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Autore: Viking86    28/01/2021    2 recensioni
Rachel è entrata nella vita di Chloe nel suo momento più buio. Chloe è entrata in quella di Rachel giusto in tempo per sostenerla quando il suo mondo è crollato. Il loro rapporto è forte, intenso, forgiato nel fuoco della sofferenza e potrebbe davvero salvare entrambe, o condannarle. Rachel è stato l'angelo di Chloe, ma anche il suo diavolo, così come Chloe è stata l'ancora di salvezza per Rachel e il suo più grande limite.
Life is Strange: Untold racconta la storia di Chloe e Rachel a partire dalla morte di William fino agli eventi di Life is Strange. Inizia subito dopo gli eventi di Before the Storm (con salti temporali indietro e avanti), ma ho fatto un lavoro di adattamento perché tutto corrispondesse il più possibile al canone originale.
Immersa nel contesto vitale di Arcadia Bay, la storia racconterà com'è nato il loro rapporto, come si è sviluppato e come la città e il mondo intorno a loro (sotto forma di coincidenze e altri personaggi, alcuni dei quali originali) abbia condotto a ciò che sappiamo (Dark Room).
Rachel e Chloe hanno avuto scelta o era destino?
Necessario aver giocato a BtS e LiS per poter cogliere i riferimenti (e i cambiamenti rispetto a BtS)
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Chloe Price, Mark Jefferson, Nathan Prescott, Rachel Amber
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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(I prossimi capitoli fanno parte di un salto indietro nel tempo. Ho sentito la necessità di esplorare il passato di Rachel e Chloe prima degli eventi di Before the Storm, ma anche di sistemare il casino di incongruenze canoniche che ha fatto la Deck Nine con quel gioco! Nei prossimi capitoli ho cercato di raccontare una storia più in linea con i fatti del gioco originale, facendo un po' di "ordine" prima di tornare al "presente" post BtS con Chloe e Rachel.
In questo capitolo racconterò la vita di Chloe nel periodo tra la morte di William e poco prima dell'incontro con Rachel.
In quello successivo ho tentato di immaginare ed esplorare la backstory di Rachel, immaginando come sia diventata la persona che era fino all'incontro con Chloe.
Poi seguiranno due capitoli in cui mostro finalmente la nascita e lo sbocciare della loro amicizia, utilizzando alcuni eventi chiave di BtS, personaggi noti e altri non noti (pochissimi del tutto inventati). Ho voluto dipingere uno scenario plausibile fino al giorno in cui Chloe e Rachel balzano su quel treno per andare a Culmination Park e dare avvio alla storia di Before the Storm. Da lì in poi gli eventi di BtS si sono svolti più o meno come nel gioco.
Spero che vi piaccia e se vi va lasciatemi un feedback.

Buona lettura!)


Wasteland

“Take the worst situations
Make a worse situation
Follow me home, pretend you
Found somebody to mend you
 
I feel numb
I feel numb in this kingdom
I feel numb
I feel numb in this kingdom”
Numbers - Daughter
 

Chloe non riusciva a dormire.
Nel letto, avvolta dalle lenzuola, si sentiva soffocare. Il tessuto contro la sua pelle era come carta vetrata, faceva troppo caldo, ma quando si scopriva si sentiva congelare. Non sapeva cosa fare. Si rigirava disperatamente alla ricerca di un po’ di comfort.
Che non sarebbe arrivato.
Nell'ampio letto c'erano numerosi fazzoletti di carta pieni di lacrime. Chloe, però, aveva smesso di piangere. Per ora.
Diede un'occhiata alla sveglia luminosa vicino al letto.
1:13
Non era mai stata alzata così tanto. Non senza Max comunque.
Quella mattina era stata l'ultima in cui si era svegliata fianco a fianco con la sua migliore amica. Prima del funerale di suo padre. Chloe ricordava i tre giorni precedenti a sprazzi, come si ricorda un sogno. Non era nemmeno sicura che fossero realmente accaduti. Tutto era sfocato, ovattato…
Cosa aveva mangiato?
Probabilmente la pizza che i Caulfield avevano portato la sera il giorno dell'incidente. Quel giorno William le aveva promesso la sorpresa al salmone di Joyce... aveva passato il pomeriggio pregustandola, giocando ai pirati con Max, finché sua madre non era rientrata a casa in lacrime, ancora con la divisa del Two Whales, accompagnata dall'agente Berry.
Era... un incubo. Ma non si poteva svegliare.
Suo padre era morto.
Morto…
La morte era un concetto su cui si era interrogata altre volte. Qualcosa con cui aveva un pessimo rapporto. Ricordava da bambina quando era morto il suo pesce rosso Calico Jack. Non aveva nemmeno potuto dirgli addio. Quando sua madre gliel’aveva detto le spiegò che era saltato fuori dall’acquario ed era soffocato, così l’aveva buttato nel water. Chloe non le parlò per un mese. Oppure lo scorso febbraio… Bongo… Ancora ci pensava. Lo avevano salvato da un gattile otto anni prima. Non si sapeva di preciso la sua età, ma si supponeva che avesse due anni quando l’avevano preso. Spesso con Max aveva scherzato sul fatto che non fosse più un gatto, ma fosse mutato in un croccantino peloso. Saltava poco e a fatica, correva solo quando c’era del cibo. Quando si avvicinava un altro gatto si nascondeva e non usciva mai di casa. Un giorno, per qualche motivo, è uscito. Una macchina l’ha investito. Quella volta però gli avevano fatto il funerale, la tomba del micio era vicino ai cespugli nel giardino di casa Price. Tre giorni prima, Chloe vide Max posare una margherita sulla sua piccola tomba e sentì un calore profondo nascerle nel centro del cuore.
Era incredibile…
Mentre guardava Max onorare Bongo, in quel preciso momento, suo padre era già morto e lei non lo sapeva.
Era già morto mentre sistemavano la stanza.
Era già morto mentre lei e Max ascoltavano la sua voce registrata nel loro messaggio pirata.
Era già morto mentre disseppellivano la capsula del tempo.
E Chloe non lo sapeva…
Max le era rimasta accanto in quegli ultimi tre giorni, quasi sempre in silenzio. L'aveva abbracciata, avevano pianto insieme, Max le aveva portato qualche fetta di pizza avanzata, poi un piatto di spaghetti troppo molli. Per la prima volta in vita sua, Joyce aveva sbagliato i tempi di cottura. A Chloe non importava. A malapena sentiva i sapori. Gli odori, il tocco di sua madre o di Max. Per tre giorni era rimasta sospesa, fino a quella mattina.
Vestita in abiti neri e formali, Chloe scese le scale lentamente, incontrando sua madre all'ingresso della casa. Max era in bagno al piano di sopra. Lo sguardo di Chloe era fisso sul pavimento, sentiva uno zaino colmo di macigni sulla schiena. Le impediva di respirare bene, spostarsi di un solo metro era uno sforzo sovrumano. Joyce le disse qualcosa, ma Chloe non se lo ricordava. Forse aveva a che fare con l'essere forte, poi le aveva dato un bacio sulla fronte e un abbraccio. Chloe non era riuscita a ricambiare. Continuava a guardare da qualche parte davanti a sé, immaginando che William sarebbe saltato fuori da un momento all’altro. Come se fosse tutto uno scherzo orribile. Almeno avrebbe avuto una scusa per arrabbiarsi con lui. Non ricordava di averne mai avute. C’erano sicuramente stati dei momenti. Giusto?
Infine, Max le raggiunse. Indossava un vestito nero piuttosto carino. I suoi occhi cerchiati di rosso indicavano che aveva appena pianto. Chloe si stupì di come ricordasse perfettamente i dettagli che riguardavano Max, mentre quasi tutto il resto le sfuggiva. Varcarono la porta per trovare i Caulfield parcheggiati con la loro Berlina nel viale in cui un tempo si trovava la macchina di William. Chloe ricordava la mano di Max che stringeva la sua. Ne trasse coraggio e fu l'unica memoria che le rimase del viaggio verso il cimitero. Fu allora, scendendo dalla macchina, che qualcosa si svegliò.
Tutto divenne improvvisamente reale.
Una brezza tagliente le ferì le guance. Un tuono distante attirò la sua attenzione, si voltò verso le montagne e vide una massa di nubi nere avvicinarsi. Il sole splendeva ancora nel cielo, ma presto sarebbe stato coperto. L'aria odorava già di umidità. Chloe notò il bagagliaio dei Caulfield straripante di valigie, spostò lo sguardo su Max che guardava fisso per terra. I suoi occhi umidi erano pieni di colpa e tristezza. Fuori dal cancello del cimitero incontrarono alcuni parenti, persone che Chloe vedeva solo durante le feste. Ricevette l'abbraccio dalla zia Dorothy, i baci affranti di nonna Clem, le condoglianze di zia Linda e zio Aaron. Guardandolo, si accorse per la prima volta di quanto somigliasse a William. Un po' più basso e con una pancia prominente, ma aveva lo stesso taglio degli occhi, gli stessi capelli biondi, le iridi di un azzurro solo un po' più scuro. Chloe lo abbracciò e per un istante ebbe l'impressione di essere di nuovo tra le braccia di suo padre.
Solo per un istante.
C'erano anche alcuni amici di lavoro di William, come un certo Roy che ogni tanto rimaneva a cena. Altri non li aveva mai visti prima.
Il carro funebre infine arrivò, tutti si scostarono e quando fu passato lo seguirono in processione fino al luogo di sepoltura.
Papà era morto davvero...
Durante il discorso del pastore, Chloe ricordava che Joyce era alla sua destra e Max alla sua sinistra, ma non le aveva guardate. Il suo sguardo era ipnotizzato dalla bara sormontata da una corona di fiori. Il mondo intorno a lei iniziò ad oscurarsi, la sua gola divenne incredibilmente stretta, l’aria passava a fatica, le gambe e le braccia si raffreddarono. Chloe era paralizzata. Vedeva attraverso la bara, suo padre sdraiato pancia in su in uno splendido completo nero, con il volto sorridente a occhi chiusi, come se dormisse e facesse bei sogni. Chloe sapeva che probabilmente non era così. Tutta la parte che di solito precede i funerali, con la veglia e l'esposizione del corpo era saltata. L'incidente era stato molto grave, probabilmente non avrebbe riconosciuto suo padre nei resti che la cassa conteneva. Eppure, Chloe lo vide...
Con la coda dell'occhio percepì sua madre avvicinarsi, protendere una mano bisognosa verso il suo braccio, ma quando la sfiorò sentì bruciare. Si allontanò, infastidita. Non voleva staccare gli occhi da lui, l’unica cosa che ancora la teneva in piedi.
Ancora non riusciva a muoversi.
Non riusciva a sentire.
Il mondo intorno a lei era oscurato.
La bara fu calata nella fossa. Uno ad uno, i partecipanti sfilarono accanto ad essa, raccogliendo una manciata di terra da un mucchio accanto alla lapide e lasciandola cadere sulla bara. Venne il turno di Chloe, ma non si mosse.
Qualcosa si era rotto.
Un tocco di gelo le colpì la testa. Se ne accorse ma non gli diede peso. Poi un altro e un altro, e un altro ancora. Le gocce gelide le picchiettavano fastidiosamente addosso, riportandola alla realtà. Quando si guardò intorno, Chloe vide che erano rimaste solo lei e Joyce, mentre il custode del cimitero completava con una pala la sepoltura di William.
Zio Aaron aveva aspettato fuori dal cimitero e le accompagnò a casa. Appena varcata la soglia Chloe si diresse in camera sua. Qui incappò con il piede nel suo registratore. Cosa ci faceva in mezzo alla stanza? Su di esso era attaccato un post-it con scritto "Mi dispiace". Premette play e ascoltò il messaggio di Max. Fu allora che le lacrime cominciarono a sgorgare. Le crepe nella sua anima si allargarono rapidamente, frammenti si staccarono, finché non andò completamente in frantumi. Poté quasi sentirne il rumore…
Il temporale imperversava fuori dalla finestra.
Papà era veramente morto...
Max era davvero partita...
Era sola.
 
Chloe si rigirò per l’ennesima volta nel letto. Gli occhi si inumidirono di nuovo. Credeva di essere disidratata ormai, e invece…
Strattonò irritata le coperte e disfacendo ogni parvenza di ordine. Allungò una mano fino al suo cellulare, quello viola che aveva decorato con Max. Tastando sui pulsanti, Chloe aprì la cartella dei messaggi e ne rilesse alcuni.
[Chloe]
  • Hey Max.
[Max]
  • Ciao... :(
[Chloe]
  • Sei arrivata?
[Max]
  • Si, qualche minuto fa. Stiamo scaricando la macchina.
[Chloe]
  • Bene. Felice che sei sana e salva. ^.^
[Max]
  • Vorrei essere lì...
[Chloe]
  • Lo vorrei anch’io…
  • Ho ascoltato il tuo messaggio.
  • Grazie. <3
[Max]
  • :)
 
Chloe sorrise fra sé, asciugandosi gli occhi.
Anche se Max era lontana, forse sarebbero davvero rimaste in contatto. Volle credere a tutto ciò che le aveva detto nel nastro, che sarebbe stato come se non fosse mai partita, si sarebbero scritte tutti i giorni e sarebbero andate a trovarsi.
Se Max fosse rimasta nella sua vita, Chloe sapeva di potercela fare.
[Chloe]
  • Buonanotte Max!
[Max]
  • Buonanotte Chloe! :)
 
Finché c'era Max, Chloe poteva farcela.
Chloe non era sola...
 
-
 
“Ahoy, ciurma! Sono io, Bloody Bill, Re dei Pirati!!
La voce di William usciva distorta dal registratore, ma a Chloe non importava.
Da giorni non faceva altro che ascoltare in continuazione il messaggio registrato che aveva trovato nella capsula del tempo.
“Immaginavo che voi due soldi di cacio non sareste tornati a riprendervi il tesoro per un bel po’, quindi ho aggiunto un’ulteriore protezione contro le intemperie…”
La sua voce… rimaneva solo quello di lui.
E le foto. Insieme al nastro ne aveva trovata una di lei e suo padre vestiti da pirati, scattata in qualche giorno soleggiato della sua infanzia. La stringeva mentre ascoltava.
Lacrime che non si fermavano mai…
“Sappiate solo che Bloody Bill… è dannatamente fiero di voi. Tutte e due…”
Il messaggio era rivolto a lei e Max, che aveva passato così tanto tempo a casa dei Price da diventare come una seconda figlia per lui. Chloe sorrise amaramente ricordando le lotte di Max e suo padre a colazione, duellando con le forchette per l’ultimo pancake.
Per una settimana rimase perlopiù chiusa in camera sua, impegnata in questa attività, poi dovette tornare a scuola. Joyce era rimasta a casa due giorni dal lavoro, giusto il tempo di sbrigare alcune faccende burocratiche e rendersi conto che senza lo stipendio di William, avrebbe dovuto lavorare il doppio. E così fece. Doppi turni al Two Whales, lasciando Chloe a casa da sola con molto tempo per pensare. La sentiva piangere al mattino poco prima che uscisse di casa e la sera quando si chiudeva in camera. Joyce tentava di farlo in silenzio, si tratteneva, ma la sentiva lo stesso…
Chloe aveva scritto a Max il giorno dopo il funerale, ma non aveva ricevuto risposta. Passò un giorno, due, poi sette. Max continuava a non rispondere. Chloe ci passò sopra. Immaginò che la sua amica fosse alle prese con il trasloco, la nuova casa, nuova scuola, nuovi compagni. Sapeva quanto Max fosse timida e odiasse i cambiamenti. Decise di non insistere e aspettare.
Max aveva promesso, sarebbe stato come se non fosse mai andata via.
Chloe non sarebbe rimasta sola.
Anche se aveva già infranto la parola di scriverle tutti i giorni, Chloe voleva crederci.
 
-
 
Raggiunse la Blackwell con lo scuolabus e percorse il breve tragitto fino all'ampio ingresso dell'edificio principale. Ascoltò la lezione di Inglese distrattamente, controllando di nascosto il cellulare sperando in una risposta di Max. A volte aveva la sensazione che la sua gamba vibrasse e controllava, altre volte pensava che fosse arrivato un messaggio senza che se ne fosse accorta e controllava. Nessuna risposta.
Ci fu la lezione di Chimica e Miss Grant la notò giocherellare continuamente col telefono, ma non disse niente. Anche la professoressa Hoida non la riprese. A Chloe non importava di essere particolarmente furtiva.
Vedeva negli sguardi dei professori e dei suoi compagni di classe qualcosa che non aveva mai visto. Pietà? Nei corridoi, Chloe incrociò altri studenti. Anche loro la guardavano in modo strano e si tenevano a distanza. No, non era pietà. Era disagio. Paura forse? Come se in qualche modo, se si fossero avvicinati troppo avrebbe potuto contagiarli.
Occhio che se state a meno di un metro vi muore il padre… attenzione…
Nemmeno Marisa Rogers e le sue cortigiane osarono avvicinarsi e di questo fu grata. Lo strano pensiero che suo padre morto la proteggesse dai bulli le attraversò la mente. Un sorriso amaro le apparve sul viso. Tra gli studenti che le passarono accanto ci fu anche una ragazza bionda che sfoggiava per la prima volta due orecchini con una piuma blu.
Chloe non la notò.
Aprì il suo armadietto, prese il libro di matematica, chiuse l'anta.
Controllò il cellulare.
Niente messaggi.
Si diresse in l'aula con sguardo assente quando qualcuno le si parò di fronte. Alzò lo sguardo e notò la divisa della sicurezza e le guance coperte di barba incolta di Skip Matthews.
"Hey Chloe? Mi hai sentito?" chiese lui, le sopracciglia incurvate verso l'esterno in un triste imbarazzo.
"Eh?" rispose lei come se si risvegliasse.
Skip sospirò
"Wells vuole vederti."
"Ho… fatto qualcosa di male?" chiese lei stupita e improvvisamente preoccupata.
"Non sei nei guai, tranquilla." Skip le offrì il suo miglior sorriso, sperando di rassicurarla.
Chloe scrollò le spalle e lo seguì verso l'ufficio del preside.
Wells la fece accomodare, insolitamente gentile. L'ultima volta che l'aveva visto era stato due settimane prima a causa dell' "incidente" con Marisa e il suo atteggiamento allora era ben diverso. Anche gli occhi di Wells erano come quelli di tutti gli altri, come se guardasse un pesce rosso fuori dalla sua boccia che si dibatte per respirare.
Inutilmente.
Con la sua voce profonda le fece le sue più sentite condoglianze, le disse che lui e tutto lo staff della Blackwell erano a sua disposizione per aiutarla in questo momento difficile e che poteva chiedere il supporto di un counselor scolastico. Chloe rispettosamente disse che non ne aveva bisogno, ma Wells insistette dicendo che parlare con qualcuno in queste drammatiche situazioni aiuta e che comunque sua madre aveva richiesto che lo incontrasse. Questo stupì Chloe, che sollevò lo sguardo incrociando quello di Wells.
Sua madre aveva chiesto a Wells di farle incontrare un counselor senza avvertirla e senza chiederle cosa ne pensasse?
Era nuovo…
…e strano.
Chloe scrollò le spalle. Non aveva voglia di opporsi. Se sua madre voleva che vedesse il counselor, avrebbe visto il counselor. Magari le avrebbe davvero fatto bene.
Uscendo dall'ufficio di Wells, Chloe controllò il cellulare.
Ancora nessuna risposta da Max...
 
