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Autore: A_Typing_Heart    30/01/2021    0 recensioni
«Sto cercando un libro sui vampiri... qualcosa che parli di loro, della loro psicologia... qualcosa che non sia solo letteratura.» disse con una certa delusione interiore: nella sua testa suonava molto meno ridicolo. «Esiste qualcosa del genere?»
«Ovviamente esiste.» rispose lui, con uno sguardo che sembrava brillare di eccitazione. «Posso chiederti come mai ti interessa un argomento così singolare o è una domanda troppo intima per il primo incontro?»
«Mi interessano perché non ne so niente e ne devo prendere uno.»
Qualsiasi altra persona a quella frase avrebbe riso o l'avrebbe preso per matto, ma non quell'uomo, che sorrise se possibile ancora di più.
«Stai cercando quell'assassino, il Vampiro di West End.»
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Crowley Eusford, Ferid Bathory, Krul Tepes, Mikaela Hyakuya, Yūichirō Hyakuya
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La spada di Dio'
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«Che accidenti gli prende a questo coso?»

«È il tasto sbagliato, signor Eusford… ha premuto alt invece di control.»

Crowley, guardando perplesso la tastiera, si accorse di aver confuso i due tasti. Di nuovo.

«Dio santo, sono un vero dinosauro.»

Gabriel Rogue, il giovane prestito dell’unità frodi informatiche, rise.

«Ma no, ma no, può succedere! E poi qui usate davvero molto poco i computer, il vostro lavoro è tutto di azione e di mente… lei è molto bravo in queste cose, la invidio. L’informatica è il mio unico talento…»

«E ti pare poco?»

In quel momento, premendo chissà cosa, cancellò le ultime cinque righe del rapporto che stava compilando. Staccò le mani dalla tastiera e chiuse gli occhi intimandosi la calma.

«Okay, Gabe, toglimi questo affare dal davanti prima che lo prenda a pugni come un gorilla inferocito.»

Il ragazzo rise divertito e ripristinò le righe cancellate con un semplice click del mouse. Con la pessima figura che stava facendo come motore di propulsione, si ripromise solennemente di frequentare un corso di informatica non appena fosse tornato dalla sua visita alla famiglia nel West Virginia per le feste invernali.

«Non si butti giù… sa, il suo problema sono le dita.» gli disse a sorpresa Rogue, e gli afferrò la mano destra osservandola. «Ha le dita grandi, per questo quando digita spesso preme più di un tasto insieme. Non è abituato alla tastiera e questa sua caratteristica le rende ancora più difficile scrivere.»

«Non indorarmi la pillola, Gabe, ho sbagliato tasto perché non so usare il computer.»

«Beh, sì, nel caso di alt e control, ma io parlavo dei molti errori che fa quando digita e che deve tornare a correggere. Per questo è così lento a battere i rapporti.»

Perplesso si osservò le dita, domandandosi se questo fosse il vero motivo per il quale trovava così difficile scrivere i rapporti in versione virtuale. Quando sentì avvicinarsi i passi di De Stasio – traditi dal basso tacco della sua calzatura italiana – si voltò per chiedergli un parere su quell’ipotesi, ma lo trovò con l’aria molto concentrata e immerso nell’ascolto del suo interlocutore al telefono.

L’italiano doveva aver mal interpretato le ragioni del loro improvviso interesse per la sua apparizione – che era una semplice, onesta noia nell’ufficio vuoto con tediose pratiche burocratiche come unica mansione – e lasciò sulla scrivania di Crowley un sacchetto di dolci della zia, facendo loro segno di tacere con il dito indice sulle labbra carnose. I due si scambiarono un’occhiata perplessa, poi Rogue ridacchiò quasi senza emettere suoni e ripeté lo stesso gesto; Crowley allora fece il gesto a sua volta e prese ad aprire il sacchetto lentamente per non farlo scricchiolare. Per qualche motivo Gabriel Rogue gli ricordava molto Yuu, sebbene non si assomigliassero nei lineamenti.

«Spara, me lo scrivo.»

De Stasio stappò il pennarello con i denti e prese a scribacchiare nomi e date sulla lavagna bianca vicino alla scrivania che gli avevano assegnato, quella che un tempo appartenne a Domenic Rosetti.

Mentre Rogue affondava nel succulento bombolone i suoi incisivi separati da uno spazietto Crowley venne attratto da qualcosa in particolare che De Stasio aveva scritto in alto a sinistra: Dinko Zgrada era un nome che gli diceva qualcosa…

Con un lampo di comprensione improvviso si alzò di scatto dalla sedia, dimentico di dolci e rapporti scritti a metà. Avvicinatosi alla lavagna controllò che cosa stava scrivendo.

Sotto il nome serbo c’era il nome di Andria Lapaki, e sotto aveva scritto Mahala, con la data di un agosto di molti anni prima. Con una botta di conti Crowley collocò quella data nell’anno in cui Ferid era arrivato negli Stati Uniti, e doveva essere circa quando suo padre aveva pizzicato proprio quel ragazzino nel North End. Dove si trovasse la città di Mahala, se era un luogo, non ne aveva idea.

De Stasio scriveva febbrilmente: subito dopo la freccia rimandava a Omar London, Kaynol, nel Massachusetts, per poi portare a Novak Radanovich, penitenziario di Janos County nel Montana. Infine De Stasio scrisse il nome di Dirk e Gustav Todd.

«Sì. Ripetimi lo stato.»

Ma De Stasio non scrisse sotto i nomi le sigle di stati; cambiò pennarello e tracciò alcuni simboli e una data sotto ciascuno.

«Interessante. Sì, ottimo lavoro. Puoi faxarmi tutte le informazioni qui a Satbury? Allo stesso numero della volta scorsa, sì. Grazie. Dì a Charlie che la prossima volta vi porto a cena e bevete tutto quello che volete, pago tutto io.»

Sta parlando con i suoi informatori. Ha scoperto qualcosa su Robert Warren.

Dopo aver garantito tre volte che avrebbe pagato tutto De Stasio chiuse la chiamata e gli lanciò un’occhiata gravida di entusiasmo celato a malapena.

«Ismaele?»

De Stasio annuì, confermando il coinvolgimento del suo sommo informatore: un uomo misterioso, molto prudente e soprattutto molto informato su alte sfere dei servizi segreti così come dei vermi che brulicavano sul fondo del barile. De Stasio ammetteva di non sapere per certo se Ismaele fosse il suo vero nome, ma era così prezioso come depositario di segreti che l’italiano non aveva mai ritenuto che fosse il caso di rischiare di perderlo solo per conoscerne il nome.

«Ci siamo vicini, Crowley. Seguimi.»

Piazzò la mano sul nome di Dinko Zgrada.

