Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Elsira    29/01/2021    2 recensioni
Gli antichi greci credevano che un tempo l’essere umano fosse un essere perfetto e, soprattutto, completo. Era formato da quattro braccia, quattro gambe, due volti. Ma un giorno, Zeus, temendo la perfezione umana, lo divise in due, rendendolo così imperfetto… Incompleto. Da quel momento, l’uomo cerca disperatamente la sua metà, per tentare di tornare al suo stato originario. Per tornare a essere completo.
Questa è la storia di Camilla e di Arkin, e del loro tentativo di metterla in tasca a Zeus.
Quand'ero piccola, mio padre e mio nonno mi dicevano sempre che non c'era nulla che non potesse essere risolto. Ci si può ammalare, si può perdere il lavoro, si può litigare con una persona cara... Ma le malattie si curano, i soldi si riguadagnano, i rapporti si ricuciono. A tutto c'è rimedio, tutto può essere affrontato serenamente e superato. Tutto. Tranne la Morte.
E come tutte le mie storie, anche questa comincia ad essere interessante dalla metà in poi. Giusto per non far perdere tempo.
Genere: Angst, Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Pagina 6.

 

E mi ha risposto quell'uomo
che all'amore non servono parole
ma cenni silenziosi
e sguardi di zaffiro.

Il bacio non ha nome,
non resta scritto nemmeno sulle tombe.

Il bacio è un rosa sospesa nel vento
e i suoi petali si sfogliano sulle labbra.

– Sergej Aleksandrovič Esenin

 

Scossi la testa, svogliato e infastidito dal trillio del cellulare. Un leggero mugolio mi uscì spontaneo dalle labbra: odiavo svegliarmi con il suono della classica sveglia, e quello dei telefoni mi era sempre parso più odioso dell’originale analogico. Io mi svegliavo con i Nickelback, perché la gente non poteva prendere esempio?

Il trillio riprese, il tono più alto di prima.

Con un sospiro frustrato allungai il braccio per prendere quel dannato apparecchio e spegnerlo una volta per tutte. Magari gettandolo fuori dalla finestra. 

Aprii lentamente gli occhi, per andare a colpo sicuro e fermare al più presto quell’orribile suono, quando vidi il volto di Cam sul mio petto. “Ma che…”

Non seppi dire se fu solo la mia immaginazione, ma cadde il silenzio più totale: l’unica cosa che sentivo, era il respiro della mia amica. Cercai di ricordare come fossimo finiti lì, e d’improvviso il panico: che diamine ci facevo nel letto in casa di suo padre? Controllai alla velocità della luce la cosa più importante, tirando un sospiro di sollievo: okay, i vestiti li avevamo entrambi addosso, quindi non avevamo fatto cazzate. “E già questo è un gran risultato…” 

Un suo respiro più pesante mi fece riposare lo sguardo su di lei, e mi rilassai subito: vederla dormire tranquilla e rannicchiata al mio petto era una sensazione impagabile.
Le accarezzai gentilmente i capelli, mentre la mente mi faceva ricordare sprazzi della notte precedente. Una fitta lancinante mi fece portare la mano libera al cranio. “Dannazione… la testa… Ho davvero esagerato con l'alcool stavolta.”

Non riuscii a riportare tutto alla luce, solo io che la trovavo al pub e davo un pugno a Tommaso, Cam che mi trascinava via, io che le dicevo che avrei tanto voluto fare l'amore con lei.
“Arkin, sei un grandissimo imbecille.” Passai la mano libera nei capelli. “Come devo fare con te…”

Il telefono ricominciò a squillare, strappandomi ai miei pensieri. “Nemmeno un bombardamento potrebbe svegliarti, eh?” Mi allungai per prenderlo e feci scorrere il dito verso destra senza nemmeno guardare lo schermo, in modo da silenziare quella tortura. “Sei davvero incredibile, Cam.” Le lasciai un bacio leggero sui capelli, gesto che, non so come, mi fece ricordare il sogno di quella notte.
“Cazzo.”
Un piccolo sorriso amaro mi distese le labbra, mentre andavo a poggiare il mento sulla sua testa. «Alla fine abbiamo fatto l'amore, eh…» Sussurrai. Abbassai le palpebre, amareggiato. “Dannazione… Non riesco proprio a non innamorarmi di te ogni volta che ti vedo, vero?”

