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Autore: Little Firestar84    30/01/2021    5 recensioni
A Tokyo, Ryo Saeba delude ancora una volta la donna che aveva detto di amare, spedendola in una spirale di tristezza e delusione, mentre a Shinjuku un killer semina la morte tra le donne...
A Austin, Patrick Jane scopre che la morte di John Il Rosso potrebbe non essere la fine della sua storia, e che ancora una volta, Visualize e Bret Stiles potrebbero essere connessi alla sua caccia.
Ancora non lo sanno, ma i destini di Ryo Saeba e Patrick Jane sono destinati ad incrociarsi- ed il tutto per il bene delle donne che amano, e in nome del futuro che con loro desiderano creare.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Consultant'
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Shinjuku, sede di Visualize

“Si può sapere dove diavolo sei stato?” Stiles irruppe nel suo ufficio nella sede di Visualize, e si diresse verso la scrivania di elegante legno di noce, che trovò già occupata; il suo “rampollo” se ne stava stravaccato sulla poltrona in stile Inglese, con tanto di caviglie incrociate sull’elegante piano di cuoio, come se tutto gli fosse dovuto, come se tutto fosse già suo. Era calmo e pacato, sicuro di sé, e teneva le mani bellamente incrociate sullo stomaco, in una posizione che denotava rilassamento e fiducia nelle proprie capacità. “Mi devi la vita, razza di scarafaggio che non sei altro, e ti conviene portarmi il dovuto rispetto se non vuoi…”

Stiles puntò il dito verso l’uomo, sibilando a denti stretti le parole con tono minaccioso ed occhi velati di rosso; non finì la frase, perché cosa volesse dire era ben chiaro ad entrambi.

“Non ti hanno insegnato a stare attento a cosa dici davanti ad una signora?” L’uomo con la cicatrice sul volto fece un cenno verso il divano nell’angolo, e Stiles si voltò, trovando, seduta con le mani in grembo, la pecorella dai capelli rossi che tanto lo aveva affascinato: Kaori Makimura.

“Che cosa ci fa lei qui?” Tuonò, sbattendo un pugno sul piano della scrivania che fece tintinnare i vari ninnoli che vi erano posati sopra. “Lei non è uno dei tuoi giocattoli!”

“Ti ricorda Grace VanPelt, vero? Quella graziosa rossa che non sei mai riuscito a scordare e che non hai mai avuto…” sospirò, con uno sguardo a metà tra il sognante e l’ironico, ridendo del suo avversario. “Neanche facendola sedurre dal tuo cocco sei riuscito a farla vacillare, la sua vera fede era troppo solida. E alla fine hai perso uno dei tuoi accoliti migliori.”

Il viso di Stiles era come una roccia: sembrava che niente potesse farlo vacillare, ferirlo, intimorirlo… Raggiunse il più giovane uomo dall’altra parte della scrivania e gli afferrò le caviglie, spostandole con determinazione ed una forza insolita per un uomo  della sua età, ma non lui, che aveva una volontà di ferro ed un controllo completo sul suo corpo grazie alla sua indomita mente.

“Ti conviene fare attenzione, figliolo…” si limitò a dire, con un’espressione che valeva ben più di mille parole.

“Non chiamarmi figliolo, Bret.” L’uomo sibilò, sbattendo il pugno sul tavolino con rabbia cieca. “Timothy Ferragut era mio padre, e tu l’ha lasciato morire per poter prendere il suo posto alla guida di questo circo!”

“Tuo padre si è ubriacato ed ha bruciato uno stop, non dare a me colpe di altri…” La voce di Stiles era poco più di un sibilo.

“Mio padre era astemio, tu l’ha convinto a bere e salire su quella macchina, con i tuoi maledetti trucchetti mentali…” si mise in piedi, e mentre camminava per la stanza, scoppiò a ridere, di una risata pazza, maniacale. “E vuoi sapere una cosa? Anche se ho sempre saputo che eri tu che avevi ucciso mio padre, io stesso ho imparato tutti i trucchi del mestiere: guardala!” in modo teatrale, indicò Kaori, seduta sempre nella stessa medesima posizione, gli occhi bassi e vitrei, quasi fossero privi di vita. “Arrendevole e silenziosa, proprio come piacciono a te. Non sei contento?”

