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Autore: Placebogirl_Black Stones    28/01/2021    4 recensioni
Dopo la sconfitta dell'Organizzazione, tutte le persone che sono state coinvolte nella battaglia dovranno finalmente fare i conti con i loro conflitti personali e con tutto ciò che hanno lasciato irrisolto fino ad ora. Questa sarà probabilmente la battaglia più difficile: un lungo viaggio dentro se stessi per liberarsi dai propri fantasmi e dalle proprie paure e riuscire così ad andare avanti con le loro vite. Ne usciranno vincitori o perderanno se stessi lungo la strada?
"There's a day when you realize that you're not just a survivor, you're a warrior. You're tougher than anything life throws your way."(Brooke Davis - One Tree Hill)
Pairing principale: Shuichi/Jodie
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Jodie Starling, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Shuichi Akai
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tomorrow (I'm with you)'
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Capitolo 25: Un nuovo inizio
 
 
Dopo essere usciti dal tribunale quella stessa mattina, si erano accordati per riunirsi di nuovo tutti insieme la sera, per festeggiare la vittoria. Anche se alcuni di loro, lei compresa, erano ancora scossi dalle parole che Vermouth aveva pronunciato prima di essere portata via dalle guardie, avevano cercato di non farsi scoraggiare e di prendersi quella rivincita che tanto avevano desiderati. Ed ecco che ora si trovavano tutti quanti nel suo appartamento, più grande di quello di Shuichi ma comunque troppo poco spazioso per tutta quella gente.
Mentre gli altri si erano suddivisi in piccoli gruppi di due, massimo tre persone e parlavano degli argomenti più disparati, lei era in cucina insieme a Shiho che si era offerta di aiutarla a tagliare e lavare la frutta per preparare un fresco e sano “dessert”, perfetto per il dopo cena.
 
- Va tutto bene?- le chiese all’improvviso la ragazza, smettendo per un attimo di tagliare la mela che stringeva fra le mani.
- Perché me lo chiedi?- la guardò stranita.
- Ho avuto l’impressione che quello che ti ha detto Vermouth riguardo a tuo padre ti avesse buttata un po’ giù di morale. Non doveva permettersi di dire quelle cose, è davvero una donna ignobile!- strinse con forza il manico del coltello che stava impugnando.
- Sei molto gentile a preoccuparti ma sapevo fin dall’inizio che Vermouth non si sarebbe pentita di ciò che ha fatto, così come sapevo che anche vincendo questo processo non avrei potuto riavere indietro mio padre. Però ho vendicato la sua morte come mi ero ripromessa di fare anni fa e spero che se esiste il paradiso mio padre mi stia guardando da lassù e sia orgoglioso di me- alzò gli occhi al cielo, come se sperasse di incrociare realmente il suo sguardo con quello di suo padre.
- Sono certa che lo sia- annuì l’amica - Mi chiedo se anche i miei genitori siano orgogliosi di me dopo quello che ho fatto- abbassò lo sguardo.
- Lo sono di sicuro, hanno una figlia fantastica che ha fatto la cosa giusta e ha riparato ai suoi errori. Sbagliamo tutti, l’importante è prenderne coscienza e farne tesoro per non ripeterli più- le mise una mano sulla spalla - Piuttosto, tu stai bene? Vermouth è stata più carina con me che con te, ti ha dato del diavolo…-
- So di esserlo, quindi non posso certo ritenermi offesa dalle sue parole- riprese a tagliare la mela in piccoli cubetti.
- Non sei affatto un diavolo, sei solo una ragazza molto più intelligente dei tuoi coetanei. Quindi non pensare che quello che ha detto quella strega sia vero-
 
Fra di loro cadde il silenzio, entrambe avevano molto su cui riflettere. Ripensò a come Vermouth avesse ceduto così facilmente dopo quella frase pronunciata da Shinichi, ancora non riusciva a capacitarsene e a comprendere cosa ci fosse in quelle parole da averla scossa a tal punto. “Angel non verrà a salvarti”, così aveva detto il giovane detective. Ma a chi si stava riferendo? Di certo “Angel” era un soprannome, un soprannome che lei aveva l’impressione di aver già sentito. Fu allora che nella sua mente presero vita delle immagini che si susseguivano una dopo l’altra in un veloce flashback: la scritta “Angel” sulla foto di Ran Mouri che aveva trovato durante le sue ricerche su Vermouth, lo scontro avvenuto durante il party di Halloween in cui la stessa Vermouth aveva chiamato Ran con quel soprannome. Adesso le era finalmente chiaro chi fosse l’angelo di cui parlava Shinichi. Ran Mouri, figlia del famoso detective Goro. Già, ma cosa c’entrava Ran con Vermouth? Perché per Vermouth era così importante che Ran fosse venuta al processo? Aveva finalmente il nome della persona misteriosa, ma continuava a non capire. L’unico che poteva darle una spiegazione era colui che aveva usato Ran come un’arma a doppio taglio.
Si girò per guardare dove fosse e lo trovò poco distante dall’angolo cucina dove si trovavano lei e Shiho, stava parlando con suo padre, Shuichi e il padre di Shuichi. Appoggiò il coltello sul tagliere, si pulì velocemente le mani con lo straccio da cucina e si avvicinò a loro, interrompendo la conversazione e ignorando Shiho che le chiedeva dove stesse andando. La guardarono tutti con fare indagatorio, probabilmente l’espressione sul suo volto tradiva l’emozione della scoperta appena fatta.
 
- Cool Guy, ti posso parlare un momento?-
- Certo, ma è successo qualcosa?- chiese il ragazzo, non capendo.
- Niente di grave, tranquillo. Vieni un attimo in cucina- lo invitò a seguirla.
 
Non voleva fare quella conversazione davanti a tutti, era una sua curiosità e inoltre mettersi a parlare di nuovo del processo avrebbe rovinato la bella atmosfera che si era creata fra i suoi ospiti.
Il detective la seguì fino in cucina, dove Shiho li guardò entrambi senza capire cosa stesse succedendo.
 
- Cosa c’è Jodie, perché vuoi parlarmi qui da soli?-
- Perché Ran è così cara a Vermouth?- gli chiese senza troppi giri di parole.
 
In tutta risposta, il ragazzo la fissò perplesso in attesa di ricevere una spiegazione per quella domanda così inaspettata.
 