Una voce che non conoscevo mi fece alzare gli occhi, che si diressero in automatico verso la sua provenienza: il cellulare di Cam. Lo presi e lo portai all'orecchio, rendendomi conto che prima non avevo spento la sveglia, ma risposto a una chiamata. «Pronto?»

Silenzio, per qualche istante. Dopodiché la voce di una ragazza mi raggiunse l'orecchio: «Tu chi cazzo sei?»

«Chi cazzo sei tu, piuttosto.» Guardai il nome sullo schermo: Elsa. “Ma chi è, la tizia di Frozen?”
«Sai com'è, di solito è chi chiama che si presenta.»

«Sai com'è», rispose lei, facendomi il verso: «Di solito quando chiamo la mia migliore amica la domenica mattina non mi risponde uno sconosciuto.»

“Touché.”

«Senti, non mi interessa chi sei, ma dov'è Camilla?»

«Qui tra le mie braccia che dorme.» Risposi, senza nemmeno riflettere troppo su quello che dicevo. «Ieri sera abbiamo fatto un po’ tardi, tra una storia e l'altra.»

«Ah.» Rispose lei. Dopo un momento di pausa, aggiunse: «Senti un po’, dove hai detto che siete?»

«A casa di suo padre, perché?»

«Mh… Quindi tu e Cami siete a letto insieme a casa di suo padre.»

«Sì… Ma non capisco il tuo ton…» Non mi lasciò finire, che iniziò con la minaccia del secolo: «Sentimi bene, bimbino bello. Primo, non ti azzardare a torcerle manco mezzo capello, perché altrimenti ti taglio tutte le ditina una falange alla volta, per passare poi alle braccia e al resto del corpo. Il mi' omo è macellaio, quindi ho i mezzi per farlo. Conosci gli albi, di Markus Heitz? Sappi che in confronto le loro torture ti parranno il paradiso. Secondo, non esiste e lo ridico un'altra volta per essere ancora più chiara, non esiste, che Cami porti un ragazzo a casa di suo padre, soprattutto in piena notte. Guarda, avrei potuto crederti molto di più se tu m’avessi detto che eravate in un campo di riso della pianura padana, ma a casa di su’ pa’ non esiste. E terzo…»

«Ah, c'è pure dell'altro?»

«Per te s’arriva anche al ventesimo punto, bimbino-che-sta-per-avere-tutte-le-sue-ossicina-rotte. Terzo: passami la mia amica!»

«Okay, ora tocca a me. Primo: tu sei pazza. Secondo: che tu ci creda o no, siamo davvero a casa di suo padre. Terzo: te lo scordi che te la passo, perché sta dormendo come un an...» Mi bloccai, perché in quel momento sentii Cam muoversi e star per svegliarsi. «Resta in linea.» Misi il telefono da parte e spostai delle ciocche di capelli dal volto della ragazza che avevo di fronte.  

«God morgen, lille strejne. (Buongiorno, stellina.)» Dissi in un sorriso, mentre lei si stirava con ancora gli occhi chiusi. «God morgen… skystangel... (Buongiorno... angelo custode...)» 

“Okay, questa è nuova.” Rimasi sinceramente colpito. «Da quando parli il norvegese da appena sveglia?» Chiesi in un sorriso. Lei mi rispose guardandomi negli occhi con aria furbetta: «Me l’hai servita su un piatto d’argento.» Si guardò attorno, un attimo stranita, poi chiese: «Ma c’è qualcun’altro qui?»

«Oh... Beh, c’è una certa Elsa…» Risposi, prendendo il telefono e porgendoglielo. Cam sbiancò all’istante. Stavo per chiedere informazioni, quando mi strappò il telefono di mano alla velocità della luce e iniziò a parlare con la pazza, alzandosi dal letto con un salto che manco un cerbiatto e facendo avanti e indietro per la stanza. Non sapendo che altro fare, mi accomodai meglio sul materasso, misi le mani dietro la testa e restai a osservare la discussione. 