-
 
Una settimana dopo, il telefono vibrò.
[Max]
  • Scusami tanto!
  • Qui è un casino.
[Chloe]
  • Hey Max!
  • Dov’eri finita?
[Max]
  • Un sacco di merda pazza con il trasloco e la scuola.
  • Seattle ti piacerebbe. ^.^
[Chloe]
  • Potrei fare l’autostop
  • Conviene soprattutto se ci metti due settimane a rispondermi! >.<
[Max]
  • ☹ Sono davvero dispiaciuta.
  • Ce l’hai con me?
[Chloe]
  • Forse…
[Max]
  • :’(
[Chloe]
  • Scherzo Maximus! XD
[Max]
  • Prometto che farò di meglio.
[Chloe]
  • Ti conviene!
[Max]
  • Ti chiamo stasera.
[Chloe]
  • Ci conto.
  • Byez Maxi Max
 
Chloe tirò un lungo sospiro di sollievo. Un sorriso rilassato le apparve sul volto. Finché Max era nella sua vita, anche se lontana poteva sperare.
Poteva resistere…
 
-
 
Novembre era alle porte. La nebbia cominciava ad aleggiare sempre più spesso e l’aria pizzicava sulla pelle. Il gelido approssimarsi dell’inverno.
Chloe non riusciva a dormire.
Le notti erano un susseguirsi interminabile di ore buie a rigirarsi nel letto con una sensazione opprimente sul petto e sullo stomaco. Respirava male, nessuna posizione migliorava le cose, quindi si alzava e camminava per la stanza. Andava al computer e cazzeggiava su Facebook per un po', stalkerava il profilo di Max, inalterato se non per il cambio della città di residenza. Da Arcadia Bay a Seattle… era assolutamente da Max. Anche se praticamente non lo usava, le informazioni del suo profilo DOVEVANO essere esatte!
Dopo un po’, Chloe tornava a letto sperando di essersi rilassata un po’. A volte, per logoramento, riusciva a dormire due o tre ore di fila e sognava William. Sognava quel giorno in cui uscì per non rientrare mai più... ma stavolta tornava a casa. Con sua madre depositava le borse della spesa in cucina, Joyce cucinava il salmone mentre lui faceva compagnia a lei e Max sul divano davanti a Sponge Bob. Chloe avvolta nel braccio peloso e forte di suo padre, il suo calore contro la faccia, il battito del suo cuore contro l'orecchio. Alla sua destra Max le sorrideva. Tutto andava bene.
Poi si svegliava.
Si trascinava fuori dal letto tastando pesantemente con la mano alla ricerca della sveglia che strillava. Faceva il suo pit stop al bagno, notava le borse sempre più viola sotto gli occhi, si vestiva e scendeva le scale. Trovava il bigliettino di Joyce su cui c'era scritto che in frigo c'erano dei pancake, oppure dei soldi per comprarsi la colazione a scuola. La prima cosa che Chloe notava erano i vuoti. Dovunque Chloe guardasse c’erano come buchi in un puzzle nei punti in cui avrebbe dovuto trovarsi suo padre. Al mattino, sulla sedia a sorseggiare caffè e leggere il giornale, in cucina baciando sua madre prima di uscire per il lavoro, seduto sul divano a guardare le partite o i cartoni con lei, sotto il lavandino riparando un tubo, sulla scala in cortile, continuando a verniciare il muro di blu. La facciata dipinta a metà era per Chloe un ricordo costante di ciò che non c’era. William non avrebbe mai finito quel lavoro.
Un lavoro incompiuto.
Come la sua vita.
Giorno dopo giorno, il puzzle perdeva nuovi pezzi. Il garage era così vuoto senza la sua macchina. La casa era silenziosa, la mente di Chloe invece no. Straripava di ricordi e desideri frustrati. Il counselor della Blackwell, una signora di nome Margareth Harper, più o meno dell'età di sua madre coi capelli biondo cenere e abiti floreali, le aveva detto di ricordare i bei momenti trascorsi con suo padre e di concentrarsi sul presente, di farsi nuovi amici, che il tempo avrebbe guarito ogni ferita.
Qual era il punto? Ricordare suo padre e i momenti meravigliosi che aveva trascorso con lui era l’attività principale della mente di Chloe, ma non aiutava per niente. Le ricordava solo ciò che aveva perso. Alimentava il senso di solitudine per l’assenza di sua madre, perennemente fuori casa per lavoro. Le ricordava che Max se n'era andata e che rispondeva a intermittenza ai suoi messaggi e chiamate. Chloe, un giorno, aveva notato di essere sempre lei a scrivere o telefonare per prima. Max non prendeva mai l'iniziativa. Si chiese perché. Perché Max non la cercava mai? Perché ci metteva così tanto a risponderle? Perché fin troppo spesso ignorava le sue chiamate? Chloe la conosceva bene, sapeva che Max era timida e insicura, ma non con lei. Non si era mai comportata così. Cercava di evitarlo, ma a volte si chiedeva cosa stesse succedendo…
Poteva contare sulle dita di una mano le telefonate che avevano avuto da quando era partita e ogni volta le era sembrata distante. Strana, come se fosse… a disagio. Come tutti i suoi compagni di classe. Ma Max non era come tutti gli altri giusto? Max era la sua migliore amica per sempre, era il suo primo ufficiale Long Max Silver. Era stata al suo fianco tutta la vita. Aveva promesso che nulla sarebbe cambiato. Perché allora era cambiato tutto?
Quel tarlo le rodeva il cuore.
E non riusciva a dormire.
Anche quella notte, Chloe allungò un braccio sudato fuori dalle lenzuola urticanti e prese il cellulare.
Controllò gli ultimi scambi con Max, stavolta però non in cerca di conforto. Chloe aveva iniziato a rileggere ossessivamente i suoi stessi messaggi alla ricerca di indizi sul perché Max fosse divenuta così fredda con lei. Forse aveva detto qualcosa di sbagliato, magari in qualche modo l’aveva offesa o turbata. Doveva essere così, non poteva esserci altra spiegazione. Max non la stava lasciando alle spalle! Max non l'avrebbe mai dimenticata o abbandonata! No, Chloe doveva aver sbagliato qualcosa e avrebbe scoperto che cosa...
Istintivamente iniziò a digitare un messaggio.

[Chloe]
- Hey Max...

Ma non sapeva come continuare. Per la prima volta in vita sua, non seppe cosa scriverle...
Cancellò il messaggio e si alzò dal letto. Si avvolse in una felpa che indossava da due settimane e cominciò ad aggirarsi per la stanza. Seguendo il consolidato rituale dell’insonnia andò alla scrivania ed accese il computer, puntando dritta al profilo Facebook di Max. Non c’erano mai aggiornamenti, anche prima che partisse erano rari e in genere condivisioni di post altrui. Eppure, proprio quel giorno Max aveva postato una sua foto fatta col cellulare: lo skyline di Seattle visto da una posizione sopraelevata. Era un bellissimo scatto, come tutti quelli che Chloe era abituata a vederle fare quando ancora il mondo aveva senso. La città sembrava così grande, luminosa sotto i raggi del sole e il cielo azzurro. Chloe si accorse che gli occhi iniziavano a bruciarle. Alcune lacrime caddero prima che potesse rendersene conto. Era la prima foto che Max pubblicava da quando era partita. Aveva tempo di aggiornare il profilo Facebook ma non di risponderle?
Max la stava superando? La stava abbandonando?
No, Chloe non voleva crederci. Erano solo brutti pensieri. Non poteva succedere.
Max aveva promesso. Forse era stata troppo ottimista nel dire che nulla sarebbe cambiato, non sapeva cosa avrebbe dovuto attraversare a Seattle quando le aveva detto che si sarebbero sentite ogni giorno. Max ci avrebbe messo molto ad ambientarsi nella nuova città, nella nuova scuola.
Eppure, quella foto le fece pensare che forse Max si era già adattata, stava iniziando a considerare "casa" quella grande città più a nord e aveva lasciato definitivamente alle spalle Arcadia Bay. E Chloe...
Quel pensiero continuò a contorcersi nella sua mente come un verme.
Spense il computer, scivolò furtivamente fuori dalla sua stanza. I piedi nudi scivolarono sul parquet fino alla porta della stanza di sua madre. Chloe si stupì di trovarla socchiusa. Sentì il respiro lento e pesante di Joyce mentre si insinuava. Chloe rimase in piedi per alcuni momenti davanti al letto matrimoniale occupato a metà, silenziosa, con il cuore che le batteva forte. Vedere sua madre riversa da sola nel letto pieno di fazzoletti usati fu l'ennesimo promemoria che suo padre non c'era più. Col trascorrere dei minuti si rese conto che quello era il momento più lungo che trascorreva con sua madre da quando era tornata a scuola.
Si avviò verso la borsa di Joyce. Notò facilmente il pacchetto di sigarette all'interno. Joyce aveva ripreso a fumare come una ciminiera dopo la morte di William, le compresse di nicotina erano sparite insieme al proposito di smettere. Nonostante tutto, Joyce continuava a nascondersi vicino ai cespugli in giardino per fumare, come se Chloe non notasse i mozziconi. Le sigarette dovevano avere un qualche effetto positivo. Forse la aiutavano a gestire la situazione. Magari avrebbero aiutato anche Chloe. Silenziosamente, prese una sigaretta dal pacchetto e l'accendino.
Uscì dalla stanza e scese le scale, seguendo un percorso collaudato nei punti non cigolanti. Li aveva mappati andando su e giù per anni insieme a Max...
Passando dall’ingresso prese la sua giacca e la indossò, raggiunse il soggiorno ignorando i vuoti a forma di suo padre ovunque si voltasse. Uscì in cortile e raggiunse l'area fumo.

Zik! Zik!

Il suono dell'accendino era soddisfacente.
Imitando gesti visti fare dagli adulti aspirò la sua prima boccata. La tosse fu inevitabile, ma cercò disperatamente di contenerla aumentando ulteriormente il fastidio. Lacrimò copiosamente, mentre il petto e la gola le bruciavano. Come faceva ad essere piacevole una cosa del genere?! Chloe fece un secondo tentativo più cauto. Questa volta andò meglio. Le veniva da tossire ancora, ma riuscì a trattenersi. Nel silenzio della notte sentì il piacevole suono di carta e tabacco che ardevano, consumandosi nella punta arancione. Chloe assorbì il fumo e soffiò. Il sapore era ancora terribile, ma era in qualche modo divertente vedere quella nuvola grigio-violetta uscirle dalla bocca e dal naso. Nella pallida luce della luna osservò la punta della sigaretta consumarsi al vento. Lo sguardo le cadde sulla piccola pietra alla sua destra, il luogo in cui avevano seppellito Bongo.
Lacrime silenziose solcarono di nuovo le sue guance, mentre fumava.
Nel giro di un anno aveva perso il suo gatto, suo padre e forse la sua migliore amica... certo, Max non era morta, ma si stava allontanando e non sapeva come impedirlo. Man mano che fumava, però, l'intensità dei pensieri scemò in uno sfocato torpore. La testa iniziò a girarle, lo stomaco si chiuse, l’attenzione si fissò sugli strani messaggi che il corpo le stava mandando. Si sentiva intossicata, ma anche appagata. Le palpebre si appesantirono e la morsa sulle viscere si allentò. Le stava venendo sonno?
La sigaretta bruciò fino al filtro e Chloe si chinò per spegnerla nell'erba, gettandola insieme agli altri mozziconi. Sua madre non se ne sarebbe accorta.
Lasciò l’accendino sul tavolo e si diresse verso la sua camera, silenziosamente.
Quando si rimise a letto, le lenzuola erano fresche al tatto, non più graffianti, ma accoglienti.
Non aveva dimenticato ciò che la turbava, continuava a pensare a Max, a quanto si sentisse sola, a quanto le mancava suo padre, a quanto avesse bisogno di sua madre che non c’era mai.
Ma si sentiva anche troppo stanca per occuparsene.
Finalmente, riuscì a dormire...
 
-
 
"Release the Keeeys... Certo... Questa è l'ultima volta che ordino dalla SpyGuy Electronics..." bofonchiò William agitando il piccolo telecomando che avrebbe dovuto attivare il segnale acustico delle chiavi disperse. Raramente si innervosiva, questo malfunzionamento, unito al fatto che sua moglie lo stava aspettando, gli fece storcere decisamente il naso...
"Puoi prendere l'autobus, giusto?" la voce di Max si intromise, un po' più acuta e frenetica del solito "La fermata è proprio in fondo alla strada!!"
William la guardò stupito, poi pensò per un istante.
"Si posso farlo! Buona idea Max!" sorrise William, rilassandosi un po'.
"Oh si! L'autobus è magnifico!" ricominciò Max tutta eccitata "Passa ogni quindici minuti e ci sarà spazio a sufficienza per te, Joyce e la spesa e... e in più salvi l'ambiente!"
Chloe abbandonò la preparazione dei pancake in cucina e andò a controllare che cosa stesse succedendo. Max si stava decisamente comportando in modo strano.
"Me l'hai già venduto. Vado alla fermata qui fuori. Joyce lo adorerà!" sghignazzò William mentre si avviava verso la porta. Sfiorò Chloe, che fissava lui e Max con occhi perplessi.
WIlliam fece loro un cenno di saluto, che Chloe ricambiò distrattamente.
Quando guardò Max, la vide trotterellare sul posto con l'aria soddisfatta di chi ha appena risolto il problema del secolo.
"Max, ti comporti in modo fottutamente strano... stai bene?" chiese Chloe avvicinandosi.
Max le afferrò le mani. Erano fredde eppure sudatissime. Sembrava stare bene.
"Chloe!" Max iniziò a saltellare. "...Io.Sono.Fantastica! NOI siamo fantastiche!!"
Il suo sorriso era contagioso... Chloe fece spallucce e si unì alla danza improvvisata.
Improvvisamente Max si bloccò sul posto e barcollò. Il viso sbiancò in un istante.
"Hey, hey... Max!" Chloe la sostenne per le braccia, mentre Max si massaggiava la fronte.
"Whoah..."
"Siediti... secondo me non stai bene." disse Chloe appoggiandole una mano sulla fronte. Sembrava fresca...
"Eh? Ch... Chloe..."
"Max? Tutto ok?"
"Si... sto bene... mi gira tantissimo la testa... forse sta passando..."
"Non farmi cagare addosso ok?" sorrise Chloe, non del tutto rassicurata.
"Guarda Chloe Price come diventa tutta affettuosa..." la prese in giro Max con un sorriso furbo. Chloe lo accolse e la guardò teneramente.
"Sei il mio braccio destro, non potrei farcela senza di te. Meglio se non muori giusto?"
"Nessuna intenzione di farlo!" disse Max, poi si rabbuiò di nuovo "Ehm... p-però..."
Chloe inarcò un sopracciglio, di nuovo preoccupata.
"Max, oggi sei sulle montagne russe emotive? Ti sei drogata? Potevi chiamarmi…" tentò di scherzare.
"Chloe... io... devo dirti una cosa..." le prese le mani e si alzò in piedi.
Le disse che di lì a tre giorni sarebbe dovuta partire per Seattle perché i suoi genitori stavano traslocando. Le disse che le dispiaceva con tutta sé stessa e che non voleva partire. Scoppiò in lacrime. Chloe lo sapeva già, sapeva che Max glielo avrebbe detto prima o poi, non voleva forzare l'argomento proprio per evitare quel genere di reazioni. Vedere Max così sopraffatta la faceva stare male...
Si abbracciarono, Chloe la rassicurò dicendole che tutto sarebbe andato bene, si sarebbero tenute in contatto e nulla sarebbe cambiato. "Siamo Max e Chloe ricordi? Siamo sempre insieme! Anche quando non lo siamo..." Si strinsero le mani, Max sorrise e parve sentirsi meglio.
"Avanti... i pancake non si cucineranno da soli!" Chloe la trascinò in cucina...
Fecero il loro brunch, passarono il pomeriggio a riordinare la camera e piuttosto presto William e Joyce tornarono a casa. Quella sera cenarono tutti insieme a base di salmone e Chloe fece indigestione di torta al cioccolato e poi...
 
Buio...
Torpore.
Chloe sentì un suono invadente riempirle le orecchie e la testa.
Una chitarra elettrica, l'introduzione di una canzone alla radio.
Una voce che canta Ooooooh Oooooooh...
 
Something filled up
 
Chloe si rese conto di essere nel suo letto.
 
My heart with nothing
 
Aprì gli occhi e guardò la sveglia. 7.03
Merda... scuola....
 
Someone told me not to cry
But now that I'm older
 
Chloe si mise a sedere, liberandosi delle coperte, troppo strette e troppo calde. Sudava da fare schifo...
Buongiorno mondo...
Stessa merda, altro giorno...
 
My heart's colder
And I can see that it's a lie
 
Chloe si alzò dal letto.
Ripensò al sogno. Odiava quella strana versione a lieto fine. Il risveglio era sempre una merda dopo quel sogno ricorrente. Doveva costringersi a ricordare che non era andata così.
Suo padre aveva trovato le chiavi ed era morto nella sua macchina...
Fanculo...
Si diresse verso il bagno...
 