- Vermouth ha ceduto quando le hai detto che Angel non sarebbe venuta a salvarla. Ho pensato tanto a quel nome, ero certa di averlo già sentito e adesso mi sono ricordata dove: sulla foto di Ran che ho trovato mentre indagavo su Vermouth c’era scritto “Angel” e l’ha chiamata con lo stesso nome anche quando ci siamo scontrate la notte di Halloween. Angel è Ran, non è vero?-
- Degno di un’agente dell’FBI- sorrise il detective - Ebbene sì, parlavo di Ran quando mi sono rivolto a Vermouth con quel soprannome-
- Ma cosa c’entra Ran con Vermouth? Quale legame hanno da aver fatto sì che confessasse tutti i suoi crimini solo sentendo quel soprannome?-
- Per qualche motivo Vermouth aveva un debole per me e per Ran. Io ero quello che avrebbe sconfitto l’Organizzazione e lei era l’angelo che le dava speranza. Il tutto è nato quando anni fa io e Ran venimmo qui a New York e mia madre ci portò a vedere lo spettacolo “The Golden Apple” a Broadway: per farla breve Ran salvò la vita a Vermouth e da allora lei ha iniziato a considerarla come il suo angelo, l’unico che le avesse mai sorriso. Lei ci considerava come le cose più care che aveva nella vita, credo che vedersi voltare le spalle da entrambi l’abbia fatta cedere. Non mi era chiaro perché Vermouth non avesse mai parlato durante il processo, né perché fosse così tranquilla a riguardo: poi ho capito che sperava di vederla, Ran intendo. Per lei vedere quell’angelo a cui teneva tanto significava avere ancora una speranza di riscattarsi. Vermouth cercava la redenzione, ma quando le ho aperto gli occhi dicendo che il suo angelo non sarebbe venuto a salvarla, l’ultima speranza che le restava è crollata e così ha accettato il suo destino- spiegò.
- Capisco…allora ringrazia Ran da parte mia. Alla fine è merito suo se abbiamo vinto-
- Non credo che Ran vorrà saperne molto, è già rimasta coinvolta abbastanza in questa storia e non vuole esserlo ulteriormente. Quando le ho chiesto se voleva venire anche lei al processo ha risposto “Non ci penso nemmeno!”. Ma le porterò comunque i tuoi ringraziamenti-
- Allora corri a telefonarle, altrimenti si sentirà trascurata e ti odierà ancora di più di quanto non abbia già fatto- intervenne Shiho, che fino a quel momento era rimasta in silenzio ad ascoltare la loro conversazione.
- E di chi è la colpa?- assottigliò lo sguardo il ragazzo.
- Dovresti ringraziarmi, ti ho dato l’occasione di rivivere una seconda volta la tua infanzia. Non sei contento? Un bambino spensierato è sempre meglio di un adolescente problematico- disse senza nemmeno guardarlo in faccia, impegnata a mettere la frutta appena tagliata nelle apposite coppette.
- Ringraziarti? Contento? Bambino spensierato?- ripeté quelle parole, con una vena che gli pulsava visibilmente in una tempia - Spero che ti ci affoghi con quella frutta!-
- Jodie chiama la polizia, presto ci sarà un cadavere qui. Dove c’è il tuo detective preferito si verifica sempre un omicidio e dal momento che mi ha appena minacciata, il mio destino è segnato- ironizzò senza troppa enfasi.
- Ma voi due la smettete di punzecchiarvi sempre? Sembrate una coppia di vecchi coniugi brontoloni- li riprese lei, che in realtà si stava divertendo ad ascoltare quel dialogo botta e risposta.
 
Alla fine il giovane detective si allontanò da loro borbottando, ritornando a parlare con i suoi precedenti  interlocutori.
 
- Hai ancora un debole per lui?- chiese a bruciapelo alla sua giovane amica.
 
Non sapeva nemmeno lei perché le avesse fatto quella domanda all’improvviso, le parole erano uscite spontaneamente senza preoccuparsi troppo. Si pentì subito dopo, sperando di non essere stata troppo inopportuna. Lei più di chiunque altro sapeva cosa significasse provare dei sentimenti per qualcuno che non li ricambiava ed era una sensazione che non avrebbe augurato a nessuno, tantomeno ad un’amica.
Shiho non si arrabbiò ne tanto mento si intristì: la guardò con l’espressione buffa di chi non aveva capito nulla.
 
- Quando eravate ancora Conan e Ai mi sono accorta che provavi qualcosa per lui. Lo consideravi speciale nonostante cercassi di mascherarlo- spiegò.
- Ti sbagli- fece la sostenuta - E poi lui ha la sua signorina dell’agenzia investigativa. Chi vorrebbe stare con un diavolo quando può stare con un angelo?- aggiunse.
- Ascoltami bene- la prese per le spalle, costringendola a guardarla in faccia - Un giorno troverai un ragazzo che ti amerà e ti accetterà anche se dovessi portarlo insieme a te a bruciare tra le fiamme dell’inferno, capito?-
 
Pronunciò quelle parole con tutta la serietà del mondo, convinta della sua affermazione. Era certa che un giorno anche quella ragazza così speciale avrebbe trovato un uomo altrettanto speciale degno di lei.
 
- Tu ne sai qualcosa di bruciare all’inferno insieme a qualcuno che ami- le rispose sorridendo - A proposito, ci sono novità con Shuichi? Ho visto come l’hai abbracciato al processo e stamattina siete arrivati in ritardo e insieme. Dove siete stati?- ammiccò, come se volesse insinuare che fosse successo qualcosa di piccante fra loro.
- Mi spiace deluderti ma non c’è nessuna novità, il nostro rapporto è rimasto lo stesso di sempre. Non so se fra noi tornerà mai ad esserci quella scintilla che si  era accesa sei anni fa, ma a me basta che sia presente nella mia vita, anche solo come amico o collega. Questa mattina mi ha accompagnata alla tomba di mio padre, volevo farglielo conoscere visto che lui ha portato qui tutta la sua famiglia per aiutarmi-
- Sei davvero contenta?- le chiese sorpresa - Masumi è un maschiaccio casinista, mia zia è il sergente di ghiaccio…l’unico che si salva è mio zio. E anche l’altro mio cugino, il Meijin, anche se a volte è talmente sbadato da sembrare tonto e ha una fidanzata che è un po’ pazza-
- Beh, non ti puoi certo annoiare con loro- rise di gusto - Comunque sono contenta che li chiami “zia”, “zio” e “cugini”, significa che hai accettato la cosa-
- Non posso fare altrimenti, sono l’unica famiglia che mi è rimasta. Geneticamente parlando, intento- si corresse, per far capire che anche il Dottor Agasa era diventato a tutti gli effetti parte della sua famiglia.
- Pensi che resterai a vivere dal Dottore o andrai con i tuoi zii?-
- Non lo so, loro vorrebbero che mi trasferissi a casa loro ma…quella è la mia casa ormai- disse, riferendosi alla casa dello scienziato e abbassando lo sguardo - Però non voglio continuare ad essere un peso per il Dottore-
- Ma tu non sei affatto un peso per lui, anzi- le accarezzò il viso - Credo che sia contento di avere la tua compagnia, si sentirebbe solo se non ci fossi-
- Vi serve una mano?- si avvicinò Shuichi, interrompendole.
 
Le colse di sorpresa, non l’avevano nemmeno sentito arrivare. D’altra parte era un vero mago in questo genere di cose, un lupo capace di avvicinarsi alla sua preda senza dare nessun indizio della sua presenza, per poi sbucare fuori dal nulla e attaccarla quando meno se lo aspettava. Si chiese se non avesse origliato indisturbato tutta la loro conversazione. Insieme a lui c’era anche Shinichi.
 
- No, abbiamo finito- si affrettò a rispondergli.
- E poi se a preparare la frutta ci metti lo stesso tempo che a chiedere a una ragazza di uscire a cena, mangeremo il dessert il giorno del mio quarantesimo compleanno- ironizzò Shiho, non mancando di lanciargli le solite frecciatine su quell’argomento.
- Non li avevi già compiuti?- intervenne Shinichi in favore dell’amico.
 
