Shinjuku,
sede di Visualize
“Si può sapere dove diavolo
sei stato?”
Stiles irruppe nel suo ufficio nella sede di Visualize, e si diresse
verso la
scrivania di elegante legno di noce, che trovò
già occupata; il suo “rampollo”
se ne stava stravaccato sulla poltrona in stile Inglese, con tanto di
caviglie
incrociate sull’elegante piano di cuoio, come se tutto gli
fosse dovuto, come
se tutto fosse già suo. Era calmo e pacato, sicuro di
sé, e teneva le mani
bellamente incrociate sullo stomaco, in una posizione che denotava
rilassamento
e fiducia nelle proprie capacità. “Mi devi la
vita, razza di scarafaggio che
non sei altro, e ti conviene portarmi il dovuto rispetto se non
vuoi…”
Stiles puntò il dito verso
l’uomo,
sibilando a denti stretti le parole con tono minaccioso ed occhi velati
di
rosso; non finì la frase, perché cosa volesse
dire era ben chiaro ad entrambi.
“Non ti hanno insegnato a stare attento
a cosa dici davanti ad una signora?” L’uomo con la
cicatrice sul volto fece un
cenno verso il divano nell’angolo, e Stiles si
voltò, trovando, seduta con le
mani in grembo, la pecorella dai capelli rossi che tanto lo aveva
affascinato:
Kaori Makimura.
“Che cosa ci fa lei qui?”
Tuonò,
sbattendo un pugno sul piano della scrivania che fece tintinnare i vari
ninnoli
che vi erano posati sopra. “Lei non è uno dei tuoi
giocattoli!”
“Ti ricorda Grace VanPelt, vero? Quella
graziosa rossa che non sei mai riuscito a scordare e che non hai mai
avuto…”
sospirò, con uno sguardo a metà tra il sognante e
l’ironico, ridendo del suo
avversario. “Neanche facendola sedurre dal tuo cocco sei
riuscito a farla
vacillare, la sua vera fede era
troppo solida. E alla fine hai perso uno dei tuoi accoliti
migliori.”
Il viso di Stiles era come una roccia:
sembrava che niente potesse farlo vacillare, ferirlo,
intimorirlo… Raggiunse il
più giovane uomo dall’altra parte della scrivania
e gli afferrò le caviglie,
spostandole con determinazione ed una forza insolita per un uomo della sua età,
ma non lui, che aveva una
volontà di ferro ed un controllo completo sul suo corpo
grazie alla sua
indomita mente.
“Ti conviene fare attenzione,
figliolo…” si limitò a dire, con
un’espressione che valeva ben più di mille
parole.
“Non chiamarmi figliolo,
Bret.” L’uomo
sibilò, sbattendo il pugno sul tavolino con rabbia cieca.
“Timothy Ferragut era
mio padre, e tu l’ha
lasciato morire
per poter prendere il suo posto alla guida di questo circo!”
“Tuo padre si è ubriacato ed
ha
bruciato uno stop, non dare a me colpe di altri…”
La voce di Stiles era poco
più di un sibilo.
“Mio padre era astemio, tu
l’ha convinto a bere e salire su
quella macchina, con i tuoi maledetti trucchetti
mentali…” si mise in piedi, e
mentre camminava per la stanza, scoppiò a ridere, di una
risata pazza, maniacale.
“E vuoi sapere una cosa? Anche se ho sempre saputo che eri tu
che avevi ucciso
mio padre, io stesso ho imparato tutti i trucchi del mestiere:
guardala!” in
modo teatrale, indicò Kaori, seduta sempre nella stessa
medesima posizione, gli
occhi bassi e vitrei, quasi fossero privi di vita.
“Arrendevole e silenziosa,
proprio come piacciono a te. Non sei contento?”
“Dobbiamo…
devi lasciarla andare. Non ricorderà nulla e
sarà come se niente
fosse successo… ma lei deve andarsene, non fa parte dei
nostri piani.” Stiles
prese un respiro profondo e mise una mano sulla spalla del giovane;
cercò i
suoi occhi, e parlò con voce quasi implorante mentre
stringeva il tessuto della
giacca elegante. “Ed il suo partner è
già venuto a ficcare il naso in giro.