«Ferid ci ha fatto capire che a un certo punto Robert Warren voleva farci pensare di essere diventato Dinko Zgrada, ma l’altezza che Ferid conosceva ci ha permesso di capire cosa cercava di fare… quindi ho cercato di capire chi fosse prima il ragazzo che conosciamo come Zgrada.»

«L’hai trovato?»

«Pare di sì. Robert Warren è partito da Philadelphia per quella che era una vacanza-studio in India, nel college Mahala di Nuova Delhi. Lì c’era anche un giovane di nome Andria Lapaki, che a differenza di tutti gli altri presenti nel gruppo non è mai tornato a casa.»

Crowley passò gli occhi dalla lavagna alla faccia del collega un paio di volte.

«Si sono scambiati identità mentre erano in India… il Warren che è tornato era Lapaki ed è andato in Texas per cambiare nome in Dinko Zgrada, e… Lapaki dov’è andato, se non è mai tornato a casa?»

«È arrivato in autobus in Massachusetts, a Boston, per poi scomparire per un po’. Giusto il tempo di conoscere un tossicodipendente di nome Omar London nella cittadina di Kaynol, tirare su forse un po’ di soldi o piazzare qualche altro gioiello della madre di Ferid, e poi… Andria Lapaki muore in un incidente stradale molto brutale, causato dalle droghe che aveva assunto, in una notte di febbraio.»

Crowley, che credeva di aver capito come leggere la curiosa mappa concettuale di De Stasio, non si scompose.

«Bene, e Omar London invece dov’è andato? Perché se n’è andato, vero?»

De Stasio tirò su un angolo della bocca in un ghigno.

«London ha mollato baracca e burattini la stessa sera. Nessuno sa che cos’ha fatto per un po’, finché non viene preso e arrestato per un’aggressione a mano armata…»

«A Janos County, Montana.» concluse Crowley.

«Esattamente. Caso vuole che Novak Radanovich si sia fatto gli ultimi mesi di detenzione insieme a lui, e una volta usciti stesso schema: London viene dichiarato morto due settimane dopo, ma dato che è scoppiato a causa di un guasto a una bombola di gas in casa non possiamo avere foto della sua faccia.»

«E il nostro nuovo amico Novak… dov’è finito?»

«Dato che non aveva familiari noti nessuno lo cercò, comunque partì per destinazione ignota… vale a dire San Diego, California.»

«È assurdo.» commentò Crowley, guardando la lavagna. «Ha continuato a rubare l’identità di altri e a toglierli di mezzo perché diventasse virtualmente impossibile rintracciarlo…»

«Già, dopotutto per degli incidenti di persone che non avevano famiglia o con la fama di sbandati e giramondo la polizia di allora non sprecava certo i costosissimi esami del DNA. Può darsi che l’identificazione sia stata fatta sbrigativamente, dato che gli incidenti sono passati in mano a sceriffi e poliziotti specializzati in furtarelli e multe per divieto di sosta…»

Crowley scorse ancora una volta i nomi delle persone e i luoghi, pensieroso. Suo malgrado pensò a quanto Ferid gli aveva raccontato della smisurata conoscenza di Claude nei suoi campi umanistici di preferenza e delle molte abilità manuali in suo possesso, dell’assurda laurea di Krul Tepes in una lingua morta da secoli se non millenni… e una piccola lampadina dentro di lui prese a sfarfallare.

Certo Ferid non si è mai innamorato di uno stupido finora… e Robert Warren non fa eccezione. Muoversi in questo modo è impressionante come strategia, specie se si pensa che è stato un ragazzo dell’età di Yuu a metterlo in pratica.

Posò la mano sui nomi dei due Todd.

«E questi?»

«L’ultimo step del suo piano, direi. Ismaele mi ha indicato Gustave Todd come un altro tossicodipendente cresciuto con famiglie affidatarie, e anche lui è morto. Ma qui c’è una cosa speciale.»

«Cioè?»

«A identificare il corpo è stato il fratello Dirk, anche lui affidato a una famiglia, ma in un’altra città. E poco dopo averlo fatto ha lasciato la casa e annullato la sua iscrizione al college per seguire una compagnia teatrale itinerante.»

«Stai scherzando?»

«Se fosse un mio scherzo farebbe più ridere.» commentò De Stasio. «C’è una buona possibilità che Dirk Todd sia stato ucciso quando ha cercato di incontrare il fratello, del quale Warren aveva preso l’identità, e che Warren abbia finalmente trovato l’occasione che stava aspettando: prendersi l’identità di qualcuno con la fedina penale pulita e nessun parente prossimo a mettergli i bastoni tra le ruote.»

«Allontanarsi con la troupe teatrale ha fatto al caso suo, se è così… si è allontanato da amici e famiglia affidataria di Dirk Todd, che avrebbero scoperto l’inganno.»

«Certo, c’è la possibilità che non sia andata così, ma… in questo caso dovremmo comunque parlare con lui e chiedergli se fosse sicuro dell’identità del fratello quando l’ha riconosciuto in obitorio. C’è la possibilità che non sia andata così e che manchi ancora un anello per ricostruire la catena degli eventi.»

Eccola, la solita Osservazione Fredda.

Tuttavia faceva bene a mantenere la calma e avrebbe dovuto seguire il suo esempio, ma era difficile ignorare del tutto le emozioni contrastanti che gli si stavano gonfiando dentro: da una parte era felice di essere vicino alla cattura del Vampiro, al momento in cui avrebbe messo al sicuro i bambini della sua città e vendicato le vittime di tutta quell’atroce vicenda, ma dall’altra chiudere il caso del Vampiro avrebbe sciolto il nodo che lo legava a doppio filo a Ferid. Non riusciva a scrollarsi di dosso le paure – invero troppo vaghe e inconsistenti per essere messe a fuoco, come la nebbia – di come sarebbe potuto cambiare il loro rapporto quando non fossero più stati costretti a rimanere vicini.

«Signor Eusford, è per il caso del Vampiro di West End? Quell’assassino che minaccia il suo partner?»

Crowley guardò Gabriel Rogue con palese stupore, e lanciò uno sguardo interrogativo a De Stasio. Lui scrollò le spalle.

«Non ho detto nulla, io.»

«Mi spiace, non sapevo non si dovesse scoprire… me l’ha detto l’agente Gillespie che l’uomo che testimonia per il caso e che è sotto protezione è anche il suo partner.»

«E Gillespie come l’ha saputo?»

Crowley fece uno strano rumore che voleva essere un colpetto di tosse ma ne uscì innaturale come una risata durante una veglia funebre.