Children, wake up
Hold your mistake up
Before they turn the summer into dust
If the children don't grow up
Our bodies get bigger but our hearts get torn up
We're just a million little gods causing rain storms
Turning every good thing to rust
I guess we'll just have to adjust
 
 
-
 
Chloe trascorse il primo Halloween senza papà. Fino all'anno prima, quando Arcadia Bay si riempiva di festoni arancioni e i Jack o'lantern invadevano i cortili delle case, andava per le vie della città con lui, Joyce e Max, girando tra le bancarelle che esponevano torte di zucca fatte in casa, biscotti e tanto altro. Ricordava i dibattiti con Max su quali costumi avrebbero indossato la notte di Halloween, la preparazione e la trepidazione in attesa dell'accensione del falò, esattamente a metà di Arcadia Bay Ave. I loro costumi erano sempre coordinati ed avevano deciso di pensarne di nuovi ogni anno. Chloe ricordava ancora uno dei primi Halloween, quando si erano vestite da biscotto alla crema, ognuna di loro indossava la panna e portava una cialda sulla schiena tipo zaino, completando il biscotto solo se si abbracciavano. Poi ci fu la fase Narnia e la grande, epica, lunghissima fase pirati. Arcadia Bay, con i moli perennemente ingombri di pescherecci ondeggianti e cigolanti, popolata di burberi pescatori sembrava il luogo ideale per sviluppare fantasie da lupi di mare. Quando nel 2003 uscì il primo film dei Pirati dei Caraibi, Chloe e Max impazzirono definitivamente, soprattutto Chloe che per mesi comunicò solo con citazioni di Jack Sparrow.
Quell’anno non ci furono costumi.
Non ci fu Max.
Non ci fu William…
Alla festa del Ringraziamento, Chloe non aveva nulla per cui ringraziare. Ci provò, ma la gratitudine era divenuta un sentimento estraneo. Ogni anno William accendeva la griglia e talvolta il camino se gli ospiti erano molti, mentre Joyce preparava il tacchino con Chloe e Max che facevano la spola tra l’uno e l’altra. I Caulfield erano ospiti fissi, quasi sempre venivano zia Dorothy e nonna Clem. Talvolta, lavoro permettendo, c’erano zio Aaron e zia Linda. I due fratelli Price e Ryan Caulfield cucinavano insieme, ricordando i vecchi tempi. Chloe di tanto in tanto si univa a loro e ascoltava i racconti universitari di suo padre, quando era un figlio dei fiori capellone e fumava spinelli. Quella parte sua madre avrebbe preferito non la sentisse mai! William replicava sorridente che era un’ipocrita perché anche lei fumava con lui. Ogni discussione finiva tra risate e baci, sottolineati dai “bleah” di Chloe e Max. Era sempre una bella festa, soprattutto per Bongo che riscopriva il suo acume felino e si aggirava tra i presenti pronto a cogliere ogni briciola e a tuffarsi sugli avanzi.
Quell’anno vennero solo zio Aaron e zia Linda.
Portarono un tacchino che avevano già cucinato e lo riscaldarono nel forno.
Niente Max.
Niente papà…
Il momento di dire “grazie” fu molto imbarazzante…


Il primo Natale senza William fu particolarmente brutto. Come Halloween, anche il Natale portava con sé le sue tradizioni di famiglia. Tradizioni che coinvolgevano inevitabilmente Max. Arcadia Bay si illuminava, le vetrine esplodevano di decorazioni e inquietanti pupazzi di Babbo Natale. L'inverno dell'Oregon si irrigidiva e arrivavano le prime nevicate. Chloe ricordava le battaglie a palle di neve a scuola e... ovunque! Ricordava i pupazzi di neve nel cortile di casa Price, le cui sembianze erano mutate nel tempo. Molti pupazzi erano diventati famigerati bucanieri come il temibile IceBeard o Jack WhiteClaw. C’era il rituale della scelta dell'albero, la decorazione cui partecipava tutta la famiglia Price e anche Max. La cena della vigilia, condivisa spesso con i Caulfield e saltuariamente qualche parente in visita. Chloe aspettava la notte di Natale, sapendo che ogni anno sarebbe stata mandata forzatamente a letto dai suoi genitori perché "altrimenti Babbo Natale non arriva!". Chloe avrebbe fatto storie, ma poi si sarebbe chiusa in camera brontolando. A mezzanotte, William sarebbe sceso dalla soffitta vestito da Babbo Natale, con un sacco di iuta in cui trasportava i regali. Chloe, ancora sveglia nel letto, avrebbe sentito i rumori dei suoi passi e lo avrebbe seguito furtivamente, spiandolo dalle scale. Solo allora avrebbe deciso se cogliere Babbo Natale in flagrante oppure tornare a letto! Ovviamente sapeva benissimo che si trattava di William, e lui non faceva nulla per essere silenzioso. Chloe sapeva che Babbo Natale non esisteva da quando aveva cinque anni e aveva scoperto chi si celava davvero sotto la barba. La confusione l'aveva completamente travolta... suo padre era in realtà Babbo Natale? Aveva un'identità segreta come un supereroe?? Era figlia di Babbo Natale? Dov'erano le renne??? Alla fine, William e Joyce le spiegarono la verità. Caduta l’illusione, la tradizione era rimasta.
Quell'anno, non ci furono alberi di Natale.
Niente pupazzi di neve.
Alla cena della vigilia Chloe e sua madre condivisero un pasto Two Whales che Joyce aveva cucinato al lavoro e riscaldato a casa.
Quella notte Babbo Natale non arrivò.
Chloe non riuscì a dormire, fumò tutta la notte davanti alla sua finestra, sentendo la mancanza di Max...
 
A Capodanno non ci furono festeggiamenti.
Joyce tentò di coinvolgere sua figlia nel conto alla rovescia, ma Chloe preferì chiudersi in camera.
Non sentì sua madre piangere in salotto, né la vide digitare un numero sul cellulare per chiamare qualcuno di cui ancora ignorava l’esistenza. Dal telefono rispose una voce ruvida, da cui Joyce trasse conforto.
Tra luci e scoppi dei fuochi d’artificio, Chloe e Joyce conclusero separate l’anno peggiore delle loro vite.
 
-
 
Gennaio 2009 volgeva al termine, così come le lezioni del giorno. L'ultima campanella suonò e Chloe si alzò rumorosamente dal banco, radunò le sue cose e raggiunse l'uscita della scuola ad ampie falcate. Schivò gli altri studenti come degli ostacoli e fu colpita dalla fredda aria invernale quando varcò la soglia. Avrebbe dovuto recarsi all’incontro con la signora Harper, ma erano ormai due settimane che non ci andava.
Semplicemente non stava aiutando, quindi era inutile sprecare altro tempo.
 
Chloe ci aveva provato davvero. Non era mai stata il tipo di persona che si arrende, quindi aveva seguito i suoi consigli, come concentrarsi sugli studi. Ma suo padre non c'era più... che senso aveva prendere buoni voti se lui non era a casa per sorriderle e abbracciarla? Che senso aveva se lui non poteva più essere orgoglioso di lei? Non poteva nemmeno più confrontare le sue pagelle con Max e scherzare sul fatto che l’unica materia in cui andava peggio di lei era educazione fisica…
E sua madre? Era sempre al lavoro, talvolta la incrociava al mattino, talvolta la sera, raramente entrambe le volte. Era la nuova normalità. Talvolta Joyce cercava di abbracciarla, ma Chloe si sottraeva. Non ci riusciva. La sua vicinanza la irritava, non sapeva nemmeno perché. La signora Harper le aveva chiesto se la incolpava per la morte di suo padre. Chloe non aveva risposto.
Forse lo faceva, ma non voleva dirlo.
Non voleva pensarlo.
Invece lo pensava.
Se lei non lo avesse chiamato per la sua fottuta spesa, papà sarebbe ancora vivo!
E si sentiva in colpa. Non era giusto essere arrabbiata con sua madre per questo. Che razza di persona orribile era?
Ma forse non era per questi fugaci pensieri che Chloe era arrabbiata con sua madre. Forse si sentiva trascurata. Aveva bisogno di lei e non c’era.
Quindi fumava.
Così si sentiva un po' meglio. Le piaceva guardare la punta della sigaretta bruciare, sentire il rumore della cartina che si dissolve nel fuoco, come probabilmente era successo alla macchina di suo padre. Con lui dentro...
Ormai Chloe aveva smesso di rubare le sigarette di sua madre e comprava le sue con i soldi della paghetta. Ovviamente mentiva, dicendo che erano per Joyce. Il signor Dalton, proprietario della drogheria, aveva chiamato Joyce la prima volta, per avvisarla che sua figlia aveva comprato delle sigarette. Confermò che erano per lei e fece la finta tonta con Chloe. Le rare volte che riusciva ad essere a casa in orari decenti tentava di chiedere a sua figlia come stava, come andasse a scuola, se gli incontri con la counselor le servivano. Chloe all’inizio le disse la verità, che si sentiva sola, che piangeva ogni notte finché non era esausta, che la scuola e gli incontri erano una merda e non vedeva il senso di continuare ad andarci. Joyce le rispondeva che doveva essere forte, che bisognava andare avanti, che William mancava anche a lei ma avrebbe voluto vederle vivere le loro vite felici anche senza di lui. Ogni volta, queste risposte alimentarono una scintilla di rabbia nello stomaco di Chloe, finché un giorno esplose l’incendio:
“Papà non vorrebbe un cazzo di niente! È morto! Stecchito! Non tornerà mai più! Vaffanculo!”
Con la gola che le faceva male per l’urlo corse in camera e si gettò piangendo sul letto. Urlò nel cuscino, prese a pugni il materasso, poi i suoi occhi incontrarono il diagramma della crescita che suo padre aveva disegnato sul muro. Chloe lo prese ripetutamente a calci fino a farsi male, poi impugnò un pennarello indelebile e lo scarabocchiò rabbiosamente. Aveva smesso di crescere.
Fanculo…
Merda…
Papà è andato…
Chloe non sapeva che al piano di sotto, accasciata sul tavolo, anche Joyce era in lacrime. Quando la donna si calmò abbastanza prese il cellulare, compose il numero che ormai era come un’ancora e sentì rispondere dall’altra parte. Quella voce ruvida, che si ammorbidiva sempre quando parlava con lei, le diede il sollievo di cui aveva bisogno.
 
Max, intanto, non si faceva più viva da Natale, dopo l’ultimo sfigatissimo messaggio di auguri. Chloe le aveva inviato diversi messaggi, poi si era arresa. Anche Max l'aveva abbandonata. Doveva essersi fatta dei nuovi amici nella sua nuova scuola cool. Persone allegre, senza padri morti e madri assenti. Persone diverse da Chloe. Migliori di Chloe. Anche questa era una cosa che non voleva ammettere. Max si era semplicemente stufata di lei, di fingere che non fosse cambiato niente.
Era cambiato tutto.
Fottutamente.
TUTTO.
Anche la compassione della Blackwell si era esaurita. La scusa "mio padre è morto" non funzionava più per evitare di consegnare i compiti o per un esame al di sotto delle aspettative. Wells aveva chiamato un paio di volte sua madre e Chloe aveva ascoltato ramanzine sul fatto che nonostante quello che era successo non doveva smettere di impegnarsi. E Chloe voleva solo dirle che non le fregava un cazzo della Blackwell, della borsa di studio, di essere forte, perché suo padre era morto, la sua migliore amica l’aveva sfanculata e lei, sua madre, non la stava nemmeno a sentire!
Invece taceva.
Tanto non avrebbe ascoltato.
E allora fumava.
Le sigarette però erano diventate meno efficaci nel calmarla.
Cominciò a guardare da lontano il gruppo degli skater nel parcheggio della Blackwell. Non li conosceva bene, sapeva i nomi di Justin e Trevor perché avevano frequentato la stessa scuola media e perché si era esercitata con lo skateboard insieme a loro qualche volta. Il suo interesse, però, aveva un altro motivo: li vedeva bere birra e fumare canne. Se le sigarette non funzionavano più, forse doveva solo ampliare il suo range di dipendenze e tutto sarebbe andato bene.
 
Allontanandosi dalla Blackwell, Chloe avvistò la fermata dello scuolabus. Di solito lo prendeva e raggiungeva casa in meno di dieci minuti. Ma qual era il senso di arrivare a casa presto, tanto sarebbe stata sola e non aveva nessuna voglia di aprire i libri. Avrebbe solo fumato, cazzeggiato su internet e guardato la tv, o avrebbe rimesso a posto le foto di papà e di Max per l'ennesima volta, versando qualche litro di lacrime. Avrebbe guardato il registratore in cui ancora era conservata la cassetta con l'ultimo messaggio di Max. Non avrebbe avuto il coraggio di riascoltarlo. Non ci riusciva più…
Decise che era più salutare andare a casa a piedi e nel frattempo decidere se non era il caso di fare una deviazione da qualche altra parte. Magari al faro, a contemplare il salto giù dalla scogliera, valutando l'altezza, la velocità dell'ipotetica caduta e quanti secondi ci sarebbero voluti prima di schiantarsi sugli scogli...
"Hey Chloe!"
Una voce maschile interruppe i suoi pensieri. Chloe alzò lo sguardo e vide un ragazzo dai capelli rossi, maglietta nera e camicia a quadri che si avvicinava. Aveva uno strano sorriso, un’espressione cordiale sovrapposta all'imbarazzo. Tutti erano imbarazzati quando le rivolgevano la parola. Anche sua madre… anche Max probabilmente... ecco perché non le rispondeva più...
"Ciao Eliot..." rispose Chloe in tono piatto.
"Ehm..." si grattò la testa guardando per terra, come se cercasse suggerimenti dall'asfalto "Com'è andata oggi a Chimica?"
Chloe sospirò. Avrebbe voluto alzare le spalle e rimanersene zitta, ma volle premiare lo sforzo. Conosceva Eliot fin dall'asilo, praticamente era stato in classe con lei fino alla Blackwell.
"Ho preso C+ nell'ultimo test e nessuna ramanzina da Miss Grant, quindi bene! Il bonus 'padre morto' forse non si è ancora esaurito..." Chloe abbozzò un sorriso, ma quando vide l'espressione di Eliot capì che il suo black humor non era apprezzato. Trascorsero alcuni istanti di silenzio gelido, Chloe indietreggiò: "Quuuuiindiii... è meglio che vada..."
"Non prendi lo scuolabus?" chiese Eliot.
"No, ho bisogno di camminare un po'..."
"Vuoi che ti accompagni?"
La prima tentazione di Chloe fu di rifiutare, ma si trattenne. Eliot era l'unico alla Blackwell che la conosceva, l'unico che sapeva com'era la sua vita prima che si ribaltasse. L'unico che era stato a casa sua, anche se quando avevano entrambi otto anni e solo un paio di volte. Forse, era l'unico che poteva ancora vagamente definire amico ad Arcadia Bay.
"Non hai dei compiti da fare?" chiese Chloe.
Eliot alzò le spalle: "Posso rimandarli. Ti posso fare compagnia fino a casa, o magari fino a Up All Nite Donuts. Ci prendiamo un paio di ciambelle e se hai bisogno di parlare ti ascolterò..."
Chloe rimase in silenzio, calpestandosi la punta della scarpa. Non aveva davvero voglia di parlare, non aveva nessuna voglia di fare amicizia come il counselor da cui non stava andando le aveva consigliato. Aveva Max e la speranza che un giorno le avrebbe risposto e per magia tutto si sarebbe ricucito non era ancora morta. Solo incrinata. Eppure... Eliot era lì. In quel momento, non in un futuro ipotetico. Lui le stava tendendo una mano...
"Ok..." quasi sussurrò Chloe.
Eliot le sorrise raggiante, ma non ci fece caso.
Camminarono quasi in completo silenzio fino al 44 di Cedar Avenue, ma tirarono dritto. Chloe fumò tre sigarette nel tragitto, sotto lo sguardo attonito di Eliot, che non commentò. Raggiunsero U.A.N. Donuts e presero quelle ciambelle. Gli zuccheri sciolsero un po' le resistenze di Chloe, tamponando l’alito cinereo. Dopo alcune chiacchiere, lei riuscì a dire: "Mi manca Max... mi manca da morire..."
Eliot si stupì. Si sarebbe aspettato di sentire qualcosa su William, non su Max. Ma anche quello arrivò. Chloe espresse solo le briciole di quello che sentiva.
"E' cambiato tutto..." concluse Chloe, mettendo il punto addentando la ciambella al cioccolato.
Eliot rimase in religioso silenzio e lasciò sedimentare le parole di Chloe per un po’ prima di rispondere.
"L'anno scorso i miei genitori hanno divorziato..." esordì Eliot. Chloe alzò lo sguardo su di lui. Vide i suoi occhi incupirsi. "Mamma ha avuto l'affidamento e mio padre ora vive a Portland... l'ho visto tre volte da allora. Non posso immaginare che cosa stai passando Chloe, ma posso capire quando dici che è cambiato tutto improvvisamente..."
Ci fu una pausa. Eliot prese un sorso di caffè e poi riprese: "Voglio solo che tu sappia che ci sono quando hai bisogno, posso anche stare zitto e ascoltarti, oppure possiamo andare a divertirci. Quello che ti serve. Solo... io sono qui."
Chloe non sapeva bene come prenderla. Eliot era stato gentile con lei, la stava ascoltando, le stava offrendo ciambelle e caffè. La sua vita non era migliorata per questo, eppure una parte di lei era sollevata che a qualcuno là fuori importasse di quello che stava passando, che non volesse darle dei consigli o le dicesse di andare avanti. Qualcuno che voleva solo sapere come si sentiva ed essere lì. Quello che avrebbe dovuto fare Max...
"Va bene..." disse lei.
Eliot sorrise.
Da quel giorno, di tanto in tanto, Chloe iniziò a uscire con Eliot dopo la scuola.
 
-
 
Chloe fece il grande passo e iniziò a frequentare il gruppo degli skater.
La prima volta si avvicinò a Justin e gli chiese se potesse provare l'erba. Il ragazzo ne fu estasiato e coinvolse tutto il gruppo. Avere una ragazza nella banda e iniziarla alle canne era un evento da festeggiare. Faceva piuttosto freddo, così decisero di andare a casa di uno di loro, Brian, Brad, Bob.... Chloe non ricordava. Sapeva solo che i suoi genitori erano in viaggio e quindi la casa era libera. Il gruppo si sistemò in salotto e accesero il camino. Cominciarono ad apparire bottiglie di birra, alcune di vino, pacchetti di nachos, patatine e barattoli di burro d'arachidi. Chloe osservava la scena svolgersi come se non fosse realmente presente, Justin le parlava, illustrandole come si rollava una canna mentre lo faceva, cercando di metterla a suo agio. L'unica cosa cui Chloe riusciva a pensare era quanto avrebbe voluto condividere quell'esperienza con Max. Sarebbe stata una grande avventura e sarebbe stato adorabile vederla tutta imbarazzata facendo cose proibite!
Scese dal treno dei ricordi, mentre il gruppo si riunì intorno a lei e Justin le consegnava la canna con l’onore del primo tiro. Accanto a lei c'era Trevor, gli altri non li conosceva se non di vista. Tra di loro ce n'era uno piuttosto carino, capelli neri, pelle olivastra, un piercing al sopracciglio e un tatuaggio a tre bande sull'avambraccio. Sembrava il più grande del gruppo e Chloe aveva sentito su di sé il suo sguardo per tutta la sera. Avrebbe voluto tanto dare di gomito a Max e farglielo notare, gongolare amabilmente con lei che un cattivo ragazzo figo sembrava attratto da lei…
Infilò la canna fra le labbra, sentì l'umidità della saliva di Justin sulla cartina. La accese e aspirò un'ampia boccata, sentendo troppo tardi le raccomandazioni di Justin sull'andarci piano. Sorprendentemente non tossì, con grande sorpresa di tutti. Le sigarette dovevano aver reso la sua gola più resistente. Nonostante tutto le bruciò tantissimo, in più il fumo sapeva di merda e muschio. Tutti si profusero in complimenti e la incoraggiarono a prendere un altro tiro. Stavolta Chloe ci andò più calma, il fumo strisciò docilmente nei polmoni, lo trattenne e poi espirò. La stanza iniziò a girare mentre una strana leggerezza le raggiungeva la testa. Sentiva il cranio svuotarsi e riempirsi di una strana sostanza aerea e volatile, come un palloncino. Tutta la tristezza, la rabbia, la malinconia, il senso di vuoto che l'avevano accompagnata in quei mesi si dissolsero. Sentì il cervello avvolto da una nuvola soffice come una carezza, un cuscino in cui la sua mente stanca si adagiò spontaneamente. Le venne in mente l’immagine di suo padre che le accarezzava la fronte, spostandole i capelli. Fu solo un flash prima di tornare dove si trovava. Uno strano sorriso ebete le si allargò sul viso e cominciò a ridere. Era così facile? Bastava l'erba per mandare via tutta la merda che la tormentava? Averlo saputo prima sarebbe andata direttamente da Justin invece di rubare le sigarette a Joyce!
Fece girare la canna, a malapena consapevole delle cazzate che i ragazzi dicevano tutt'intorno, prorompendo in fragorose risate, con le voci sempre più biascicate grazie agli effetti del fumo. Le passarono una birra e un pacchetto di patatine. Non era la prima volta che beveva, lei e Max avevano avuto la loro epica sessione di “degustazione vini” giusto l’estate precedente. Il sapore della birra, mescolato a quello dell'erba e delle patatine, creò strane misture chimiche nel suo corpo. Tutto era ancora privo di senso, di giustizia o di scopo. Ma non gliene fregava più un cazzo!
Fanculo William!
Fanculo Joyce!
Fanculo Max!
Fanculo Blackwell...
Fanculo tutto.
Quel ragazzo con il piercing e il tatuaggio alla fine si sedette accanto a lei. Come si chiamava? Eddy? Edwin? Elvis.... non era importante alla fine. Si trovò con la sua lingua in bocca un po' di tempo più tardi. Aveva già dato alcuni baci alle medie, solo, meno bagnati... Quella sera era piena di novità, quindi Chloe seguì il flusso fino ad una stanza appartata nella casa di.... Bob?
Perse la verginità e tutto quello cui riuscì a pensare fu "come vorrei raccontarlo a Max!"
 
