina viziata ha un cuore… Adesso resta solo da scoprire il motivo di questa segretezza… Hai paura di me, per caso?»
«No!»
«Del mio giudizio?»
«No!»
«…Che te lo rubi?»
«Ah! Certo che no, Heather!»
«Quindi avresti soltanto paura di infastidirmi? Scusa tanto se non me la bevo! Non sei proprio un tipo premuroso, tu.»
Courtney si sforzò di terminare i cereali riempiendo i cucchiai: un gesto poco raffinato, ma doveva assolutamente evadere da quella conversazione! Bevve il latte rimasto nella tazza in un unico sorso e si alzò velocemente dalla sedia, mentre la cugina prendeva posto al tavolo col suo tè fumante. Prima di uscire dalla stanza replicò: «Nemmeno tu se è per questo, Heather. Infondo qualcosa in comune dovevamo pur averlo.»
Heather allontanò la tazza dalle labbra per risponderle a tono: «Guarda che io sono cento volte migliore di te!»
«Certo! Ne sono tutti convinti!» gridò Courtney dalla sua stanza. Si preparò in fretta, coi vestiti già scelti dalla sera prima; un velo di trucco, del profumo leggero e: «Io vado in università!»
«Ma fai quel che vuoi…» mugugnò Heather davanti al suono sordo del portone sbattuto.
Finalmente sola: Heather apprezzava la solitudine, che le regalava quei pochi momenti di totale serenità in cui non poteva scontrarsi con nessun’altra anima vivente. Essere sola rasentava un vero ritiro spirituale per lei.
Terminò il suo tè caldo e iniziò a fare dell’esercizio fisico: un beneficio sia per le prestazioni vocali del suo diaframma, sia per il lavoro di modella. Si stava completamente immergendo nella sua routine mattutina, quand’ecco di nuovo del rumore: il citofono. Raggiunse nervosamente la porta d’ingresso, le parole già sulle labbra: «Che cavolo vuoi ancora Court-?» No, non era Courtney la persona davanti a lei: era un imbarazzato, vagamente allegro, Trent; a casa sua, alle 7.30 di mattina.
«E tu che cavolo ci fai qui?»
«Avevo… bisogno di vederti. Per parlarti.» Heather lo fece entrare.


****
La mano di Gwen che impugnava il pennello sembrava danzare nell’aria, collocando il colore con distensione, quasi la riuscita del dipinto non dipendesse affatto dalla concentrazione riposta. Con delicatezza sporcava il colore, lo sovrapponeva, mischiava; poi un po’ d’acqua: ecco, ora si stendeva più fluidamente. Ostentava estrema naturalezza in ogni singolo gesto. Infondo dipingere era l’attività che più l’appagava, il passatempo più catartico che conoscesse: le ore si annullavano sotto alle armonie create nel colore.
Le piaceva il modo in cui si stava delineando quel disegno: il primo piano della pancia di una chitarra, con una mano a coprire le corde, come a giocarci, tirandole leggermente… Sì, Gwen sentiva che, una volta terminata, quella tela si sarebbe rivelata piacevole alla vista; la pittura era (stranamente per lei) vivace e satura, dominata dai toni accesi del verde, un verde così brillante… Il nuovo pensiero suggerito dalla sfumatura portò Gwen a stringere il pennello più saldamente: no, stupida; quello non era il verde di una cresta, non doveva neanche pensarci! Era il verde leggiadro di un paio di bellissimi occhi, infatti quel dipinto, aveva deciso cominciandolo, l’avrebbe dedicato a Dun- Trent, tela dedicata a Trent! Era Trent che suonava la chitarra, quella era la chitarra di Trent! A Gwen venne da sospirare: ma perché quelle immagini che la immortalavano con Duncan, risvegliatesi nella sua memoria il giorno precedente, non volevano uscirle dalla testa? In un impeto di irritazione verso i suoi pensieri, verso di lui, fece troppa pressione sulla punta del pennello ed eccola: un’unghia deformata e da aggiustare. Al diavolo. Gwen afferrò il pacchetto di sigarette e uscì sul pianerottolo. Andò a sedersi sull’ultimo scalino del piano e bruciò l’estremità della cartina sottile. I condomini si sarebbero lamentati per il tanfo di fumo, scendendo le scale? Non le importava. Gwen doveva sfogarsi. Quelle scene, dalla sua testa, dovevano scomparire. Come ennesima manifestazione dell’ironia del Karma vegliante su di lei, dopo appena qualche tiro, il suo sguardo incontrò il punk, ghignante e soddisfatto, di ritorno dalla nottata trascorsa da Courtney che, come da rituale, l’aveva sbattuto fuori casa appena dopo il risveglio perché, riferendosi alla cugina: «Lei non può scoprire che sei qui!»

