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Autore: Clodie Swan    30/01/2021    5 recensioni
“Noi non siamo i nostri genitori. Non siamo le nostre famiglie.” le disse con un tono dolce guardandola intensamente. Le sue parole la calmarono subito e annuì con un piccolo sospiro.
“E poi...” cominciò Jughead lasciando subito la frase in sospeso.
Non era da lui balbettare o restare a corto di parole. Betty ne fu sorpresa e lo guardò interrogativa.
Jughead esitò trattenendo il fiato per un istante.
“Cosa?” chiese lei incoraggiandolo con lo sguardo curioso.
Negli occhi di lui vide un lampo di risolutezza e sentì le sue mani sul viso. Un attimo dopo la stava baciando.
Betty e Jughead: due diverse solitudini che si sono trovate. Cosa hanno provato i due ragazzi prima di quel bacio inaspettato?
Scritta in collaborazione con Daffodil.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5

Waiting for the rain


And I wanna try it
And I wanna light it up
I don't wanna hide it
I don't wanna light my stuff, oh no

I'm hanging by the fire
The flames are rising higher
I'm waiting for the rain
I'm hanging by the fire

                                      Andrew Cushing



POV Betty di Clodie Swan

Il povero Jughead non aveva ricevuto buone notizie: il Twilight Drive -in dove lavorava sarebbe presto stato demolito. La notizia non era così sorprendente visto che il posto era andato lentamente in rovina e gli spettatori erano sempre più rari. Lei stessa non ricordava più l’ultima volta che ci era andata. Però era un peccato: quel posto aveva un sapore anni Cinquanta, come il Pop’s, e faceva parte della storia di Riverdale. Capiva bene come si sentisse il suo amico cinefilo. Poverino, era stato così dolce con lei quando l’aveva consolata quella mattina ...Jughead aveva una rara sensibilità e meritava di meglio. Ultimamente non aveva altro che dispiaceri.

Gli mandò un messaggio per invitarlo da Pop’s insieme a Kevin e Veronica, e si infilò un maglioncino rosa con la sua catenina preferita. Passato il ciclone Clayton, la sua mente adesso era presa da Archie. Cosa stava combinando il suo amico? Gli aveva dato di volta il cervello?
Archie non era mai stato il tipo da cacciarsi nei guai. Era sempre stato il perfetto ragazzo della porta accanto. Cos’era una ribellione adolescenziale? Non sapeva cosa fare, come parlargliene e nemmeno cosa consigliargli. Non poteva chiedergli “Archie, hai una storia con la prof. di musica?” Sperava solo che il suo amico non finisse in guai ancora più grossi. Lo avrebbero sospeso come Clayton e i suoi compari? Archie non era quel tipo, non aveva fatto del male a nessuno. Se li avessero beccati, la professoressa Grundy rischiava la galera, ma lui poteva perdere la scuola. Giocarsi gli studi avrebbe compromesso il suo futuro. E anche se le aveva spezzato il cuore, Archie era sempre il bambino con le lentiggini che per quattordici anni l’aveva salutata dalla finestra della sua camera, aveva giocato con lei in giardino, si era fatto aiutare con i compiti in seconda elementare perché lei non voleva che lo bocciassero e finisse in un’altra classe.

Rimuginava su questo sorseggiando il suo frappè, mentre il povero Jughead seduto accanto a lei tirava giù la sua filippica sulla morte del Sogno Americano. Kevin e Veronica non sembravano molto impressionati dalla chiusura del Twilight, la sua amica in particolare lo riteneva un luogo ormai obsoleto. “Chi vuole vedere un film dalla macchina?”

Jughead sosteneva che il drive – in potesse attirare ancora degli spettatori, come gli amanti del cinema e delle automobili e chiese la sua approvazione. “Sei d’accordo, Betts?” Sentirlo usare il suo vecchio nomignolo la intenerì e decise di sostenerlo, per quanto la sua testa quel pomeriggio fosse altrove. “Assolutamente!”esclamò con poca convinzione. Quando passarono in rassegna i possibili titoli per l’ultima proiezione, Betty propose Gioventù Bruciata guadagnandosi uno sguardo di approvazione dal suo amico. Almeno lo aveva fatto sorridere.