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Le giornate si susseguivano e gennaio sfociò in febbraio. L'obiettivo primario nella vita di Chloe era diventato non sentire. Ignorava quanto più riusciva la distanza di sua madre, anche se la vedeva più spesso. Joyce era riuscita a organizzare i suoi turni, ricavando la mattina o la sera libere a settimane alterne. Così, Chloe aveva di nuovo assaporato i pancake appena fatti e le omelette con bacon. Non i waffle… le ricordavano troppo Max. Aveva ricominciato ad avere delle vere cene, con favolosi hamburger, talvolta anche torte di mirtilli e more. Ogni volta che la incontrava, Joyce tentava di parlare.
Un po' troppo tardi.
Joyce era preoccupata per sua figlia. La vedeva vestire in modo sempre più trasandato, usciva senza dire niente e tornava sempre oltre il coprifuoco. La minacciava di punirla e sembrava non fregargliene nulla, ogni tentativo di comunicazione riceveva risposte monosillabiche o silenzio. Braccialetti neri borchiati e collane con pentacoli e teschi erano apparsi come sgradite sorprese nell'outfit di Chloe e dalla sua stanza rimbombava musica punk che non le aveva mai sentito ascoltare. Odorava fortemente di deodorante, e Joyce iniziò a pensare che fumasse erba. Non era estranea a questi trucchi, lei e William li avevano usati a suo tempo. Un giorno decise di affrontare l’argomento. Salì le scale, raggiungendo la porta chiusa di Chloe. Dall'interno un riff di chitarra elettrica faceva letteralmente vibrare le pareti. Bussò, ma non ottenne risposta. Bussò più forte. Ancora niente. Con un sospiro decise di entrare. Chloe ballava al centro della stanza, una sigaretta in mano, la musica a volume assordante. Si accorse di lei solo quando spense lo stereo. Joyce notò mentre premeva il pulsante di stop che era quello di William.
"Mamma! Non si bussa più?" scattò Chloe.
"L'ho fatto varie volte ma non hai sentito..." replicò la donna con tono il più possibile fermo e pacato.
"Come ti pare..." Chloe fece spallucce e prese un lunghissimo tiro dalla sigaretta. Sembrava non gliene fregasse nulla che sua madre la stesse guardando e in effetti era così.
"Fumi adesso?"
Chloe prese una nuova boccata di fumo e soffiò fieramente nella sua direzione senza mai distogliere lo sguardo.
"Come se non lo sapessi!"
Joyce sospirò e diede un'occhiata alla stanza, notando polvere ovunque, vestiti sparsi, poster di band rock, punk e metal sulle pareti. Odore di deodorante all'aroma di pino che in qualche modo le ricordava il dopobarba di William. Tutto era così diverso in quella stanza rispetto a come l'aveva sempre vista negli anni passati, così come era diversa Chloe. Una parte di Joyce sentì di aver perduto sua figlia. La rifiutò con tutta sé stessa.
"Quindi? Che c'è?" disse sgarbatamente Chloe mentre scenerava nel posacenere rosso con la scritta Oregon.
Joyce sospirò e si ricentrò, ricordando a sé stessa perché era lì.
"Chloe... dobbiamo parlare..."
In risposta ricevette un'alzata di occhi al cielo. Chloe spense la sigaretta e si buttò a sedere sul letto, facendo cigolare le molle. Attese in silenzio che proseguisse.
"...Per caso ti stai drogando?" la domanda era brutalmente diretta, ma preferiva così. Era una donna del sud, non aveva tempo per i giri di parole.
Chloe spalancò gli occhi come se fosse sorpresa da quella domanda. Mantenendo il contatto visivo, con aria di sfida rispose: "No!"
Joyce corrugò la fronte e incrociò le braccia, spostando il peso sull'altra gamba.
"Credi che non sappia come si fa a nascondere l'odore dell'erba Chloe? Ho avuto la tua età anch'io..."
"Pensa un po' quello che ti pare mamma..." Chloe era già spazientita. O forse rassegnata.
Joyce si massaggiò la fronte e fece alcuni passi per la stanza.
"Da quant'è che non fai un po' di pulizia qui?" chiese più che altro pensando ad alta voce.
"Sei venuta qui per accusarmi di cose a caso e farmi ramanzine? Se è così puoi anche smettere..."
Joyce si sentì in colpa. Per mesi aveva trascurato sua figlia per poter pagare le bollette. Ovviamente non poteva fare altrimenti o le avrebbero staccato la corrente, poi l'acqua, poi la banca avrebbe mandato qualcuno a casa loro per quotare i beni mobili e immobili. La crisi economica non aveva certo aiutato la loro situazione. Doveva mantenere a galla la sua famiglia, ma aveva lasciato sola Chloe in un momento cruciale. Se ne rendeva perfettamente conto, per questo aveva chiesto a Wells di mandarla dal counselor, ma era stata avvertita che Chloe aveva smesso di andarci. Lei stessa era andata in ospedale a parlare con qualcuno, ma non aveva avuto tempo per quello. Doveva pagare le bollette… doveva tenere ciò che restava della sua famiglia con un tetto sulla testa e la pancia piena.
Priorità.
Ora però doveva recuperare in qualche modo. Non aveva idea di come e Chloe non lo stava rendendo più semplice. Ingoiò tutta la sua frustrazione e si voltò verso sua figlia.
"Non voglio rimproverarti... ma ho paura Chloe. Non ti riconosco più. Un tempo eravamo unite, parlavamo. Sento che ti sto perdendo e non voglio che succeda..."
Per un attimo negli occhi di Chloe passò qualcosa, la luce di affetto verso di lei che si era abituata a vedere fin da quando era bambina. Fu spazzata via rapidamente da un cipiglio arrabbiato.
"Arrivi un po' tardi... e comunque abbiamo parlato molte volte. Non hai mai ascoltato..."
"Chloe..."
La ragazza allungò una mano verso la scrivania, verso il pacchetto di sigarette. Ne accese una e volute di fumo le avvolsero la testa.
"Le uniche volte che mi hai parlato è stato solo per rimproverarmi o darmi un po’ di quella merda sull’andare avanti o l’essere forte…" commentò amaramente.
"Linguaggio Chloe… Wells mi continua a chiamare da scuola, dice che i tuoi voti sono peggiorati, che ignori le lezioni, che litighi con i tuoi compagni e i professori. Perché non vuoi dirmi che cosa non va..."
"Papà è morto cazzo! Ecco cosa non va! Lui non c’è più, Max se n'è andata e tu sei sempre al lavoro... che cazzo ti aspetti che faccia?! Devo pur sopravvivere in qualche cazzo di modo!!"
"Chloe!" il tono di Joyce uscì a metà fra la sorpresa e la disperazione. Sua figlia che le urlava addosso era una novità. Completa, assoluta novità. Vide delle lacrime inumidirle gli angoli dei suoi occhi e non riuscì a dire nient'altro.
"Sai che c'è? Fa quel che devi... vuoi mettermi in punizione perché fumo? O perché non riordino la stanza? O per i miei voti di merda? Fallo... non me ne frega un cazzo..."
Joyce rimase in silenzio, sgomenta. Fisicamente era ancora Chloe, ma era diventata un'estranea. Non sapeva cos'altro aggiungere, così semplicemente se ne andò. Rimase per un po' appoggiata fuori dalla porta chiusa, lottando per non scoppiare in lacrime. Passarono pochi secondi da quando era uscita e la musica punk esplose di nuovo dall'interno della stanza. Si diresse verso il bagno, aprì il primo cassetto sotto il lavandino e prese il flacone arancione di Fluoxetina, la cui prescrizione era l’unico risultato positivo delle sedute di psicoterapia. Con un gesto automatico si lasciò cadere in mano una pillola e la ingoiò prendendo un sorso d’acqua dal rubinetto.
Forse per autosuggestione, iniziò a sentire subito gli effetti calmanti del farmaco.
Avrebbe trovato una soluzione, ma doveva pagare le bollette.
Quello non era il momento giusto per parlare con Chloe… ci avrebbe riprovato.
Non poteva arrendersi.
Forse lo voleva… ma quale madre lo fa?
Che razza di persona sarebbe stata se si fosse arresa con sua figlia?
Prese un profondo respiro, si ricentrò e fece rotta verso il Two Whales.
 
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Gli occhi blu erano fissi nei suoi attraverso lo specchio.
Chloe fissava il proprio riflesso in bagno e non sapeva chi stesse guardando. Le parole di sua madre, "non ti riconosco più", avevano fatto breccia. Non che fosse la prima volta che le sentiva e non solo da sua madre, ma stavolta ci aveva riflettuto. Joyce era andata al lavoro dopo il loro breve scontro, era una delle settimane in cui faceva la sera. Chloe aveva tirato fuori dai suoi nascondigli birra ed erba e si era calmata un po', ma quelle parole continuavano a frullarle in testa ancora e ancora.
Era vero.
Nemmeno lei si riconosceva più…
Non era più la stessa.
Iridi blu cerchiate da una sclera arrossata. Ciglia scompigliate e bordate di viola, capelli biondi lunghi e sconvolti, vestiti che non cambiava da giorni, puzzolenti di sudore e deodorante all’aroma di pino, il più simile all’odore che sentiva sempre sulle guance di suo padre quando si faceva la barba. Quel profumo che associava così spontaneamente a lui. Un modo per non dimenticarlo. Chloe si ricordava ancora l’odore di suo padre, ogni dettaglio del suo viso. Non avrebbe mai dimenticato il suo aspetto, c’erano le foto per quello, ma non voleva dimenticare la sensazione di essere in sua presenza, di sentirlo. Di percepire l’ingombro del suo corpo, la forza e la protezione che le comunicava, la dolcezza del suo sguardo…
Era tutto ciò che ancora la legava alla persona che era stata e che ora non vedeva più riflessa in quello specchio.
Chi stava guardando?
Era sempre Chloe Price, ma una versione nuova.
Era Chloe Price senza suo padre.
Era Chloe Price senza la sua migliore amica.
Era Chloe Price senza più uno scopo nella cazzo di vita.
Era completamente sola.
Si chiese se Justin e Trevor contassero come amici.
No.
Cioè, si, erano amici in senso generico, ma non AMICI.
Non poteva confidarsi con loro nemmeno quando era fatta, e comunque non le sarebbe mai venuto in mente di farlo! Il massimo che avrebbe ottenuto sarebbe stato un “cazzo sorella, fa proprio schifo sta situazione…”
Preferiva lasciare che la chimica scombinata del suo corpo facesse il suo lavoro. La mente finalmente si librava al di sopra di tutta la merda in cui nuotava di solito, si scrollava di dosso lo schifo e seguiva le correnti ascensionali dell’incoerenza.
Eliot era un amico?
No.
Avrebbe voluto esserlo in effetti. Anche Chloe avrebbe voluto che lo fosse.
Probabilmente lui voleva anche qualcosa di più.
Uscivano insieme tutte le settimane, facevano merenda ad Up All Nite Donuts oppure colazione al Two Whales. Joyce un paio di volte le aveva chiesto di lui, con un fastidioso interesse e forse una segreta speranza. Il rapporto con Eliot aveva i suoi pregi: era grazie alle sue gentili pressioni che ancora faceva qualche compito. Era rimasto l’unico a spronarla in modo positivo, senza ricordarle continuamente quanto facesse schifo rispetto alla sua perfetta sé stessa del passato, con un padre e una migliore amica amorevoli…
Chloe aveva iniziato a parlargli della musica punk che ascoltava e come sempre lui pendeva dalle sue labbra. Un giorno era arrivato al Two Whales con un sorriso raggiante e la locandina di un concerto dei Noravi a Bay City. Le aveva proposto di andarci e lei aveva accettato. L'idea le piaceva. L'ultimo concerto cui era andata era stato con Max...
Nonostante tutto questo, Chloe non riusciva a lasciarsi andare neanche con lui. Probabilmente sbagliava, Eliot l'avrebbe ascoltata qualunque cosa avesse detto. Ma sentiva come se ogni parola che pronunciava non attecchisse mai. Non come se lui non la ascoltasse, piuttosto come se fosse... impermeabile? Come se non fosse un atteggiamento spontaneo, ma un’attitudine che indossava per lei. Avrebbe dovuto esserne felice? Farla sentire speciale?
Chloe non sapeva.
L'unica persona che voleva davvero accanto e che sapeva l’avrebbe capita era Max. Ma non c'era più.
Se n'era andata. A volte questo la faceva soffrire più dell’assenza di suo padre.
Lui era morto, non poteva tornare indietro. Max, invece, aveva smesso di risponderle. L’aveva lasciata alle spalle per scelta.
Chloe non riusciva a levarsi dalla testa che fosse per qualcosa che aveva fatto. Per qualche sgarro di cui continuava a non rendersi conto e il cui tormento aveva sepolto sotto ogni genere di sedativo. Aveva intravisto le pillole di sua madre tra gli asciugamani del primo cassetto in bagno. Aveva pensato di prenderne una… non l’aveva ancora fatto. Continuava a pensarci… magari ne avrebbe presa qualcuna in più del necessario, mandandole giù con una mezza bottiglia di birra e…
 
Che dire della scuola invece?
Quando ripensava al motivo per cui aveva deciso di andare alla Blackwell il cambiamento diventava del tutto evidente. Quella scuola era una specie di sogno fino a un anno prima. Arroccata lungo il fianco boscoso della collina, visibile da ogni punto di Arcadia Bay, i suoi mattoni rossi e la torre centrale svettavano sul verde della foresta circostante come un castello incantato. Una rinomata accademia d'arte e scienza che le avrebbe dato l'opportunità di farsi largo in qualunque college avesse voluto. Con i suoi voti tutte le università d’America avrebbero fatto la fila per lei. Questo, almeno, quando ancora pensava al futuro e aveva degli obiettivi.
Ora la Blackwell era diventata una prigione.
Che cazzo di futuro poteva avere ormai?
Senza suo padre, senza Max e con sua madre che la guardava con disgusto...
Là dentro era sola... circondata da pezzi di merda ricchi con la puzza sotto il naso che fin dal primo giorno le avevano fatto capire quale dovesse essere il suo posto.
La pietà, o l’imbarazzo, per suo padre morto ormai era finita da tempo. I professori erano tornati a sgridarla per il suo scarso rendimento, spesso in classe e ad alta voce così da far sapere a tutti quanto fosse una merda. Marisa Rogers era tornata a prenderla in giro, una volta per il suo braccialetto borchiato, un’altra le aveva dato della satanista per il pentacolo rovesciato appeso al collo. Qualcosa ribolliva nello stomaco di Chloe, guardava film mentali in cui prendeva la testa di Marisa, la infilava tra la porta e lo stipite e sbatteva ripetutamente fino a lasciare solo una poltiglia rosso-grigia.
Ma il massimo che faceva era alzare due dita medie nella sua direzione o mandarla affanculo.
Poi finiva dal Preside…
Chloe Avrebbe solo voluto svanire.
Era stufa di sentirsi così.
Mentre barcollava sul posto davanti allo specchio si accorse di un paio di forbici davanti a lei. Allungò la mano per prenderle, ma il comando ci mise un po' ad arrivare dal cervello ai muscoli. Con lentezza innaturale, Chloe prese gli arnesi e li fissò con curiosità. Poi tornò al suo riflesso. Voleva pugnalare lo specchio, ma qualcosa le disse che non avrebbe funzionato.
Notò i suoi capelli.
Lunghi, biondi, spettinati.
Suo padre li adorava e lei amava quando lui le passava la mano tra le ciocche, facendole i grattini sulla testa per farla addormentare la sera, oppure accarezzandola distrattamente durante un film, che ci fosse o meno Max. Non era colpa sua se si addormentava sempre!
Ora lui era morto...
Nessuno avrebbe mai più amato i suoi capelli.
Probabilmente nessuno avrebbe più amato lei.
Delusione era tutto ciò che leggeva sui volti degli altri.
E se invece avesse cambiato il punto di vista?
Erano gli altri ad aver deluso lei!
Cazzo si! Total-fottuta-mente!!
Max l’aveva abbandonata nel momento in cui aveva più bisogno, sua madre l’aveva lasciata nelle mani di un counselor di merda invece di occuparsi di lei, tutto perché quel cazzo di giorno le era pesato il culo e non aveva voluto portare a casa la spesa da sola.
Non era lei ad essere una delusione. Era il mondo a essere deludente.
Fanculo il mondo. Fanculo tutto.
Prese una ciocca di capelli, armeggiò per un po' con le forbici cercando di posizionarli tra le due lame e mettere in salvo le dita.

Zak!

Fili dorati caddero sul pavimento.
Chloe sentì gli occhi bruciarle.
Armeggiò ancora un po' cercando di afferrare una nuova ciocca.

Zak!

e ancora.

Zak!

Se doveva essere sola…

Zak! Zak!

…lo sarebbe stata per scelta!

Zak!

Altri frammenti di chioma dorata fluttuarono sulle piastrelle del pavimento.

Zak! Zak! Zak!

Fanculo tutti….

La testa di Chloe divenne pian piano un incoerente massa di capelli biondi tagliati in ciocche più o meno corte.
Lacrime iniziarono a rigarle il viso, senza singhiozzi.

Zak!

Guardò il suo riflesso ora, osservando una ragazza sconosciuta.
Era ancora lei?
Si, era ancora Chloe Price. Un aggiornamento punk per una vita di merda e in cui non vedeva futuro. Non era quello il motto dei punk? "No Future!" Così le aveva raccontato Skip!


Scoppiò in una risata isterica e priva di umorismo.
Rise dell'aspetto ridicolo che aveva la sua testa.
Rise della sua espressione da idiota.
Rise di quante speranze avesse rivolto in un mondo che ad un certo punto aveva deciso di cagarle in testa.
Qualcosa si smosse nel suo stomaco e si fece largo a spintoni verso l’alto.
Un sapore acidulo le raggiunse la bocca.
Senza che se ne accorgesse si accasciò sul cesso a vomitare, alternando rigurgiti a convulse risate.
Quando ebbe finito si asciugò in qualche modo e barcollò verso la sua stanza, precipitando sul letto già addormentata prima di toccare il materasso.
 