Quella mattina Duncan non aveva opposto resistenza ai gesti di lei, che cercavano di scostarlo come spingendolo giù dal letto. Si era limitato a dirle: «Davvero pensi che non ti abbia sentita, questa notte?» guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Courtney. «Sì. Ha il sonno pesante e dorme dall’altra parte della casa. E adesso, fuori!» Il punk iniziava a pensare che la fantomatica cugina non fosse altro che un fantasma, una presenza fittizia volta soltanto a premere contro il suo indugio. Ma perché non avrebbe dovuto volerlo accanto un po’ di più, Courtney? Nonostante i suoi atteggiamenti, alternati tra troppo dolci e troppo scontrosi, traboccanti ora di fastidioso ma eccitante puntiglio, ora di noia, gli era chiaro che la ragazza fosse come stregata da lui. Non riusciva a resistergli, come quella notte: Courtney aveva risposto al messaggio di Duncan scrivendo: “Devo studiare”, ma dopo la replica del punk: “Potrei insegnarti tante cose anch’io” non si era fatta pregare, indicandogli l’orario al quale sarebbe dovuto arrivare, scrupolosamente “Puntuale!” Ovviamente Duncan era arrivato in ritardo e, con altrettanta ovvietà, il broncio di Courtney, imposto più che sentito, non era durato a lungo, schiacciato sotto l’ardore che quel ragazzaccio pieno di piercing e strafottenza accendeva dentro di lei. Non sapeva resistergli. Perché Duncan era Courtney: decisione, caparbietà, tenacia; però era anche il suo esatto opposto: menefreghismo, ostentata malizia, il coraggio di evadere da ogni regola o vincolo… un ardimento che alla ragazza mancava, nonostante, nelle profondità dell’anima, sentisse spesso bruciare quel desiderio di fare qualcosa di sbagliato. Era anche questo il motivo, pensava, per il quale si stesse legando così tanto a Duncan; i loro incontri la facevano sentire meno pulita, meno mascherata di quell’etica permissiva e generosa che, sotto sotto, non si sposava affatto con la prepotenza del suo carattere. Duncan la faceva sentire più sé stessa, nonostante tra loro non parlassero poi molto, anzi: gli impulsi li divoravano ogni volta. La sola differenza, però, era che Courtney li viveva intensamente, sotto forma di sentimenti; per Duncan, invece, era tutto soltanto un gioco, un passatempo che non gli dispiaceva per niente, finché Courtney teneva la bocca chiusa; quando iniziava a raccontargli della sua vita desiderava scappare. Che importava, a lui, di quello che faceva? Delle sue preoccupazioni? Che cavolo di senso ha parlare ad altri dei propri problemi?
 
Alla vista dell’espressione accigliata di Gwen, Duncan la salutò come più gli piaceva fare: «Buongiorno, bellezza.»
Gwen lo guardò inclinando la testa, quasi a sforzarsi di capirlo più in fondo, prima di domandargli: «Tu pensi che sia una stupida, Duncan?»
Lui non si scompose. «In realtà sono ben altri gli aggettivi che mi vengono in mente a tuo riguardo. Potrei elencarteli, se vuoi.»
La dark ignorò il suo punto, scalfendolo; sarebbe stato carino approfondire la lista, chissà quante sfumature di rosso si sarebbero susseguite sul viso di lei!
«E allora perché non mi hai detto la verità, ieri?» La voce di Gwen si fece più decisa. L’atteggiamento di Duncan la faceva innervosire e, soprattutto, non lo capiva. Con quale fine nasconderle la verità dei fatti? Per il gusto di sapere qualcosa in più di lei? Per poterlo sbandierare nel momento meno adatto, per divertimento? «Mi sono ricordata tutto quello che è successo tra di noi, sai?!»
Duncan, già rivolto alla sua porta per infilare la chiave nella serratura, si voltò di nuovo a guardare Gwen, ancora seduta sul gradino con la sigaretta in mano.
«Vuoi urlarlo un po’ di più? Così magari sente anche il tuo fidanzatino pazzo e ci chiede di replicare il gioco tutti insieme…»
Lo sguardo di Gwen si fece tagliente, gli occhi ridotti a fessure. Schiacciò la sigaretta sul gradino e si alzò di scatto.
«Trent non è in casa e tu devi smetterla di scherzare!» Gli puntò un dito al petto e, ora con fare più supplichevole ma non per questo spoglio di rabbia, ripetè: «Perché non me l’hai detto?!»
«…Perché non volevi sentirtelo dire?» rispose retorico lui.
«E allora?!»
Duncan intuì che non sarebbe riuscito a svignarsela nel suo appartamento tanto velocemente, così fece scivolare le chiavi in tasca. «Senti, ma non è stato meglio per te, così? L’ho fatto per farti un favore, per non metterti in una posizione scomoda!» Sì e no, in realtà: Duncan sapeva che, in cuor suo, la scelta della segretezza era stata compiuta principalmente per sé, per godersi la ragazza ancora un po’ senza il rischio che scappasse da lui; pericolo che sembrava ora concretizzarsi, per suo fastidio. «Con che faccia avresti baciato lo stronzo effemminato ieri sapendo la verità, eh?!» Lo schiaffo di Gwen partì in automatico, gesto che, improvvisamente, l’avvolse in una tranquillità nuova, seppur precaria.
«Non chiamarlo in quel modo.»
Duncan rispose con lo stesso tono calmo di lei: «Chiamo chi voglio nel modo che voglio. E comunque, dovresti ringraziarmi.»
«Beh, grazie per avermi mentito, Duncan! Sai come mi sono tornate in mente le scene dell’altra notte?!» Si bloccò maledicendosi di aver imboccato la strada sbagliata.
Notando il suo sguardo imbarazzato, Duncan si fece incredibilmente interessato. «Raccontami, così mi intrighi…»
Gwen cercò di schiavare la palla avvelenata: «Mentre ero con Trent!»
«Uhhh» Duncan sollevò le mani in gesto di finto stupore. «E in che maniera, più precisamente? Non puoi aver pensato a me sentendo i suoi complimenti nauseanti, lo prenderei come un insulto! Eravate senza vestiti, almeno?»
Gwen si sentì avvampare. La bocca di Duncan, invece, venne raggiunta da un riso fin troppo appagato.
«Non mi dire… quindi hai pensato a me mentre -»
«No!» lo tagliò Gwen. «No e ora devo tornare in casa! A… A mai, possibilmente, Duncan!» Si sbattè la porta alle spalle, lasciando il punk piacevolmente soddisfatto del risvolto del discorso e già dimentico dello schiaffo ricevuto. Sfilò che chiavi dalla tasca ridacchiando, l’espressione piena di vergogna di Gwen incisa in testa; dal piano superiore, intanto, la voce di Chris McLean risuonava: «Che è questo tanfo di fumo?!»