«Ehm, potrei… aver detto a Harry qualcosa di particolarmente riservato, e…»

«Crowley.» l’interruppe De Stasio in tono di pacato rimprovero. «Ricordi di cosa abbiamo parlato quella volta, riguardo un certo controinterrogatorio della difesa…?»

«Oh, ti prego, De Stasio… Harry è mio amico, gli ho solo raccontato come passavo le mie serate visto che non potevo più uscire, non è niente di che…»

Non gli ho nemmeno raccontato nulla di spinto, non è che gli ho raccontato di quando pomiciavamo, che entravo in bagno mentre c’era anche lui o che Ferid dorme senza vestiti nel mio stesso letto… ma è curioso che Harry abbia capito solo dal fatto che leggiamo e giochiamo a carte, come avrà fatto?

Rogue, che si era avvicinato alla lavagna con aria molto seria, gli lanciò uno sguardo intenso che stroncò le sue riflessioni.

«Signor Eusford, dicevate poco fa che forse Dirk Todd può essere quel Warren che ritenete responsabile, vero?»

«Lo stavamo dicendo, sì… ma dovremo raccogliere prove al riguardo. Innanzitutto, scoprire chi pretende di essere ora e che cosa stia facendo.»

«Posso aiutarla? Da quando sono arrivato sento di essere poco più che un soprammobile, la prego… lasci che vi aiuti concretamente.»

Il giovane poliziotto si batté il pugno sul petto e sorrise sicuro di sé.

«L’informatica è la mia scienza, e in un mondo come quello moderno è la migliore per scovare qualcuno!»

De Stasio scambiò uno sguardo complice con Crowley e sorrise al ragazzo.

«Bene, ragazzo. Mostraci di cosa è capace la tua scienza.»

Come se non avesse atteso altro che l’occasione di onorare se stesso, Rogue si appropriò della sedia girevole di Crowley e prese a digitare e cliccare. Il tempo che ci misero gli altri due a piazzarsi ai due lati della sua sedia fu sufficiente a dare un riscontro.

«Siamo fortunati, abbiamo pochi risultati.»

«Questo è… Facebook?» domandò Crowley, un tantino deluso.

«È un’ottima base di partenza. Dopotutto il Codis è incompleto, comprendendo soltanto gli schedati.»

«Questo… davvero si può fare affidamento su un social…? Voglio dire, secondo Facebook nemmeno io esisto, quindi come si fa a considerarlo…»

Prima che finisse di parlare Rogue digitò il suo nome all’interno del sito e con suo enorme sbalordimento trovò vari risultati con la sua foto in bella vista.

«Diceva, signor Eusford?»

«Cosa… che… ma che è, cosa fa la mia faccia lì?»

«Suppongo che questa sia la palestra dove si allena, no? Hanno messo delle foto di lei e di altri che seguono i loro corsi… a mo’ di pubblicità, presumo. Il suo fisico fa bella scena sulla pagina di una palestra.»

Crowley si sentì un paio di sguardi addosso e decise di dire due parole al suo istruttore alla prossima occasione. Gabriel Rogue fece una risatina.

«Nessuno sfugge alla Rete, signor Eusford… a meno che non sia nato e cresciuto dentro una foresta, e forse neanche in quel caso.»

Rogue passò da un profilo all’altro della ventina che aveva trovato a nome Dirk Todd, ne escluse due scuotendo la testa e aprì i superstiti in finestrelle più piccole tutte affiancate a coprire l’intero schermo.

«Ho escluso un paio di profili con alta probabilità falsi. Facciamo una scrematura; che età si presume abbia la persona?»

«Ah… vediamo… dovrebbe avere trentaquattro anni, ma essendosi appropriato di un’altra identità potrebbe essere più giovane o un po’ più vecchio.»

«Se si è preso l’identità di quel Todd, dovrebbe avere trentun anni, da certificato di nascita.» puntualizzò De Stasio. «Ismaele mi faxerà tutto tra poco, ma mi pare avesse detto così.»

«Possiamo escludere allora questi tre, sono ben oltre i cinquanta… questi sette sono al di sotto dei venti anni, troppo giovani.»

Rogue chiuse i profili esclusi e ampliò le finestre che mostravano gli altri. Crowley ne indicò uno.

«Elimina quello… ha una pelle molto chiara, capelli neri e tratti asiatici. Troppe discrepanze fisiche.» ponderò, e guardò De Stasio come sostegno. «Trasformarsi tanto ogni giorno sarebbe scomodo.»

«Ma… ecco… magari è un’assurdità…» esordì Gabriel, titubante, staccando le mani dalla tastiera. «Ma possiamo essere certi che non abbia fatto una… plastica facciale, o qualcosa del genere?»

De Stasio scosse la testa.

«Non siamo sicuri al cento per cento, ma è altamente improbabile… se fosse stato capace di fare una plastica facciale non sarebbe servito quel macchinoso intreccio di cambi di identità. Ha trovato ogni volta qualcuno con tratti somiglianti ai suoi per rendere lo scambio meno vistoso se al momento cruciale qualcuno si fosse accorto delle sue mosse, e ritengo che Dirk Todd non avesse troppe differenze. Scegliere un asiatico, un ispanico o un afroamericano come nuova identità sarebbe stato solo un inutile ostacolo…»

«G-giusto… scusatemi… era un’osservazione sciocca…»

«Non tutti nel mondo sono furbi o intelligenti, Rogue, quindi bisogna ponderare anche le opzioni stupide, complicate, alle quali penserebbero gli imbranati, gli ingenui, gli sciocchi e gli arroganti. In questo caso parliamo di un uomo scaltro e abile, ma partire dalle ovvietà è la base di un ragionamento accorto.»

De Stasio gli diede una strizzata incoraggiante sulla spalla e Rogue ne sembrò rincuorato; si gettò con più impegno nella sua scienza e scandagliò i profili con attenzione. Solo dopo un paio di minuti lanciò una ricerca negli archivi.

«Eccolo.» annunciò Gabriel trionfante. «È il diretto fratello di Gustave Todd, schedato per spaccio e altri piccoli crimini. Da documenti, ha trentun anni e ha una casa a Los Angeles.»

Crowley si chinò scrutando lo schermo con più attenzione mentre Rogue lavorava in una seconda finestra per altre ricerche. La fotografia ritraeva un uomo dalla pelle abbronzata, con occhi azzurri, capelli biondi e gli orecchini ai lobi, molto simili ai suoi. Poteva essere Robert Warren? A quanto ne sapeva lui, era plausibile, ma dei suoi esatti lineamenti non sapeva molto altro.

«Questo è interessante.» fece Rogue a mezza voce, indicando gli articoli che stava leggendo. «Dirk Todd è un pezzo grosso dell’industria del turismo di lusso… alberghi, centri termali, resort, persino casinò… è il giovanissimo vedovo della vedova Lubetski.»