“Dobbiamo… devi lasciarla andare. Non ricorderà nulla e sarà come se niente fosse successo… ma lei deve andarsene, non fa parte dei nostri piani.” Stiles prese un respiro profondo e mise una mano sulla spalla del giovane; cercò i suoi occhi, e parlò con voce quasi implorante mentre stringeva il tessuto della giacca elegante. “Ed il suo partner è già venuto a ficcare il naso in giro. Quell’uomo è pericoloso, potrebbe essere la nostra rovina.”

“Sì, Saeba… mi hanno detto che era stato qui… anzi, ti aveva preparato una bella sorpresa, ma purtroppo non aveva avuto il tempo di farti vedere cosa aveva preparato per te…” L’uomo con la cicatrice proruppe in una fragorosa risata mentre scostava Stiles con un gesto quasi di stizza, andando ad osservare Shinjuku e Tokyo dall’ampia vetrata.

“Dalla morte di mio padre, mia madre ed io abbiamo sempre fatto come volevi tu. Abbiamo seguito i tuoi insegnamenti, ed i tuoi ordini. Volevi che ci facessimo da parte? Pronti! Ti serviva qualcuno nelle forze dell’ordine per tenerle d’occhio? Io mi sono creato il curriculum perfetto, ho persino cambiato nome per te e questo… pozzo di ipocrisia!!” Si voltò verso Stiles, la sua voce era ferrea e velenosa, colma di rabbia. Prese a camminare verso l’uomo che per lui era stato come un padre-padrone, e che si era macchiato della morte di colui che gli aveva dato realmente la vita. Cos’altro nascondeva Stiles, si chiese? Ma soprattutto, come sarebbe potuta essere la sua vita se Timothy Farragut non avesse bruciato quello stop? “Mi sono insinuato nella vita di Teresa per farla mia, perché tu volevi che lei e Jane fossero tenuti d’occhio, e quando stavo per averla, tu hai preferito quello… quel numero da baraccone a me! ME!”

“Figliolo…” Stiles prese a camminare verso il muro, le mani alzate come a creare una barriera, per quanto flebile, tra lui e quell’uomo sul cui volto leggeva determinazione e rancore.

“Non. Chiamarmi. Figliolo!”  Fu ammonito, prima che l’altro iniziasse a ridacchiare. “Diciamoci la verità, a te rode che lei sia mia, ora. Tu l’avresti voluta tutta per te. Ma sai che ti dico? Tu e questi pezzenti mi avete fatto penare una vita intera, mi meritavo un giochino nuovo…. e me lo sono preso!”

“UN GIOCHINO?!” Stiles urlò con tutto il fiato che aveva in gola, richiamando l’attenzione di David e di Jason Cooper, il suo vicario, che irruppero nello studio facendo sbattere le porte contro il muro. “Non avrei dovuto permettere a McAllister di farti entrare nella sua cricca, quel pazzo non aveva mai capito nulla, non sapeva guardare più in là del suo naso.”

Ormai faccia a faccia, Stiles strinse i denti e serrò i pugni, fissando con odio quel giovane che continuava a guardarlo con aria di sfida, come se lo stesse prendendo in giro. “Avrei dovuto ascoltare il mio istinto e uccidere  anche te e quella vacca di tua madre, stronzetto che non sei altro.”

“Forse avresti fatto bene a farlo.” Alla nomina della madre, l’uomo vide rosso, e schiaffeggiò il leader della setta con tutta la forza che aveva, così forte che l’anziano perse l’equilibrio ed andò  sbattere contro il muro, vacillando. Stiles, barcollando, gli si lanciò incontro, ed il giovane non provò nemmeno ad evitarlo, anzi, lo accolse nelle sue braccia… piantandogli nello stomaco il coltello che Ryo aveva nascosto nel palazzo giorni prima. Stiles cadde a terra, tenendosi la ferita, disperatamente cercando di arginare l'emorragia, ma tuttavia, c’era ben poco che potesse fare: sentiva sempre di più le forze venirgli meno, la sua vista si faceva sempre più sfocata, e sentiva freddo, un freddo che non aveva mai sentito prima di allora.

Fece per rialzarsi, ma il giovane gli diede un calcio nella pancia, il suono sordo, forte, potente, come se avesse colpito un pallone da calcio. “Scordatelo, padrone… adesso i giochi li conduco io… come sarebbe dovuto sempre essere!” sibilò, continuando a prenderlo a calci, fino a che Stiles non rantolò, il sangue gli colava dall’angolo delle labbra e gli occhi, cerulei, che fissavano, spalancati e senza vita, il soffitto.