****
«È buffo… da quanto ci conosciamo, Heather? Ormai da una vita, eh? Eppure non sono mai entrato in casa tua…»
«Buffo? Non lo definirei buffo… Ci siamo sempre incontrati fuori con gli altri della band, perché qui non c’è niente di speciale.»
Trent avrebbe voluto tirarsi uno schiaffo davanti al pensiero improvviso: Ci sei tu. No, non uno schiaffo: nove schiaffi, e nove testate al muro, violente, e non sarebbe ancora stato abbastanza dolore; neanche nove volte quel dolore lo sarebbe stato.
«E poi qui c’è sempre quella rompi di mia cugina… Sei fortunato, è uscita giusto poco fa per andare in università.» Alzò gli occhi al cielo. «è talmente monotona, quella ragazza…»
«È per questo che non ce l’hai mai fatta conoscere?» Trent seguì Heather nel salotto e prese posto sul divano, al suo fianco.
Ma a Heather non piaceva girare intorno alle questioni. Trent era un ragazzo gentile, non è che stesse fingendo di interessarsi a questi argomenti-fesserie riguardanti lei, ma era chiaro che non fossero quelli il motivo della sua visita; c’era qualcosa, appariva cristallino, che il ragazzo voleva schivare. Così Heather glielo chiese secca: «Che cosa vuoi, Trent?»
Lui si fece più rosso. «Io… Io niente di che, in realtà… Volevo solo parlarti, sai no, ho ripensato a quello che hai detto ieri mattina, così…»
«Oh…» Heather sorrise davanti alla prova di quanto raggirabili e volubili fossero i ragazzi; non si tradivano proprio mai. «Quindi è per quel bacio.»
Trent abbassò lo sguardo sentendosi ora paonazzo, come vittima di un attacco improvviso di febbre letale. Non l’avrebbe mai ammesso.
«Chi tace acconsente…» sospirò Heather. Poi rise. «E vuoi ancora venire a dirmi che ami Gwen incondizionatamente? Sei così divertente, Trent!»
«Ma è… la verità…» si ritrovò a farfugliare Trent, con la voce meno convinta parola dopo parola. Trent sapeva di non provare niente per Heather: indiscutibilmente era una ragazza affascinante, tanto bella quanto cinica, quanto ostile, irraggiungibile… forse. Trent non amava Heather (lui amava Gwen!), tuttavia il bacio della sua cantante l’aveva punto come un ago iniettato di veleno, sostanza ipnotica e pericolosa al sapore di un ventaglio di emozioni decisamente più ampio rispetto a quello conosciuto e apprezzato in precedenza dal chitarrista. Infondo è risaputo: l’arte nasce dal sentire, e sentire poco non fa bene al contrasto tra i ritmi che compongono un album; l’uniformità dei brani è un sigillo d’artista, sì, ma annoia. Trent non voleva annoiare nessuno.
«E allora spiegami perché sei qui, Trent.»
Il ragazzo restò in silenzio per diversi secondi.
«Forse…» tentò «Forse hai risvegliato una parte di me che non pensavo di avere…»
Heather appoggiò la testa al braccio. «Non mi dire.»
«È così!» ribadì lui, come se quella potesse suonare come giustificazione alla strana attrazione che ora lo legava all’amica. «Durante quel… bacio… io non mi sono sentito schiavo delle mie emozioni. Per qualche secondo tutta la tensione per la situazione si è come volatizzata!»
«Oh, a proposito: alla fine ti ha lasciato, Gwen?»
Trent scosse il capo. «Avevo frainteso. Non è successo niente tra lei e quel punk. Il problema è che prima di scoprirlo io e lui ci siamo presi a botte combinando un bel casino nel negozio di Chef… ci ha cacciati entrambi.»
Heather scoppiò a ridere. «Non ci posso credere! Il mio innocuo chitarrista che le suona a un punk? Questa è tutta da raccontare!»
Trent la guardò serio. «Non è così divertente… almeno posso contare sulla riassunzione da Chef, lui mi conosce, sa che quello che è successo è stato soltanto per colpa di Duncan…»
«Duncan, eh?» ripeté Heather. «Quindi è questo il nome della famigerata minaccia… ma sentiamo, era davvero soltanto sua, la colpa?»
«È stata colpa sua provocarmi! Almeno adesso sa che non gli conviene mettersi contro di me.»
Heather si sentiva davvero divertita: sul serio. Come faceva l’uomo, Trent! Ma che gli era successo in una giornata? La mattina precedente era tutto piagnucolante e adesso… adesso si atteggiava da lottatore di wrestling che esce vincitore da un ring!
«Comunque stavo dicendo, riguardo al… bacio… Io, insomma, ho capito che non voglio più sentirmi schiavo di un bel niente. Hai ragione, l’artista deve saper comandare le sue emozioni e deve saperle vivere tutte, deve essere aperto… Io non sto dicendo di non amare Gwen, io la amo, ma non sopporto di soffrire per lei… Il dolore dovrebbe stimolare la creatività, ma con Gwen è talmente forte da distruggermi completamente, altro che comporre musica… è soltanto negativo…»
«Quindi sei venuto qui per… convertirti?» dedusse Heather.
«Sono venuto qui perché non reggevo la vista di Gwen, non riuscendo a comprendere le cose tra noi due» concluse, indicando prima sé e poi Heather con l’indice.
«Non c’è un bel niente da comprendere» puntualizzò Heather.
«Già, appunto. Però io voglio questo niente, Heather. Ne ho bisogno... Mi farà sentire uno stronzo con Gwen, ma è un senso di colpa che col tempo si alleggerisce, no? Diventa normale? È l’unico modo che ho per proteggermi… per proteggere la nostra musica…» Alzò lo sguardo su di lei e, sempre restando sui toni allusivi, le chiese: «Tu ci staresti?»
Lei rispose: «Io sto sempre dalla parte della nostra musica, Trent. Non mi interessa altro.»
Beh grazie, si ritrovò inevitabilmente a pensare Trent. Quindi di me non ti interessa nemmeno un po’?
«Allora dici che è una cosa giusta da fare…?» azzardò, timoroso.
Heather era irremovibile: «È facile, Trent. È una scelta sola: la tua morale o la nostra musica, la sofferenza o la parte più accesa di te? Pensaci, prenditi questa giornata… Divertiti con Gwen, che ne so… Riflettici su. Se la tentazione sarà troppa, mi troverai qui. Ricordati però che stai imboccando un vicolo cieco. Cieco per la tua logica moralista, ovviamente. Ma un’autostrada per la tua arte. La scelta è tua, Trent.»