Quell’uomo è pericoloso, potrebbe essere la nostra
rovina.”
“Sì, Saeba… mi
hanno detto che era
stato qui… anzi, ti aveva preparato una bella sorpresa, ma
purtroppo non aveva
avuto il tempo di farti vedere cosa aveva preparato per
te…” L’uomo con la
cicatrice proruppe in una fragorosa risata mentre scostava Stiles con
un gesto
quasi di stizza, andando ad osservare Shinjuku e Tokyo
dall’ampia vetrata.
“Dalla morte di mio padre, mia madre ed
io abbiamo sempre fatto come volevi tu. Abbiamo seguito i tuoi
insegnamenti, ed
i tuoi ordini. Volevi che ci facessimo da parte? Pronti! Ti serviva
qualcuno
nelle forze dell’ordine per tenerle d’occhio? Io mi
sono creato il curriculum
perfetto, ho persino cambiato nome per te e questo… pozzo di
ipocrisia!!” Si
voltò verso Stiles, la sua voce era ferrea e velenosa, colma
di rabbia. Prese a
camminare verso l’uomo che per lui era stato come un
padre-padrone, e che si
era macchiato della morte di colui che gli aveva dato realmente la
vita.
Cos’altro nascondeva Stiles, si chiese? Ma soprattutto, come
sarebbe potuta
essere la sua vita se Timothy Farragut non avesse bruciato quello stop?
“Mi
sono insinuato nella vita di Teresa per farla mia, perché tu
volevi che lei e Jane fossero
tenuti d’occhio, e quando
stavo per averla, tu hai preferito quello… quel numero da
baraccone a me! ME!”
“Figliolo…” Stiles
prese a camminare
verso il muro, le mani alzate come a creare una barriera, per quanto
flebile,
tra lui e quell’uomo sul cui volto leggeva determinazione e
rancore.
“Non. Chiamarmi. Figliolo!” Fu ammonito, prima che
l’altro iniziasse a
ridacchiare. “Diciamoci la verità, a te rode che
lei sia mia, ora. Tu l’avresti
voluta tutta per te. Ma sai che ti dico? Tu e questi pezzenti mi avete
fatto
penare una vita intera, mi meritavo un giochino nuovo…. e me
lo sono preso!”
“UN
GIOCHINO?!” Stiles urlò con tutto il fiato che
aveva in gola, richiamando
l’attenzione di David e di Jason Cooper, il suo vicario, che
irruppero nello
studio facendo sbattere le porte contro il muro. “Non avrei
dovuto permettere a
McAllister di farti entrare nella sua cricca, quel pazzo non aveva mai
capito
nulla, non sapeva guardare più in là del suo
naso.”
Ormai faccia a faccia, Stiles strinse i
denti e serrò i pugni, fissando con odio quel giovane che
continuava a
guardarlo con aria di sfida, come se lo stesse prendendo in giro.
“Avrei dovuto
ascoltare il mio istinto e uccidere
anche te e quella vacca di tua madre, stronzetto che non
sei altro.”
“Forse avresti fatto bene a
farlo.”
Alla nomina della madre, l’uomo vide rosso, e
schiaffeggiò il leader della
setta con tutta la forza che aveva, così forte che
l’anziano perse l’equilibrio
ed andò sbattere
contro il muro,
vacillando. Stiles, barcollando, gli si lanciò incontro, ed
il giovane non
provò nemmeno ad evitarlo, anzi, lo accolse nelle sue
braccia… piantandogli
nello stomaco il coltello che Ryo aveva nascosto nel palazzo giorni
prima.
Stiles cadde a terra, tenendosi la ferita, disperatamente cercando di
arginare
l'emorragia, ma tuttavia, c’era ben poco che potesse fare:
sentiva sempre di
più le forze venirgli meno, la sua vista si faceva sempre
più sfocata, e
sentiva freddo, un freddo che non aveva mai sentito prima di allora.