Capii solo tre cose della chiamata di oltre quaranta minuti: le due si sarebbero dovute incontrare la scorsa sera al pub, non fosse stato per l’incidente con il mio nome, Cam avrebbe dovuta chiamarla in mattinata per spiegarle tutto, ma non l’aveva fatto perché aveva dormito, e tra un’ora ci saremmo incontrati tutti e tre per il pranzo. Non capivo perché dovessi andare anch’io, ma a un posto che si chiamava “I Porci Comodi”, come avrei potuto dire di no?

 

«Aurora non è cattiva, è solo… una persona molto, ehm…»

Arkin cercò di aiutarmi a trovare la parola giusta, mentre apriva la porta del locale e mi faceva cenno di entrare per prima: «Pazza.»

«Entusiasta.» Lo corressi io. «Autentica, vive le sue emozioni così come sono. E le mostra, così come sono, come le sente.»

“Forse anche troppo, alle volte…” E giusto per confermarmi, non appena mettemmo piede all’interno del ristorante, la voce troppo euforica di Elsa mi arrivò alle orecchie: «Tu sarai mio figlio!»

“Eh?”

Sia io che Arkin ci inchiodammo sulla soglia del locale, guardando la bionda che stava avvicinandosi nell’istante in cui i suoi occhi color miele si erano posati sul mezzo norvegese al mio fianco. 

Mi voltai verso di lui, confusa da cosa la mia migliore amica potesse intendere. Poi capii. “Oh no…”

Aurora intanto ci aveva raggiunti e stava osservando Arkin con delle stelle al posto degli occhi, le mani unite appena davanti al petto, nemmeno lo stesse pregando. Non aveva senso pregarlo, tanto lei aveva già deciso. «Tu sei perfetto! Ti sto cercando da mesi!»

L’espressione di Arkin in quel momento penso che non la dimenticherò mai. Mi spiace non essere riuscita a fotografarlo, davvero. Era palese dal suo sguardo che stava pensando a tutte le vie di fuga possibili da quella pazza sconosciuta, osservandosi intorno cercando di non darlo a vedere e allo stesso tempo mantenere lo sguardo su Aurora, per non perderla di vista. Mai perdere di vista la gente strana.

Arkin mi costrinse a fare un passo indietro tirandomi la maglia e mi mise il braccio davanti al dorso, come a protezione. “È davvero adorabile… Peccato non sia io ad aver bisogno di essere protetta.”

«Elsa, ti prego…» Sussurrai con tono conciliante, spostando il braccio del mio amico e frapponendomi tra lui e la bionda. 

«Ma certo… perché mai non sono sorpreso che sia la tizia di stamani…» Sentii alle mie spalle Arkin sussurrare tra i denti, mentre Aurora mi avvolgeva il collo in un abbraccio. «Idra ti adoro! Mi hai portato il vichingo perfetto!»

Percepii lo sguardo stranito di Arkin, insieme a quelli dei clienti del ristorante, evidentemente incuriositi dalla nostra scenetta. “Forse pensa che le ho parlato della sua doppia nazionalità? Ma poi perché dobbiamo sempre attirare attenzione, uffa! È davvero troppo chiedere di stare tranquilla?”

«Uh, ma… Senti un po’», Aurora si allontanò da me e iniziò a punzecchiare i quadricipiti e le braccia del ragazzo al mio fianco, gli occhi diventati incredibilmente indagatori: «Hai mai pensato di fare canottaggio?»

“Cazzo, Elsa. Seria?”

«Ehm… No?»

Richiamai la mia amica in maniera secca, era giunto il momento di finirla: «Au.»

«Ah. Hai ragione…»

Chiunque avesse provato a chiamarla “Au” avrebbe ricevuto la sua ira eterna, ma da me e da Leonardo, in occasioni in quali capiva che aveva superato la linea, era accettabile e l’unico risultato era quello di farla rabbuiare per qualche istante, in volto l’espressione di un cagnolino bastonato. «Scusami Cami.» Fortuna che questo durava davvero solo una manciata di secondi: Aurora tese la mano ad Arkin sfoggiando il migliore dei suoi sorrisi: «A ogni modo, piacere di conoscerti Björn, io sono Aurora, ma tutti mi chiamano Elsa. Scusami per stamani, ma ero un po’ preoccupata… Sai com’è, con tutto quel che si sente in giro.»