****
Trent passò per il negozio di Chef prima di tornare a casa da Gwen. Il campanello sopra alla porta che avvisava dell’arrivo di un cliente tintinnò al suo ingresso facendo voltare Chef, preso a sistemare gli ultimi dischi sui ripiani rovesciati dai due litiganti il giorno prima. Guardò torvo il suo ex-assistente, prima di chiedere: «E tu che vuoi ancora?»
«Scusarmi per il casino di ieri» mormorò.
«Delle tue scuse non me ne faccio un bel niente, ragazzo. Sai quanti danni avete causato? Eh?»
Trent si sbilanciò nel tentativo di salvarsi. «Lo so Chef, mi dispiace davvero, ma la colpa non è stata mia! Mi conosci, pensi davvero che possa essere così violento? È stata tutta colpa di Duncan!»
Chef incrociò le braccia sul petto, studiando ora Trent con più attenzione. Aveva ragione: il ragazzino si era sempre mostrato disponibile, fin troppo cordiale e pacato… in più, non si era mai lamentato del salario non molto alto – dettaglio da non sottovalutare, per Chef! – … una mano, in fondo, gli serviva; trascorrere ogni singolo attimo di ogni singola giornata nel negozio di musica di cui era proprietario lo avrebbe mandato al tappeto! Quando si sarebbe riposato, Chef? Quando avrebbe trovato il tempo per prender parte al suo corso di cucina? Quando sarebbe andato in palestra per sfogare il cattivo temperamento contro un sacco da boxe? Si limitò a dire: «Però sei stato tu ad aver portato qui quello lì.»
«È stato un grande errore» rispose Trent. «Ancora non lo conoscevo.»
Chef inarcò le sopracciglia. «Non è passata neanche una settimana da quel giorno…»
«Lo so. Però sono successe molte cose.» Chef rispose con un semplice cenno del capo.
«Ti prego, Chef. Puoi fidarti di me, lo sai! Dammi un’altra possibilità, non ti deluderò!»
Chef lo squadrò per un’ultima volta. Al diavolo. Aveva bisogno di quel ragazzino sottopagato.
«Allora vedi di metterti all’opera a partire da adesso» gli disse. «Il magazzino non si sistemerà da solo, ragazzo!» Trent corse verso il retro del negozio con un sorriso a trentadue denti istantaneamente ritrovato.