Fece per rialzarsi, ma il giovane gli
diede un calcio nella pancia, il suono sordo, forte, potente, come se
avesse
colpito un pallone da calcio. “Scordatelo,
padrone… adesso i giochi li conduco
io… come sarebbe dovuto sempre essere!”
sibilò, continuando a prenderlo a
calci, fino a che Stiles non rantolò, il sangue gli colava
dall’angolo delle
labbra e gli occhi, cerulei, che fissavano, spalancati e senza vita, il
soffitto.
Il giovane, col viso macchiato da
schizzi di sangue, si sistemò la giacca e strinse il nodo
della cravatta, e
pulì il coltello sulla manica della giacca, incurante delle
striature vermiglie
che lasciò sul prezioso tessuto, e posò il
coltello con delicatezza e quasi
dedizione sulla scrivania, fissando l’oggetto orgoglioso,
sospirando.
“Avete forse qualcosa da
dire?” Non si
voltò nemmeno a guardarli, mentre faceva schioccare la
lingua, ma i due uomini
rimasero in silenzio, ed egli lo
interpretò come una forma di assenso. Sorrise
compiaciuto, gonfiando il
petto. “David, sbarazzati del corpo. E Jason…
diffondi la notizia che Padre
Stiles è momentaneamente indisposto e lascia al figlio di
Timothy Ferragut, che
è finalmente è tornato all’ovile, la
cura della creatura di suo padre.”
Mentre gli uomini se ne andavano
trascinando il corpo privo di vita e lasciando una scia di sangue sul
lindo
pavimento di marmo, il giovane Ferragut si avvicinò a Kaori
e le diede un
buffetto sulla guancia, senza guardarla in viso.
“Ah, Kaori, Kaori, Kaori…
cosa ne farò
di te e del tuo innamorato?” sussurrò, la sua voce
era così bassa che pareva
quasi stesse parlando tra sé e sé.
“Chissà… forse potrei farvi risorgere
dalle
ceneri… anzi, mia bella dea dell’amore, mi hai
fatto venire proprio una bella
idea...”
Perso tra le parole del suo pazzo
monologo, non vide la singola lacrima che le scendeva
dall’angolo dell’occhio.
Tokyo,
la casa/clinica del Professore
Ai due lati opposti della casa che
fungeva anche da clinica all’enigmatico anziano che molti
anni prima aveva
salvato la vita ad un Ryo ancora ragazzino, due persone urlavano,
ringhiando il
loro disappunto e la loro delusione, un uomo e una donna.
Da una parte, Ryo, che percorreva i
corridoi della clinica fumando come una ciminiera una sigaretta dietro
l’altra,
passandosi le mani tra i capelli ed infierendo contro tutti - Falcon
per averli
ficcati in quel casino con il suo amico, Saeko per non essere stata in
grado di
risolvere da sola quegli omicidi, Mick per aver perso Kaori-
dall’altra, in una
stanza, con Kazue che gli stava medicando la testa, c’era
Jane; seduto sul
letto con una borsa del ghiaccio, cercava di alzare gli occhi al cielo
nonostante il dolore che gli procurava alle parole della donna che se
ne stava
con le mani sui fianchi davanti a lui, a braccia incrociate, con uno
sguardo
che sembrava urlare mammina delusa; nonostante
la situazione, Saeko trovava il tutto quasi surreale, e non poteva fare
a meno
di ridacchiare sotto ai baffi a quella curiosa visione: si era
abituata, in
quei pochi giorni, a vedere in Jane un uomo freddo, composto, cinico e
a
momenti crudele. Eppure… eppure, stava mettendo il muso come
un bimbetto
qualsiasi alla vista di quella donna.
“Non che non siamo grati di averti qui,
capo, ma come hai fatto a sapere dove trovarci?” Cho le
domandò a braccia
incrociate.
“Non lo so, Cho, forse che ho passato
più di metà della mia vita nelle forze
dell’ordine e magari qualcosa l’ho
imparato? O magari, semplicemente, immaginare che mio marito abbia
fatto
un’idiozia abissale e mi abbia mentito ancora, di nuovo,
nonostante tutte le
sue belle parole, per uno qualsiasi dei suoi motivi idioti è
la mia forma
mentale?” Fece una pausa, sospirando ad occhi chiusi.