Arkin le strinse la mano, ancora un poco perplesso dalla situazione. 

«Ehm… Io non mi chiamo Björn? Ma piacere di conoscerti, comunque. Figurati, credo avrei reagito al solito modo fossi stato in te. Se non peggio… Io sono Arkin.»

«Aurora tende a chiamare la gente con soprannomi.»

«E tu sei la copia sputata di Björn Ragnarsson! Il che mi riporta all’argomento principale… Hai mai pensato di fare un cosplayer di Járnsíða?»

«Ma… Dici quello di Vikings?»

“Ed è così si inizia…” Contenta che i due fossero tornati loro stessi e fossero completamente a proprio agio l’uno con l’altra, almeno credevo, detti una pacca di incoraggiamento sulla spalla a entrambi, dirigendomi verso il retro del ristorante. «Voi avviatevi al tavolo, io devo andare un attimo al bagno.»

«Fai con comodo!»

«Eh? No, aspetta… cosa? Cam!»

«Vieni qui te, abbiamo un sacco di cui discutere! Il Lucca Comics è solo tra qualche mese!»

Sorrisi loro, mentre Aurora trascinava quasi di peso Arkin al tavolo. Era incredibile quanta energia possedesse quella ragazza; era davvero una forza della natura, in tutti i sensi. Molte volte, seppur con vergogna, le avevo invidiato profondamente quel suo potere.

“Scusa Arkin… Ma ho bisogno di qualche attimo da sola per tornare tranquilla…”

Rimasi qualche istante con i polsi sotto l’acqua corrente, a fissare il liquido che mi colpiva la pelle. Era una cosa che avevo sempre trovato estremamente piacevole e rilassante, nonché ipnotizzante. Di fatti, riuscii a riscuotermi solo udendo la porta del bagno aprirsi, facendo entrare un’altra persona. Terminai la mia terapia e mi guardai brevemente allo specchio, cercando di sorridere alla mia immagine riflessa. “Va tutto bene.” Mi ripetei più volte, per poi allargare il sorriso, asciugarmi le mani e dirigermi fuori, pensando di dover cercare con gli occhi i miei due migliori amici almeno per qualche secondo, prima di trovarli. Mi sbagliavo, per il semplice motivo che mi bastò seguire gli sguardi confusi e divertiti dell’intera sala, per trovare i miei due idioti.

«Piantala di dimenarti come un orso!»

«E tu piantala di giocare coi miei capelli! Mi fai male!»

«Che cosa state facendo…» Sussurrai loro a denti stretti, probabilmente con il volto viola per l’imbarazzo che stavo provando in quel momento. Aurora stava cercando di fare delle trecce ad Arkin, il quale, essendo sempre stato estremamente fioso in quanto a capelli, stava facendo di tutto per farla demordere, dimenandosi e lanciandole tutto quello che trovava sul tavolo e a portata di mano. Tovagliolini, chicchi di zucchero, sale e non osai continuare a esaminare cos’altro, si trovava metà in terra alle sue spalle e metà addosso a Aurora.

«Piantala Björn! Resta fermo!» 

«Smettila, strega!» 

«Finitela, tutti e due!» Stufa, li presi per le orecchie e li trascinai fuori dal locale, imbarazzata come mai in vita mia. “Non metterò mai più piede lì dentro… Dio che figura!”

Una volta che ci fummo allontanati abbastanza, mollai la presa su di loro e mi rivolsi a entrambi con una mano a massaggiarmi la tempia: «Sapevo che sareste andati d’accordo, ma non credevo a questi livelli… Non sin da subito, almeno…»

Arkin e Aurora si stavano dando le spalle, entrambi con le braccia incrociate al petto. L’unica cosa che dissero furono un “ingrato di un Björn” e un “pazza di una strega”.

Tirai un sospiro. “Dovevo immaginare che sarebbe andata a finire così, conoscendoli…” Li osservai per un attimo, dopodiché mi venne in mente un’idea per risollevare la mattinata, ma soprattutto andare a mettere qualcosa sotto i denti, visto che iniziavo seriamente ad avere fame. Sorrisi e, facendo finta che non fosse successo nulla, proposi: «Che ne dite di andare a mangiarci una crêpe e un gelato sul corso?» Gli occhi di entrambi si puntarono su di me, scintillanti. “Bingo.”