****
Duncan. Duncan. Duncan. Ti ammazzo, Duncan. Il nervosismo trapelava dai pensieri di Gwen con trasparenza. Dopo una giornata incerta e nuvolosa, il cielo aveva deciso di rasserenarsi soltanto sull’ora del tramonto. Gwen si era sistemata sul solito balcone e, con una piccola tela sistemata sulle ginocchia, si apprestava a delineare i colori intensi di quel cielo solo in parte coperto dai tetti delle case di fronte. Le sfumature mutavano, scurendosi, fin troppo velocemente. Con altrettanto drammatica velocità si consumava la sigaretta che Gwen teneva tra le labbra, aspirando tra una pennellata e l’altra. Analogamente drammatici erano i granelli di cenere, che cadevano dall’estremità della paglia finendo per sporcare il disegno, drammatici come quei cavolo di pensieri, come il fastidio per quel cavolo di Duncan, dannato Duncan! Dannato - «Gwen! Ci sei?»
«Trent?»
La ragazza gettò la sigaretta e posò la tela sul pavimento del balcone, per alzarsi e rientrare in casa dal suo fidanzato.
«Pensavo non saresti tornato più!» esclamò con ironia, abbracciandolo; quanto calore, per Trent. Ma da quando la sua ragazza era diventata tanto espansiva? Non che fosse anaffettiva, ma saltargli al collo soltanto per essere arrivato a casa, beh… wow, non era abituato!
Trent iniziò ad accarezzarle i capelli. «Ma come siamo dolci, oggi…»
«D-Dolci?» La sua affermazione portò Gwen a scostarsi all'istante; era stata artificiosa?
«Ehi» la rassicurò prontamente Trent, «non voleva essere una critica, torna qui.» La strinse di nuovo a sé. Il cuore di Gwen batteva troppo velocemente, lei lo sentiva chiaramente. Perché batti così? Fermati! Ma no: e non era per un improvviso impeto di sorpresa o sentimento, magari lo fosse stato... Il suo cuore correva per la paura, perché nella testa aveva ancora Duncan, perchè lei era stata complice di Duncan, e adesso come avrebbe potuto nasconderlo a Trent? Duncan non si decideva a uscire dai suoi pensieri, come se quella notte, durante la quale il peccato più grave non si era concretizzato, esigesse una rivincita, implodendo perché: “Non posso essere lasciata in sospeso così!” Abbracciata a Trent, Gwen non riusciva a fare altro che pensare al ricordo di Duncan, che l’aveva stretta a sé in modo così diverso… e quando Trent la baciò, Gwen non riuscì a fare altro che porre a confronto il contatto con quello vissuto con Duncan, inciso nella sua memoria come così ardente e desideroso… No, non poteva essere: sicuramente le percezioni di quella notte erano state deformate, amplificate dall’alcol; di sicuro non coincidevano con la realtà, però… Come poteva smettere di rifletterci su, non potendo avere certezze a riguardo?
«Sai Gwen? Oggi sono stato fuori tutto il giorno perché Chef ha deciso di revocare il licenziamento.»
Gwen aveva già sulla punta della lingua la prossima domanda: “Anche quello di Duncan?” Ma riuscì prontamente a serrare la mascella per impedire alle parole di uscire. Sarebbero suonate tremendamente inadatte, alle orecchie di Trent.
«È per questo che sono arrivato tardi» proseguì il ragazzo, «Ho lavorato tutto il giorno per cercare di rimediare al disastro di ieri… Ma dovrò fare ben più di uno straordinario per pareggiare i conti con Chef… Figurati che ho dovuto pranzare in appena dieci minuti, prendendo un panino al camioncino dietro l’angolo!»
Gwen ridacchiò. «Che pasto triste…»
«Già… Ma stasera dobbiamo riscattarlo…» Trent sorrise. «Preparati Gwen, andiamo a cena fuori, in un bel posto! Festeggiamo!»
Cavolo. Gwen era felice della riassunzione del suo fidanzato, davvero; era anche felice di passare del tempo da sola con lui, e in un bel ristorante, per giunta… Non le dispiaceva per niente l'ottica di sedersi a un tavolo senza doversi preoccupare di cosa mettere in pentola, di quale fornello è acceso, di cosa sta bruciando perché la puzza non mente… Tuttavia, continuava a sentirsi spalle al muro. Nella sua testa, sempre lo stesso soggetto: Duncan… Ti ammazzo, Duncan. Dopo un bacio veloce, corse in camera a prepararsi, la testa che protestava di esplodere.