La scienziata gli lanciò un’occhiataccia che avrebbe fatto tremare di paura anche un guerriero valoroso e poi si allontanò facendo il giro degli ospiti con il vassoio in mano, perché ognuno potesse prendere una coppetta di frutta.
 
- Cool Guy non è affatto carino dire a una ragazza che è vecchia!- lo rimproverò, ma senza cattiveria.
- Jodie, guarda che mia madre ha più di cinquant’anni...se ti sente dire che una è vecchia a quarant’anni, vedrai come ti guarderà male sul serio- le rispose Shuichi, facendo riferimento a quanto gli aveva detto la sera precedente sul balcone a proposito dello sguardo di sua madre.
- Ops- si mise una mano sulla bocca, fingendosi dispiaciuta.
- Complimenti Jodie, questa frutta è deliziosa!- si avvicinò a loro anche Camel, probabilmente in cerca di compagnia.
- Grazie Camel, ma io l’ho solo lavata e tagliata- sorrise davanti a quel commento così ingenuo del collega.
 
Nel frattempo anche Shiho era tornata e aveva riposto sul tavolo il vassoio con le coppette avanzate. Poi, senza dire nulla, aprì un’anta del mobile da cucina ed estrasse una  busta di carta decorata, di quelle che solitamente si riempiono con dei regali. La fissarono tutti cercando di capire a chi fosse destinata: non le risultava che fosse il compleanno di nessuno dei presenti, almeno di quelli che conosceva bene. Non l’aveva nemmeno vista metterla all’interno del mobile, perciò si chiese quando avesse agito. Degna cugina di Shuichi.
 
-  E quella cos’è?- le chiese infine, desiderosa di togliersi la curiosità.
- Tieni, è un regalo per te- lo porse a Shuichi, ignorando la sua domanda.
- Per me? Perché?-
- L’ho visto e ho pensato fosse adatto a te-
 
Incuriositi, si avvicinarono tutti al tavolo in attesa che Shuichi aprisse la busta e ne rivelasse il contenuto. Anche Masumi li aveva raggiunti e il resto dei presenti aveva focalizzato l’attenzione su di loro. Shuichi la aprì senza fare ulteriori domande ed estrasse una confezione con dentro una piccola bambolina, una di quelle classiche con capelli biondi e lunghi, occhi azzurri e guance color pesca. Oltre alla bambolina, dentro la scatola c’erano anche i suoi relativi accessori: un pettine, un paio di scarpine e un vestitino di ricambio. Nella stanza calò un silenzio tombale, tutti fissavano quel regalo come un gruppo di ebeti che non sapevano nemmeno che giorno fosse e perché fossero lì. Erano spaesati, confusi, non capivano cosa stesse succedendo e cosa volesse dire quel regalo assurdo. Shiho era l’unica che sorrideva beffarda, godendosi il momento di confusione che aveva generato.
 
- Che significa?- chiese Shuichi guardandola.
- Ho pensato che siccome ti piace rimandare le questioni all’infinito, trascorrere il tuo tempo pettinando le bambole sarebbe un’attività perfetta per te-
 
Lo fissò con aria di sfida, come se quel regalo fosse una specie di vendetta per qualcosa che Shuichi aveva o non aveva fatto. Non sapeva cosa ci fosse dietro di preciso, ma aveva capito che per “rimandare le questioni” Shiho intendeva dire che Shuichi non stava facendo nessun passo verso di lei per trasformare la loro relazione in qualcosa di più di una semplice amicizia. Si era presa a cuore quella situazione più di ogni altra cosa al mondo e questo la rendeva immensamente felice e le faceva percepire tutto l’affetto che nutriva per lei. Non avrebbe mai potuto sostituire quella sorella maggiore che le mancava così tanto, ma avrebbe fatto di tutto per essere presente nella sua vita anche se un intero oceano le separava.
Intorno a loro si udirono delle risate trattenute a stento, anche lei si coprì la bocca con la mano e distolse lo sguardo, nel tentativo di non scoppiare a ridere senza ritegno. Shinichi era visibilmente imbarazzato, come se il regalo fosse stato fatto a lui. Il destinatario di quel regalo invece si limitò a sorridere ghignando com’era suo solito, segno che non se l’era affatto presa per quello scherzo. Sembrava divertito esattamente come tutti gli altri.
 
- Grazie, non dovevi disturbarti- le disse.
- Figurati-
 
Ormai nessuno di loro riusciva più a trattenersi, la stanza si riempì delle loro risate. Gli unici che si contennero furono Shinichi, il quale si mise una mano sul volto scuotendo la testa e Mary, che nonostante stesse sorridendo non si scompose. In quanto ad apatia sembrava anche peggio del figlio.
 
- Ti stai divertendo vedo- si girò verso di lei, che stava ridendo a crepapelle proprio di fianco a lui.
- Oh sì, è più divertente di quella volta in cui Camel si è tagliato i capelli!- ammise, continuando a ridere - Però è molto carina, sono un po’ gelosa. Me la presti ogni tanto?- lo prese in giro.
 
Shuichi scosse la testa e rimise la bambolina nella busta, guardando Shiho con l’aria di uno che voleva dire “d’accordo, hai vinto tu questa volta”. La scienziata riprese la busta e la rimise nel mobile, ponendo fine a quel momento di ilarità. Dopo pochi minuti tutti erano tornati a chiacchierare suddivisi in gruppi: il Signor Kudo con James e il padre di Shuichi, Yukiko con la madre di Shuichi e loro intorno al tavolo.
 
- Sei davvero una strega, che bisogno c’era di mettere in imbarazzo l’agente Akai davanti a tutti?- la rimproverò Shinichi.
- Se non gli piace il mio regalo posso riprendermelo indietro, ma ad una condizione- incrociò le braccia al petto.
- Sarebbe?- chiese Shuichi, che si dimostrò subito interessato.
- Presenta Jodie ai tuoi genitori-
- Eeeeh?!- esclamò lei colta alla sprovvista, alzando il tono della voce.
- Ma che razza di compromesso è?!- chiese il giovane detective.
- Siamo qui da giorni e a parte parlare del processo non ha fatto altro. Visto che sono venuti qui per aiutarla mi sembra il minimo presentargliela come si deve-
- Bella mossa!- le diede una pacca sulla spalla Masumi.
- E voi due da quando vi siete alleate?- Shinichi era sempre più stranito.
- Credo che questa conversazione stia diventando imbarazzante, quindi meglio se la chiudiamo qui- intervenne lei, che iniziava a sentirsi un po’ troppo chiamata in causa.
 
Shuichi ignorò completamente la sua disperata richiesta, concentrando tutta la sua attenzione su Shiho: ormai era diventata una sfida all’ultimo sangue fra i due, nessuno aveva intenzione di cedere ed entrambi volevano vincere quella partita a tutti i costi.
 