«Andiamo!» Proclamò Aurora, alzando il braccio e precedendoci come fosse una guida turistica. Arkin accettò senza nessun tentennamento e io potei ritenermi fortunata.

Dieci minuti dopo, ci trovavamo sulle panchine della piazza. Aurora con una crêpe fumante e stracolma di nutella che quasi scoppiava, Arkin con un gelato da cinque gusti differenti. Io avevo optato per uno yogurt super agghindato. 

 

«Diceva che se la gente avesse saputo quanto energie metteva nei suoi lavori, non lo avrebbero considerato tanto straordinario.»

«Ma?»

«Ma, per me, Michelangelo è il genio del Rinascimento. Un Genio Divino.»

«E che mi dici di Leonardo Da Vinci?»

«Quello era un fottuttissimo amministratore delegato del Rinascimento!»

«Un che cosa?» Chiese Arkin, sorridendo divertito.

«Maestro delle mille arti, che però non ne portava a termine una.» Spieghai io, gli occhi che probabilmente mi brillavano tanto da sembrare che stessi sul punto di piangere. «Anche dei dipinti, Leonardo faceva bozzetti e i suoi allievi li portavano avanti. Non a caso uno dei suoi lasciti è “l'arte non è mai finita, solo abbandonata”. Michelangelo non era così: quel che iniziava, lo finiva. Campava a pane e acqua, lavorava anche la notte, aveva paura di morire prima di portare a termine una commissione, ma finiva. Da Vinci invece aveva talmente tante idee che gli frullavano nella testa, che non ce la faceva a finirne una… Forse per mancanza di tempo.»

«Onestamente non riesco a capire chi ti piace di più.»

«Perché? Devo per forza avere un preferito? Adoro entrambi.» Sorrisi. «E amo il rapporto che avevano tra di loro, nella mia testa ormai mi sono fatta talmente tanti filmini sulla loro relazione che potrei scriverci una collana! Se poi ci si ficca anche Raffaello in mezzo, allora sarebbe la threesome perfetta.»

Arkin alzò un sopracciglio, sorridendo preoccupato. «Ho paura a chiederlo ma... perché? Che rapporto avevano?»

«Dicesi di odio. Per me era semplice rivalità, c'era stima in fondo in fondo. Ognuno riconosceva il talento dell'altro e ne prendeva inspirazione. Penso fosse un amo et odio, dettato dalla rivalità e voglia di supremazia nei confronti dell'altro. Soprattutto per quanto riguarda Michelangelo, con quel caratteraccio che si trovava... Canaglia Divina... Certo è che quel bambino strafottente di Leonardo non gli dava mica tregua. Lo sapete che fece parte della commissione per decidere la posizione del David? E che lo voleva mettere in una nicchia, mezzo nascosto e da parte per non dar fastidio al passaggio dei soldati, nella Loggia della Signoria, anziché sull'arengario di Palazzo Vecchio? Ovviamente Michelangelo se l'è legata al dito... Ma dico, vi rendete conto?»

«Sacrilegio!» Esclamò Elsa, falsamente scioccata, che mi aveva sentita raccontare quella storia per la centesima volta. «E così come avremmo potuto ammirarne il culo perfetto?» Io risposi con un sorriso: «Esattamente!»
“In effetti, non poter avere in bella vista il culo migliore del mondo, sarebbe stato davvero uno spreco... Per non parlare di quelle mani...” Sogghignai tra me e me, rivedendo la mia scultura preferita in assoluto attraverso gli occhi della memoria. “Hai creato qualcosa di troppo bello, Maestro...”

«Io continuo a pensare che Da Vinci fosse il migliore comunque. E a proposito di “Leonardi”...» Mi voltai verso la mia amica appena in tempo per vederle fare un salto dal tronco d’albero su cui si era appollaiata degno dell’atleta che era. «Io devo vedermi con il mio, di Leo. Andiamo a vederci un film.» 

Osservai l’ora e mi venne un colpo: era quasi il tramonto, eravamo davvero stati a chiacchierare per ore senza rendercene nemmeno conto?