Quella notte Joyce entrò in bagno per farsi una doccia, esausta. Trovò i capelli di Chloe per terra, sentì l’odore del vomito alcolico e dell'erba che aleggiava nell'aria, proveniente dal water in cui non era stato tirato lo sciacquone.
Si diresse in camera di Chloe, mossa dall'ira e pronta allo scontro.
La trovò con i capelli falciati riversa nel letto, russante e sbavante.
Si paralizzò a fissarla.
Era una copia disperata della sua Chloe, precipitata in un buco nero senza fondo.
E Joyce l’aveva delusa.
Joyce stava fallendo come madre.
Stava deludendo sé stessa.
Stava deludendo Willam... cosa avrebbe pensato di lei se avesse visto come si stava riducendo la loro bambina? Per colpa sua…
Lui era morto per colpa sua… Chloe stava cadendo per colpa sua…
Non poteva più sopportarlo... non ce la faceva più.
Non da sola.
Scoppiò in lacrime e quasi cadde in ginocchio.
Chloe non si accorse di nulla.
Joyce si precipitò nel suo letto, ancora con le scarpe e la divisa del Two Whales. Afferrò il cuscino di William, ancora al suo posto sul lato giusto del letto e lo abbracciò. Si avvolse ad esso con braccia e gambe, rannicchiandosi in posizione fetale, affondando le unghie nella stoffa fin quasi a strapparla. Cercò in esso l’odore del marito… non lo trovò…
Affondò la faccia e singhiozzò così forte che il petto le fece male.
Quando fu troppo stanca per continuare a piangere, una strana calma le piombò addosso.
Aveva raggiunto il fondo e per qualche momento, laggiù si sentì a suo agio.
Si mise a sedere sul bordo del letto e sistemò di nuovo al suo posto il cuscino.
Pulì il bagno con gesti automatici e apatici, si fece una doccia e quando ebbe finito prese il cellulare.
Il segnale acustico della chiamata risuonò due volte, poi rispose. Joyce sorrise fra sé. Sempre due squilli, regolarmente. Era come se aspettasse una sua chiamata. Sempre.
"Ciao Joyce..." salutò la voce ruvida e calma dall'altra parte.
"Ciao David..." rispose lei con una voce più rauca di quanto si aspettasse. Ci fu un istante di silenzio dall'altro lato.
"Hai pianto? Cos'è successo?" la preoccupazione era reale e sincera.
"Si... potresti... venire da me per favore?"
Una pausa di alcuni secondi precedette la risposta ferma e concisa.
"Sarò lì in 13 minuti."
 
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"E nessuna sessione di degustazione vini alla Chloe e Max..."
"Papà!" Chloe interruppe la sbattitura delle uova per lanciare a suo padre un'occhiataccia.
"Non mandare tutto all'aria, perché stasera tua madre ha promesso di cucinare la sua rinomata sorpresa al salmone con torta al cioccolato per dessert." William si voltò verso il salotto "Max, ci sarai anche tu?"
Max annuì semplicemente, vicino al tavolo pieno di disegni, matite e pennarelli.
"Lei non mi lascerà mai!" Chloe si affacciò dalla cucina.
"Nessuno di noi lo farà..." William si diresse verso la porta…
 
Improvvisamente le mancò il fiato.
Una pressione sul petto, la gola chiusa.
Sentì Max singhiozzare dietro l’angolo della cucina e la raggiunse.
“Max, ti stai comportando in modo fottutamente strano… come se non dovessi rivederci mai più…”
Lei alzò il suo viso affranto e lentigginoso.
“Perdonami Chloe… ho provato a rendere le cose migliori…
… qualunque cosa accada ricorda che io ci sarò sempre. Anche se sembrerà che non ci sia, ti guarderò sempre le spalle… Sempre!”
Sensazione di cadere, inghiottita dal pavimento.
Nell'oscurità.
 
Chloe si svegliò tossendo furiosamente. Si era schiantata sotto l'effetto di una pesantissima sbornia. La vista era appannata, la testa le girava ancora, lo stomaco era in subbuglio. Sentì qualcosa di appiccicoso fuoriuscirle dalla bocca e fluire sulla sua guancia sprofondata nel materasso.
Fortunatamente non era vomito. Era solo bava.
Aveva dormito con la bocca aperta e le si era seccata la gola.
Tentò di mettersi a sedere, faticosamente. Il suo corpo era così pesante... non si era mai ubriacata così tanto. Non ricordava bene come fosse arrivata al letto. Guardò l'ora sulla sveglia.
11.23
Cazzo...
Non era andata a scuola e nessuno l'aveva svegliata.
Improvvisamente si rese conto di una strana sensazione di fresco alla testa. Non si era impigliata nei suoi lunghi capelli mentre si appoggiava al materasso. Si passò una mano sulla testa e allora ricordò.
Li aveva tagliati.
Ebbe dei vaghi flash di lei che camminava verso la sua stanza e poi niente. Una delle prime connessioni logiche del suo cervello fu riguardò al fatto che aveva lasciato capelli dappertutto in bagno. La seconda fu il ricordo di una brutta seduta di vomito con la faccia nel water... anche quello rimasto incustodito tutta la notte e buona parte della mattina.
Merda. Difficile che mamma non l'abbia notato.
Chloe si mise cautamente in piedi e raggiunse con passi incerti il comodino alla destra del letto. Buttò solo uno sguardo al diagramma dell'altezza scarabocchiato. Pensò di metterci qualcosa davanti, o forse avrebbe riverniciato? No, forse era troppo, ma comunque non voleva vederlo.
Sul comodino c'era uno specchio da trucco, circondato da povere scatole di fondotinta ed eyeliner in disuso da mesi.
Tempo di valutare il danno...
L'immagine che lo specchio le restituì la confuse sulle prime. Era la sua faccia, ma con i capelli corti e tagliati in modo incoerente appariva diversa. Più cazzuta. Era la qualità che le serviva. Com'era quella cosa della sopravvivenza del più adatto o merda del genere? Quello comunque.
Si passò una mano fra le ciocche...
Ok, era abbastanza orribile!
Per fortuna sarebbero ricresciuti, la prossima volta se li sarebbe tagliata da sobria!
Rovistò nel cassetto dei vestiti. Doveva esserci un berretto o qualcosa del genere. Ne trovò uno grigio di lana. Per fortuna faceva ancora abbastanza freddo da renderlo adeguato.
Man mano che recuperava la lucidità si rese conto dello stato in cui era. Puzzava di vomito, alcol e sigaretta. Un po' di rigurgiti le erano rimasti sulla maglietta e sulla manica destra della felpa.
Merda... Doccia-Time
Si diresse verso il bagno quando si rese conto che qualcuno parlava al piano di sotto.
Sulle prime pensò che fosse la tv, ma poi distinse nitidamente la voce di sua madre che parlava con qualcuno. Un uomo, con voce rude e profonda. Un poliziotto? Aveva fatto qualche merda di cui non ricordava? Quanto cazzo aveva bevuto?
Decise di pensarci più tardi. Presentarsi a chiunque fosse di sotto in quello stato non era certo una buona idea. Quando aprì la porta del bagno lo trovò perfettamente pulito. Sospirò profondamente.
Si... ramanzina e punizione in arrivo...
Girò la manopola dell'acqua calda e si preparò ad una doccia mai così necessaria...
 
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Vestita con un paio di shorts e una canottiera nera con la A di anarchia che le aveva regalato Eliot, scese le scale. La doccia le aveva ridato un po' di vitalità e lavarsi i denti era stato catartico. Guardandosi allo specchio sembrava quasi una persona normale. I suoi passi avvolti nei calzini di lana fecero cigolare i gradini di legno, mentre guadagnava la porta della cucina. C'era profumo di caffè e di bacon nell'aria. Il suo stomaco avrebbe gradito il primo, così come i suoi neuroni...
Caffeina...
Immaginò la faccia di Homer Simpson che sbava.
Sentì le voci zittirsi mentre si avvicinava al salotto, sua madre le andò incontro. Lo sguardo che le diede fu eloquente. Del resto, Chloe era preparata. Sperava solo che la ramanzina arrivasse più tardi, non in presenza di... chiunque fosse l'ospite.
"Chloe... come ti senti?"
"Bene..." disse lei con un filo di voce.
Avrebbe dovuto scusarsi?
"Mamma io..."
"Ne parliamo più tardi..." la voce di Joyce era gentile, quel genere di cortesia di circostanza che si usa per coprire sentimenti ben diversi. Chloe sentì un nodo di preoccupazione avvolgerle lo stomaco. "E' tardi per la colazione, vuoi del caffè?"
"Uhm... si grazie..."
Joyce annuì e andò in cucina. Non fece commenti sui capelli e sul berretto di lana che indossava. Chloe decise di andare finalmente a scoprire chi fosse l'ospite.
Raggiunto il salotto e vide qualcuno seduto al tavolo con una tazza di caffè quasi vuota. Era al posto di suo padre. Questo le diede sui nervi, ma del resto quell'uomo non lo sapeva... Almeno non era un poliziotto, anche se ne aveva l'atteggiamento. Capelli neri, taglio tattico, strani baffi fin troppo curati. Lineamenti spigolosi da Big Jim, camicia verde militare con le maniche accuratamente ripiegate e un orologio al polso destro. La postura rigida, schiena dritta e occhi sbarrati come se si aspettasse un attacco da un momento all’altro. Le ricordò Bongo quando c'erano estranei in casa. Si fissarono in silenzio per alcuni secondi, poi lui parlò.
"Ciao..."
"Ehm... Buongiorno..." salutò Chloe un po' perplessa.
L'uomo sembrava in imbarazzo, guardò verso la cucina con speranza e Joyce arrivò di lì a poco a salvare la situazione.
"Ecco..." sua madre depositò la tazza sul tavolo e Chloe si sedette. Si lasciò inebriare dall'aroma del caffè, iperdolcificato come piaceva a lei. Prese un sorso desideroso, gustando la sensazione della caffeina che accendeva le lampadine nel suo cervello.
"Lui è David Madsen. È un mio amico. Oggi è così gentile da accompagnarmi al lavoro. Passerà a trovarci qualche volta..." disse Joyce. A Chloe non sfuggì la mano di sua madre sulla spalla dell'uomo. Non le sfuggì nemmeno il profumo che si era messa. Non era il profumo "da lavoro"... era un aroma diverso... quello che usava per le occasioni speciali o quando usciva a cena con papà.
Strano...
"Ok..." disse Chloe "Ehm... piacere..."
"Piacere mio..." disse David alzandosi leggermente dalla sedia e tendendole una mano con gesto robotico. Chloe lo fissò diffidente, poi la strinse mettendoci un po' più di forza del necessario. Entrambi si diedero una bella stretta, prima di tornare ciascuno alla sua postazione.
Chloe era spaesata e non solo per i postumi della sbornia.
La gentile freddezza di sua madre, il suo profumo…
La presenza di questo strano tizio seduto al posto di suo padre...
"Ho chiamato Wells per dirgli che non ti sentivi bene, ma gli ho assicurato che è una cosa passeggera e che DA DOMANI tornerai a scuola regolarmente. E riprenderai le sedute..." disse Joyce.
Chloe la fissò.
Perché diceva quelle cose davanti a questo tizio?
Mah si, facciamo sapere al primo che passa che mia figlia ha dei problemi...
"Ora devo andare al lavoro, questa sera parleremo con tranquillità. Va bene?"
Chloe annuì, sorseggiando il caffè.
"Bene..." si voltò verso l'uomo e la sua espressione si ammorbidì di colpo, le labbra si allargarono in un sorriso "... andiamo David?"
"Sissignora!" Disse lui come se effettivamente rispondesse ad un ufficiale, mentre balzava in piedi. Joyce ridacchiò, teneramente. Chloe era esterrefatta...
Sissignora??????
I due uscirono dalla porta. Joyce le disse che c'erano degli spaghetti da riscaldare per il pranzo e uscì. David le rivolse un saluto e la porta si chiuse.
La casa sprofondò nel silenzio.
Chloe fissò la porta chiusa, mentre sentiva il rombo di un motore piuttosto potente che veniva avviato nel vialetto. Corse alla porta e attraverso la finestrella laterale spiò all'esterno. Un'auto sportiva blu con strisce bianche sulle fiancate fece manovra uscendo dal suo viale e partì alla volta del Two Whales...
Chloe si grattò la testa...
Passò il resto della giornata a riprendersi dalla sbornia. Gli spaghetti riscaldati aiutarono. Ad un certo punto mise mano alle forbici e tentò di sistemarsi i capelli. Diede loro una forma più sensata.
Joyce tornò a casa per cena, molto prima del previsto. Preparò una bistecca con patate al forno e parlarono mentre mangiavano. Joyce le raccontò con molta calma in che condizioni aveva trovato il bagno e lei nel letto. Le disse che alcol e erba erano ufficialmente sequestrati e banditi da quella casa e che era tempo di un nuovo inizio per entrambe. Una parte semi-conscia di Chloe sospettò che in quel nuovo inizio c’entrasse anche quel David. La donna continuò, dicendo a Chloe che era l’ultimo avvertimento, doveva iniziare di nuovo ad avere cura di sé e del suo futuro alla Blackwell, che aveva bisogno che collaborasse e insieme ce l’avrebbero fatta. Come una famiglia. Chloe si limitò ad annuire.
Quando Joyce ebbe concluso, deviò il discorso: “Come sta Eliot?”
Chloe sbuffò e si riempì la bocca di carne…
 
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Il giorno dopo, Chloe scese dallo scuolabus e fronteggiò il suo acerrimo nemico: la Blackwell. Si sentiva la stessa di sempre, ma per qualche ragione il nuovo look le dava un po’ di forza.
Chloe Price 2.0
Si rifugiò sul lato dell’edificio della piscina, dove il cartello “No Smoking” era diventato “No Sucking”, con il muro circostante invaso di tag e il pavimento di mozziconi. Un sorrisetto divertito si allargò sulle labbra di Chloe e si accese una sigaretta. Aspirò un po’ di fiducia mentre da quell’angolo nascosto osservava il parco davanti alla facciata del campus. Scrutò con distacco i gruppetti di studenti sparsi qui e là che ammazzavano il tempo prima delle lezioni. Lei invece era lì da sola a fumare. Si sentiva completamente estranea, la maggior parte di loro erano ragazzi ricchi con cui non aveva niente a che fare. Gente cui non era mai mancato nulla, pieni dell’arroganza di chi non ha mai perso niente di importante. Di chi non conosce nemmeno il significato della parola ‘perdita’. Prima l’avevano isolata e sfottuta perché frequentava grazie a una borsa di studio (come se fosse l’unica…), poi perché la sua tristezza li metteva a disagio. Che lo volesse o no, era sempre stata sola là dentro…
Quando la sigaretta fu estinta come le sue riflessioni amare, entrò nel campus e si trascinò fino al suo armadietto per prendere il libro di Matematica e fare rotta verso la classe del Professor Terry.
“Toh guarda!” Una voce familiare la distolse dai suoi pensieri “hai finalmente deciso di fare outing? Cos’è questo, un nuovo look da lesbica?”
Chloe accostò l’armadietto, voltandosi a fronteggiare Marisa Rogers accompagnata dal solito duo di cortigiane. Lanciò un rapido sguardo a com’era infiocchettata, con i capelli neri acconciati in un elegante caschetto, un maglioncino rosa da cui spuntava il colletto bianco di una camicia, con una gonna verde, collant scuri ed un paio di scarponcini forse di pelle.
Deve esserci qualche tipo di strano fetish nell’indossare animali morti…
Le due ragazze al suo fianco sembravano sue fotocopie meno appariscenti. Per qualche sorta di regola interna al club degli stronzi, non bisognava vestirsi meglio del capobranco. Chloe sentì accendersi nello stomaco la solita rabbia e fu tentata di insultarla o di superarla come aveva sempre fatto. Se la sarebbe cavata con l’ennesima ramanzina e tutto sarebbe andato avanti…
No! Non stavolta.
Era arrivato il momento di mettere fine a queste stronzate, o almeno di reagire.
Cambiare strategia.
Era il momento di mettere in pratica il cambiamento.
Fece un profondo respiro e indossò un sogghigno: “Perché lo chiedi? Sei interessata?”
Marisa sgranò gli occhi, come le sue compagne. Come si chiamava la bionda? Sierra? Sally? e l’altra con quella frangetta strana e gli occhiali da Harry Potter? Katherine… Kaylee… fanculo i nomi di queste cretine! Quello che contava erano le loro facce. Completamente esterrefatte!
Non erano abituate a quel genere di risposte. Non erano abituate a nessuna risposta in realtà. Marisa si sentì improvvisamente osservata, non solo da Chloe che le piantò uno sguardo di sfida dritto negli occhi, ma anche dalle sue seguaci K. e S. che si aspettavano una replica pungente. “Metti a posto questa sottospecie di clochard Mari!” Sembravano dire…
“Wow! Sembra che qualcuno abbia imparato nuove parole oltre a ‘vaffanculo’! Anche se le usi per dire cazzate!” lo sguardo di Marisa sembrava dire ‘Boom! Beccati questo!’
Il sogghigno di Chloe si allargò ancora di più, mentre il cuore le rimbombava nelle orecchie. Marisa si sentì improvvisamente molto a disagio. Perché stava sorridendo?
“Oh si! Ho imparato molto! Infatti credo di aver capito perché mi stai incollata fin dai primi giorni di scuola… forse perché ti eccito! Non è così?”
Marisa scoppiò a ridere “Penso che dovresti farti vedere da uno bravo Price! Qui la stramba sei tu, non io!”
“Non fare così Mari… non è giusto. Non rifiutare ciò che sei… avanti… darmi della lesbica significa solo due cose: o sei un’omofoba del cazzo o stai proiettando. Ammettilo, mi stai corteggiando dall’inizio dell’anno. Certo in modo un po’ strano e malato… ma è chiaro! Chi disprezza ama o qualche merda simile…” ormai il vaso di Pandora era aperto, le parole di Chloe eruppero come la scarica di una mitragliatrice.
“Ma che cazzo…” Marisa andò in confusione. Con la coda dell’occhio si accorse che la loro conversazione stava attirando l’attenzione di un po’ troppe persone. E stava anche durando molto più del previsto. Non andava bene!
“Si dev’essere così.” Proseguì Chloe sfruttando l’esitazione dell’avversaria “Tutto quel darmi addosso per come mi vesto e per come mi comporto. Era una richiesta di attenzione! Certo che potevi dirlo gentilmente… magari ci sarei stata…” Chloe fece un passo verso di lei e Marisa indietreggiò allarmata.
“Che… vuoi fare?” le uscì prima che potesse pensare.
“Sii sincera Mari… ti incuriosisce vero? Quello che potrei farti… non devi più negare i tuoi sentimenti”
Marisa spalancò la bocca, svuotata per la prima volta in vita sua di ogni sillaba coerente. Lo stesso le sue compagne. Chloe incalzò ancora.
“…ammettilo. Vorresti questa punk proletaria tutta per te. Vorresti che una vera donna ti mostrasse qualcosa di nuovo… ed eccitante…” la sua voce si fece vellutata, si avvicinò tanto a Marisa che poté sentire il suo fiato di sigaretta. Lo stomaco le si rivoltò e serrò la mascella, mentre il sangue defluiva da tutto il corpo verso le gambe, pronte per la fuga.
“Tu… brutta… stronza…”
Chloe si fece indietro di colpo ed alzò un braccio sopra la testa. Marisa balzò indietro sentendo già lo schiaffo bruciarle sulla faccia. Chiuse gli occhi.

