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Autore: Fiore di Giada    30/01/2021    0 recensioni
Esitò, turbata. E se qualcuno l’avesse sentita?
Le sue labbra si sollevarono in un amaro sorriso. No, quel luogo era assai lontano.
Quel luogo ameno sarebbe stata la tomba delle sue vestigia mortali e i suoi occhi avrebbero catturato l’immagine della natura, rigogliosa di fiori e piante policrome, prima di chiudersi nel sonno eterno.
Non sarebbe stata una morte ignominiosa, per una donna colpevole di adulterio e tracotanza.
Qualche istante dopo, il suo corpo cadde nelle rapinose acque del fiume.
[Una breve introspezione su Amara, madre di Rain, personaggio minore di Mortal Kombat 11]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il velario cobalto del cielo era rischiarato dalla luce argentea della luna e i raggi dell’astro si posavano sul fiume turbinoso, accendendolo di riflessi luminosi.
Il vento stormiva tra le piante, facendo risuonare l’ambiente di fruscii e simili e, di tanto in tanto, risuonava nell’aria il richiamo di un animale.
A passo lento, Amara camminava lungo le rive del fiume, inghirlandate di narcisi, scostando coi piedi nudi i ciottoli. In quell’angolo di Edenia, lontano dai tumulti della città, poteva restare sola col suo dolore, lontana dagli occhi malevoli e curiosi dei suoi concittadini.
Le lacrime tremarono nei suoi occhi ambrati e il suo corpo si irrigidì, come una sbarra di ferro, poi si rilassò. Solo tre anni prima, il suo cuore vibrava di felicità, come uno strumento musicale sfiorato dalle abili dita di un musicista.
Argus, l’eterno Dio protettore di Edenia, si era innamorato, ricambiato, di lei, un’umile edeniana di classe subalterna, figlia di una coppia di commercianti di stoffe.
Un debole, malinconico sorriso sollevò le labbra tumide di Amara. Aveva ricambiato l’amore di Argus con l’intera sua persona, perché il suo cuore bramava la sua presenza.
Pur essendo consapevole delle sue catene matrimoniali, si era lasciata travolgere da quel sentimento illecito.
Desiderava donare il suo corpo e il suo cuore al potente protettore di Edenia e tale suo desiderio era stato esaudito e ricambiato.
Un debole singhiozzo sollevò il petto della donna. L’amore tra lei e Argus era stato breve, come una cometa in un cielo estivo, ma il suo grembo era stato benedetto da un figlio.
Pur essendo cosciente della situazione, il suo cuore aveva palpitato di gioia e gli occhi le si erano inumiditi di lacrime.
Argus, a causa del suo legame matrimoniale con Delia, aveva dovuto abbandonarla, ma lei era felice, perché il suo bambino le avrebbe rinverdito la memoria di quei giorni felici e fiorenti di sogni e illusioni.
Quante volte, chiusa nella sua modesta casa, aveva immaginato la sua vita con il futuro nato.
Lo avrebbe riempito d’amore e di premure, compensando con la sua presenza l’assenza di suo padre.
Avrebbe sopportato qualsiasi tribolazione, pur di crescere quel bambino in nome dei sacri ideali di Edenia.
Gli avrebbe insegnato a combattere e a lottare in nome del proprio popolo.
Ne era sicura, così avrebbe espiato la sua colpa e avrebbe donato al suo popolo un valido combattente.
Quanti sogni privi di consistenza ho concepito nella mia mente limitata… – mormorò la donna. Niente avrebbe annunciato gli eventi funesti e lei, stupida, si era cullata in una speranza fallace.
Aveva creduto nella benevolenza del Fato e nella certezza, per lei e per il suo piccolo, di una vita dignitosa.
Certo, lei aveva sbagliato a cedere ai sentimenti per Argus, ma il suo bambino era mondo da colpe.
Lui era innocente degli sbagli e degli errori da lei compiuti.
Non poteva cadere sul suo fragile corpo la falce della giustizia.
Si accasciò sul terreno, come un fiore scosso dal vento, e cominciò a dondolarsi in avanti e indietro, gli occhi sbarrati e lucidi di lacrime.
La sua gravidanza, apparentemente serena, si era conclusa in un parto tragico.
Dopo lunghe e insolite ore di dolore e agonia, aveva concepito un figlio morto, simile ad una bambola priva di calore, malgrado l’apparente perfezione delle sue membra.
Il suo amore materno, per quanto infinito, non avrebbe dato a quel piccolo corpo il calore della vita.
Non aveva avuto la possibilità di dargli un nome.
Il mio bambino… Il mio bambino è morto senza nome… E tutto per colpa mia… – sussurrò la donna edeniana, lo sguardo fisso davanti a sé. Per punire la colpa di lei, avevano condannato a morte suo figlio.
Un’implacabile vendetta del Fato aveva condannato lei ad una esistenza grigia, dilaniata dal rimorso.
Pochi, effimeri giorni d’amore e di voluttà avevano deciso la sorte di un innocente.
Con quale presunzione si era presa un simile diritto?
La vita di suo figlio non apparteneva a lei.
Bambino mio… Perdonami… Perdonami… Perdonami… – cantilenò lei. La sua creatura, così pura e innocente, si era tramutata in una stella e la sua luce avrebbe illuminato d’un nuovo splendore il cielo di Edenia.
Non era svanita e, presto, sarebbe discesa nell’eterno ciclo delle reincarnazioni.
Ma la realtà di una nuova vita avrebbe impedito un loro ricongiungimento.
Si alzò e, a passo lento, si avviò verso il fiume, che rumoreggiava tra le rocce. L’acqua, col suo movimento turbinoso e incessante, la attirava.
Forse, in quell’elemento liquido a lei famigliare, avrebbe conosciuto l’eterno oblio e il Fato severo avrebbe cessato la sua persecuzione.
Il suo sangue avrebbe allontanato la tenebra della sventura dalla sua famiglia, che non aveva alcuna colpa del suo sbaglio d’amore.
Esitò, turbata. E se qualcuno l’avesse sentita?
Le sue labbra si sollevarono in un amaro sorriso. No, quel luogo era assai lontano.
Quel luogo ameno sarebbe stata la tomba delle sue vestigia mortali e i suoi occhi avrebbero catturato l’immagine della natura, rigogliosa di fiori e piante policrome, prima di chiudersi nel sonno eterno.
Non sarebbe stata una morte ignominiosa, per una donna colpevole di adulterio e tracotanza.
Qualche istante dopo, il suo corpo cadde nelle rapinose acque del fiume.

   
 
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