- Tu non credi che io abbia il fegato di farlo, non è così?- le chiese ghignando.
- Puoi biasimarmi?-
- No, ma posso sorprenderti-
 
Dopo aver pronunciato quella parole abbandonò il tavolo e si diresse verso suo padre, che stava ancora parlando con James e il Signor Kudo a pochi metri da loro. Gli disse qualcosa, ma la distanza e il tono di voce erano tali che nessuno di loro poté comprendere: l’unica cosa chiara era che stavano parlando di lei, poiché vide Shuichi fare un cenno con la testa verso il tavolo per poi guardarla dritta negli occhi. Anche suo padre si girò a guardarla e in quel momento desiderò solo sprofondare in una fossa e non fare mai più ritorno. La situazione peggiorò quando li vide avanzare verso di loro.
 
- Perché lo hai fatto?- sussurrò a Shiho, visibilmente agitata.
- Pensavo ti facesse piacere- rispose con innocenza.
- Non vuoi conoscere nostro padre?- chiese Masumi con gli occhi da cucciolo, come se fosse dispiaciuta del fatto che volesse evitare quell’incontro organizzato in modo così imbarazzante.
- Ma certo tesoro, è solo che mi sarebbe piaciuto conoscerlo in un modo un po’ meno forzato e imbarazzante- ammise, sforzandosi di sorridere quando in realtà era tesa come una corda di violino.
 
Ormai Shuichi e suo padre erano a pochissimi passi da lei, non poteva più fuggire da quell’incontro. Fece un lungo respiro, cercò di calmarsi per non dare l’impressione di essere una pazza isterica e regalò ai due uomini uno dei suoi migliori sorrisi. Mentre Shiho cercava di trascinare via Masumi e Shinichi per lasciarli soli, si chiese come avrebbe dovuto comportarsi e cosa avrebbe dovuto dire davanti al padre dell’uomo che amava: non voleva fare figuracce ma non sapeva nulla di quell’uomo. Le era sembrato gentile e Shiho lo aveva definito come l’unico “sano di mente” della famiglia, ma non era abbastanza per poter capire il suo carattere.
Si fermarono a pochi passi da lei, che continuò a nascondere il suo imbarazzo dietro a un sorriso.
 
- Jodie, questo è mio padre. Mi spiace non avervi presentati come si deve prima, purtroppo non ci sono state molte occasioni-
- Piacere di conoscerla Signor Akai- si chinò leggermente in avanti, facendo il tradizionale saluto giapponese nel rispetto della nazionalità del padre di Shuichi.
- Il piacere è mio, sono quasi imbarazzato nel presentarmi a una così bella ragazza. Chiamami pure Tsutomu-
 
Arrossì davanti a quel complimento fatto con tanta gentilezza ed eleganza: già a primo impatto quell’uomo sembrava molto diverso da suo figlio. Lo guardò per un po’, studiandone i lineamenti del viso. Le sembrava che somigliasse a qualcuno che aveva già visto, ma non riusciva a ricordare chi e dove.
Shuichi li abbandonò quasi subito, gettandola nel panico più totale: quale conversazione avrebbero mai potuto avere senza di lui? Non sapevano niente l’uno dell’altra, non era certa che avessero qualcosa in comune di cui parlare a parte lo stesso Shuichi. Provò ad accennare un dialogo, per non sembrare una scema che lo fissava e sorrideva senza proferire parola.
 
- La ringrazio molto di essere venuto fino a qui  per testimoniare al processo. Mi spiace che alla fine però non abbiate fatto praticamente nulla-
- Dammi del tu Jodie, altrimenti mi sento vecchio- le sorrise - E non preoccuparti, alla fine abbiamo ottenuto tutti quello che volevamo e questo è l’importante. Preferisco essere venuto ad assistere alla fine dell’ultimo membro rimasto di quella maledetta Organizzazione senza aver mosso un dito piuttosto che aver lottato come un leone per essermene andato a mani vuote-
 
Annuì e sorrise, era felice che anche lui la pensasse così. D’altra parte era stato costretto a stare lontano dalla sua famiglia per anni, senza poter vedere i suoi figli crescere. Anche lui aveva pagato un prezzo molto alto. Ma potevano davvero dire di aver ottenuto ciò che volevano? Era davvero solo questo ciò che desideravano, che Vermouth finisse in prigione? Chi avrebbe restituito loro tutte le cose avevano perso lungo la strada? Ricacciò immediatamente indietro quei brutti pensieri: non erano né il momento né il luogo per lasciarsi andare alla tristezza.
 
- Shuichi ci ha raccontato della tua famiglia…mi dispiace molto, non devi aver avuto una vita facile- continuò Tsutomu.
- No, per niente, ma anche per voi non deve essere stato facile vivere separati per anni. Però avete avuto una seconda occasione ed è una cosa che non capita tutti i giorni. Siete davvero una bellissima famiglia-
 
Il suo sguardo si fece triste mentre pronunciava quelle parole e anche Tsutomu se ne accorse, poiché la guardò dispiaciuto come se avesse capito di aver toccato un tasto dolente. Si maledisse da sola, non voleva certo fargli pena o sembrare depressa. Si chiese cosa pensasse adesso di lei, forse che era una ragazza infelice con cui era impossibile avere un dialogo spensierato.
Fortunatamente, Tsutomu cercò di metterla a suo agio rompendo quel silenzio che si era creato fra loro.
 
- Allora, com’è lavorare con mio figlio?- cambiò discorso.
- Difficile- ammise - É uno stacanovista, perfezionista e a volte ti fa davvero saltare i nervi- storse la bocca - Ma siamo fortunati ad averlo con noi, è un agente eccezionale e una risorsa insostituibile per l’FBI-
- Tutto sua madre- ironizzò - E tra di voi che rapporto c’è? Masumi continua a dire che siete fidanzati-
 
Quella domanda aumentò a dismisura l’imbarazzo che già provava, al punto tale da farla rimanere con la bocca aperta nel tentativo di pronunciare qualcosa che però non uscì. Boccheggiava come un pesce tolto dall’acqua, ma alla fine non rispose alla domanda di Tsutomu. Perspicace come lo era stato fino a quel momento, l’uomo rise e le picchiettò una mano sulla spalla, comprendendo la sua difficoltà.
 
- Scusami se sono stato indiscreto, ero solo curioso di sapere. Io e mia moglie ci siamo stupiti quando Shuichi ci ha chiamati e ha insistito così tanto perché venissimo a testimoniare al processo, dicendo che una sua collega aveva assolutamente bisogno di aiuto e che dovevate vincere a tutti i costi; così ho pensato che non fosse una semplice collega visto tutto il suo interessamento-
 
Quelle parole la resero inaspettatamente felice, ma al tempo stesso cercò di restare con i piedi per terra: Shuichi era il tipo di persona che si faceva in quattro per aiutare tutte le persone a cui teneva, ma questo non voleva certo dire che l’amasse. Non voleva farsi illusioni e soprattutto non voleva mentire alla sua famiglia. Non era giusto per nessuno.
 
- Siamo solo buoni amici e colleghi, tutto qui- ammise
- Lo diceva anche mia moglie, poi l’ho convinta a sposarmi-
 
Non riuscì a trattenere una risata, contagiando anche lo stesso Tsutomu. Quell’uomo era l’esatto opposto di suo figlio: empatico, dolce, dotato di senso dell’umorismo. Ora capiva perché Shiho lo apprezzasse più degli altri.
Smisero di ridere quando Shuichi si avvicinò nuovamente a loro, forse attirato da quell’ilarità improvvisa.
 