SBAM!!!

Chloe chiuse il suo armadietto con un colpo secco, attirando l’attenzione dei pochi che ancora non stavano osservando la scena. Marisa sobbalzò e si guardò attorno confusa. Non era decisamente andata secondo i piani. C’erano i ragazzi del Vortex Club che la stavano fissando, quella stronza la stava mettendo in imbarazzo davanti alle persone più popolari della scuola, le stesse che tentava di impressionare fin dall’inizio di quel fottutissimo anno.
“Allora? Che mi dici? Vuoi provare qualcosa di eccitante??” propose Chloe avvicinandosi di nuovo. Si portò alla bocca la mano sinistra, la sua lingua saettò tra l’indice e il medio a V, sotto lo sguardo stupefatto e divertito di tutto il corridoio. “Dai stacci Marisa!!” gridò qualcuno, seguito da risate. “Wooooo” esclamò qualcun altro con eccitazione. Qualcuno fischiò.
Marisa barcollò all’indietro, la sua mente non era pronta per quello. Niente nella sua esperienza a scuola, in particolare con Chloe Price, l’aveva preparata per questa reazione. Tutti la fissavano, si voltò a guardare le sue compagne K. e S. che da sbalordite ora le rivolgevano sguardi delusi.
“Sei fuori di testa Chloe!”
“Non quanto lo sei tu per me!” la replica istantanea fu come un pugno in faccia. La faccia di Marisa bruciava. “Guarda come sei arrossita… lo sapevo! Ho fatto centro!”
Marisa si sentiva scoppiare la testa, mentre i commenti degli spettatori perdevano nitidezza. Stava per venirle un attacco? Era tempo di ritirarsi e pensare. Avrebbe limitato i danni… e non sarebbe finita qui!!
“Vaffanculo… non ne vale la pena…” la ragazza ricca girò i tacchi e se ne andò “Sei malata…” le gridò allontanandosi, sgomitando fra le sue scagnozze inebetite.
“Sembra che tu abbia imparato la mia parola preferita…” Chloe ormai era lanciatissima.
Marisa emise un gemito sfinito e girò l’angolo, ritirandosi dovunque i supercattivi si ritirino dopo averle prese dai buoni! Echeggiarono risate, fischi e commenti irriverenti che Chloe registrò a malapena. Era ancora completamente tesa, sudava freddo e il cuore le pulsava furiosamente in ogni parte del corpo. Rimase immobile, fissando l’angolo dietro cui Marisa era scomparsa, aspettandosi che tornasse con una mazza da baseball in pugno per massacrarla di botte. Improvvisamente si rese conto di essere in apnea. Prese un profondo, lunghissimo, liberatorio respiro.
Tutti i muscoli del suo corpo si rilassarono istantaneamente. Guardando intorno si accorse che gli altri studenti tornavano a farsi gli affari propri e convergere verso le classi, salvo alcuni che ancora chiacchieravano divertiti e la fissavano. Si erano goduti la scena!
Fanculo i bulli!!!
“Hey Donna dell’Anno!” la voce strascicata di Justin la sorprese dal lato destro “Che cazzo è successo?!” chiese ridacchiando.
Chloe prese un nuovo profondo respiro: “Non ne ho la più fottuta idea…” sghignazzò mentre riapriva l’armadietto e prendeva finalmente il libro, cosa che fece anche Justin aprendo l’anta vicina.
“È stato faaaantastico! Se lo rifai avvisami… non voglio perdermi il secondo round!”
“Sai… certe cose semplicemente accadono. Non puoi guidare l’ispirazione, amico!” gongolò Chloe.
Justin ridacchiò “Ah… comunque mi piace il nuovo look! Ti rende davvero cazzuta!”
“Grazie!” Chloe si sentì invadere da uno strano appagamento. Endorfine? Probabile! Qualcosa in lei si era sbloccato ed ora si sentiva… euforica? Non sapeva come definire quella sensazione, ma di sicuro era piacevole.
Insieme a Justin si diresse verso l’aula di matematica, ignorando che una ragazza bionda con un paio di orecchini di piume blu la stava fissando con ammirato stupore.
Ovviamente, Chloe finì da Wells e si prese una settimana di doposcuola come punizione per aver minacciato una compagna.
 
-
 
Esattamente come aveva detto Joyce, David si fece vivo regolarmente a casa Price. Fin troppo. Tutti i venerdì sera Chloe se lo ritrovò a cena. Più lo guardava e, soprattutto, lo ascoltava, più lo detestava. Il fatto che insistesse a sedersi al posto di suo padre sia a tavola che sul divano la irritava profondamente, ma non era la cosa peggiore. La chiamava "bimba"... Ogni volta che sentiva quella parola Chloe voleva piantargli la forchetta in fronte. Durante la prima cena Joyce lo presentò formalmente, dicendo che era stato nell'esercito e che ne aveva passate tante. L'argomento si interruppe lì. Solo nominare l'esercito sembrava mettere David a disagio. Chloe conservò l'informazione per utilizzi futuri...
Gli piaceva sicuramente sparare, perlopiù a creature inermi, come dimostrava il tono eccitato quando parlava delle sue battute di caccia.
"Nel 2001 ho abbattuto questo bestione!" disse con un sorriso rigido come i suoi baffi mentre mostrava a Joyce una foto. Sembrava evitare accuratamente di rivolgere direttamente la parola a Chloe. Altra cosa che la infastidiva a morte. Joyce le passò la foto, che raffigurava David appoggiato al fucile con sguardo fiero, accovacciato di fianco a un enorme cervo maschio abbattuto e accuratamente messo in posa. Un'espressione disgustata le apparve sul viso e David la notò. Quando riprese la foto dalle mani di Chloe si scambiarono uno sguardo teso. "L'ho abbattuto con un solo colpo. Per celebrare la cosa abbiamo fatto una grande cena a base di spezzatino di cervo e Richard ha fatto in modo che la testa fosse impagliata. Ce l'ho ancora a casa!" continuò il racconto, sempre rivolgendosi a Joyce, che pendeva dalle sue labbra.
Chloe non riuscì a impedire ad un "tsk!" di uscirle dalla bocca, insieme ad un ghigno ironico. Joyce e David la fissarono in silenzio per alcuni secondi.
"Qualcosa non va?" chiese Joyce.
Chloe appoggiò la forchetta nel piatto di mac & cheese e fissò lo sguardo prima su sua madre e poi su David. Fece spallucce e disse: "Mi chiedo solo che cosa ci sia di eccitante nell'uccidere delle creature innocenti e inermi, tagliarli la testa e appenderla in casa..." e riprese a mangiare.
Il silenzio si protrasse per alcuni momenti. Joyce fece per parlare, ma fu anticipata da David:
"La caccia è uno sport complesso e virile, ci mette in contatto con la natura e tira fuori abilità di sopravvivenza e concentrazione che non usiamo mai nella vita di tutti i giorni." affermò l'uomo in modo fermo e perentorio.
"Bah... quando voglio entrare in contatto con la natura vado a fare una passeggiata nei boschi, non ad uccidere scoiattoli. E poi non credo ci voglia grande abilità nello sparare con fucile e mirino ad un animale che nemmeno ti vede e non ha possibilità di difendersi. Potrei forse capire se usassi un coltello o un arco, ma un fucile... mi sembra decisamente impari."
David fece un lungo sospiro tremolante e fissò Joyce in cerca di aiuto, mentre tornava ai suoi maccheroni.
"Non essere scortese Chloe..." rimproverò Joyce severa.
Chloe scrollò le spalle: "E' un paese libero, esprimo la mia opinione... il tuo 'amico' è libero di sterminare tutta la fauna che vuole e riempirsi la casa di teste impagliate, per quanto sia una stronzata pretenziosa..."
"Chloe!"
Lei rimase l'unica a mangiare per alcuni minuti, testa china sul piatto, mentre David sembrava essere andato in corto circuito. Joyce gli appoggiò una mano sull'avambraccio, cosa che Chloe notò e le scatenò un brivido di disgusto. La cena proseguì in silenzio.
 
Cominciarono ad accadere altre cose strane. Joyce iniziò ad andare in chiesa ogni domenica, insieme a David. Joyce tentò di coinvolgere Chloe, che rispose con un fermo "Vaffanculo...". Durante un'altra cena saltò fuori che l'uomo frequentava lì un gruppo di supporto per veterani di guerra.
Non poteva evitare di notare quanto fosse assurdo il comportamento di sua madre. Non era assurdo che andasse in chiesa, ci andavano anche quando c'era William, ma solo per le festività principali come Natale e Pasqua. La messa domenicale era qualcosa di nuovo e inquietante. Era impossibile non collegare questa nuova usanza alla presenza di David nella sua vita. Inoltre, Joyce divenne sempre più severa. Reintrodusse il barattolo delle parolacce e iniziò a punirla ogni volta che Wells chiamava per qualche sua malefatta, reale o immaginaria. L'astio iniziò a diventare disprezzo e le cene del venerdì divennero l'occasione per nuove discussioni fra Chloe e David.
 
"Quindi un americano libero non dovrebbe avere il diritto di difendersi se viene aggredito?" chiese David il cui tono spazientito provocò una vibrazione soddisfatta nello stomaco di Chloe.
"No, dico solo che non dovrebbe essere così facile comprarsi un'arma. Qualunque idiota può andare in un negozio, comprare una pistola e ammazzare qualcuno. E poi... 'americano libero'? Chi sarebbero gli americani 'non liberi'? La schiavitù è stata abolita da quel che mi risulta..."
Quella sera, dopo il battibecco sempre più acceso, David saltò la consueta serata sul divano con Joyce e tornò a casa. Chloe si era già rinchiusa nella sua stanza fumando alla scrivania, con l'attenzione che oscillava tra il libro di Inglese e YouTube sul computer. Joyce bussò ed entrò.
"Chloe!" esordì senza troppe cerimonie "Sei stata davvero scortese. Lo sei sempre con David. Qual è il tuo problema?" chiese irritata.
Chloe si voltò, soffiando fumo come un drago. Scrollò le spalle:
“È facile, il tuo amico è una testa di cazzo..."
"Chloe modera il tuo linguaggio... Dio..." sbuffò Joyce "Non puoi evitare di controbattere e provocarlo su ogni cosa che dice?"
"Mi dispiace mamma... sono allergica alle stronzate..."
Joyce strinse i pugni e si avvicinò a Chloe.
"Te lo chiedo per favore, cerca di dargli tregua. Ha passato cose che neanche immagini in guerra, sta cercando di rifarsi una vita... e anche noi."
"Non vedo cosa c'entri la nostra vita con la sua..."
Chloe voleva sentirglielo dire. Aveva capito benissimo che David non era solo un 'amico'. Voleva che sua madre lo ammettesse davanti a lei. Voleva sentirle dire che a pochi mesi dalla morte di suo padre lo stava già sostituendo, dopo vent'anni di matrimonio...
Joyce abbassò lo sguardo, chiuse gli occhi e inspirò profondamente.
"David è un brav'uomo Chloe. Cerca di trattarlo come tale. Non è una minaccia..."
Chloe si sentì frustrata.
"Non riesci neanche a dirlo vero?!" sbottò alzando la voce.
Joyce la guardò stupita: "Cosa?"
"Te lo stai scopando!"
"Chloe!! Non ti permettere di parlarmi in questo modo! Sono tua madre!"
"Si! Sei mia madre... papà è morto solo sei mesi fa e tu stai già uscendo con quel... cazzo di Big Jim di merda! È così facile sostituire papà? Cazzo non ne avevo idea..."
"Adesso basta! Credi che sia facile per me?" Joyce iniziò a urlare "Da quando William è morto ho sulle spalle tutte le spese della casa, devo lavorare il doppio e siamo comunque in ritardo con le bollette. Tuo padre non ci ha lasciato niente e il mondo è in crisi economica. Dannazione Chloe, in tutto questo ci sei anche tu che hai cominciato a bere, fumare e andare male a scuola... io non so più come fare... da sola non ce la faccio!" la voce di Joyce tremò e si appoggiò allo stipite della porta, sforzandosi di ricomporsi.
Chloe la guardò, sentendosi improvvisamente piena di rimorso. Si alzò e si avvicinò lentamente a sua madre.
"Non sei sola mamma... ci sono io... sono tua figlia."
“Si sei mia figlia, ma non collabori! Credi di essere l'unica a soffrire?! Beh non è così! Ma bisogna andare avanti nella vita! Il passato non si cambia e quello che possiamo fare è solo accettarlo e andare avanti. È orribile, ma è la vita! Io ci sto provando... dovresti farlo anche tu!"
Il rimorso fu di nuovo sommerso da un'ondata di rabbia, che contorse il viso di Chloe:
"Bene! Se andare avanti per te significa dimenticare papà scopandoti uno stronzo fascista fai pure. Non pretendere che sia d'accordo! Potevi comunque trovarti un toy boy migliore di quello…"
Joyce gettò le braccia al cielo in una silenziosa imprecazione ed uscì dalla stanza sbattendo la porta. Chloe rimase immobile dove si trovava, ascoltando vagamente i rumori di sua madre che entrava in bagno, apriva un cassetto e poi ne usciva, scendendo le scale con passi pesanti. Una parte di lei avrebbe voluto inseguire sua madre, abbracciarla e scusarsi. Avrebbe voluto piangere fra le sue braccia e dirle quanto le mancava papà, quanto si sentisse persa senza di lui e senza Max, chiederle perché Max l'avesse abbandonata e non le rispondesse più, perdersi nell'amore della sua mamma come quando era piccola. Ma non lo fece. Sua madre voleva andare avanti. Chloe non poteva.
Non voleva…
 
-
 
[Eliot]
  • È davvero così male?
[Chloe]
  • È uno stronzo testa di cazzo fascista
[Eliot]
  • Ok…
[Chloe]
  • Davvero… ieri non ha fatto altro che bofonchiare sul fatto che i capelli corti non sono adatti a una ragazza e che dovrei vestirmi in modo più femminile…
  • Ma che cazzo… siamo negli anni 50??
[Eliot]
  • Mi piacciono i tuoi capelli!
[Chloe]
  • Grazie...
  • Prima o poi mia madre si accorgerà che sta sprecando il suo tempo e lo manderà affanculo
[Eliot]
  • Studiamo insieme questo pomeriggio?
[Chloe]
  • No
  • Justin
[Eliot]
  • Ah… e cosa fate?
[Chloe]
  • Boh!
  • Relax?
[Eliot]
  • Passi un sacco di tempo con lui…
[Chloe]
  • Geloso?
[Eliot]
  • No! Cioè mi preoccupo per te.
  • Non penso sia una buona compagnia…
  • Chloe?
  • Ci sei?
[Chloe]
  • Si…
[Eliot]
  • Ok…
  • Studiamo domani?
[Chloe]
  • Coso! Chiedimi qualsiasi altra fottuta cosa….
[Eliot]
  • Giovedì abbiamo il test di Inglese
  • Hoida ha detto che se fallisci questo dovrà bocciarti
  • Dai…
[Chloe]
  • Ok ok ok
  • Che palle cazzo…
[Eliot]
  • 😊
  • Ci vediamo domani a scuola e ci organizziamo!
[Chloe]
  • Ok
  • Comunque NO EMOJI!!!
[Eliot]
  • Perché?
[Chloe]
  • Sono da sfigati!
[Eliot]
  • Ok…
 
-
 
[Joyce]
  • Chloe stai tornando a casa?
  • È mezzanotte, stai superando il coprifuoco.
  • Chloe rispondi!
  • Così non va bene!
  • Sono preoccupata Chloe!
[Chloe]
  • Non ho sentito il telefono
  • Ero con Justin.
[Joyce]
  • Lo so! Ho chiamato sua madre.
  • Così non va per niente bene
  • Se ti do un orario devi rispettarlo
[Chloe]
  • Scusa farò più attenzione
[Joyce]
  • Adesso dove sei?
[Chloe]
  • Con Eliot a studiare
  • Vuoi chiamare sua madre per sapere se è vero?
[Joyce]
  • Non fare la spiritosa
  • E non ho dimenticato come ti sei comportata con David
  • Il tuo linguaggio scurrile non è tollerabile
[Chloe]
  • Perché il suo invece sì?
  • Lui può criticarmi per qualunque cosa e va tutto bene
  • Se rispondo non è tollerabile
  • Mi ha chiamata stronzetta impertinente…
[Joyce]
  • Si è scusato
  • Tu invece no
[Chloe]
  • Forse perché le sue scuse non valgono niente
[Joyce]
  • Le tue invece sì?
[Chloe]
  • Devo studiare adesso
  • Ho l’esame di Inglese
[Joyce]
  • Non voglio discutere con te Chloe
  • Voglio che andiamo d’accordo come una volta
  • E vorrei che provassi ad accettare David
  • Fallo per me
[Chloe]
  • Ci sentiamo
  • Ciao
[Joyce]
  • Ne riparleremo
  • Ti aspetto per cena
  • Non sono ammessi ritardi
[Chloe]
  • Ok ok
 
-
 
11 marzo 2009.
"Buon compleanno a me..." si disse Chloe con un sorriso amaro.
Mentre combatteva l’insonnia, la notte precedente Chloe prese una vecchia foto in cui lei e Max ridevano abbracciate, con dietro l'imponente e protettiva mole di suo padre sorridente. Quello scatto l'aveva fatto Joyce nel 2006 in campeggio, ai piedi dell'albero su cui sorgeva la 'fortezza pirata' che William aveva costruito per lei e Max. Le lacrime rigarono le sue guance senza che se ne accorgesse.
Prese dello scotch e attaccò la foto sull'angolo del basso mobiletto alla sinistra del letto.
Non serviva a un cazzo aggrapparsi ai bei momenti del passato per superare la merda del presente. Ma i bei ricordi erano pur sempre bei ricordi. Non voleva dimenticare. Non voleva lasciar andare...
Ricordò il suo compleanno dell'anno precedente, quando organizzò una vera grande festa, la prima e unica che casa Price avesse mai visto. Chloe era sempre stata una da festeggiamenti con pochi intimi, ma quella era un'occasione davvero speciale. La Blackwell aveva appena accettato la sua domanda di ammissione. Era tra i cento fortunati su milleduecento richiedenti. Alla festa c'erano quasi tutti i compagni di classe delle medie di Chloe, compresi Justin ed Eliot, anch'essi accettati alla Blackwell. Il cortile Price non aveva mai visto tante persone tutte insieme, nemmeno durante le riunioni di famiglia del Ringraziamento. Joyce si occupò di allestire un ricchissimo buffet, con l'aiuto di Cynthia Hampden e Gloria Williams, le mamme di Eliot e Justin. William prestò per l'occasione il suo impianto stereo per animare la festa e Chloe riuscì addirittura a trascinare Max a ballare!
Incredibile che fosse passato solo un anno da allora. Sembravano mille…
Joyce le fece il pasticcio di carne per cena e a seguire una torta di mirtilli e cioccolato. C'era anche David a guastare ulteriormente l'atmosfera. Contrariamente alle speranze di Chloe, Joyce non aveva smesso di frequentarlo, anzi. Sembrava proprio una relazione stabile…
Almeno le regalarono una busta contenente cinquanta dollari. Sapeva già come li avrebbe spesi! Le permisero addirittura di fare il brindisi con del vino rosso, come se per lei bere dell’alcol fosse una gran cosa. I colori della stanza erano sbiaditi, la torta non sapeva di nulla anche se era di qualità Joyce. Un estraneo sedeva sulla sedia di suo padre e non voleva andarsene. Vuoto e mancanza era tutto ciò che poteva sentire. Prima di soffiare sulla candelina desiderò, se quella doveva essere la sua vita, che fosse il suo ultimo compleanno...
Soffiò e la fiamma si spense in una voluta di fumo.
Chloe si ritirò presto nella sua stanza. Era a secco di erba. Fumò mezzo pacchetto di sigarette prima di riuscire ad addormentarsi.
 