“Sinceramente, che
nessuno di voi abbia pensato che forse avrei potuto fare qualche
domanda in
giro quando questo buffone non mi ha risposto al telefono…
nemmeno fossi stata
una cretina. E per di più, avete parlato con Whiley? Quel
ragazzo non è in
grado di mantenere un segreto quando è sotto pressione,
soprattutto quando sono
io ad interrogarlo. Potevate almeno scegliere un complice
più decente.”
“Senti, lo so che sei arrabbiata, ma
stavolta, Teresa, posso davvero spiegarti tutto,”
cercò di giustificarsi il
consulente dell’FBI. “Sul serio.”
“Non me ne frega un accidenti di cosa
mi puoi o non mi puoi spiegare, Jane.” Sibilò il
suo cognome, tanto per fargli
capire quanto fosse arrabbiata con
lui e delusa dal suo comportamento, ferita; a volte, le sembrava che
per quanti
passi avanti facesse con lui, ne facessero altrettanti indietro.
“Da te ormai
mi aspetto di tutto e di più, anche se avrei sperato che da
uomo sposato e
padre di famiglia, prima di prendere un aereo per volare dall'altra
parte del mondo
e mettere in apprensione un serial killer e farlo agire più
velocemente, mi
avresti perlomeno informata invece di sparare
cazzate…”
Il mentalista si morse l’interno della
guancia; la cattolicissima Teresa aveva smesso di fare attenzione al
linguaggio: ciò significava che era davvero molto arrabbiata
e che ci avrebbe
davvero messo un po’ a farsi perdonare; prevedeva un lungo
periodo da passare a
dormire sul divano, una volta tornati ad Austin.
“...Ma voi due? Si può sapere
cosa
diavolo vi è saltato in mente di lasciarvi trascinare in
questa faccenda da
questo emerito imbecille?” Teresa sbraitò, in
direzione di Abbott e Cho, che
stavano con le mani in tasca e il capo chino, pronti ad essere sgridati
per le
feste. “Cho, quando sei riuscito ad entrare
all’accademia di Quantico dicevi
sempre che a causa sua…” indicò il
marito senza guardarlo negli occhi,
facendolo sentire piccolo ed inutile. “Avevi faticato molto
di più degli altri
cadetti perché, solo per essere suo collega, venivi additato
come una testa calda.
E lei, Abbott… lei è l’uomo che era
così ligio al dovere che ha distrutto dalle
fondamenta l'intero corpo di polizia statale della California, lei
è sempre
stato ligio alle regole… e cosa mi fa? Fate
l’allegro trio e ve ne venite in
Giappone a seguire Stiles senza un piano!”
“Ehy, noi avevamo un piano!”
Jane
sbuffò, alzando la voce con un acuto che gli
provocò un attacco di emicrania,
un dolore pulsante al livello delle sopracciglia. La sua
“squadra” si voltò a
guardarlo con disappunto, mentre Saeko si limitò a fare un
sorrisetto e
sollevare un sopracciglio, divertita da quel teatrino
dell’assurdo che tutto
sommato le stava risollevando l’animo.
“Va bene, d’accordo, non era
proprio un
piano, era… una bozza di piano. Un’idea.”
Teresa rimase in silenzio, considerando
cosa dire; non voleva essere cattiva o offensiva, ma la tentazione di
riversare
addosso a Jane velenose parole al vetriolo cariche della frustrazione
di anni,
accumulatesi con ogni idiozia che lui aveva la brillante idea di
mettere in
campo era davvero molto forte.
Stringendo la croce che aveva al collo,
chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, cercando di ritrovare la
sua
stabilità emotiva, per quanto buona parte del suo equilibrio
mentale fosse,
parole sue, volato fuori dalla finestra quando aveva incontrato il
cretino che
aveva finito con lo sposare.