Trent si sentiva rilassato, invece. Aver rivisto Heather quella mattina lo aveva riempito di una nuova calma. Chissà come riuscisse a produrre in lui un effetto tanto benefico… Wow, era davvero incredibile… Adesso era lì, con Gwen, la ragazza che amava, e anche se il pensiero del bastardo punk gli attraversava la mente, in ricordo dei recenti avvenimenti che lo riguardavano, non riusciva a sentirsi nervoso. Era soltanto sereno, con una piccola, piccola punta di amarezza: il senso di colpa. Trent era buono, lui non voleva tradire Gwen… Ma quello era tradire? Trent si ripeteva di no: era soltanto legittima difesa.
In realtà il progetto di uscire con la fidanzata quella sera non era stato frutto dell’improvvisazione; Trent l’aveva originato uscendo dalla casa della sua cantante la mattina. Ecco cosa aveva deciso: quella serata avrebbe scandito la sua decisione, ancora in bilico tra moralità e quello che percepiva come il suo bene. L’affinità che avrebbe vissuto con Gwen al ristorante, parlando del più e del meno, avrebbe suggerito a Trent il da farsi; un ottimo piano, pensava Trent. Ma in cosa sperava, realmente?

Il posto che aveva individuato il ragazzo per la cena era poco distante dal loro appartamento: un ristorantino piccolo ma elegante, accogliente. Mangiarono bene; Trent ordinò anche una bottiglia di vino per festeggiare la riassunzione da Chef.
Gwen: «Guarda che non ti conviene approfittarne dandoti già alla pazza gioia, potrebbe ancora cambiare idea e lasciarti senza un soldo per strada…»
Trent colse la sua ironia: «In questo caso ci verresti anche tu, in strada con me?»
Gwen: «Non è la proposta più allettante che abbia sentito, devo dire… Ma invece con la tua musica? Non ti esibisci più? È da un po’ che non me ne parli.»
No, pensò Trent; in realtà era da un po’ che lei non stava ad ascoltarlo mentre ne parlava. Deglutì il colpo.
«In quest’ultimo periodo ci hanno contattato meno locali, in effetti… Ma le offerte torneranno di sicuro, deve trattarsi solo di un periodo un po’ no.»
Gwen annuì, prendendo una forchettata della sua porzione di anatra all’arancia.
«Forse dovreste… cambiare un po’ il vostro stile?»
«Cosa intendi?» Trent si rizzò sulla sedia: per lui, che viveva ogni appunto fatto sulla sua musica come un affronto personale, anche quella minima incertezza mostrata da Gwen sul suo stile si configurò come una freccia.
La ragazza sollevò le spalle. «Non lo so… Però le tue canzoni sono tutte abbastanza simili, no? Magari sperimentando un po’ la tua band avrebbe più successo… è un’ipotesi.»
«Secondo te dovrei… sperimentare?» ripeté dubbioso.
Gwen annuì. «Potrebbe essere vantaggioso!»
Trent si sentì ferito: quindi la sua fidanzata non credeva davvero nella sua musica? Cavolo, ma com’era possibile? Si sentì deluso e sì, pensò anche che Gwen non lo capisse perché non ne fosse in grado, che solo Heather avrebbe potuto riuscirci. La cena proseguì con un’affettata disinvoltura, artificiosa soprattutto da parte di Trent, che non riusciva a smettere di rimpastare le parole della sua ragazza: “Forse dovreste cambiare un po’ il vostro stile?” Cavolo, no!
Gwen era più naturale, parlava con Trent come sempre, o almeno, quasi come sempre: il sottofondo di irritazione al sapore di Duncan la mordeva di continuo; cercava di schivarlo, ma puntualmente tornava a darle fastidio. Eccola di nuovo: la scena di loro due su quel divano; ma che diamine era successo, esattamente?!