- Sai Shu, tuo padre è davvero simpatico, non ti somiglia per niente- lo punzecchiò.
- Te l’ho detto che somiglia a mio fratello-
 
Si fermò un attimo a riflettere su quelle parole e finalmente realizzò perché le sembrava di aver già visto Tsutomu: era davvero somigliante al fratello minore di Shuichi, quel ragazzo che aveva visto giocare a quello strano gioco simile agli scacchi la sera in cui Shuichi l’aveva portata a casa sua dopo il primo processo.
 
- Ecco perché mi sembrava che avesse un viso familiare- batté un pugno sul palmo della mano.
- Hai conosciuto il fratello di Shuichi?- si sorprese Tsutomu.
- No, abbiamo solo visto una partita di shogi trasmessa live sul web- chiarì l’equivoco Shuichi.
 
Mentre stavano avendo quel dialogo, si accorse che la madre di Shuichi aveva lasciato Yukiko e stava avanzando verso di loro. Si sentì ancora più nervosa di quando, pochi minuti prima, Tsutomu si era avvicinato a lei. Mary la inquietava con quel suo sguardo penetrante, molto più di quello del figlio. Non sapeva nulla nemmeno di lei ma poteva essere certa di una cosa: se avessero avuto una conversazione, di certo non l’avrebbe messa a suo agio come invece avete fatto suo marito. Doveva stare attenta a quello che sarebbe uscito dalla sua bocca.
 
- Volevo presentarti anche mia madre- le disse il collega, dopo che la donna li aveva ormai raggiunti.
 
Si fissarono per un momento, provò a sorridere alla donna ma tutto quello che le uscì fu un’espressione strana.
 
- Sono Mary, la madre di questo sciagurato. Piacere di conoscerti- si presentò tendendole la mano, poiché a differenza del marito aveva abitudini più occidentali che tradivano le sue origini.
 
Le tremarono le labbra nel goffo tentativo di trattenere una risata. Con Tsutomu poteva anche lasciarsi andare, ma con Mary non poteva permettersi di scoppiare a ridere davanti alla sua faccia dopo che era venuta a presentarsi. Tuttavia, nonostante i buoni propositi, non riuscì a trattenersi di fronte a quell’affermazione. Non si sarebbe mai aspettata di vederla presentarsi in quel modo, era incredibile come riuscisse a risultare esilarante nonostante la sua freddezza glaciale.
Quando riuscì a contenere le risate, allungò la mano e strinse quella di Mary.
 
- Piacere di conoscerla-
- Devi avere una bella pazienza per sopportarlo, ti faccio i miei complimenti-
- Non sapevo che fosse la serata del “tutti contro di me”, se mi aveste avvertito mi sarei risparmiato il disturbo di venire- intervenne Shuichi, che nonostante tutto sembrava divertirsi davanti a quel teatrino.
- Se ti senti preso di mira puoi sempre metterti in un angolo a giocare con la tua nuova bambola- lo prese in giro.
- Invece di lamentarti perché non ci presenti la tua fidanzata come si deve? Anzi no, parla tu perché da lui non si riesce mai a sapere nulla- si rivolse direttamente a lei, affiancando suo marito e incrociando le braccia.
 
Per l’ennesima volta quella sera sentì le guance avvampare, l’imbarazzo era diventato il suo migliore amico. Stavolta c’era anche Shuichi lì, aveva sentito tutto quanto e questo le fece venir voglia di piangere dalla disperazione. Come diavolo ci era finita in quella situazione?! Si ripromise di farla pagare a Shiho in un modo o nell’altro: era solo colpa sua se adesso si trovava lì a dover dare spiegazioni e chiarire malintesi. In cuor suo sperò che quella serata terminasse il prima possibile, perché stava diventando più dura da sopportare del processo di Vermouth.
Ma ecco che il suo nuovo angelo custode intervenne ancora una volta in suo soccorso.
 
- Mary, c’è stato un malinteso…- cercò di spiegare Tsutomu.
- Di che genere?-
- Jodie non è la fidanzata di Shuichi, Masumi si è sbagliata-
- Bene, pensavo di avere solo un figlio sciagurato invece ne ho due. Meno male che Shuukichi si salva- scosse la testa la donna, in segno di disappunto.
- Fare preferenze tra i tuoi figli invece non è un comportamento da madre sciagurata?- si sentì chiamato in causa Shuichi
- Shu!- lo rimproverò - Non dovresti parlare così a tua madre!-
 
Non le piaceva che ci fossero screzi fra loro, specie se generati da un malinteso che la vedeva protagonista.
Avevano trascorso già troppo tempo lontani, ora dovevano recuperare i momenti persi piuttosto che insultarsi gli uni con gli altri per questioni futili come quella.
Shuichi ignorò le sue parole e preferì allontanarsi per mettere fine a quel battibecco, andando a parlare con Camel e James. Fu così che rimase sola con i coniugi Akai e con il compito di riportare la pace negli animi. Sospirò, pensando che a volte quell’uomo che amava tanto era capace di trasformarsi nel peggiore degli idioti.
 
- Mi dispiace tanto- si scusò con Mary - Non lo fa apposta, il fatto è che Shu è un po’…- non riuscì a trovare il termine giusto per non sembrare scortese.
- Tranquilla, lo so che mio figlio è un idiota-
 
Ottimo, ci aveva pensato Mary a dare vita ai suoi pensieri. Tanto di guadagnato.
 
- Su Mary, adesso calmati- cercò di farla ragionare il marito, posandole entrambe le mani sulle spalle.
- Sì, ha perfettamente ragione. È un vero idiota a volte- le diede man forte.
- Sei una brava ragazza, sei sprecata per uno come lui. Faresti meglio a togliertelo dalla testa-
 
Quelle parole le fecero male, stringendo il suo cuore in una morsa gelida. Era come se pronunciandole Mary non avesse dato la sua benedizione a una loro eventuale storia, non perché non accettasse lei ma perché pensava che Shuichi non meritasse qualcosa di bello nella sua vita. Era triste pensare che una madre avesse così poca considerazione di suo figlio. Lei avrebbe dato qualunque cosa per poter sentire ancora una volta la voce di suo padre che le diceva quanto era orgoglioso di lei. Era felice di aver fatto una buona impressione a quella donna, ma voleva sentirle dire che sarebbe stata una ragazza perfetta per suo figlio, non una ragazza sprecata. Anche se le costava ammetterlo, desiderava quel consenso fin dal primo momento in cui Shuichi glieli aveva presentati. Se fosse piaciuta a loro, allora forse avrebbe avuto una speranza…Ma non era più una bambina, sapeva che le storie che le raccontava suo padre erano solo favole. Se anche fosse piaciuta ai suoi genitori, non voleva certo dire che Shuichi l’avrebbe amata. Doveva restare con i piedi per terra.
 