“Jane, saltare su aereo per investigare
una serie di omicidi apparentemente non collegati che potrebbe o no
essere
collegato a Visualize ed intrufolarti sulla scena di uno dei crimini
perché nei
film di Hitchcock l’assassino ritorna sempre sul luogo del
delitto non è un
piano, è un comportamento maniacale di un uomo che ha
problemi con la fiducia,
con le autorità e con la giustizia.” Gli disse con
una calma che era lungi dal
provare realmente. “Un piano, è chiedere al tuo
capo di contattare l’ispettrice
Nogami, che tra l’altro ti ha salvato le chiappe quindi vedi
di ringraziarla,
per confrontare le ipotesi investigative e le prove. Poi
si sale su un aereo e si vola dall'altra parte del mondo,
preferibilmente dopo averlo detto alla donna che si è
sposato, la stessa donna
che, vorrei ricordarti, ha rinunciato a un’ottima posizione a
Washington per
te, nonostante tu fossi un bugiardo manipolatore cronico, quindi un
po’ di
gratitudine ogni tanto sarebbe gradita.”
Jane non provò a difendersi: sapeva che
su quei punti era indifendibile; ma, si diceva, Teresa a quel punto
avrebbe
dovuto conoscerlo, e sapere che quando si ficcava in testa qualcosa lui
andava
fino in fondo, e che quando John il Rosso era in mezzo alla bolgia
della sua
esistenza, lui era come se camminasse coi paraocchi, focalizzato su un
solo
obiettivo.
“Giusto perché tu lo sappia,
dubito
fortemente che la cara ispettrice Nogami abbia incaricato formalmente
Saeba di
affiancarla nelle indagini- anche perché ho fatto un
po’ di controlli in giro,
e, posto che non sia un nom de guerre, non ho trovato riscontri ufficiali nell’area urbana di
Tokyo di un maschio adulto chiamato
Ryo Saeba.” Jane ridacchiò, malefico, con quello
sguardo da gatto che si era
finalmente pappato il canarino, e fissò dritta negli occhi
Saeko, che si sentì
raggelare, come se quell’uomo fosse in grado di scrutarle
dentro. “In compenso
girano parecchie voci nella vostra città, del fantomatico
giustiziere City
Hunter, che lavorerebbe appoggiato nell’ombra da un alto
dirigente delle forze
dell’ordine. O mi sbaglio?”
“Sweeper. Sono uno sweeper, mister
Jane. Uno spazzino. Credevo di averglielo spiegato.” La voce
di Saeba lo
contraddisse, calma e decisa; Ryo entrò con passo felpato
nella stanza,
torreggiando su quasi tutti loro con la sua possente statura ed il suo
fare
sicuro, deciso, quasi letale. Si era cambiato rispetto a quando si era
recato
alla sede di Visualize, lasciando perdere il completo da damerino, come
lui li
chiamava, ed optando per una maglietta nera ed un completo di un beige
chiarissimo.
Con un sorriso disarmante, si voltò verso Teresa che,
nonostante avesse amato
Jane dal primo momento in cui i loro occhi si erano incrociati,
arrossì come
una ragazzina, e fu colta da un improvviso attacco di timidezza.
“Ryo Saeba - e
lei deve essere l’agente Teresa Lisbon di cui tanto ho
sentito parlare…”
“Già, ed è anche
molto sposata e molto
madre di mio figlio, quindi…” Jane, su piedi un
po’ incerto, si alzò,
sistemandosi fisicamente tra la moglie e lo sweeper,
mostrando il più letale e maligno dei suoi
sorrisi, non sapendo che genere d’uomo fosse quel Saeba.
“A proposito, cos’è
questa storia che ho sentito della sua ragazza che è stata
rapita?”
Ryo cambiò all’improvviso, e
queste
fece venire una gran voglia a Jane di ficcanasare nella vita di
quell’uomo
misterioso: era arrossito, era divenuto rigido, sfuggiva lo sguardo del
mentalista e si grattava, nervoso, il collo. “Cosa, ma no,
Kaori mica è la mia
ragazza, noi viviamo solo insieme e lavoriamo insieme e ci conosciamo
da tanti
anni, quindi sì, magari ci preoccupiamo anche l’un
per l’altro, ma mica vuole
dire niente, eh, eh, eh…”
“Quindi Kaori è la sua
Pussy…” Ryo
sgranò gli occhi, vedendo rosso, e come un cane rabbioso
afferrò Jane per il
colletto della camicia e lo sollevò da terra, sotto gli
occhi spaventati e
stupiti di tutti i presenti, che accorsero in aiuto del biondo
riccioluto prima
che Ryo potesse tirare fuori la sua amata Python e fargli un buco in
mezzo alla
fronte.