«Chi sarebbe?» domandò l’irlandese, perplesso.

«Leonore Lubetski era la vedova di Fedor Lubetski, quello che negli ultimi cinquant’anni ha costruito metà del settore turistico di Red Chapel. Una ricchissima vedova con quarant’anni di più del giovanotto che si è sposata.» spiegò De Stasio, e indicò la foto sullo schermo. «Poi lei muore a causa del suo alcolismo galoppante ed ecco che il nostro Warren diventa il giovane vedovo più ricco d’America, o quasi… beh, se è davvero lui. Io ho pochi dubbi, e solo perché sono ostinato nel dubitare di tutto.»

«Questo è quello che è davvero interessante.» fece Crowley, snobbando involontariamente De Stasio che si vantava del suo metodo. «Guarda qui.»

Indicò un articolo il cui occhiello recitava la holding Lubetski nomina nuovo direttore esecutivo del settore alberghiero l’erede Dirk Todd, e con il dito scorse alcune frasi in basso.

«Il giovane quindi prende possesso degli uffici ai piani diciotto e diciannove del grattacielo Holden Traders a New Oakheart.» lesse con enfasi sulle ultime parole. «Lavora qui. Quel figlio di puttana ora lavora qui, e tra una riunione e una firma di contratto uccide bambini nel West End e legge i diari di Ferid entrandogli in casa di notte!»

«Certo le coincidenze iniziano a essere molte.» convenne De Stasio. «Mettiti la giacca buona, Crowley.»

«Io non ho una giacca buona.» fece lui, infilandosi il suo giaccone modesto e visibilmente in uso da qualche anno. «Dove andiamo prima?»

«Naturalmente dritti all’Holden Traders… andiamo a vedere se il loro direttore ci riceve senza appuntamento.»

«Può darsi. In fondo è venerdì, non giovedì.»

Nonostante il tono ironico, nessuno accennò anche solo l’ombra di un sorriso. Si congedarono da Rogue chiedendogli di continuare a cercare informazioni e di aspettare il fax di Ismaele prima di tornare a casa alla fine del suo turno, saltarono in macchina e partirono in direzione est per il ricco, moderno quartiere di Holden.

Ma quando arrivarono all’Holden Traders – un imponente grattacielo in metallo e vetro, un totem eretto a simbolo del potere economico di quel distretto di New Oakheart, dove solo le più ricche aziende del paese potevano permettersi di affittare un ufficio – capirono che non sarebbe stato così semplice: una ventina di persone sedevano nella sala d’aspetto davanti alla scrivania di mogano dell’affascinante segretaria, che non fece una piega davanti ai loro distintivi.

«Sono desolata, ma il principale non è in ufficio.» ripeté come poco prima. «E tutte le persone che vedete in attesa hanno avuto la buona creanza di prendere un appuntamento prima di presentarsi. Il signor Todd è un uomo enormemente impegnato.»

Crowley dovette soffocare il fuoco molto irlandese che da dentro gli faceva venire voglia di illuminarla su quali attività sospettava impegnassero davvero il suo principale. Fu faticoso ma riuscì, e riposto il distintivo assunse un’espressione e un tono glaciali all’altezza della segretaria.

«Aspetteremo, a meno che lei non sappia dirci dove il suo impegnatissimo principale sia… dato che non è qui a ricevere i suoi appuntamenti.»

«Il principale ha avuto un’emergenza medica ed è dal dentista per un intervento urgente. Per questo motivo è in ritardo.»

Spero che qualcun altro gli abbia spaccato i denti a pugni, così non devo farlo io.

«L’indirizzo di questo medico?» domandò De Stasio.

«Desolata, non lo so. Non è andato dal suo medico abituale, ha detto che si sarebbe fermato in un ambulatorio sulla strada.»

De Stasio e Crowley si guardarono e fecero qualche passo allontanandosi dalla scrivania lucida per parlarsi con più privacy.

«Che cosa dici?» fece l’irlandese per primo. «Chiediamo dov’era prima e facciamo una mappa degli studi dentistici lungo la strada più veloce per tornare all’ufficio? Gabe potrebbe aiutarci a trovarli in pochi minuti.»

«Sì, potremmo, ma ci metteremmo molto a chiamarli o visitarli tutti, finirebbe mentre siamo fuori, probabilmente… e poi, non siamo certi che sia vero. Potrebbe essere altrove.»

«Altrove dove?»

«Ovunque. A trattare qualche affare poco pulito, in compagnia di una squillo da soldi, o semplicemente a farsi una lampada abbronzante. Mi pare il tipo di uomo.»

«Che si fa le lampade?»

«Che fa tutte e tre le cose che ho citato.» sentenziò De Stasio con un sospiro stanco.

In un altro momento avrebbe potuto ridere di quella che sembrava una battuta, ma non era dell’umore; sospirò e incrociò le braccia guardando i molti uomini in giacca e cravatta con computer e valigette. Avevano tutti la medesima aria nervosa.

«Che facciamo… chiediamo a Miss Dolcezza di dire al capo di richiamarci appena possibile e l’invitiamo da noi per chiacchierare?»

«Potremmo, ma non mi piace l’idea di lasciargli il tempo di pensare e di prepararsi. È troppo furbo per lasciargli del vantaggio se non siamo costretti a farlo.»

Crowley annuì.

«E poi… è uno strano orario, non credi? Forse aspetta che gli altri pazienti finiscano per farsi operare prima della chiusura, ma… beh, se succedesse a me…» alzò il braccio indicando col pollice la sala d’aspetto. «Chiamerei in ufficio e direi di fissare nuovi appuntamenti per quelle persone, perché anche se rientrassi subito dopo non avrei tempo per tutti questi uomini. Considerando che nessuno parla con gli altri e sono seduti tutti distanti direi che sono qui separatamente.»

«È vero. Anche io lo trovo strano, per questo non mi fido di questa spiegazione e vorrei non lasciargli il tempo di imbastire scuse e coprire le tracce, se ne ha lasciate, e propongo di…»

Crowley non seppe mai che cosa De Stasio stesse per proporre, perché il suo sguardo cambiò mentre guardava sopra la sua spalla verso la scrivania. L’irlandese si girò a guardare e notò subito la ragazza con il tubino blu e i tacchi alti che si avvicinava al bancone.

Ha l’aria familiare quella donna… dove l’ho vista? Forse in qualche locale qui a Holden?

«Buonasera.» la salutò freddamente la segretaria.

«Dirk? Avevamo un appuntamento a cena.» fece l’altra, altezzosa, senza nemmeno un cenno di saluto o di sorriso. «Ma prima doveva passarmi a prendere per l’aperitivo da Vincent.»