Il buon umore sparì poco dopo non appena vide entrare nel locale Archie accompagnato da suo padre Fred e dalla signorina Grundy. Ma cosa stava succedendo? Adesso la presentava alla famiglia? Betty non riuscì a trattenersi e si alzò diretta al loro tavolo. “Betty, no.” tentò di dirle Jughead per trattenerla. Sapeva che non era una buona idea ma doveva fare quattro chiacchiere col suo amico. E sarebbe stato tutt'altro che piacevole. Si accorse a mala pena dello sguardo preoccupato di Jughead appoggiato alla finestra che li fissava nel parcheggio.


 

POV JUGHEAD di Daffodil
 

Aveva sentito il rombo di quella moto mentre scambiava due parole in croce con Kevin Keller mentre spiava dalla finestra Archie e Betty che parlavano animatamente. Gli si torceva lo stomaco a vederli insieme ma non gli stava prestando completamente attenzione, i suoi sensi erano all’erta per scorgere nel chiacchiericcio sommesso della tavola calda, una voce profonda e il rumore di vecchi stivali da cowboy con il tacco consumato. Dava le spalle alla porta e la curiosità era sempre stato il suo tallone d’Achille ma non voleva girarsi... Cosa diamine ci faceva lì? Il Pop’s non era propriamente nel suo territorio! Che stava accadendo in quel francobollo di città?
I titoli dei film, le citazioni di Quentin Tarantino erano cose di poco conto in quel momento, aveva la testa in confusione. Aveva cercato trattenere la perfetta ragazza della porta accanto ma senza risultato.

Era accasciato sul divanetto, a rubare anelli di cipolla dal piatto di Veronica, quando venne accecato dai fanali di una vecchia station wagon Mercury Colony Park che si fermò a pochi metri dalla bionda. Alice Cooper fece la sua apparizione nel parcheggio e da quel poco che poteva scorgere, l’espressione era abbastanza furiosa. Betty lanciò un ultimo sguardo a lui accennando un sorriso, anche attraverso il vetro e al buio, quegli occhi gli fecero tremare il cuore, guardò la sua nuova amica avvolta nella sua mantella nera e infine rivolse la sua attenzione al rosso… i suoi occhi erano tristi e pieni di comprensione.Si pizzicò il ponte del naso: era tutto troppo complicato. Non era da lui avere compagnia,o dover fare conversazione. Mollò Keller e i suoi dilemmi esistenziali, non ne aveva mai capito l’umorismo e delle volte lo trovava anche fastidiosamente eccessivo. Sul retro del locale intravide il riflesso dei lampioni nelle cromature di una Harley ‘n Davison d’annata, si appiattì maggiormente e sparì nella notte.
 

Il Ragnarok si stava facendo strada nell’oscurità, gli occhi gli bruciavano e praticamente non aveva dormito. Dopo la fuga dalla tavola calda si era rintanato nella sua stanzetta e aveva lavorato al computer per un tempo che gli pareva infinito, era stanco e infreddolito ma doveva tenere la testa occupata. Il mattino dopo, grazie alla finestra rotta al piano terra era riuscito a sgattaiolare a scuola per ultimare il suo progetto.

Gli isterismi di Archie da ragazzina in preda agli ormoni erano l’unica cosa che proprio non aveva voglia di sentire, quando se lo trovò davanti nel corridoio e si trovò costretto a dire una grande verità anche se era perfettamente consapevole che il suo amico non avrebbe colto: “Betty non farebbe mai nulla che potesse ferirti…” e stava per aggiungere “... non come te coglione che le hai spezzato il cuore” ma si trattenne, non aveva le energie per quella battaglia in quel momento. Stava distribuendo i volantini per salvare il drive-in come se ci fosse una qualche speranza, era tutto quello che restava della sua famiglia e non poteva perdere anche la sua casa lontano da casa, come aveva scritto sul suo computer.