Una volta tornata eretta a terra, ci lanciò un’occhiata da sopra la spalla: «Scusate, ma me la do a gambe!»

«Ci sentiamo stasera.» Le dissi con un sorriso, lei annuì: «Ti racconterò com’era il film!»

Non potei trattenermi: «Chi lo ha scelto?»

«Io.»

«Quindi… film di animazione dove scoppierai a piangere dopo qualcosa come, quanto, 1 minuto?»

Elsa mi mostrò uno dei suoi sorrisi più raggianti: «Ci puoi contare!»

Ridemmo insieme, poi Aurora si mise di fronte ad Arkin, seduto sullo schienale di una delle panchine che ornavano il parco della città dove ci eravamo fermati dopo pranzo. Gli diede un pugno leggero sul pettorale, un sorriso di sfida sul volto. «Trattami bene la mi' bimba, capito?»

Lui rispose con un sorriso che avrebbe fatto invidia a un attore professionista, mi cinse la vita e attirò a sé, sussurrando poi con le labbra sui miei capelli e gli occhi puntati in quelli di Elsa: «È nelle mani migliori del mondo.»

«Piantala, attore dei miei stivali.» Sorrisi io, allontanandomi da lui con una piccola gomitata, ricevendo un’espressione divertita da parte di entrambi. 

In quel momento, ero felice. Era strano pensarlo, troppo strano dirlo, ma mi resi conto che non mi sentivo così felice da tanto tempo. “Vedere i miei due migliori amici sorridere così… Sono così felice che mi viene quasi da piangere, è ridicolo…”

Aurora ci salutò un’ultima volta con la mano e si diresse dalla parte opposta alla nostra, che prendemmo invece una delle traverse della città senza riflettere troppo. Avevamo solo voglia di camminare un po’ assieme, poco importava dove stavamo andando. Non eravamo ancora pronti a salutarci.

 

«Siamo sempre stati artisti…» Disse Cam di punto in bianco. Mi voltai un attimo a osservarla, aveva le mani unite dietro la schiena e camminava guardando le nuvole, in volto un’espressione di pura… leggerezza, non c’era altro termine per descriverla. «Ricordi come ci chiamavano da bambini?»

Un piccolo sorriso mi distese un attimo le labbra, lo sguardo cadde sulla punta delle mie scarpe. «L’attore, la pittrice e il musicista…» 

«Già…»

«Buffo come nessuno di noi abbia coronato quel sogno d'infanzia. Avevamo talento…» Alzai il capo, cercando di nascondere il turbamento che sentivo nel petto con un tono leggero. Lei rispose con una risata forzata: «Per quanto mi riguarda, il pennello non porta il pane in tavola.»

«È quello che ti ha detto tuo padre?» Mi morsi le lingua non appena lo dissi, una nuvola cupa attraversò il volto di Camilla, appesantendo l’aria tra noi come un macigno. Mi odiai. Ma perché tutte le volte che avevamo un momento tranquillo e sereno, per una ragione o l’altra, lo rovinavamo sempre? Cos’era la nostra, una maledizione lanciata da una qualche divinità?

«Meglio andare, sta iniziando a fare buio.» Tono pesante, esattamente come il macigno.

«Cam, scusa, non volev…» Non riuscii a terminare la frase, che lei si voltò verso di me con un sorrisetto di sfida e sogghignò: «E comunque… eravamo la pittrice, l’attore e il musicista. Vedi di non dimenticare l’ordine giusto dei ruoli.» 

Era un trucco, riuscivo benissimo a capirlo. Un trucco per tentare di celare quello che provava in realtà, per non affrontarlo, lo stesso che le avevo visto usare in casa di suo padre. Sapevo benissimo che era un atteggiamento deleterio, che era come una bambina nuda con uno scudo e che, quando quello scudo non ce l’avesse più fatta a reggere i colpi inferti, si sarebbe frantumato sotto i suoi occhi e l’avrebbe lasciata completamente indifesa, alla mercé del mondo. Sapevo che era giusto fare qualcosa per aiutarla a fare affidamento non solo su uno scudo, ma anche un’armatura, capace di proteggerla nei momenti peggiori. “Ma non oggi… Non io… Non accetterebbe di abbassare lo scudo con me, non dovrebbe. Non lo merito.”