Non tornarono a casa tardi. Raggiunto l’edificio, Trent simulò di aver ricevuto un messaggio.
«Cavolo…» disse. «Scott mi ha appena scritto… ricordato, cioè… che questa sera dobbiamo provare con la band!»
«Adesso?» chiese Gwen. «Non è un po’ tardi? Fino a quando avete a disposizione la stanza insonorizzata?»
«Mezzanotte, c’è tempo… Anche se dopo… era nel messaggio di Scott, mi ha invitato a stare da lui, anche con Al. Sai, per raccontarcela un po’ su… Scott lo vedo regolarmente in negozio, ma Alejandro è come un fantasma, appare soltanto alle prove…»
«Tranquillo» disse Gwen, «non c’è problema. È giusto che tu voglia passare del tempo coi tuoi amici. Allora… non ti aspetto per la notte, giusto?»
Trent annuì. Quindi… era fatta?

Salì con Gwen per prendere la chitarra; infondo doveva davvero fingere che quelle prove esistessero! Poi salutò Gwen con un bacio a stampo. Tornato in strada, chiamò Heather.
«Mh?»
«Ho… deciso, Heather.»
«Che cosa?»
«Sei in casa? Posso venire da te?»
Heather, dietro la voce controllata che suonava al telefono, stava sogghignando, pensando che i ragazzi fossero tutti come creta, modellabile con estrema facilità.
«Mia cugina resta da un’amica dell’università per la notte. Sono sola.»
«Sto arrivando.»
«Aspetta, Trent.» pronunciò Heather un attimo prima che l’altro potesse spegnere la chiamata.
«S-Sì?»
«Cosa ti ha convinto?»
Trent sbuffò. «Ha detto che la mia musica è sempre uguale!»
«Come se quella capisse qualcosa di musica!»
Trent sorrise. Sapeva che lei lo avrebbe compreso.

****
In tv non c’era niente. I pennelli erano tutti ancora da lavare. I pensieri ancora martellanti in testa. Maledizione. Dopo un paio di minuti sprecati facendo zapping tra i vari canali, Gwen si alzò e uscì di casa. Non si era ancora cambiata, dall’uscita con Trent: non che il vestito che aveva indosso fosse esageratamente elegante, solo un po’… provocante, forse? Al ristorante aveva tenuto una giacca leggera sulle spalle; in casa, però, faceva più caldo. Uscì sul pianerottolo con le spalle scoperte e quella scollatura in vista che, già lo sapeva, l’avrebbe fatta a sentire a disagio.