“Cosa hai detto di Kaori? Ripetilo se
ne hai il coraggio!” Lo minacciò, e Jane,
nonostante stesse iniziando a sudare
freddo, non poté fare altro che compiacersi
dell’essere stato in grado di
causare una simile risposta emotiva nell’apparentemente
impassibile uomo - e
meno male che Kaori doveva essere solo la sua collega!
“Signor Saeba, per quanto comprenda il
suo desiderio di prendere a pugni mio marito, cosa che io stessa ho
fatto in
ben più di un’occasione, mi duole tuttavia
chiederle di lasciarlo andare. Temo
che questo non sia altro che un problema di comunicazione: Jane non
intendeva
dire che la sua partner fosse una donna di, ehm, facili
costumi, ma si riferiva a Pussycat, il gatto che vive a casa
nostra, e che Jane asserisce essere il nostro gatto perché
noi lo nutriamo, lo
portiamo dal veterinario, l’abbiamo sterilizzato, dorme al
fondo del nostro
letto, e…” Teresa sgranò gli occhi,
arrossendo, e si morse la lingua- non
riusciva a credere di star giocando allo stesso gioco di Jane,
di… di aiutarlo
così!
“Okay, va bene, allora…
perché non la
smettiamo di comportarci come bambini dell’asilo e iniziamo a
pensare alle cose
importanti?” Prese un grosso respiro e si morse le labbra
prima di proseguire.
“La sua amica. Sapete chi l’ha presa? Stiles? Uno
dei suoi?”
“In realtà,
nessuno.” Appena sentì il
dolce accento del sud della California che tanto le era mancato e che
tanto
sapeva di casa- Austin non sarebbe mai stata Sacramento, Austin le era
stata
imposta, Sacramento era quel posto che il caso aveva scelto per lei
quando,
giovane donna, aveva lanciato una moneta sulla cartina degli Stati
Uniti -
Teresa fece un sorrisetto sotto ai baffi e si voltò in
direzione della voce;
all’ingresso della camera c’era un uomo, forse
leggermente più giovane di loro,
vestito con un impeccabile completo bianco e una camicia azzurra, con
tanto di
guanti in pelle. Si avvicinò a Teresa e, presale la mano
destra nella sua, le
fece un delicato baciamano. “Michael Angel, dolcezza. Ma puoi
chiamarmi Mick.”
“Ribadisco: Teresa è mia
moglie!” Jane
asserì con tutta calma, tuttavia i suoi occhi avevano un che
di minaccioso, che
fece sorridere dietro ai baffi Mick; aveva sentito storie su
quell’uomo ai
tempi in cui viveva in California, ci aveva impiegato oltre dieci anni,
ma era
riuscito a mettere all’angolo un uomo che aveva
all’attivo almeno una quarantina
di vittime ufficiali: non aveva il benché minimo dubbio che,
avesse voluto,
avrebbe potuto distruggerlo, ne aveva le capacità,
nonostante non possedesse le
abilità “tecniche” sue e di Ryo. Ma
Jane, forse per questo, era un nemico
ancora più pericoloso: era intelligente,
meticoloso… e paziente. Molto.
“Eh, che vuole che le dica, signor
Jane, a me le donne
impegnate piacciono,
e pure parecchio!” Gli rispose, sornione, scrollando le
spalle con nonchalance
e facendo l’occhiolino alla bella Teresa, che, tuttavia, non
si sciolse
minimamente davanti al suo fascino e alla sua classe; si
limitò ad alzare un
sopracciglio e osservarlo con aria di sufficienza, come se fosse stata
una
cartaccia da levare dal suo cammino con la punta delle scarpe, mentre
invece lo
sguardo che riservò al marito fu molto più
seccato, come per dirgli che sapeva
cavarsela da sola e non aveva bisogno che lui le coprisse costantemente
le
spalle.
“Mister Angel, mi duole ammettere che
il suo fascino su di me ha poco… aplomb.