-Ma Mary…- fu tutto quello che riuscì a dire suo marito.
- Gliel’ho detto, siamo solo amici e colleghi- replicò, abbassando lo sguardo.
- Puoi continuare a ripeterlo ma il modo in cui lo guardi e ti comporti tradisce fin troppo bene i tuoi sentimenti. Sei innamorata di Shuichi, non è così?- la mise alle strette senza troppi complimenti.
 
Tsutomu cercò di farla desistere dal continuare, quella donna non aveva chiaramente peli sulla lingua. Si sentiva in trappola, non sapeva cosa risponderle. Se avesse mentito, Mary se ne sarebbe certamente accorta e avrebbe contrattaccato; se avesse detto la verità avrebbe invece fatto la figura della disperata che correva dietro a un uomo a cui non importava nulla di lei, almeno non in quel senso. Avrebbe perso in ogni caso, quindi decise di uscire da quella situazione con classe. Da perdente, ma con classe.
 
- Mi perdoni ma non credo che questi siano affari che la riguardino. E in ogni caso Shuichi merita di essere felice come chiunque altro in questa stanza. Ha già sacrificato tante cose…-
- Jodie ha ragione- intervenne Tsutomu in sua difesa- Sai, un po’ mi dispiace che non ci sia nulla fra voi. Ci farebbe molto piacere averti in famiglia-
- Anche a me farebbe molto piacere, ma non sono io a dover decidere- gli sorrise -Con permesso-
 
Si congedò da loro senza dare a Mary il tempo di replicare, ammesso che avesse l’intenzione di farlo. Non intendeva continuare quella conversazione oltre. Lasciò il soggiorno e i suoi ospiti e si diresse verso il bagno, aveva bisogno di stare qualche minuto da sola dopo quella specie di “scontro” (se così poteva definirlo) con la madre di Shuichi. I suoi piani andarono a monte quando trovò proprio quest’ultimo davanti alla porta del bagno, con la schiena appoggiata al muro e le braccia conserte, in compagnia di Shinichi. Forse si erano appartati come solito per parlare di cose che non volevano che gli altri sentissero o forse, semplicemente, stavano facendo la fila per il bagno. La cosa la infastidì: c’era troppa gente in casa sua in quel momento, non poteva nemmeno starsene un po’ in pace da sola perché ogni angolo della casa era occupato da qualcuno. Cercò di calmarsi, non poteva essere scortese e non era colpa di nessuno, ma quel dialogo con Mary l’aveva resa nervosa.
 
- Voi che ci fate qui?- chiese loro.
- C’è la fila per il bagno, Shiho e Masumi sono dentro da secoli- le rispose Shinichi.
- Hai già finito di conversare con i miei?- le domandò Shuichi.
- Beh ecco…diciamo che l’atmosfera si era fatta un pochino pesante e potrei aver risposto in modo sgarbato a tua madre…- si morse il labbro inferiore, temendo che si arrabbiasse.
 
Da quanto aveva capito il rapporto fra Shuichi e sua madre non era proprio roseo, ma restava pur sempre sua madre e forse sapere che non si era comportata bene con lei avrebbe potuto deluderlo.
Al contrario, il collega sembrò prenderla piuttosto bene.
 
- Ma come? Non andavate d’accordo? La stavi anche difendendo quando me ne sono andato- la prese in giro.
- Sì, solo che poi ha cominciato ad andare troppo sul personale e ho reagito d’istinto…dopo andrò a scusarmi come si deve-
-Che ti ha chiesto?- la guardò serio.
- N-niente, una sciocchezza!- scosse le mani - Non avrei dovuto prendermela così-
 
Non poteva certo dirgli che i suoi genitori avevano capito tutto riguardo ai sentimenti che provava per lui e inoltre c’era anche Shinichi lì, non le sembrava proprio il caso di affrontare l’argomento.
 
- Vi lascio soli, mi sento di troppo- sembrò leggerle nella mente il giovane detective, che tornò a passi lenti verso il soggiorno con le mani incrociate dietro la nuca.
- Sicura che va tutto bene? Guarda che puoi dirmelo, so bene com’è fatta mia madre- le chiese nuovamente, senza mai toglierle gli occhi di dosso per cogliere ogni sua espressione.
- Tranquillo Shu è tutto a posto- lo rassicurò, anche se probabilmente la sua faccia diceva altro.
 
Non se la sentiva proprio di tirare ancora fuori quell’argomento, l’ultima volta che ne avevano discusso aveva rischiato di perderlo e non voleva più che succedesse. Aveva bisogno che Shuichi fosse nella sua vita, qualunque fosse stato il suo ruolo.
 
- Piuttosto, cosa stanno facendo quelle due in bagno? Sono preoccupata…- cercò di cambiare argomento.
- Tranquilla, stanno bene-
- E come lo sai?-
- Diciamo pure intuito- chiuse gli occhi.
 
Tra di loro cadde un silenzio imbarazzante, interrotto soltanto dalle voci degli altri che provenivano dal soggiorno. Nessuno dei due parlava e dal bagno non proveniva alcun rumore.
 
- Grazie Shu- parlò all’improvviso.
- Per cosa?-
- Per tutto quello che hai fatto per me. Chiamare qui tutte queste persone, cercare altre prove per vincere il processo, farmi conoscere la tua famiglia, accompagnarmi a trovare mio padre…Mi sei stato vicino più di chiunque altro e non eri nemmeno tenuto a farlo. Cool Guy è straordinario ma…nella mia storia sei tu l’eroe- ammise.
- Non mi sento molto un eroe ad essere sincero- rivolse lo sguardo al soffitto, con la testa poggiata contro il muro.
 
Le spezzava il cuore vederlo così, tormentato dai suoi sensi di colpa a tal punto da non riuscire a vedere quanto fossero importanti i gesti che aveva fatto per tanti di loro, inclusa lei. Aveva sacrificato così tante cose e le faceva rabbia non poter fare nulla per ridargliene almeno una. Sarebbe stata disposta persino a vendere l’anima al diavolo pur di ridargli qualcosa che lo rendesse davvero felice, anche se questo qualcosa fosse stato Akemi.
 
- Non ho detto che sei l’unico eroe di tutta questa storia: ho detto che sei l’eroe della mia storia- sottolineò la parola mia, per fargli capire ciò che intendeva.
 
Shuichi non disse nulla, si limitò a chiudere gli occhi e sorridere. Chissà se aveva capito davvero.
 
- D’accordo, visto che quelle due stanno facendo una festa o non so cosa nel mio bagno, ne approfitto per andare a scusarmi subito con tua madre-
 
Era meglio chiudere quel discorso lì, non poteva permettersi di aggiungere altro e a giudicare dal suo silenzio lui non aveva altro da dirle. Ma andava bene anche così, dopotutto.
Gli diede le spalle e fece per andarsene ma Shuichi la prese per il polso e la fermò.
 
-Jodie? -
 
Sorpresa da quel gesto, si girò nuovamente verso di lui e lo fissò con i suoi grandi occhi azzurri.
 