Il giovane, col viso macchiato da schizzi di sangue, si sistemò la giacca e strinse il nodo della cravatta, e pulì il coltello sulla manica della giacca, incurante delle striature vermiglie che lasciò sul prezioso tessuto, e posò il coltello con delicatezza e quasi dedizione sulla scrivania, fissando l’oggetto orgoglioso, sospirando.

“Avete forse qualcosa da dire?” Non si voltò nemmeno a guardarli, mentre faceva schioccare la lingua, ma i due uomini rimasero in silenzio, ed egli lo  interpretò come una forma di assenso. Sorrise compiaciuto, gonfiando il petto. “David, sbarazzati del corpo. E Jason… diffondi la notizia che Padre Stiles è momentaneamente indisposto e lascia al figlio di Timothy Ferragut, che è finalmente è tornato all’ovile, la cura della creatura di suo padre.”

Mentre gli uomini se ne andavano trascinando il corpo privo di vita e lasciando una scia di sangue sul lindo pavimento di marmo, il giovane Ferragut si avvicinò a Kaori e le diede un buffetto sulla guancia, senza guardarla in viso.

“Ah, Kaori, Kaori, Kaori… cosa ne farò di te e del tuo innamorato?” sussurrò, la sua voce era così bassa che pareva quasi stesse parlando tra sé e sé. “Chissà… forse potrei farvi risorgere dalle ceneri… anzi, mia bella dea dell’amore, mi hai fatto venire proprio una bella idea...”

Perso tra le parole del suo pazzo monologo, non vide la singola lacrima che le scendeva dall’angolo dell’occhio.

Tokyo, la casa/clinica del Professore

Ai due lati opposti della casa che fungeva anche da clinica all’enigmatico anziano che molti anni prima aveva salvato la vita ad un Ryo ancora ragazzino, due persone urlavano, ringhiando il loro disappunto e la loro delusione, un uomo e una donna.

Da una parte, Ryo, che percorreva i corridoi della clinica fumando come una ciminiera una sigaretta dietro l’altra, passandosi le mani tra i capelli ed infierendo contro tutti - Falcon per averli ficcati in quel casino con il suo amico, Saeko per non essere stata in grado di risolvere da sola quegli omicidi, Mick per aver perso Kaori- dall’altra, in una stanza, con Kazue che gli stava medicando la testa, c’era Jane; seduto sul letto con una borsa del ghiaccio, cercava di alzare gli occhi al cielo nonostante il dolore che gli procurava alle parole della donna che se ne stava con le mani sui fianchi davanti a lui, a braccia incrociate, con uno sguardo che sembrava urlare mammina delusa; nonostante la situazione, Saeko trovava il tutto quasi surreale, e non poteva fare a meno di ridacchiare sotto ai baffi a quella curiosa visione: si era abituata, in quei pochi giorni, a vedere in Jane un uomo freddo, composto, cinico e a momenti crudele. Eppure… eppure, stava mettendo il muso come un bimbetto qualsiasi alla vista di quella donna.

“Non che non siamo grati di averti qui, capo, ma come hai fatto a sapere dove trovarci?” Cho le domandò a braccia incrociate.

“Non lo so, Cho, forse che ho passato più di metà della mia vita nelle forze dell’ordine e magari qualcosa l’ho imparato? O magari, semplicemente, immaginare che mio marito abbia fatto un’idiozia abissale e mi abbia mentito ancora, di nuovo, nonostante tutte le sue belle parole, per uno qualsiasi dei suoi motivi idioti è la mia forma mentale?” Fece una pausa, sospirando ad occhi chiusi. “Sinceramente, che nessuno di voi abbia pensato che forse avrei potuto fare qualche domanda in giro quando questo buffone non mi ha risposto al telefono… nemmeno fossi stata una cretina. E per di più, avete parlato con Whiley? Quel ragazzo non è in grado di mantenere un segreto quando è sotto pressione, soprattutto quando sono io ad interrogarlo. Potevate almeno scegliere un complice più decente.”

“Senti, lo so che sei arrabbiata, ma stavolta, Teresa, posso davvero spiegarti tutto,” cercò di giustificarsi il consulente dell’FBI. “Sul serio.”