«Il principale non c’è.» replicò lei. «Perché non lo chiami sul cellulare, Justine?»

Nella testa di Crowley si accese la luce immediatamente, sebbene fu lo stupore a fare da padrone sul suo volto: la donna che avevano davanti era proprio la ragazza timida e romantica della biblioteca Wilde, la stessa che era così affascinata dal professore che Ferid fingeva di essere per giustificare la sua ambigua osservazione dei bambini che leggevano. Con un abbigliamento così sexy, il trucco sofisticato, niente occhiali e l’aria snob Crowley non l’aveva riconosciuta finché il nome non aveva sovrapposto le due diapositive.

Guardandolo scoprì che De Stasio rimaneggiava la sua stessa idea: quante possibilità c’erano che la donna che conosceva Ferid e che poteva osservarlo con i bambini uscisse per caso con l’uomo che, plausibilmente, era il feroce, ingannevole ed elusivo Robert Karson Warren?

Con quella possibilità molti tasselli andavano a posto: Justine poteva essere gli occhi e le orecchie del Vampiro su Ferid quando era alla libreria. Il resto l’avrebbero fatto i diari ed ecco svelato il primo trucco dell’illusione generale, cioè come il Vampiro sapesse senza essere stato mai presente alla libreria inquadrato dalle telecamere.

I due poliziotti si mossero all’unisono e la raggiunsero, sfiorandole i gomiti. Alla vista di Crowley Justine si fece sorpresa.

«Ciao, Justine, ci rivediamo… anche se ti ho riconosciuta a malapena.» fece lui, senza sorriderle. «Vieni a prendere un aperitivo insieme a noi mentre aspettiamo Dirk… vogliamo conoscere meglio il tuo nuovo ragazzo.»

Anche se era chiaro che avrebbe preferito protestare bastò tirarla leggermente per il braccio per vincere le sue resistenze. Agitata seguì i due poliziotti fuori dall’ufficio, seguita dagli sguardi di tutti i presenti in attesa.

Non gli importava delle regole. Se davvero Justine sapeva qualcosa che potesse essere usato come prova, seppure indiziaria, contro Dirk Todd come Vampiro di West End gliel’avrebbe tirato fuori anche a costo di finire sulla scrivania di Sean Lesky agli affari interni sotto forma di fascicolo d’indagine.

 

*

 

Varcato il cancello Ferid si fermò a osservare la casa. Le finestre erano tutte chiuse e intatte e non si intuivano tracce di vita di là dai vetri; soltanto molte stanze dalle luci spente. Lentamente percorse il vialetto che tagliava il piccolo rettangolo di giardino reso ancora più piccolo dal massiccio ingombro di cassoni e vasi dove Krul coltivava fiori e piante che le servivano per le sue magie; al momento la gran parte ospitavano solo terra umida e qualche ciuffo verdastro senza corolle.

Salì i gradini del porticato, invaso dai più singolari oggetti – lanterne da nave, pentole con simboli incisi, grossi barattoli di pietre di fiume, una statua di creta di una donna-albero e un secchio di legno – e raggiunse la porta. Prima di sfiorare la maniglia restò in ascolto, ma non sentiva nulla… poi si accorse che la mano tremava molto. La strinse a pugno, ma non servì a fermarla. Chiuse gli occhi.

Se davvero mi ascolti… proteggimi. Se non per me, almeno per chi sentirebbe la mancanza dell’uomo che sono diventato.

Aprì gli occhi e senza più esitare spinse la porta. Come immaginava si aprì subito a causa della serratura rotta. Nell’ingresso trovò un mazzolino di rose rosse molto malridotte e nella sua mente si fece strada un’idea di come Robert fosse riuscito a entrare in casa di una donna tanto diffidente.

«Krul?»

Ferid si stava affacciando sul salottino con circospezione quando sentì un rumore leggero, metallico. Incerto si mosse verso la porta annidata sotto le scale, che sapeva portare in una zona separata dove Krul preparava i suoi intrugli ma che non aveva mai visto di persona; il rumore veniva da lì.

Quando entrò fu colpito immediatamente da un odore forte che lo portò a coprirsi il naso: il forte profumo delle resine nei barattoli e dei fiori essiccati che pendevano dal soffitto non copriva il fetore chimico della benzina. Girando poi lo sguardo a sinistra, da dove veniva il rumore, restò paralizzato come fosse stato tramutato in sale nell’episodio biblico.

Krul, con le mani legate in grembo, era inginocchiata per terra e gocciolava dai capelli e dai vestiti quella che senza dubbio era la benzina che emetteva quel terribile odore che permeava la stanza. Robert, uguale a lui dai lunghi capelli al tacco degli stivali, era seduto sul ripiano della cucina da strega della padrona di casa e produceva quel rumore metallico aprendo e chiudendo un accendino zippo dall’aria familiare, con le rose e i teschi incisi sopra.

«Oh, eccolo qui~»

«Perché sei venuto, Ferid…?»

Ferid non capiva il senso della domanda di Krul e stava per dirle a chiare lettere che non c’era una ragione per non andare in suo soccorso, ma Robert stroncò la sua risposta quando la calciò buttandola a terra di lato. Con una risata che somigliava così tanto alla sua da dargli i brividi balzò giù dal mobile e le tirò un calcio sulla gamba – che presentava una macchia rossastra che sembrava un’ustione – strappandole un gemito di dolore.

«Che domanda, piccola strega… è venuto perché lui ti ama. Tu sei la donna più importante del mondo per lui… e per questo io sono venuto qui. Grazie dell’aiuto~»

Robert accese lo zippo con un tale sadismo inciso nei lineamenti di quel volto uguale al suo che Ferid scattò verso di lui, ma prima di arrivare abbastanza vicino da sfiorarlo allungando la mano si trovò in faccia la canna di una pistola. Ancora una volta.

«Bobby, smettila! Non sei ancora soddisfatto? Non ti basta ancora tutto il male che hai fatto per vendicarti di me?»

Robert lo guardò stupito e confuso e con aria pensierosa chiuse lo zippo.

«Di che cosa parli esattamente?»

Sebbene arrabbiarsi fosse l’ultima delle azioni consigliabili in un simile frangente Ferid non poté evitarlo.

«Non prendermi per il culo! Tutti quei bambini uccisi, quei poliziotti che hai fatto ammazzare da quella gang, e ora Krul!»

«Oh, quelli? Qui c’è un equivoco, Rid, davvero… in verità sei tu la causa della morte di quei bambini, non io.»

«Dacci un taglio, Bobby, non ho voglia di stare a sentire altri tuoi deliri.»

«E chi sta delirando? Sto dicendo la verità, quei bambini sono morti per ciò che tu hai fatto… sono morti perché quello che tu mi hai fatto potesse essere cancellato.»