- Cosa c’è Shu?-
- Se un giorno sarò riuscito a mettere da parte i miei fantasmi e i miei sensi di colpa… se non avrai già trovato la persona che meriti, ti scoccia se ti invito a cena?-
 
Sgranò gli occhi e aprì la bocca ma non disse nulla. Da Shuichi si sarebbe aspettata di tutto tranne che quelle parole che le aveva appena rivolto. Le aveva attese per così tanto tempo, sei lunghissimi anni che le erano sembrati una vita intera, tanto da arrivare al punto di smettere di sperarci. Sentì gli occhi diventare lucidi, avrebbe tanto voluto piangere dalla gioia ma si trattenne, cercando di restare lucida. In fondo quella di Shuichi non era una promessa, non le stava dando nessuna garanzia di riuscire a sconfiggere i suoi fantasmi e tantomeno le stava chiedendo di aspettarlo, col rischio che la sua attesa fosse vana. Eppure lei, nel profondo del suo cuore, sperava che succedesse più di ogni altra cosa al mondo.
 
- Se non sarò già impegnata, accetto volentieri l’invito- sorrise.
 
Chissà, forse l’indomani avrebbe incontrato un altro uomo che le avrebbe fatto battere il cuore come batteva adesso per lui o anche di più: in quel caso non se lo sarebbe lasciato scappare per aspettare qualcuno che non aveva saputo cogliere il momento quando aveva avuto occasione di farlo. Non poteva continuare ad aspettarlo in eterno e questo lo sapeva bene anche lui. Ma per il momento entrambi avevano lasciato la porta aperta l’uno all’altra.
In quel momento si aprì finalmente la porta del bagno e Shiho e Masumi uscirono con un sorriso enorme sulla faccia e un’espressione soddisfatta.
 
- Ma si può sapere cosa stavate facendo in bagno?- allargò le braccia.
- La pipì- rispose Masumi, continuando a sorridere.
- Mezz’ora di pipì mi sembra un po’ tanta…-
- Attenzione, le spie non fanno mai una bella fine- sorrise beffardo Shuichi prima di entrare in bagno e chiudersi la porta alle spalle.
- Ci stavate spiando?!- le riprese, alzando la voce.
- Abbiamo sentito tutto, ogni singola parola- confermò Shiho soddisfatta, ignorando completamente il suo rimprovero.
- Allora, quando uscite insieme?- chiese Masumi, che a quanto pare non vedeva l’ora di averla come cognata.
 
Scosse la testa e storse la bocca: prese singolarmente quelle due erano fonte certa di guai, ma messe insieme erano una catastrofe assicurata. Non ci avrebbe scommesso un penny che sarebbero andate così tanto d’accordo.
 
- Andatevene subito in sala, brutte pettegole che non siete altro!- puntò il dito segnando in direzione del soggiorno.
 
Le due ragazze risero e se ne andarono, ormai soddisfatte di aver sentito quello che volevano sentire e consapevoli che lei non era davvero arrabbiata con loro. Sospirò e si godette ancora per qualche istante la felicità provata poco prima, prima di tornare anche lei dai suoi ospiti.
Non appena raggiunse il soggiorno cercò subito lo sguardo Mary, che in quel momento stava parlando con Yukiko e Tsutomu. Si fece coraggio e si avvicinò a loro.
 
- Scusate, posso rubarvela un momento?- appoggiò delicatamente una mano sulla spalla di Mary, quasi sfiorandola.
- Certo, nessun problema- le sorrise Tsutomu.
 
Si allontanarono di qualche metro, preferiva sostenere quella conversazione da sola con lei.
 
- Volevo scusarmi per prima, sono stata scortese con Lei-
- Non devi scusarti, hai avuto una reazione comprensibile. Ma non serve che nascondi quello che provi per mio figlio- si dimostrò meno dura di prima, forse dopo aver subito l’influenza del marito.
-Quello che provo io non ha importanza-
- Invece ne ha eccome. Cosa pensi di fare, aspettare tutta la vita che si decida a fare qualcosa? Sei una ragazza in gamba, sei giovane e sei bella: non rovinarti la vita per stare dietro a qualcuno che non ti apprezza, anche se quel qualcuno è mio figlio-
- Ma io non ho alcuna intenzione di vivere così. Se un giorno troverò un uomo che apprezzerà le mie qualità e io apprezzerò le sue, stia pur certa che non me lo lascerò sfuggire- affermò convinta, guardandola negli occhi.
- Quindi cos’hai intenzione di fare con Shuichi?- le chiese, probabilmente non convinta della sua risposta.
- Non farò proprio nulla: quello che dovevo dirgli gliel’ho detto e quello che dovevo fare l’ho fatto: adesso è tutto nelle sue mani. Se non farà nulla, non continuerò ad attenderlo invano-
- Era la risposta che volevo- abbozzò un sorriso.
- La ringrazio, Signora Akai-
- Chiamami Mary. Ti confesso che in fondo spero che Shuichi si faccia avanti, sarebbe un vero idiota a lasciarti andare- la salutò con un cenno della mano, tornando dal marito e da Yukiko.
 
Sorrise contenta mentre la guardava allontanarsi: le sue parole l’avevano resa felice. In fondo Mary non era così fredda e insensibile come voleva apparire e voleva bene a suo figlio nonostante tutto. Erano semplicemente troppo simili per poter andare d’amore e d’accordo sempre. Ma ora sapeva che anche Mary, come lei, voleva che Shuichi smettesse di rinchiudersi nel suo dolore e non darsi nessuna possibilità di essere di nuovo felice.
 
 
Un’ora dopo i suoi ospiti se n’erano andati tutti tranne Shiho, che era voluta restare da lei a dormire visto che due giorni dopo sarebbero ripartiti per il Giappone e non sapevano quando si sarebbero rivisti di nuovo. Si erano preparate per la notte e poi si erano infilate sotto le coperte a chiacchierare, nonostante la stanchezza avevano ancora tante cose da dirsi. Parlarono di nuovo del processo, di quello che avevano provato nell’affrontarlo, di lei e di Shuichi e di quello che si erano detti fuori dalla porta del bagno. Poco prima di addormentarsi, Shiho le mostrò delle foto del piccolo Mendel, che ormai non era più tanto piccolo. Le sarebbe mancata da morire quella ragazzina, la sorellina minore che non aveva mai avuto, la persona che più di tutte aveva sostenuto un suo riavvicinamento a Shuichi. Non sapeva se i suoi sforzi avrebbero mai portato a qualcosa, ma non importava: le sarebbe stata eternamente grata in ogni caso.
Si addormentò con la consapevolezza che il domani sarebbe stato solo l’inizio di un nuovo capitolo della sua vita.
                                       