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L'inverno sfociò pigramente in primavera. Chloe andava avanti per inerzia, tra scuola e casa, dove cercava di stare il meno possibile. Oltre a Joyce, anche l'arredamento iniziò a cambiare. Le vecchie foto di famiglia sparirono, i vestiti di William finirono dentro gli scatoloni insieme al resto delle sue cose, sostituite gradualmente da quelle di David. L'uomo si fermava a dormire sempre più spesso, Chloe se ne accorse soprattutto perché sentiva la sua voce durante la notte. La prima volta si spaventò a morte quando un grido disperato provenne dalla stanza di sua madre. Corse fuori e si fermò davanti alla porta. Dall'interno sentì la voce cupa e singhiozzante di David che ripeteva ossessivamente “Phil… è morto… è morto…le sue… gambe… morto…” e la voce di sua madre che dolcemente sussurrava "shhhh... è passato...". L'insonnia di Chloe le permise di godersi pienamente i terrori notturni di David, che rendevano definitivamente impossibile prendere sonno. La frustrazione una notte le fece impugnare il pennarello indelebile e scrivere ‘I can’t sleep’ sul muro sopra il suo letto…
Un giorno Chloe affrontò David, dicendogli di prendere qualche cazzo di farmaco per questi incubi, che teneva sveglio tutto il vicinato. David si infuriò: “Non puoi capire! Tu non hai visto certe cose! Dovresti avere rispetto!”. Chloe gli gridò che la loro casa non era un ricovero per veterani traumatizzati e di farsi internare da qualche parte. Del tutto inatteso, ricevette uno spintone che la mandò a sbattere contro il tavolo. David si paralizzò immediatamente, col volto sconvolto dall’improvvisa consapevolezza di cosa aveva fatto. Chloe ne approfittò per correre fuori. Passò il pomeriggio a rilassarsi con Justin e gli skater vicino alla spiaggia, dissolse la sua mente in una nuvola di fumo dimenticando per un po’ di dover tornare a casa. Quella sera appena aprì la porta, Joyce le corse incontro. David era seduto al tavolo in cucina. Con sguardo da cane bastonato le disse che era dispiaciuto, che non aveva giustificazioni, ma che sarebbe stato più facile per lui controllarsi e risolvere i suoi problemi se Chloe non lo avesse continuamente provocato. Joyce era in piedi dietro di lui, tenendogli una mano sulla spalla. Chloe scrollò le spalle, in inferiorità numerica. Come sempre.
Nonostante le scuse, non fu l’ultimo episodio.
Il garage divenne il magazzino per le cose di William in attesa del loro destino. Chloe recuperò le foto di famiglia e le rimise al loro posto, per poi vederle sparire di nuovo in nascondigli diversi. Da uno scatolone prese la palla di vetro con la cerva di suo padre e la mise sul camino in salotto. In qualche modo avrebbe impedito che William fosse dimenticato. Joyce poteva cancellarlo dalla sua vita, ma non da quella di Chloe! Avrebbe impedito che le sue cose finissero regalate, vendute o buttate!
Intanto, però, la roba di David invase la casa. L’uomo era disoccupato, aveva tentato di entrare al dipartimento di polizia di Arcadia Bay, ma era stato respinto. Aveva fatto alcuni lavori, ma i suoi problemi di carattere gli avevano impedito di tenerseli troppo a lungo. Prendeva solo un blando sussidio dallo stato. Il risultato era che passava molto tempo a casa, seduto al tavolo con giornali davanti a sé, cerchiando offerte di lavoro. Chloe si sentiva sempre più un’estranea in casa sua e con David divenne una lotta costante per il territorio. Ogni cosa si trasformava in uno scontro, che fosse il bagno occupato troppo a lungo, la musica punk di Chloe troppo alta o quella country di David e così via. A volte, diventava davvero paranoico e invadente.
Una sera a cena, Chloe stava messaggiando con Justin. David si imbestialì e le urlò che era gravemente maleducato che lei usasse il telefono a tavola e le intimò di consegnarglielo. Chloe si rifiutò e Joyce questa volta fu dalla parte di Chloe: “David, non mi sembra il caso di chiedere una cosa del genere…”
Lui rispose: "Evidentemente ha qualcosa da nascondere se non vuole consegnarlo. L'hai già beccata con erba e alcol Joyce, chi ti dice che non li stia ancora usando? Si sa che quel Justin con cui esce fuma marijuana!"
Mentre i due cominciavano a discutere, la reazione di Chloe fu la fuga. Si mise a malapena le scarpe mentre superava la porta di casa, inseguita dalle urla di David e di Joyce che tentava di calmarlo. Quella sera salì al faro. C’era stata alcune volte, ma era perlopiù frequentato da ragazzi più grandi della Blackwell o da qualche bifolco arcadiano figlio di pescatori. Quando giunse ai piedi della struttura trovò il falò acceso e un gruppo di ragazzi tra cui riconobbe Trevor. Si sedette accanto a lui, che la presentò agli altri, di cui non si sforzò nemmeno di memorizzare i nomi. Vicino alla cabina ai piedi del faro c’era anche un uomo molto più vecchio, vestito con una giacca di pelle, una canottiera sporca e jeans logori, che confabulava con altri ragazzi. Chloe chiese a Trevor chi fosse e lui rispose che era Frank, lo spacciatore da cui si rifornivano lui e Justin. Chloe colse la palla al balzo, si fece prestare dei soldi da Trevor e puntò dritta verso l'uomo. Quando gli si avvicinò lui aggrottò le sopracciglia stupito.
Chloe esordì con: “Hey… ce l’hai dell’erba?”
Frank scoppiò a ridere e rispose sarcastico: "Ma sentila! Almeno ti sono venute le mestruazioni?"
"Ho 15 anni..."
"E allora? Sei una bambina. Non dovresti essere a casa con mamma e papà invece di frequentare questi relitti?"
"Mio padre è morto e mia madre si scopa uno stronzo... quindi mi vendi l'erba o ti fanno schifo i soldi?"
Frank socchiuse gli occhi, meditando su che reazione avere a quell’atteggiamento strafottente. Improvvisamente la fronte si aggrottò in un lampo di consapevolezza.
"Aspetta... Cazzo tu sei la figlia di Joyce!"
Ovviamente, pensò Chloe, tutti conoscono mia madre...
"Ti ho vista un paio di volte al Two Whales... se tua madre scopre che ti vendo l'erba mi ammazza..."
"Non lo scoprirà. Dai che cazzo... siamo lontano dal fuoco, mi si sta congelando il culo. Me la vendi l'erba?"
Frank la fissò con sospetto alcuni momenti, poi fece spallucce e prese una bustina di plastica dalla tasca.
Da quel giorno Chloe si rifornì direttamente da lui.
 
In cerca di scuse per stare lontana da casa, Chloe accettò gli inviti ad uscire di Eliot. Cominciarono ad andare a Portland a vedere concerti. Eliot le diede il primo bacio ad un concerto degli Alice in Chains. Chloe non ne fu affatto stupita, ma nemmeno entusiasta. Eliot, però, sembrava l'unico cui importasse davvero qualcosa di lei, quindi le sembrava giusto... sdebitarsi? Lui ne fu felicissimo. Quando la vedeva i suoi occhi si illuminavano e si scatenava ai concerti, probabilmente per fare colpo su di lei. Chloe si sentiva un disastro per non riuscire a restituire tutto l’affetto che riceveva. Qualunque ragazza normale sarebbe stata almeno un po' felice di avere qualcuno così smanioso di prendersi cura di lei. Giusto? Una sera lei portò dell'erba e convinse Eliot a provarla. Diventò verde al primo tiro e le restituì la canna, ma fu comunque abbastanza per farlo sballare. Lei lo prese per il culo tutta la sera mentre andavano disperatamente in cerca di cibo per sanare la sua fame chimica. Quella notte Chloe andò a dormire a casa di Eliot a Bay City e fecero sesso per la prima volta. Capitò di rifarlo qualche altra volta. Chloe avrebbe voluto provare qualcosa.
Invece no.
La primavera divenne estate, grazie ad Eliot che la costringeva a studiare Chloe riuscì a mantenere i suoi voti intorno alla sufficienza. Quando non era con lui usciva con Justin, andava al faro oppure cercava Frank nei luoghi in cui sapeva di trovarlo parcheggiato con il suo RV. Prendeva l'erba da lui, spesso non aveva abbastanza soldi e lo implorava di farle credito. Nonostante le proteste, Frank finiva sempre per darle ciò che voleva. Per qualche motivo lo spacciatore l’aveva presa in simpatia. Perché non approfittarne? Iniziò a indebitarsi…
Intanto, i muri della Blackwell si riempirono di graffiti frutto dell'indelebile di Chloe, che le valsero diverse punizioni sia a scuola che a casa. Con Justin andava di notte alla fermata dei treni presso la segheria a sud del porto, per dipingere murales sui vagoni. Quando furono beccati, l’agente Berry li schedò entrambi e li riportò alle rispettive famiglie. Chloe fu messa in punizione per un mese.
 
-
 
All'approssimarsi di luglio, Chloe lasciò Eliot. Gli disse che non era colpa sua, che lei era un casino, non era coinvolta quanto lui e non voleva prenderlo in giro. Sembrava tanto uno sfigatissimo "non sei tu, sono io", ma era la verità. La delusione sul suo volto era straziante.
Lui le chiese timidamente: "Possiamo rimanere amici?"
"Certo Coso!" rispose Chloe.
Sentì un peso enorme sollevarsi dal suo petto e un vago rimorso. Le dispiaceva essere così un casino da non riuscire a fare qualcosa di normale come avere una relazione, ma davvero… non le fregava un cazzo! Né di Eliot, né delle relazioni, né di niente in generale. Inerzia era la sua parola d'ordine, le incombenze quotidiane un puro riempitivo tra le volte in cui riusciva a farsi o ubriacarsi.
Con il gruppo degli skater una sera, decisero di fare un esperimento. Misero insieme i soldi e comprarono del Peyote da Frank. Trevor fu sorteggiato per rimanere sobrio e vegliare sull'incolumità degli altri, e siccome Justin aveva casa libera andarono da lui. Chloe prese il piccolo frammento di cactus, lo masticò e si sdraiò sul divano in attesa che facesse effetto. Non ci volle molto, il primo sintomo fu la nausea, poi il cuore divenne martellante. Le poche luci della stanza divennero accecanti, le ombre si intensificarono creando bizzarri contrasti astratti. Chloe ebbe caldo, iniziò a contorcersi, si levò la maglietta nel tentativo di respirare. Sentì un corvo gracchiare da qualche parte in lontananza, un battito di ali più vicino, un'ombra nera posata sul divano accanto a lei. Due occhi bui la fissavano da dietro un becco acuminato.
"Che cazzo vuoi?" chiese lei.
Il corvo non batté ciglio e inclinò la testa di lato. Lei agitò la mano e l’animale spiccò il volo sparendo da qualche parte nel chiaroscuro che la circondava. Chloe si mise a sedere, sistemandosi il reggiseno che le premeva sui polmoni. Fu tentata di toglierlo, quando improvvisamente sentì una piacevole brezza sulla faccia.
Il sole le batteva caldo sul viso e il cuore era tornato a livelli normali.
"Chloe ci credi?! Il nostro primo concerto senza genitori!!" la voce di Max la raggiunse da sinistra e Chloe si voltò, incontrando il suo volto lentigginoso. I capelli bruni raccolti in una coda.
Le sorrise, scostando i lunghi capelli biondi.
"Hey e io cosa sono?!" dal sedile del guidatore William lanciò loro uno sguardo attraverso lo specchietto centrale.
"Tu non conti! Ci stai solo accompagnando!" replicò Chloe con sguardo furbo.
William si fece una risata "Certo, certo. Ricordate di essere prudenti ragazze. Soprattutto tu Max, se finissi schiacciata dalla folla tuo padre potrebbe uccidermi!"
Max sghignazzò.
"Hai veramente fatto una battuta sull'altezza a Max?! Sei pessimo!" disse incredula Chloe. Scoppiarono tutti in una calda risata che Chloe non sentiva da tantissimo tempo.
Le mancavano quei momenti, si trovò a fissare fuori dal finestrino le colline che circondavano Culmination Park, dove con Max avrebbe assistito al concerto di Mimi and the Screamers.
Improvvisamente sentì gracchiare un corvo. Chloe lo cercò con lo sguardo. Amava gli animali e i corvi imperiali erano così maestosi. Lo sentì di nuovo, ma non riusciva a individuarlo. Si voltò verso Max.
"Lo senti?"
"Che cosa?" le chiese lei.
"Un corvo..." Chloe si protese su di lei per guardare fuori dal finestrino.
"Hai le allucinazioni Chloe?" ridacchiò Max.
Il corvo gracchiò di nuovo, un suono stranamente distorto.
"Ti dico che l'ho sentito..." tornò al suo posto.
Gracchiò di nuovo, e di nuovo, ogni volta sempre più forte e vicino. Mentre Chloe guardava freneticamente fuori dai finestrini il verso si trasformò in un clacson.
Vicino, sempre più vicino.
Luci di fari a sinistra.
"Stai bene Chloe?" chiese William, mentre Chloe vide dietro di lui l'enorme sagoma di un camion avvicinarsi spedita verso di loro. Lui non sembrò notarlo.
"Papà attento!" gridò.
Impatto.
Vetri rotti.
Sotto sopra.
Chloe si sentì precipitare.
Buio...
 
Si svegliò vomitando in un catino, una mano fredda le reggeva la fronte. Era quella di Trevor.
"Questa è l'ultima volta che prendiamo questa merda ragazzi. Mi state riempiendo la casa di vomito..." echeggiò da qualche parte la voce di Justin.
"Cazzo lo senti anche tu bro?"
"Che cosa??"
“Amico perché hai la faccia verde e le antenne??”
“Coso!! Hai un’aura potentissima!!!”
Voci a malapena distinguibili riempivano la testa di Chloe, le cui tempie pulsavano.
"Devo andare a casa..." disse a Trevor.
"Non esiste, tu non ti muovi da qui. Hai preso un allucinogeno sis"
"Cazzo Trev... almeno fammi andare in bagno..."
"Ce la fai? Chloe davvero non fare cazzate, se ti succede qualcosa... quante sono queste?" le mostrò tre dita.
"Tre, coglione!"
"Di che colore ho il maglione?"
"Hai una felpa ed è blu. Allora mi merito una A? Posso andare a cagare adesso?"
Lui la fissò ancore un po' sospettoso. Chloe si accorse di indossare solo pantaloni e reggiseno.
“La pianti di guardarmi le tette??” Chloe si coprì platealmente.
“Oh… ehm… scusa…” Trevor distolse lo sguardo.
“Pervertito!”
Trevor sghignazzò e la lasciò stare. Chloe si alzò barcollante, si sentiva col peggior doposbornia di sempre. No beh, forse quello di quando si era tagliata i capelli vinceva. Ma era comunque tosto!
Raggiunse il water giusto in tempo per ricominciare a vomitare. Da qualche parte sentì di nuovo il verso del corvo.
Vaffanculo, mai più il Peyote in vita mia...
Dopo circa un'ora i suoi sensi tornarono normali, ma il suo cuore batteva all'impazzata come se avesse bevuto un litro di caffè. Dopo aver rassicurato Trevor per l’ennesima volta tornò a casa.
Non si accorse del volatile nero che, nella notte, iniziò a girare in cerchio sopra di lei...
 
-
 
Infine, accadde.
L'incubo di Chloe si avverò.
David e Joyce le annunciarono che l'uomo si sarebbe trasferito da loro.
Ci furono urla, volarono insulti, Chloe venne quasi alle mani con David. Joyce li separò e Chloe fu mandata in camera sua, dove si sarebbe comunque diretta. Cadde sul letto e sprofondò la faccia nel cuscino, urlandoci dentro e ritrovandosi poi a piangere.
Le urla al piano di sotto si placarono dopo qualche minuto e non passò molto di più prima di sentir bussare alla porta. Era Joyce. Non ricevendo risposta, la donna entrò e vide sua figlia singhiozzante sul letto. Joyce le disse che David avrebbe aiutato, che non avrebbe mai sostituito suo padre, ma avrebbe dato stabilità. Avrebbero potuto essere di nuovo una famiglia. Chloe balzò a sedere inferocita.
"Stabilità? Ma se quello neanche riesce a dormire senza avere gli incubi! Non ha neanche un lavoro! E devo ricordarti che ha alzato le mani su tua figlia?? È bastato che si scusasse! Che cazzo mamma... so che sei depressa, ma questo è assurdo!"
"David pensa che tu abbia bisogno di più disciplina. Penso che abbia ragione, evidentemente non mi rispetti abbastanza per fare come ti dico..." replicò Joyce.
"Papà non mi ha mai imposto disciplina! Mi trattava come una persona non come una fottuta recluta. Non mi sono arruolata mamma. Non ho bisogno di disciplina, ho bisogno di mia madre..." singhiozzò urlando.
Joyce avrebbe voluto farle capire che David non era il mostro che pensava, che era un uomo di buon cuore, che nei mesi successivi alla morte di William era stato la sua ancora. Avrebbe voluto dirle le cose che David le aveva raccontato sull'Afghanistan, che quando Chloe lo aggrediva non si accorgeva di toccare tasti che lo riportavano indietro a quei momenti terribili, alle decine di cose di cui si incolpava. Non lo fece. Non poteva, Chloe non avrebbe ascoltato. David aveva grandi difetti e i traumi che si portava dietro erano un vero problema, ma ci stava lavorando. Joyce lo stava aiutando e avrebbe continuato a farlo, sarebbe stata la sua ancora come lui lo era per lei. Joyce lo amava, non avrebbe mai pensato di poterlo dire di qualcun altro dopo William. Eppure era così. Chloe avrebbe dovuto capirlo. Non stava sostituendo William, stava solo cercando di continuare a vivere. Voleva di nuovo una famiglia. La SUA famiglia…
Uscì dalla stanza, lasciando Chloe alla sua frustrazione.
Questa volta però era troppo.
Quando si fu calmata, Chloe aspettò che sua madre e David andassero a letto.
Prese il suo zaino da campeggio dall'armadio, più silenziosamente possibile, cominciò a riempirlo di vestiti. Fece un paio di spedizioni furtive in cucina, prese una scatola di nachos, sugar bomb e tre bottiglie d'acqua come provviste. Guardò il barattolo delle parolacce, in cui ancora erano conservati alcuni spiccioli. Riuscì a recuperare quattro dollari in monetine. Le ultime parolacce di suo padre avrebbero finanziato la sua fuga verso la libertà. Grazie papà!
Tornò di sopra e si vestì, lasciò il cellulare sulla scrivania per evitare di essere contattata, uscì dalla finestra, calò lo zaino sul vialetto davanti al garage e scese aggrappandosi alla grondaia.
Sua madre aveva fatto una scelta. Aveva deciso di dimenticare suo padre e di rinunciare a lei in favore del Sergente Hartman coi baffi. Chloe faticava a crederci, ma sua madre l'aveva abbandonata. Anche lei. Aveva mai realmente amato suo padre? Cazzo, vent’anni di matrimonio buttati nel cesso così?? E lei, sua figlia... non contava davvero nulla? Non le aveva domandato cosa pensasse del fatto che uscisse con un altro uomo, né le aveva chiesto un parere prima di farlo trasferire da loro. Non valeva davvero niente? Evidentemente no...
C'erano solo due persone che Chloe avrebbe voluto accanto, uno era morto, l'altra aveva traslocato in un altro stato.
Max... forse se l'avesse raggiunta a Seattle...
Non si sentivano da mesi, ma erano ancora amiche vero?
Siamo Max e Chloe, siamo sempre insieme anche quando non lo siamo.
E poi, il giorno in cui suo padre era morto, Max in lacrime le aveva detto che le avrebbe guardato sempre le spalle, anche quando avrebbe pensato che non fosse così. Beh, era il momento di mettere alla prova quelle parole...
Zaino in spalla, adrenalina in circolo, Chloe percorse Cedar Avenue verso l’Arcadia Ave, che l'avrebbe condotta alla Highway 101. Li avrebbe fatto l'autostop fino a Seattle.
Vaffanculo Arcadia Bay!
 