Ferid non capiva assolutamente nulla di cosa stesse dicendo, ma aveva urgenze molto più importanti della comprensione. Riuscì a calmare i suoi nervi, sollevò lentamente le mani e fece un passo in avanti fino a che la pistola non gli si appoggiò contro il petto. Aveva il cuore che galoppava così forte da far male, specie quando vide il dito di Robert contrarsi sul grilletto, ma sostenne il suo sguardo.

«Ascolterò tutto quello che vuoi dirmi e ti seguirò dovunque tu voglia portarmi, compresa la foresta di Dern, se sei ancora convinto… ma lei non c’entra. Non ti serve più.» gli disse a voce più bassa del normale. «Sono venuto e nessuno dei poliziotti mi ha visto uscire… lasciala qui e andiamo via subito, prima che i miei vicini bussando si possano accorgere che non ci sono.»

Robert lo fissò e abbassò il braccio che reggeva l’arma, con il sorriso divertito e il resto della sua espressione che trasudava disgusto.

«Quand’è che sei diventato uomo, Rid? Eri solo un bambino cresciuto fino a poco tempo fa… a piagnucolare della tua vita rovinata, di quanto fossi debole… di quanto ti vergognavi di non riuscire a dire a questa “puffetta rosa” che eri innamorato di lei. Da dove viene il coraggio che hai ora?»

«Come sai che è coraggio?»

Robert si accigliò lievemente e Ferid gli si avvicinò tanto che riuscì a vedere per la prima volta le tracce di qualcosa di anomalo su quel viso. Non sapeva dire esattamente che cosa, ma riusciva a vedere che era innaturale, era un volto finto sopra il suo volto reale.

«Come sai che il mio è coraggio? Tu non sai che cosa sia. Sei un codardo, lo sei sempre stato.»

Robert gli afferrò il collo con la mano sinistra che prima teneva l’accendino e premette il pollice sulla sua trachea come una silente minaccia: taci o ti farò tacere io.

«Sei tu il vigliacco che è scappato di casa per non affrontare la tua famiglia e il tuo destino!»

«Siamo scappati entrambi dalla stessa cosa, Bobby, per questo so che sei un codardo esattamente come me. E tu sei scappato persino da chi ti amava… sei scappato da una famiglia povera e da un lavoro che non ti avrebbe mai arricchito, e poi sei scappato anche dalla responsabilità di badare a me, il ragazzino che avevi trascinato in un altro paese con l’inganno…»

«Sta’ zitto, Rid.»

Gli strinse il collo più forte e Ferid non parlò più, perché notò che stava riflettendo come indeciso su cosa fare. C’era la possibilità che stesse prendendo in considerazione di dargli retta e lasciare Krul dov’era, portandolo ovunque avesse intenzione di portarlo per finire il suo lavoro.

In quei pochi secondi Ferid ebbe il tempo di provare paura davvero, perché si chiedeva quale sarebbe stata la fine di quella storia. L’eroe sarebbe sopravvissuto o era uno di quei libri dal gusto amaro, in cui il lettore sbatteva contro la realtà cruda che non sempre c’era giustizia per tutto, neanche in un mondo di carta? Eppure lui avrebbe davvero desiderato un lieto fine questa volta. Per la prima volta nella sua vita sentiva di volere e di meritare un finale felice per se stesso.

Alla fine di un interminabile lasso di tempo in cui Robert ponderò le sue possibilità abbassò l’arma.

«Chiuderò la strega qui dentro. Tanto vive da sola, quindi la terrò dove sono sicuro di ritrovarla se dovesse servirmi di nuovo.»

«Lei non ti serve.» rimbeccò Ferid, lasciandosi prendere per il braccio senza resistere. «È evidente che ce l’hai con me.»

«Non si sa mai. Ora niente sorprese, Rid, camminami davanti e usciamo. Non fare nessuna mossa che io non ti chieda di fare e non parlare, non voglio sentire una parola finché non saremo in macchina.»

Ferid, al cenno di Robert con il capo, fece qualche lento passo verso la porta della cucina magica senza staccare gli occhi da Krul.

Sembra così piccola adesso… e così disperata…

E lo era sul serio; non ci sarebbe stata altra ragione se non una disperata paura dietro quel suo gesto impulsivo. Si lanciò contro Robert, forse nella speranza o convinzione che il suo peso sarebbe bastato per spingerlo a terra ma questo non successe. Lo fece però barcollare tanto da costringerlo ad aggrapparsi al mobile e arrabbiare ancora di più. Inspiegabilmente non le sparò contro nonostante avesse l’arma da fuoco in mano, ma afferrò un lungo stiletto – che Krul usava per incidere amuleti di legno o candele magiche – e con un gesto fluido e deciso che solo un assassino avrebbe potuto sfoggiare lo conficcò senza esitazione nella gamba di Krul.

Un urlo così raccapricciante e acuto Ferid non l’aveva mai sentito neanche nei suoi incubi. Gli parve che Krul ci avesse messo un’ora intera a cadere per terra e prendere a contorcersi in agonia, nel mezzo di una macchia di sangue che si allargava, invece, con una rapidità agghiacciante e innaturale.

«Tch. Tanto peggio per te, stupida.»

Le parole di Robert scrollarono Ferid dal torpore dello shock e ignorando la rabbia di lui e le armi di cui era dotato si gettò sul pavimento e tentò – in realtà del tutto invano – di soccorrere la piccola donna. La ferita era profonda, la lama quasi le passava la magra coscia da parte a parte e l’abbondante sanguinamento gli fece temere un danno all’arteria femorale. Tuttavia era tutto fuorché medico e non sapeva che cosa fare per aiutarla; in verità temeva di fare peggio ancora.

«K-Krul, calmati.» fu la sola cosa che riuscì a dire in tono tremante. «Chiamo un’ambulanza subito.»

Krul contenne a malapena i lamenti e gli afferrò con forza la tuta sul braccio. Il suo viso era già impallidito vistosamente, ma i suoi occhi sembravano risoluti come chi non ha alcuna paura.

«Ferid… Ferid.» fece lei in un sospiro sofferente. «Mi dispiace… in ottobre, io…»

«Krul, non ti agitare, devi restare ferma e calma il più possibile! Dammi il telefono!»

Ferid allungò la mano verso Robert, ma lui dopo un iniziale stupore lui scoppiò in una risata fredda e crudele.

«Neanche per idea, Rid. Non mi interessa salvare la tua strega.»

«Chiama tu, se ti preoccupa che possa dire qualcosa di sbagliato, ma chiama i soccorsi!» sbottò Ferid con la voce resa stranamente stridula. «Se pensi che ti perdonerò anche questo devi essere pazzo, molto più pazzo di quanto penso, Robert!»