 
…………………
 
 
Si sedette sul letto e prese il cellulare da sopra il comodino dove stavano anche una lampada accesa, unica fonte di luce nella stanza in quel momento, un pacchetto di sigarette e dei fiammiferi. Vestito con la sua solita t-shirt bianca e i soliti pantaloni morbidi che utilizzava per andare a dormire, era pronto a lasciarsi alle spalle quella giornata. Controllò di non avere nuovi messaggi o email importanti, come faceva ogni notte prima di coricarsi. Poi, spinto da quella sensazione a cui non aveva mai saputo dare un nome ma che si era impadronita di lui più volte, cercò fra i messaggi memorizzati quello che gli aveva mandato Akemi poco prima di morire. Lo rilesse più e più volte, nonostante ne conoscesse ormai a memoria il contenuto. Chiuse gli occhi e ripensò al giorno in cui l’aveva lasciata dicendole che l’aveva soltanto usata, lo stesso giorno in cui aveva firmato la sua condanna a morte. Le immagini erano ancora nitide nella sua testa, come se fosse passata solo qualche ora da quel giorno invece che un anno intero. Poi il suo pensiero si spostò sul giorno in cui sua madre gli aveva rivelato che Shiho era sua cugina, rendendo di fatto tale anche Akemi. Era stato un colpo duro da incassare, sapere di aver amato qualcuno che era sangue del suo sangue ma nel modo sbagliato. Per lui che era cresciuto con la mentalità di un’occidentale, non c’era posto per una relazione fra cugini. Ma ormai lei era morta, non avrebbero potuto avere una relazione nemmeno volendolo. Adesso era la consapevolezza di  essere la causa della morte di un membro della sua famiglia a tormentarlo e faceva anche più male della consapevolezza di aver perso quella donna che aveva amato, nonostante le bugie.
La giostra della sua mente girava, girava e girava e infine si fermò su Scotch, sul giorno in cui si era sparato davanti ai suoi occhi. Aveva cercato di salvarlo ma non ci era riuscito: così per penitenza si era assunto la colpa della sua morte, fingendo per anni di essere il suo omicida e inimicandosi Bourbon. Aveva persino smesso di bere quel liquore che portava il suo stesso nome e che gli era sempre piaciuto: il suo sapore non gli sembrava più così piacevole.
Riaprì gli occhi e guardò la sua immagine riflessa nello specchio che stava sopra la cassettiera dinnanzi a lui: il suo volto tradiva le pene interiori che si portava dietro. Jodie, Shiho, sua madre…avevano tutti ragione, non poteva continuare a tormentarsi così, non poteva andare a letto ogni notte coi fantasmi, fare l’amore con loro e risvegliarsi il mattino dopo con il sapore dei rimpianti sulle labbra. Doveva andare avanti, doveva lasciarli andare via.
Cliccò sul tasto “Cancella” del display e il cellulare gli chiese per l’ultima volta se era certo di voler eliminare tutto ciò che gli restava di Akemi. Fece un lungo respiro, cercando dentro di sé la forza di portare a termine quel gesto, si soffermò a fissare quella scritta un’ultima volta e poi selezionò l’opzione “Sì”: sul display del telefono apparve la scritta “messaggio cancellato”. Non seppe definire la sensazione che provò in quel momento: era come se si fosse liberato da un peso ma al tempo stesso gli mancasse qualcosa che niente e nessuno avrebbe potuto ridargli.
La schermata del cellulare ritornò poi alla lista dei messaggi memorizzati e l’occhio gli cadde sul messaggio che Shiho gli aveva mandato il giorno del suo compleanno, in risposta al suo biglietto di auguri. Lo aprì e ritrovò quella foto che aveva scattato insieme a Jodie e al cagnolino quel giorno. Sorrise ricordandosi della promessa che si era fatto quella sera: ritrovare la vecchia foto simile a quella, scattata sei anni prima.
Si alzò dal letto e si diresse verso la cassettiera, si chinò e aprì l’ultimo cassetto, sollevò alcuni maglioni invernali e sul fondo, in un angolo, trovò una scatola. Era rossa, semplice, senza nessuna decorazione. La prese e tornò a sedersi sul letto posandola di fianco a lui, aprì il coperchio e rivelò il suo contenuto: diverse foto risalenti al periodo in cui lui e Jodie erano stati insieme, alcuni regali che lei gli aveva fatto tra cui un portachiavi con un ciondolo a forma di pistola, il sottobicchiere del locale dov’erano andati la prima volta che erano usciti insieme, un biglietto di compleanno che Jodie gli aveva scritto decorandolo come una liceale. Sorrise davanti a tutti quelle cose che aveva cercato di dimenticare, come se facessero parte di un passato che non sarebbe mai potuto ritornare. Li aveva nascosti lì dentro per paura che potessero farlo desistere dal suo obiettivo, ma alla fine se li era scordati per davvero. Aveva preferito ricordarsi di tutto ciò che lo aveva fatto soffrire piuttosto che di ciò che lo aveva reso felice. Erano giorni spensierati quelli, prima che tutto si complicasse. Sarebbe stato bello poterne rivivere anche solo uno.
Guardò le foto una dopo l’altra fino a quando non trovò quella che cercava: ritraeva lui e Jodie in una giornata autunnale, insieme ad un cagnolino. Gli ritornò in mente il momento in cui l’avevano scattata: stavano passeggiando in un parco tra le foglie secche cadute a terra e un cagnolino si era avvicinato a loro, cercando qualcuno che giocasse con lui. Jodie aveva iniziato a fargli coccole e complimenti e sembrava essersi completamente dimenticata di lui. Il padrone del cane si era avvicinato e Jodie, piena di entusiasmo come una bambina, gli aveva chiesto se poteva scattare loro una foto insieme al suo cagnolino. Contagiato dalla sua vivacità, quel signore di mezza età aveva acconsentito. Jodie aveva poi fatto stampare quella foto in duplice copia e gliene aveva data una, perché potesse ricordarsi di quel momento che per lei aveva un valore immenso. Era fatta così, si accontentava delle briciole e diceva che erano una torta intera. Si chiese se anche lei avesse conservato la sua copia della foto o se, in un gesto di rabbia, si fosse sbarazzata di tutti i loro ricordi insieme dopo che l’aveva scaricata senza troppi complimenti. Ne avrebbe avuto tutte le ragioni, ma conoscendola aveva sicuramente tenuto tutto, anche le più piccole sciocchezze. Non era mai riuscita a chiuderla definitivamente la loro storia.
Richiuse la scatola e la mise sotto al letto, con più tempo e calma avrebbe trovato un posto migliore per quelle cose che non meritavano di restare chiuse dentro un cassetto. Tenne fuori soltanto la foto in questione, appoggiandola sul comodino: per quella avrebbe dovuto trovare un posto speciale.
Si infilò sotto le coperte, guardò la foto un’ultima volta e sorridendo spense la luce.
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Questo capitolo è chilometrico, non finivo più di scriverlo! Spero che non vi abbia annoiato, ho voluto dipingere il dopo processo cercando di dare voce a diversi personaggi, ovviamente mantenendo la centralità su Jodie e Shuichi.
Per chi non se lo ricordasse, la storia della foto è ripresa dal capitolo 17.
Vi preannuncio che il prossimo capitolo si aprirà con un salto temporale e da quel momento in poi le scene saranno tutte ambientate in America, pertanto personaggi come Shiho e Shinichi saranno comunque presenti ma in minor modo rispetto a quanto lo sono stati fino ad ora e solo tramite telefonate, messaggi o videochiamate. Inizierà una sorta di “arc” dedicato principalmente all’evoluzione della relazione fra Shuichi e Jodie (non me ne voglia chi seguiva la storia per altri personaggi, ma questi due sono pur sempre i protagonisti e il pairing principale).
Grazie a tutti quelli che hanno letto fino a qui e mi hanno supportata!
   
 
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