«Sei venuta per colpirmi di nuovo? O questa volta pensi di uccidermi?» Lo sguardo gli cadde subito sul suo decolleté. «Decisamente uccidermi, direi…»
Gwen spinse la porta di più per entrare. Duncan non oppose resistenza. La sua curiosità assecondava i gesti di lei.
«Io… ho fatto un ragionamento.» Posizionò le mani sulle tempie, Gwen, come a testimoniare un’immane profondità di sforzo e attendibilità.
«Ho pensato…» Avrebbe voluto sentirsi tanto sicura di sé, tanto coraggiosa, da esprimere i suoi pensieri di getto, in un’unica frase breve e concisa… ma Gwen non era così, non sempre, nonostante la maschera di sfacciato sarcasmo. Si sentì avvampare; cos’è che doveva dire? In che ordine si mettono le parole, in una frase? «Ho pensato che… sì, insomma… quello che abbiamo fatto…»
La sua difficoltà incontrò un semplice: «Mh?» da parte del punk, di incoraggiamento a proseguire. Dove diamine voleva andare a parare?
«Voglio dire… quello che è quasi successo… cavolo, non riesco a smettere di pensarci!»
«Non mi dire!»
«Non sto scherzando, Duncan! È una cosa seria!» Gwen si lasciò cadere sul divano, quel divano, e rabbrividì al pensiero che fosse stato loro silenzioso complice. Stronzo divano che l’aveva permesso. Stronzo Duncan, che era lì. Stronza lei stessa, che l’aveva voluto.
Mettendosi anche lui a sedere, Duncan mugugnò: «Mh… non mi piacciono le cose serie.»
Gwen non calcolò il suo commento: «Il punto è che se quella sera, rimasta così in sospeso e… annebbiata, agh! Ma quanto avevo bevuto?! Sì, insomma… io devo averla distorta, per forza, ed è per questo che non mi lascia in pace… quindi…» Si interruppe per sospirare. «Ho bisogno di risentirla da capo.» Guardò Duncan, che continuava a non capire.
«Per chiudere la situazione…» specificò Gwen. «Per provare che non è stato niente di che, che è stata la mia testa a distorcere ogni sensazione per l’alcol. Che non ha senso pensarci.»
«Mi stai chiedendo di…»
«Sì, Duncan.»
Il punk era convinto si trattasse di un tranello. Un “vediamo se sei davvero così stronzo, Duncan”. Si sentiva tanto confuso da non riuscire a reagire; incredibile per lui, non cogliere al volo un’occasione del genere! Nemmeno quando Gwen glielo domandò di nuovo, e «Per favore…» Eh? Allora la ragazza si avvicinò di più a lui. La sua espressione non tradiva il timore per quello che, ormai aveva deciso, sarebbe stato giusto fare. No, giusto non era proprio la definizione adatta: giusto per lei, forse? Soddisfacente? Allietante? Ma che importanza aveva adesso dargli un nome? Sarebbe andata fino in fondo, indipendentemente. Si protese verso il punk e sfiorò quelle labbra, così fredde in confronto a quelle di Trent. Avvertì un fremito. Si sentì cadere e poi afferrare, sollevare e sbattere contro al muro, e ritrovò quelle mani, quella lingua, quelle sensazioni più forti create dai gesti più audaci, il profumo più pungente, così pericoloso, così… così Duncan. L’unico alcol a disinibire, questa volta, erano gli stessi impulsi irrazionali che, assecondando la loro natura, scalpitavano euforici di non poter essere controllati: non potevano arrestarsi, ogni loro desiderio sarebbe stato esaudito.
Per un momento Duncan ritirò in dentro le labbra e, staccatosi dalla ragazza con estremo disappunto di lei, disse: «Se provi a ripetere il nome di quello sfigato ti farò del male.»
«L-L’ho fatto?» Gwen sentì l’imbarazzo crescere a dismisura. Anche se la memoria non le concedeva di rintracciare quel passaggio, il nome di riferimento l’aveva ben intuito: Trent… Trent che in quel momento stava suonando cercando di costruirsi un futuro, pensandola, forse… e lei lì, con Duncan… Eccolo: il senso di colpa, lo stesso che la sera del peccato originale l’aveva portata a pronunciare il nome del fidanzato nel tentativo, complice il blackout della ragione a causa dell’ebbrezza, di farlo apparire al posto del punk come per magia, per poter continuare quegli scambi di effusioni sotto l’illusione della loro assoluta correttezza. Per un attimo Gwen pensò di bloccare tutto, di alzarsi e tornare nel suo appartamento… ma un attimo è breve a trascorrere, e appena Duncan si ricalò su di lei ogni dubbio, ogni rimorso, evaporarono sotto al calore di quei baci sbagliati ma giusti, che l’avrebbero dannata, li avrebbero dannati - ma no, Duncan era già promesso ad Ade da un pezzo -, dopo aver mostrato loro il paradiso.
 




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Benritrovati a tutti! Il parallelismo tra le varie coppie di personaggi (Heather-Courtney, Trent-Heather, parentesi Courtney-Duncan, Duncan-Gwen, Trent-Gwen, Trenther (?) e Gwuncan again… wow suona molto più casino ad elencare il tutto così) mi ha tenuta un pochino (MOLTO) più impegnata rispetto ai capitoli passati (e ha riempito parecchie più pagine!), spero che il risultato possa intrigare e non incasinare la testa xD la trama in stile "Altainfedeltà" si sta infittendo sempre di più, sono colpevole, ma vi assicuro che questa storia non vuole assolutamente rivelarsi trash come il programma tv ;) molti piani interessanti sono in cantiere per i prossimi capitoli!

*e se ve lo state chiedendo sì, il disegno è opera mia, spero apprezziate ^^ l’ho realizzato soprattutto per ringraziare tutti voi che state seguendo con interesse e partecipazione la storia, recensendola e preferendola ♥ Ogni volta che torno su EFP ho il timore di venire abbandonata nell’oblio in compagnia soltanto di lettori fantasma 0_0 , sono contentissima di notare che non sia così! Quindi grazie soprattutto a voi, lettori attivi! Dubito che in vostra assenza sarebbero esistiti questi capitoli, probabilmente senza riscontri mi sarei bloccata al 2 xD mi demoralizzo facilmente U.U

! : [avendo riscoperto questo bellissimo programma per il disegno digitale, già che ci sono e dato che quando ho tempo mi diverto anche così, faccio un appello ai miei colleghi autori! Se qualcuno gradisse una sorta di “copertina” della sua storia, in uno stile di disegno analogo a questo, mi scriva pure, lo realizzo volentieri coi vostri personaggi ^^ ]

A presto (spero!)

Alyeska
(sì, ho ricaricato il capitolo: smanettando ho erroneamente cancellato la pubblicazione di ieri :/ )
   
 
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