In qualche maniera quella minaccia lo turbò; il suo sguardo non era più così freddo e così risoluto.

«Sali in macchina in fretta.» gli disse allora. «Li chiamerò quando sarai salito in auto senza fare storie.»

Lo tirò dal braccio e Ferid scambiò uno sguardo con Krul. Sapeva che litigare e puntare i piedi con Robert avrebbe solo consumato ulteriore tempo perché non gli avrebbe mai permesso di restare con lei finché non fossero arrivati i medici. Pur sentendosi devastato si rialzò in piedi e si lasciò spingere verso la porta.

«M-mi dispiace…» ripeté Krul abbandonando la testa sul pavimento, gli occhi fissi su di lui. «Non te l’ho detto…»

«Lo sapevo già.»

Impossibile capire se le lacrime nei suoi occhi fossero per il dolore della ferita, per un’irritazione causata dalla benzina che le era stata versata addosso o se fossero per quell’ultimo frettoloso chiarimento. Ferid si lasciò spingere fuori con il cuore a pezzi al suono dei lamenti sommessi della donna a terra.

«Hai dei vestiti a casa della strega?»

«Ma ti pare che tenga i miei vestiti in una casa dove sono stato due volte? Oltretutto abito a duecento metri da qui!» gli rispose lui brusco. «Non perdere tempo in stupide domande e andiamo!»

Robert fece una faccia disgustata alla vista della tuta grigia macchiata di sangue, ma scrollò le spalle e ripose l’arma; sotto quella mantellina nera non era possibile notarla a meno che non sollevasse il braccio scostandola. Afferrò una tovaglia viola che Krul teneva su uno dei suoi altari wicca, rovesciò tutto quello che c’era sopra – statuine, rametti, frutta secca e una piccola coppa di rame – e gliela gettò fra le braccia.

«Ti cambierai a casa mia. Datti una ripulita al volo e non dare nell’occhio.»

Ferid non fece alcuna obiezione e si ripulì meglio che poteva. Per non tradire la sua presenza non girò lo sguardo verso il negozio dove Mikaela lo doveva stare aspettando, ma sapeva che non si sarebbe mai distratto con le premesse che gli aveva fatto. Salì senza fiatare sul suv nero, ma con un gesto brusco impedì a Robert di mettere in moto.

«Prima i soccorsi, Bobby.»

Robert tese un ghigno da brividi e mise in moto nonostante la sua stretta sul polso.

«Non credo proprio, Rid. Non voglio il mio numero collegato a quella chiamata di emergenza.»

Ferid sarebbe di certo scoppiato, impedendogli di guidare anche a costo di far schiantare il suv contro qualche auto parcheggiata o di farsi sparare lui stesso, se non avesse notato Mikaela.

Con il berretto calato a coprire i capelli biondi e il bavero sollevato era irriconoscibile se non perché sapeva cosa indossava, e camminava con passo veloce non sospetto mentre iniziava a piovigginare. Andava dritto verso la casa, non voltò la testa verso l’auto mentre gli passavano accanto e non si precipitò dentro, ma con un gesto piuttosto naturale estrasse il cellulare.

Ferid rinunciò alla sua ribellione e sedette dritto sul sedile per poi chinarsi leggermente in avanti e appoggiare la fronte sulle mani congiunte con un tremante sospiro. Si sentiva come un inesperto capitano catturato nella tempesta del secolo: le sue tre esistenze – quella inglese, quella sregolata e quella nuova – non erano più sigillate e stavano collassando in una soltanto, con i protagonisti delle rispettive saghe che cominciavano a interagire generando il caos. Restava da chiedersi come e quando il protagonista assoluto del libro più nuovo si sarebbe mosso e se questo sarebbe bastato a salvare una situazione disperata.

Strinse le dita intrecciate e serrò di più gli occhi. Al momento poteva solo affidare Krul a Mikaela, se stesso a Crowley, e tutti loro a Dio.

 

*

 

La libreria del soggiorno di Dirk Todd era così alta che anche stendendo il braccio Crowley faticava ad arrivare ai volumi sull’ultimo scaffale, e per questo era stata apposta una scaletta con una guida che scorreva in cima al mobile. Crowley salì un paio di pioli per leggere i titoli sui volumi in alto, che a differenza delle enciclopedie da collezione e ai codici legislativi avevano l’aria disordinata essendo tutti di dimensioni diverse e rilegati in copertine di cartone economico.

Alle sue spalle De Stasio guardava in giro per la stanza, in particolare nei dintorni dell’angolo bar. Justine, a disagio, si stringeva lo scialle addosso e assomigliava molto di più alla timida, giovane donna che avevano visto in lei alla biblioteca.

«Se ha la chiave dell’appartamento la vostra relazione dev’essere a un certo punto, signorina Lafaye.» osservò De Stasio in un tono così casuale da pensare stesse seduto alla caffetteria a fare pettegolezzi. «Da quanto tempo vi frequentate esattamente?»

«Beh… noi… usciamo sul serio solo da maggio scorso… ma ci siamo conosciuti prima, e parlavamo soprattutto online, Dirk è un uomo molto impegnato…»

«Da quando è venuto qui a New Oakheart?»

«Sì… sì, all’incirca da allora.»

Te la sei lavorata per bene, Warren… schifoso perverso, tratti anche lei come hai trattato Ferid.

Crowley ripose con una certa foga il voluminoso dizionario di tedesco che aveva trovato là in cima. In completa onestà non c’era un singolo aspetto di Robert Warren che gli facesse pensare che non meritasse di essere appeso per i piedi e preso a bastonate come una pignatta. Usava le persone e le gettava via quando non erano più utili ai suoi scopi e di certo, una volta consumata la sua vendetta contro Ferid, si sarebbe sbarazzato anche di quella povera ragazza abbindolata da un uomo bello, affascinante e ricco che le millantava un interesse romantico.

Poi, mentre era affondato in questi pensieri cupi, scovò una manciata di libri più interessanti degli altri. Introduzione all’alta magia, Basi di alchimia, Malefici per principianti, Gli incantesimi di Salomone, Il libro della santeria e Magia antica della Gran Bretagna gli davano molto poco l’idea di letture di formazione di un giovane capo d’industria. Li afferrò tutti grazie alla mano grande e scese dalla scaletta.

«Questi libri sono suoi, che tu sappia?»

La donna lanciò uno sguardo ai libri e per la prima volta parve più a suo agio; si avvicinò e li rigirò tra le mani sfogliandoli con un accenno di sorriso. Dopotutto lei e Ferid avevano una cosa in comune oltre a Robert Warren.