E mi creda, non è certo perché sono sposata con quello.” Sottolineò
la parola congelando il
marito. “No, il fatto è che lei è
identico
a quell’idiota quando perse la memoria e cercò di
portarmi a letto per
dimostrare semplicemente che poteva riuscirci. Elegante, persuasivo,
seduttivo,
ma un maiale pervertito che è stato sfiorato da un
proiettile che mi era
casualmente partito dalla pistola.”
Mick ingoiò a vuoto, avvertendo inoltre
gli occhi furenti di Kazue, sua fidanzata, su di lui; aveva capito
l’antifona:
la virtù di Teresa era protetta da un marito vendicativo, da
un’infermiera
dall’incavolatura facile (ma giustificata) e da Teresa
stessa, una poliziotta
dal grilletto facile. Già, avrebbe fatto meglio a starsene
buono, e comunque,
come lo sguardo feroce di Ryo gli suggeriva, c’erano cose
più importanti di cui
discutere.
“Sì, sì,
sì, va bene, comunque tornando
alle cose serie, non ti avevo detto di tenere d’occhio Kaori,
testa di rapa?”
Ryo sbuffò, le mani sui fianchi, rivolgendo
un’occhiata gelida a Mick; aveva
casualmente spostato leggermente la giacca, lasciando libera alla vista
la
fondina che custodiva la sua fidata Python .
“Tsè, ci scommetto che il
pivello
faceva il pervertito con qualche bella ragazza invece di fare il suo
lavoro,” Falcon
sogghignò dietro gli occhiali
scuri.
“Guardate che vi sbagliate di grosso,
tutti e due!” Il biondo sbottò, offeso e colpito
nell’orgoglio. “Kaori è andata
da Eriko come quasi tutti i giorni, quando è stata
l’ora della pausa pranzo è
uscita da sola, si è
incamminata da
sola verso il solito bar dove pranza e poi… e poi non lo so,
si è infilata in
una stradina e quando l’ho raggiunta era sparita, ma giuro
che non c’erano
segni di colluttazione, e sappiamo tutti che Kaori non è
esattamente una che
sta con le mani in mano se provano a prenderla!”
“Com’era la sua postura? Il
suo
sguardo?” Jane chiese all’improvviso. “Le
è sembrata assente, abbattuta?”
“Beh, sì, ma lei ultimamente
era di
cattivo umore e avevo pensato che….”
“Beh, hai pensato male, Angel! E se le
capita qualcosa giuro su Dio che mi supplicherai di ammazzarti quando
avrò
finito con te.” Ryo sibilò, con tutta calma,
mentre sollevava Mick per la
cravatta, facendogli mancare il fiato. Non smetteva di guardarlo negli
occhi,
con un’espressione rancorosa ma carica di determinazione, che
mise sul chi va
là i suoi “compagni, che quello sguardo lo
conoscevano bene: non era Ryo,
nemmeno City Hunter: quello, era l’angelo della morte, il
killer spietato,
determinato e vendicativo.
“Non se la prenda con il suo amico,
Saeba, se ho ragione io, lui non poteva fare nulla per
fermarla.” Jane,
pensieroso, si picchettò le labbra con l’indice.
“Stiles a Visualize sono
fautori dell’ipnosi, se la sua amica era sotto pressione,
stress o sconvolta
per qualcosa, questo potrebbe averla resa più facilmente
suggestionabile. Ma
questa è una buona notizia: se Stiles ed i suoi
l’avessero voluta morta a
quest’ora avremmo già trovato il suo corpo. Lei
gli serve viva, per qualcosa.”
Il telefono di Ryo squillò con il
veloce trillo di notifica dei messaggi. Sovrappensiero, non si rese
nemmeno
conto che stava controllando la notifica fino a che i suoi occhi non si
sgranarono per la sorpresa e lo shock: veniva dal telefono di Kaori.
Solo poche parole, che gli gelarono il
sangue. Quattro parole.
CI VEDIAMO DOMANI SERA ALLE 23 . SAPETE DOVE
TROVARMI.
Poco più di ventiquattro ore ancora, ed
i loro destini sarebbero stati decisi.