Tirai un sorriso e allungai il passo per avvicinarmi a lei. «Da quando in qua i tuoi disegni erano migliori della mia recitazione?»

«Da sempre, sono sempre stata meglio di te. Per questo ero il capo.»

«Sì, il capo che mi fece saltare da un albero con un lenzuolo a mo’ di paracadute e mi fece quasi ammazzare.»

«La vuoi smettere con quella storia? Sei tu che non sei riuscito a centrare il materasso e le foglie, perché sei un incompetente!»

«Brutta…» Le avvolsi il braccio al collo e iniziai a farle la masa sui capelli. «Ti rendi conto che ho ancora la cicatrice in testa?»

«Smettila!» 

Non avevo nessuna intenzione di fermarmi finché fossi stato in grado di farla ridere così, ma non appena Cam socchiuse gli occhi, il buonumore svanì improvvisamente: «Cambiamo strada.»

«Perché? Che succede? Non vuoi vedere il tramonto sul fiume? È uno scenario carino. Romantico, perfetto per noi due.» Dissi con con sorriso scherzoso, che però si spense non appena vidi l’espressione cupa di Cam.

«Non voglio guardare il fiume.» Si liberò dalla mia presa, dando le spalle sia a me che all’argine. Il tono era uno che non le avevo mai sentito, persino quello del giorno precedente quando mi aveva parlato di suo padre e del rapporto con la sua casa, se messo a confronto, suonava entusiasta. Vi riconobbi una dose di dolore e rimorso che non avevo mai creduto potesse appartenerle. Quel tipo di dolore emotivo talmente intenso da farti male fisicamente.

«Ho fatto canottaggio per anni.» Si avviò verso la città a passi svelti, la testa bassa, senza guardare mai indietro. «Ne ho abbastanza di tramonti sull’acqua.»

“No, non è vero… Qui c’è dell’altro, che non mi vuoi dire.” Diedi un ultimo sguardo alle mie spalle, un’idea che mi iniziava a balenare nella mente. “Lo so che non dovrebbero essere affari miei, però…”

La raggiunsi con delle falcate veloci e le proposi con tono leggero di rincasare.

 

Guardai l’orologio al mio polso: 11h47. “Dovrebbe essere aperta… Provar non nuoce.”

Chiusi la portiera della macchina e varcai il cancello aperto color canarino, che dava su uno spiazzo di ghiaia. Non c’era nessuno fuori, ma dai rumori di pesi che venivano staccati da terra e la musica provenire dall’interno, era ovvio che la palestra fosse viva. 

Mi avvicinai alla porta d’ingresso, spalancata, e mi affacciai bussando. «Ehm… Buongiorno?»

«Jolly vai te, son nel pieno del circuito!»

«E va bene… ‘Giorno, posso esserle utile?»

«Ehm… Sì… Credo, spero. Volevo chiederle un’informazione, se non le spiace.»

«’io bono, ci mancherebbe. Dica.»

«Non è che conosce una certa Camilla? Dovrebbe aver frequentato questa palestra per diversi anni…»

«Chi, Idra ssj? Certo che la conosco! Ma non viene più ormai.»

«Sì lo so… Io sono venuto per chiedere se sapevate dirmi il perché ha smesso.»

«Chi sei tu? Perché vuoi sapere di Cami?»

«Marta, calma…»

«Io sono un suo vecchio amico… Ci siamo rivisti dopo anni e ieri per caso siamo passati sopra il fiume e ci mancava poco che cominciasse a piangere… L’ho vista particolarmente sconvolta e volevo sapere se sapevate dirmi perché. La voglio aiutare se ne ho la possibilità…»

Le cinque persone all’interno della piccola palestra si guardarono un attimo con esitazione, persino il ragazzo che stava facendo il circuito si era fermato. Non seppi bene perché, ma un brivido mi percorse la schiena.

«Che è successo? Perché Cam ha smesso di allenarsi?»

«Björn?» Una voce familiare mi fece voltare verso l’esterno, dove vidi Aurora con una barca su una spalla e due remi nella mano libera, che probabilmente rientrava dal suo allenamento in acqua. Mi fece un cenno con la testa di seguirla. Ubbidii, mentre lei si rivolgeva con un sorriso alle persone rimaste in palestra: «Tranquilli bimbi, ci penso io a lui.»