«Beh, credo di sì… non ne parla molto, ma Dirk è un uomo superstizioso… so che porta con sé un certo amuleto che non vuole che nessun altro tocchi, e so per certo che conosce una maga e cartomante che vive nel West End… era stato da lei quando l’ho incontrato la prima volta, perciò… non mi stupisce che legga questa roba.»

Justine gli restituì Malefici per principianti con una scrollata di spalle.

«Ci sono molti nel West End che credono a queste cose, che fanno parte di gruppi di stregoni, comunità magiche della Vecchia Religione… ognuno ha le sue fissazioni, no…? Io ho il vintage, lui la magia… mi sta bene, finché non fa qualcosa di stupido…»

Crowley tacque, chiedendosi se fosse il caso di illustrarle i suoi sospetti, ma preferì non farlo subito. Scorse velocemente gli indici dei libri particolari, facendosi l’idea che fossero quelli che Ferid definiva “una gran risma di sciocchezze”. Malefici per principianti, in particolare, aveva un che di bambinesco per come era scritto e per il tipo di magie che offriva, come quello per rendere una coppia litigiosa o uno per riempire una rivale in amore di foruncoli.

Tuttavia, ricordava di essere incappato in alcuni testi di pessima fattura quando si era approcciato allo studio della psicologia criminale qualche anno prima, piazzandoli con delusione in cima allo scaffale della libreria. E se anche Robert Warren avesse scartato questi libri privi di contenuti interessanti fuori dalla sua vista e avesse cercato e conservato testi più consoni sugli stessi argomenti?

Prese a cercarli con lo sguardo, anche se le copertine in pelle tutte simili lo scoraggiavano; virò verso lo studio a caccia di altri scaffali di libri e vi era appena entrato quando gli squillò il cellulare. Gettò un’occhiata invelenita al display, ma rispose comunque a Mikaela.

«Scusami, Mikaela, ma sono un po’ impegnato.»

«Non importa, devi ascoltarmi.»

Crowley, che di norma riceveva delle scuse e una chiamata ore più tardi, restò sorpreso dal suo tono di voce ancora più che dalle sue parole. La sua voce tremava appena, sembrava scosso. Pensò al presunto tradimento di Yuu di qualche giorno prima ma seppe per mezzo del suo settimo senso irlandese che non era questo il motivo della sua agitazione.

«Cos’è successo?»

«Mi dispiace tanto, Crowley, io… io ho perso Ferid.»

«Perso Ferid? In che senso, perso?»

Ascoltò il racconto conciso di Mikaela sulla loro evasione con un senso di gelo che gli opprimeva il petto e inconsciamente si massaggiò all’altezza della cicatrice. Non riusciva a spiccicare una parola, era atterrito nel sentire delle minacce di Warren e del pericolosissimo consenso di Ferid a cedere.

«Sono usciti insieme dalla casa e l’ha portato via, non ho potuto seguirli… vedi, quella donna, Krul, era ferita gravemente alla gamba. È stata accoltellata e… ho dovuto restare mentre arrivavano i soccorsi. Dovevo limitare l’emorragia.»

Avrebbe voluto dirgli che aveva fatto la scelta più saggia, ma aveva la bocca impastata. Cercò nello studio un goccio d’acqua, ma non ne trovò.

«Perdonami, Crowley.» fece Mikaela in un soffio. «Mi dispiace. Non dovevo assecondarlo, non dovevo permettergli di entrare da solo. Dovevo chiamarti subito.»

«Io…»

Crowley sospirò e si passò la mano nei capelli. I suoi pensieri correvano a velocità crescente come il battito del cuore.

«Lei… Krul come sta?»

«I paramedici l’hanno appena portata via… la portano al Dalton. Non so dirti altro…»

«Invece qualcosa puoi dirmi.» lo contraddisse, sentendosi più lucido man mano che la sua immaginazione correva a orrendi scenari. «L’hai visto portarlo via. Che macchina era?»

«Una Mercedes… un SUV Mercedes, nero… forse un GLC. Perdonami, Crowley, della targa ricordo solo due numeri, otto e sei. Mentre mi avvicinavo la targa era coperta da un altro veicolo parcheggiato in strada, e non volevo che mi notasse.» gli riferì Mikaela, con angoscia crescente nella voce. «Però la tuta che Ferid indossa è grigia e dev’essere sporca di sangue… credo abbia cercato di assistere il suo capo, ci sono le impronte degli stivali sul pavimento e segni di strisciate… credo si sia inginocchiato. C’era molto sangue, deve per forza essersi sporcato.»

«In che direzione sono andati?»

«Hanno preso Ashland Street nella direzione da cui siamo venuti noi, teoricamente verso Satbury.»

«Lo troverò io, Mikaela. Lascia le tue deposizioni agli agenti e torna a casa. Ti richiamo più tardi.»

Crowley chiuse la chiamata senza aspettare una risposta e compose un altro numero. Non era arrabbiato con Mikaela, perché le circostanze erano gravi e Ferid era molto abile a persuadere quando voleva, ma anche se avesse voluto recriminare su qualcuno quello non era certo il momento per farlo.

Warren ha Ferid… devo riprendermelo prima che gli succeda qualcosa.

«Manny, sono io.» disse quando Manah Nandi gli rispose alla centrale. «È un’emergenza, quindi ascoltami bene. SUV nero, Mercedes, probabilmente GLC. La targa contiene i numeri otto e sei. A bordo due uomini e uno dei due è stato sequestrato. Sono partiti pochi minuti fa dal West End, Ashland Street, presumibilmente in direzione Satbury. Voglio tutti i posti di blocco possibili.»

«GLC… otto e sei… Ashland…» ripeté lui appuntandoli. «Crowley, che è successo? C’entra con…?»

«Il sospettato è armato e pericoloso. Dirama l’avviso a tutte le pattuglie di tutti i distretti. È il Vampiro di West End.»

Manny sospirò rumorosamente, colto di sorpresa dalla rivelazione. Non rispose al suo interlocutore ma lo sentì diramare l’allarme a tutte le pattuglie via radio dalla sua postazione. Una volta certo che avesse dato tutte le informazioni chiuse la chiamata e uscì dall’ufficio veloce come un gatto sorpreso dalla pioggia battente.

La finiamo oggi, bastardo.

Istintive domande vennero suscitate in Justine e De Stasio quando videro la sua espressione mentre li ignorava puntando dritto alla porta dell’appartamento, ma bastò dire “lui ha Ferid” che De Stasio rinunciò a ogni ulteriore spiegazione e lo lasciò andare, accollandosi senza parole la gestione della testimone inconsapevole.

Un partner di lavoro tanto intelligente, affidabile ed empatico era la benedizione di cui aveva bisogno: la polizza assicurativa che gli permise, in quel frangente, di seguire soltanto il suo cuore.

 

   
 
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