La giornata a scuola fu lunga e difficile: Mantle e altri due cavernicoli lo presero di mira in biblioteca, Archie gli dava il tormento, a letteratura si era trovato accanto Cheryl con tutta la sua rabbia e in mensa aveva trovato solo frutta.
Lasciò cadere la testa sulle braccia mentre il telefono, nella tasca alta della sua giacca di jeans, riproduceva la dolce musica di Waiting for the rain… Era una canzone che le aveva sentito ascoltare quel pomeriggio che avevano ripulito la redazione e lui l’aveva fatta sua. Era dolce e in quel momento era la migliore compagnia a cui poteva aspirare, gli ricordava un pomeriggio in cui era stato fottutamente contento.

La luce rossa dell’orologio indicavano le 01.18 del mattino. Domani sarebbe stato sabato e lui non sapeva come trascorrere la giornata. Il giorno dopo sarebbe stato domenica e solitamente in quel giorno i figli stanno con i genitori, c’è il pranzo, si va in chiesa, si sta a casa, si parla e si fanno le cose insieme. La sua prospettiva era ben diversa.

Il suo zaino da montagna era pronto, tutti i suoi averi erano ripiegati con ordine. Quella era l’ultima notte che avrebbe trascorso nella baracca del custode. Aveva chiamato quelle lamiere casa per due mesi. La brandina sfondata aveva accolto il suo corpo, la coperta rossa lo aveva stretto in un abbraccio e consolato nei rari momenti in cui si lasciava andare alle lacrime e al senso di solitudine. Erano passati veloci quei mesi ma anche lentamente. Non era più lo stesso ragazzino che era entrato lì. La solitudine era un fardello pesante da portare, non avere quasi mai compagnia, il silenzio che lo schiacciava con sempre maggiore forza, il non poter scambiare due parole perché il castello di bugie che si era costruito intorno stava cedendo con una facilità disarmante.

Aveva scelto di sua spontanea volontà il ruolo di obiettore, di outsider ma in quel preciso momento voleva solo essere diverso.
Aveva avvolto tutte le pellicole, sistemato i macchinari e spento le luci alogene, aveva già fatto il giro di controllo due volte e tutto era perfettamente in ordine, anche se non aveva alcun senso. Gli operai del signor Andrews non avrebbero fatto caso alle cartacce sul prato, ne aveva la certezza. Doveva passare dal cantiere e scusarsi perché l’ultima volta che si erano visti era stato ingiusto e quel uomo dalle rughe sulla fronte e dagli occhi buoni c’era sempre stato e non si meritava proprio la sua maleducazione.

Si lasciò cadere sul materasso, il beanie al suo fianco, il cellulare tra le mani… voleva scrivere ad Archie perché lo aveva visto in seria difficoltà, ma non era proprio il momento giusto per elargire consigli; voleva scrivere alla sua bionda, anche se non sarebbe mai stata veramente sua, voleva averla lì anche solo per perdersi nei suoi occhi verdi e nella sua voce, ma c’erano troppe cose da spiegare e lui era alla deriva. Appena sarebbe sorto il sole avrebbe dovuto ricominciare ancora una volta… cazzo aveva 16 anni e doveva esserci qualcuno che si prendesse cura di lui, non poteva sempre cavarsela da solo in qualche modo, spettava anche a lui la felicità.

“So che è tardi e starai dormendo… scusa… domani vieni a fare colazione con me da Pop’s?” aveva cercato più volte di scrivere un altro testo ma aveva abbandonato l’idea, si doveva semplicemente accontentare. Poteva resistere a quelle ore che sembravano volerlo soffocare, forse sarebbe riuscito anche a schiacciare un pisolino.

Uno smile con un cuoricino apparve sullo schermo del telefono poco prima che gli occhi diventassero troppo pesanti e riuscisse a formulare la domanda “Cosa ci fa Betty sveglia a quest’ora?”

  
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