«Elsa, di’ al tu omo che c’è da fa’ l’ordine per la braciata!» Rispose Jolly, quando ormai noi due eravamo già nel deposito delle barche. «Sì.» Con un sorriso sulle labbra e la faccia ancora arrossata per lo sforzo dell’allenamento, Aurora mi guardò: «Metto apposto e parliamo un po’.» Io annuii, mettendomi in disparte per lasciarla fare senza essere d'impiccio. 

Si chinò a terra per posare i remi, così da avere le mani libere per poggiare l’imbarcazione sugli appositi sostenitori di metallo, rigorosamente imbottiti in modo da non sciuparla. Venne poi a raccogliere i remi da terra e li andò a sistemare nella rastrelliera posizionata in fondo al deposito, assieme a tutti gli altri. Quei movimenti non erano nulla di particolarmente speciale, ma il modo con cui venivano eseguiti rendeva facile intuire quanta premura e orgoglio nascondessero quei piccoli gesti.

Tornò da me, mentre si batteva le mani tra loro con un sorriso soddisfatto, senza però dimenticare una lieve carezza colma d'affetto allo scalmo della barca, quando le passò di fronte. «Allora, che cosa ci fai qui?»

«Sono venuto perché volevo sapere come mai Cam avesse abbandonato il canottaggio.» Lei tirò un sospiro profondo, fermandosi di fronte a me e guardando un attimo per terra. «Beh… È complicato.» Si grattò il sopracciglio, mentre la mano con cui aveva sfiorato il metallo ancora bagnato dall’acqua del fiume andava a poggiarsi sul fianco. Un altro sospiro e tornò a puntare i suoi occhi color miele nei miei. «Non sono certa di poterne parlare con te. Se avesse voluto, te lo avrebbe raccontato lei, non credi?»

«Capisco che puoi non fidarti di me, visto che la prima volta che ci siamo parlati ero a letto con la tua migliore amica con i postumi della sbornia del secolo…» Lei fece cenno con gli occhi come dire “eh, già”. Non mi lasciai distrarre e continuai, cercando di farle capire quanto fossi sincero in quel momento. «Io tengo davvero a Cam. Ci ho passato l’infanzia insieme, eravamo unitissimi. Voglio solo capirla, comprendere le ferite che il suo cuore ha incassato nel periodo in cui siamo stati lontani e aiutarla a guarire. Non puoi davvero aiutarmi?»

Restò in silenzio per qualche secondo abbondante, sicuramente stava valutando se rivelarmi davvero tutto o meno, in quanto era evidente che fosse un argomento sensibile. E, evidentemente, non solo per Camilla. 

Alla fine mi guardò negli occhi e disse: «È una storia lunga, ci vorrà tempo per raccontartela dal principio.»

«Ho tutto il tempo del mondo, per Camilla.» Risposi io, senza pensarci un solo istante. Lei sorrise, quasi avessi dato la risposta corretta, facendomi cenno di seguirla. «Vieni, ti mostro il nostro mondo.» 

Iniziò a raccontarmi tutto dal principio: da quando Camilla aveva varcato per la prima volta la porta di quella palestra, fino al giorno in cui aveva deciso che non vi avrebbe mai più messo piede.

 

 


Allora. Ora mi sfogo su Michelangelo e Leonardo, quindi chi non è interessato, ciao, ci vediamo al prossimo capitolo, se volete. Per tutti gli altri, preparatevi psicologicamente, grazie. 

Prime due nozioni fondamentali. Michelangelo Buonarroti è un Genio Divino del Rinascimento. Leonardo Da Vinci è il Rinascimento.

Perché questo?

*elsi che si rende conto che solo per Michelangelo ha scritto più di una pagina di roba* Cazzo

Okay, sono costretta a fare così. Io qui vi lascio il link e chi vuole se lo legge, non lo posso mettere come note e mi rifiuto di tagliare. È uscito di getto e così resterà. Meglio per voi, peggio per me, ma non posso davvero metterlo come note capitolo, è praticamente un capitolo a sé… 'Fanculo.
 


signature
  
tapasdeviantinstatumbrlefpwattpad

 
 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Elsira