-
 
Il viaggio non andò esattamente come previsto. Chloe camminò tutta la notte, raggiunse effettivamente la 101 e proseguì a lato della strada, mentre le macchine le sfrecciavano a fianco. Braccio teso e pollice alzato ogni volta che sentiva un motore avvicinarsi. Era notte, nessuno riuscì nemmeno a notarla probabilmente. Mentre il cielo si rischiarava per l'alba imminente, Chloe si fermò sul ciglio della strada e in mezzo ad alcuni cespugli si sdraiò esausta. Con la testa appoggiata allo zaino si addormentò all'ombra degli alberi che circondavano l'interstatale. Dopo alcune ore imprecisate, non aveva il cellulare su cui controllare, si svegliò e riprese il cammino sgranocchiando nachos e sugar bomb. Si rese conto che camminare con lo zaino in spalla era molto faticoso e che le sue Keds non erano per niente adeguate all'impresa. I piedi le facevano malissimo e aveva una sete tremenda. Seguì le indicazioni per Garibaldi e quando raggiunse la piccola cittadina puntò dritta al primo bar che incontrò. Vide una microscopica casetta sul lato della strada, più simile ad un bungalov che a un bar. L’insegna diceva

Pacific Edge Espresso
Coffee.
Bagels.
Kindness.


Chloe aveva bisogno assoluto di caffè! Si avvicinò e con due dollari ne prese uno e lo consumò seduta per terra poco più in là, appoggiandosi allo zaino. Avrebbe rubato qualcosa a David e sua madre prima di partire, ma entrare in camera loro era troppo rischioso. Dalla sua postazione sull’asfalto guardò la cittadina circostante, ignorando gli sguardi perplessi della barista e degli altri clienti, pescatori dall’aspetto logoro identici a quelli di Arcadia Bay. Anche il paese sembrava identico, con la differenza che Garibaldi non aveva scuole importanti come la Blackwell né famiglie facoltose come i Prescott. Almeno, per quanto ne sapesse! Non le era mai fregato un granché di conoscere le altre città costiere dell’Oregon. La meta delle vacanze durante la sua infanzia era sempre stato il sud o Portland. Avevano pianificato un viaggio a Parigi… ma rimase un sogno…
Dopo essersi riposata un po’ Chloe riprese il cammino, respirando la brezza del Pacifico che le asciugava il sudore sulla fronte. Uscendo da Garibaldi vide sul lato della strada l’insegna di un ristorante:

Pirates Cove
Restaurant

Sembrava quasi un segno. Da quanto tempo esisteva quel posto?? Perché lei e Max non ne avevano mai saputo nulla? Avrebbero dovuto andarci assolutamente, anche se prima di tutto Chloe doveva raggiungere viva Seattle! Si sentiva fisicamente una merda! Tutte le sigarette, le birre e le canne si facevano sentire, i suoi polmoni protestavano così come tutti i muscoli del corpo.
Continuò a camminare, raggiungendo Smith Creek, letteralmente un villaggio di una decina di case. Si trovò a costeggiare lo Smith Lake, una grande pozzanghera nei pressi della "cittadina" e continuò ancora, agitando selvaggiamente il braccio col pollice alzato. Pregò gli dei e l'Universo che qualcuno che non fosse un serial killer la caricasse e la portasse a destinazione o almeno le risparmiasse qualche centinaio di chilometri di cammino.
Non accadde.
Al termine del primo giorno effettivo di fuga raggiunse Rockaway Beach, superò un campeggio per fighetti ricchi chiamato Twin Rocks Friends Camp e decise di passare la notte in spiaggia. Trovò un anfratto tra i cespugli in cui si sentisse abbastanza appartata e si sdraiò, mentre le stelle spuntavano nel cielo man mano che si faceva scuro. Improvvisamente scappare d'impulso non le sembrò più una grande idea, ma Chloe rimase determinata. Certo, aveva quasi finito l'acqua, le rimanevano una manciata di sugar bomb, aveva le vesciche sui piedi, gambe e schiena la stavano uccidendo, ma questo dolore era più sopportabile del rimanere a casa, soprattutto ora che David viveva sotto il suo stesso tetto.
Chloe trascorse la seconda notte all’addiaccio e si alzò intorno all'alba. Riprese il cammino e ad ogni macchina lanciava segnali, puntualmente ignorati. Si sbracciava, gli urlava contro, imprecava in preda alla frustrazione. Superò Nedonna Beach e raggiunse Brighton. L'acqua e le sugar bomb intanto erano finite, ma in quella cittadina del cazzo c’era solo un ristorante specializzato in piatti a base di granchi! Proseguì il cammino e verso la metà della giornata iniziò ad avere fame e sete. Si fermò varie volte per riposare, ma intorno a lei non vedeva altro che alberi, mentre la strada svoltava a destra. Esausta, si accampò nei pressi di un resort, sul ciglio della strada. Iniziò a riflettere soltanto in quel momento sull'ipotesi che quel modo di dormire non fosse proprio il più sicuro. Era una ragazza minorenne, sola e stanca, senza cellulare, alla mercé di qualunque psicopatico potesse sbucare! Nonostante l’ansia riuscì comunque ad addormentarsi. Si svegliò con il cielo ancora buio e ripartì. Fu sollevata di trovarsi in poche decine di minuti in una zona urbana! Il cartello diceva che la città si chiama Wheeler e Chloe iniziò a cercare un negozio di alimentari o qualcosa del genere. Non aveva più soldi, ma questo non l’aveva mai fermata in passato, nemmeno quando sua madre le aveva interrotto la paghetta sperando che non comprasse più le sigarette. Il taccheggio era solo una delle molte arti di sopravvivenza che aveva iniziato a praticare. Individuò una stazione di servizio e si infilò nel negozio, ricevendo immediatamente uno sguardo sospettoso dal commesso, un ragazzo con tratti sudamericani sulla ventina. Chloe gli sorrise e poi si aggirò tra gli scaffali, facendo attenzione a non urtare nulla con lo zaino. Optò per confezioni non rumorose, per bottiglie d'acqua ed energy drink. Il suo sguardo scrutò anche i pavimenti in cerca di spiccioli. Niente, avrebbe dovuto fare con i due dollari rimasti. La strategia era comprare le due bottiglie d'acqua, mentre quattro energy drink e tre scatole di cracker erano già al sicuro nel suo zaino.
Al momento di pagare, il ragazzo le rivolse uno sguardo sospettoso, digitò sulla cassa e poi disse:
"Sono sette dollari e ottanta centesimi..."
Chloe sgranò gli occhi.
"Che cazzo?? È acqua, non è oro! Mi prendi per il culo?"
"No. È il prezzo giusto per l'acqua, più i quattro energy drink e le tre scatole di cracker che hai messo nello zaino..."
Chloe sbiancò e per alcuni momenti rimase immobile e silenziosa.
Era fin troppo stanca, affamata e assetata, i suoi tempi di reazione erano decuplicati.
"Metti giù le cose che non puoi permetterti ragazzina..." disse lui, il cui cartellino riportava il nome Sam. Chloe tentò la diplomazia.
"Senti Sam... per favore... sto morendo di fame e di sete, non so quanti giorni di cammino ho davanti a me... ti prego fai un eccezione."
Lui scosse la testa: "Non so in cosa ti sei imbarcata, ma avresti dovuto almeno portarti abbastanza soldi per il viaggio. Se non hai i soldi dovrò chiamare la polizia..."
Chloe cercò una qualche risposta, tentò di mettere insieme una frase compiuta, qualche argomentazione per convincere il ragazzo a cambiare idea. Non trovò risposte, ma una vena di frustrazione che si tramutò in rabbia.
"Va bene... vuoi chiamare la polizia? Almeno chiamala per qualcosa di valido!" c'era un barattolo di caramelle sul bancone. Imitando i gatti delle centinaia di video che aveva visto su YouTube tentando di prendere sonno, lo fece cadere al suolo, dove esplose in mille frammenti di vetro, gettando ovunque caramelle dalle confezioni colorate. "Ops!"
"Te la sei cercata..." Sam iniziò a comporre il numero sul telefono.
Chloe uscì dal negozio senza svuotare lo zaino e aprendosi una bottiglia d'acqua che non aveva ancora pagato.
"Hey stronza! Dove cazzo vai?! ...ehm... si pronto... c'è una taccheggiatrice qui al..."
Chloe si sedette ad alcuni metri dalla porta d'ingresso, finì la bottiglia d'acqua quasi d'un fiato, poi aprì lo zaino e cominciò a sgranocchiare dei cracker. Sembrarono la cosa più buona che avesse mai mangiato in vita sua. Il potere della fame.
Di lì a poco un Sam imbufalito la seguì fuori dal negozio, la individuò subito e con passi pesanti la raggiunse.
"Ridammi la merce rubata!"
"Tanto ormai l'ho rubata no? Hai chiamato la polizia e non sto scappando... lasciami mangiare e non rompere i coglioni!"
Sam era sbalordito, però ci pensò un attimo. Non aveva tutti i torti, e comunque non lo pagavano abbastanza per queste cazzate.
"Fai come ti pare... tanto le telecamere ti hanno ripresa..."
Chloe fece spallucce e continuò a mangiare di gusto. Aprì una RedBull per contrastare il sonno che sopraggiunse subito dopo aver spazzolato un intero pacchetto di cracker.
Non molto tempo dopo, a metà lattina, arrivò una volante della polizia da cui scesero due uomini in divisa. Sam uscì per accoglierli e indicarla.
Fuga finita...
 
-
 
Chloe fu arrestata e portata al dipartimento di Rockaway Beach. Una volta identificata rintracciarono Joyce. Le chiesero se volesse parlare con sua madre. Chloe rispose di no. Qualche ora più tardi arrivarono David e l’agente Berry, che la prelevarono e la riportarono ad Arcadia Bay. Il viaggio durò meno di un quarto d’ora, ma il silenzio, interrotto solo dalla voce distorta proveniente dalla radio della polizia, rese l’esperienza particolarmente imbarazzante. Una volta arrivati David la caricò in macchina e la riportò a casa. Chloe si sorbì la sua sfuriata in silenzio, non ascoltando una parola di quel che disse. La cosa che la ferì di più fu lo sguardo deluso di sua madre all’arrivo. Delusione che si trasformò in preoccupazione quando vide che zoppicava e in che stato erano ridotti i suoi vestiti. Sembrava una barbona in effetti e puzzava come tale.
Chloe si lavò, si rifocillò e andò a dormire nel suo letto mai così comodo. Si accorse solo il giorno dopo che la sua camera era in disordine peggiore di come l’aveva lasciata e che la sua scorta di erba era sparita. Qualcuno, probabilmente David, aveva rovistato tra le sue cose. Sospetto che fu confermato più tardi da Joyce, quando scese e fu costretta a subire un’altra ramanzina. La donna le fece un lungo discorso su quanto fosse stata incosciente a fuggire, quanto fosse stata spaventata in quei giorni e delusa dal suo uso di marijuana. Chloe non disse nulla. Joyce le chiese perché fosse scappata.
“Lo sai perché…” rispose seccamente Chloe.
Joyce rimase in silenzio alcuni momenti, mentre elaborava la risposta e collegava i puntini: “Davvero? Perché David si trasferisce qui hai deciso di fuggire?”
“Si… non hai nemmeno pensato di chiedermi cosa ne pensassi. Non te ne frega niente di me o di papà. Hai messo tutta la sua roba negli scatoloni. Hai pure permesso a quello stronzo di toccare la mia roba... mi tratti come se fossi una criminale… come se non fossi tua figlia. Ormai questa non è più casa mia.” Ad ogni parola la voce le tremava di più, ma non pianse. Si sentiva sconfitta.
Joyce sentì le lacrime invaderle gli occhi, fece uno sforzo sovrumano per non singhiozzare davanti a Chloe. Si massaggiò la fronte e respirò profondamente, cercando di riordinare i pensieri.
“Posso andarmene in camera mia ora?” chiese Chloe.
“No, non abbiamo finito…”
Chloe rimase seduta al tavolo, in attesa. Infine, Joyce riuscì a mettere insieme le parole:
“David è andato a cercare di sistemare le cose con la polizia e il proprietario del negozio in cui hai rubato… ha conoscenze nella polizia e sicuramente si sistemerà tutto…”
“Mh-hm…” Chloe guardava il tavolo senza vedere niente.
“Chloe io… non pensare a David ora… non voglio che tu ti senta così. Questa è ancora casa tua e lo sarà sempre. Faremo andare meglio le cose, te lo prometto. Non scappare più, però. Se tu hai bisogno di me, io ho bisogno di te.”
Chloe annuì, senza dare segnali di particolare interesse. Joyce sospirò amara.
“Posso andare in camera ora?” chiese di nuovo Chloe. Joyce si arrese e annuì.
Quella sera David tornò a casa con buone notizie. Era bastato saldare il conto di ciò che Chloe aveva rubato e rotto per evitare la denuncia, il fatto che fosse un veterano e amico del dipartimento di Arcadia Bay aveva facilitato le cose. Lui e Joyce discussero a lungo. Con sommo stupore di Chloe, non fu messa in punizione, ma le fu sospesa la paghetta a tempo indeterminato a causa dell’erba. David chiese scusa per aver invaso la sua privacy. Ad ogni frase lanciava sguardi a Joyce come se cercasse conferma di star ripetendo bene la lezione. Promise che non si sarebbe più ripetuto niente del genere, a patto che Chloe smettesse con l’erba e l’alcol. Joyce integrò il discorso dicendole che se aveva bisogno di un supporto, avrebbero potuto rivolgersi ad un medico invece che ad uno spacciatore. Chloe ascoltò, annuì e poi tornò in camera sua.
Da quel giorno, in effetti, il clima in casa si fece un po’ più disteso, principalmente perché Chloe e David non si parlavano se non il minimo indispensabile. Chloe riprese la sua routine. Ora che era senza soldi, il taccheggio divenne un'abilità che perfezionò, soprattutto per procurarsi alcolici e sigarette. Cominciò a uscire meno con gli skater e sbronzarsi da sola in spiaggia o al faro. Lassù guardava Arcadia Bay a sinistra, così piccola e insignificante, mentre a destra era sopraffatta dall'immensità dell'Oceano Pacifico. Di tanto in tanto fissava malinconicamente le incisioni sul ceppo vicino alla mappa turistica di Arcadia Bay.

Max&Chloe
BFF Pirates 2008
 
L'avevano fatta un anno prima, più o meno in quel periodo. Avrebbe voluto tornare indietro nel tempo e rimanere per sempre in un loop spaziotemporale stile Giorno della Marmotta, ripercorrendo in eterno quel giorno d'estate con Max e suo padre. Uno degli ultimi giorni felici della sua vita.
L'estate scemò verso l'autunno.
Chloe tornò alla Blackwell con sempre meno voglia. Iniziò a saltare le lezioni, scoprendo che a nessuno importava. Che ci fosse o meno, il mondo andava avanti lo stesso. Di tanto in tanto usciva con Justin, ma aveva smesso di andare in skateboard. Lo frequentava solo per scroccare dell'erba. Non usciva più con Eliot. Non che lui non lo chiedesse in continuazione, ma Chloe rifiutava. Un po' le spiaceva deluderlo, ma non abbastanza da cedere alla pressione come aveva fatto in passato. Di tanto in tanto passava del tempo con Frank. Lo raggiungeva al suo RV parcheggiato vicino a una spiaggia semi abbandonata a nord della città. Ogni tanto riusciva a scroccargli dell’erba, poi si sedevano al suo tavolino pieghevole, bevevano e fumavano insieme. Quando era abbastanza fatto o ubriaco, l’uomo si apriva parecchio e a Chloe faceva piacere avere qualcuno con cui parlare. In qualche strano, inquietante modo, Frank sembrava capirla, come un fratello maggiore senzatetto e strafatto.
Le foglie degli alberi ingiallirono, arrossirono e caddero. Tappeti di colori caldi riempirono il parco della Blackwell, mentre i venti freddi iniziavano a soffiare. La vita di Chloe andò avanti in un vuoto di significato che era diventato la normalità, intervallato da rari momenti di euforia chimica autoindotta.
Finché, un giorno, incontrò Rachel Amber...
 
-
 
“Hai mai pensato a un mondo in cui tutto è esattamente lo stesso. . .
Tranne che non esisti?
Tutto funziona perfettamente, senza di te. . .
Ah ah ah . .
Il pensiero mi terrorizza."
(Mr. Robot)
 

"L'inferno non ti darà le risposte che cerchi,
ma non devi distogliere lo sguardo dagli orrori che offre,
perché non puoi superare la sofferenza se ti rifiuti di guardarla."

(Hellblade: Senua's Sacrifice)
 

It left a hole in me and my identity leaked over the weeks
Should I be empty by now?
Should I be empty by now?
 
I was smiling the moment the train crashed
I never expected the moment I saw you last
So how can I trust in these tracks?
I don't trust in these tracks, no
 
Why bother walking--it's a wasteland
And misery--it clouds the sky
Why bother when it's still a wasteland?
And misery still fills the sky
 
I know everybody lies, but I still hope she won't lie to me
I think I'd rather lie to myself
Than be lonely
 
And with her fingers holding mine
Around the wheel as we dream about the drive
We'll make it out of this place
And then we'll come alive
 
Why bother walking--it's a wasteland
And misery--it clouds the sky
Why bother when it's still a wasteland?
And misery still fills the sky
 
Wasteland – Riley Hawke
   
 
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