“Non me ne frega un accidenti di cosa mi puoi o non mi puoi spiegare, Jane.” Sibilò il suo cognome, tanto per fargli capire quanto fosse arrabbiata con lui e delusa dal suo comportamento, ferita; a volte, le sembrava che per quanti passi avanti facesse con lui, ne facessero altrettanti indietro. “Da te ormai mi aspetto di tutto e di più, anche se avrei sperato che da uomo sposato e padre di famiglia, prima di prendere un aereo per volare dall'altra parte del mondo e mettere in apprensione un serial killer e farlo agire più velocemente, mi avresti perlomeno informata invece di sparare cazzate…”

Il mentalista si morse l’interno della guancia; la cattolicissima Teresa aveva smesso di fare attenzione al linguaggio: ciò significava che era davvero molto arrabbiata e che ci avrebbe davvero messo un po’ a farsi perdonare; prevedeva un lungo periodo da passare a dormire sul divano, una volta tornati ad Austin.

“...Ma voi due? Si può sapere cosa diavolo vi è saltato in mente di lasciarvi trascinare in questa faccenda da questo emerito imbecille?” Teresa sbraitò, in direzione di Abbott e Cho, che stavano con le mani in tasca e il capo chino, pronti ad essere sgridati per le feste. “Cho, quando sei riuscito ad entrare all’accademia di Quantico dicevi sempre che a causa sua…” indicò il marito senza guardarlo negli occhi, facendolo sentire piccolo ed inutile. “Avevi faticato molto di più degli altri cadetti perché, solo per essere suo collega, venivi additato come una testa calda. E lei, Abbott… lei è l’uomo che era così ligio al dovere che ha distrutto dalle fondamenta l'intero corpo di polizia statale della California, lei è sempre stato ligio alle regole… e cosa mi fa? Fate l’allegro trio e ve ne venite in Giappone a seguire Stiles senza un piano!”

“Ehy, noi avevamo un piano!” Jane sbuffò, alzando la voce con un acuto che gli provocò un attacco di emicrania, un dolore pulsante al livello delle sopracciglia. La sua “squadra” si voltò a guardarlo con disappunto, mentre Saeko si limitò a fare un sorrisetto e sollevare un sopracciglio, divertita da quel teatrino dell’assurdo che tutto sommato le stava risollevando l’animo.

“Va bene, d’accordo, non era proprio un piano, era… una bozza di piano. Un’idea.”

Teresa rimase in silenzio, considerando cosa dire; non voleva essere cattiva o offensiva, ma la tentazione di riversare addosso a Jane velenose parole al vetriolo cariche della frustrazione di anni, accumulatesi con ogni idiozia che lui aveva la brillante idea di mettere in campo era davvero molto forte.

Stringendo la croce che aveva al collo, chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, cercando di ritrovare la sua stabilità emotiva, per quanto buona parte del suo equilibrio mentale fosse, parole sue, volato fuori dalla finestra quando aveva incontrato il cretino che aveva finito con lo sposare.

“Jane, saltare su aereo per investigare una serie di omicidi apparentemente non collegati che potrebbe o no essere collegato a Visualize ed intrufolarti sulla scena di uno dei crimini perché nei film di Hitchcock l’assassino ritorna sempre sul luogo del delitto non è un piano, è un comportamento maniacale di un uomo che ha problemi con la fiducia, con le autorità e con la giustizia.” Gli disse con una calma che era lungi dal provare realmente. “Un piano, è chiedere al tuo capo di contattare l’ispettrice Nogami, che tra l’altro ti ha salvato le chiappe quindi vedi di ringraziarla, per confrontare le ipotesi investigative e le prove. Poi si sale su un aereo e si vola dall'altra parte del mondo, preferibilmente dopo averlo detto alla donna che si è sposato, la stessa donna che, vorrei ricordarti, ha rinunciato a un’ottima posizione a Washington per te, nonostante tu fossi un bugiardo manipolatore cronico, quindi un po’ di gratitudine ogni tanto sarebbe gradita.”

Jane non provò a difendersi: sapeva che su quei punti era indifendibile; ma, si diceva, Teresa a quel punto avrebbe dovuto conoscerlo, e sapere che quando si ficcava in testa qualcosa lui andava fino in fondo, e che quando John il Rosso era in mezzo alla bolgia della sua esistenza, lui era come se camminasse coi paraocchi, focalizzato su un solo obiettivo.

“Giusto perché tu lo sappia, dubito fortemente che la cara ispettrice Nogami abbia incaricato formalmente Saeba di affiancarla nelle indagini- anche perché ho fatto un po’ di controlli in giro, e, posto che non sia un nom de guerre,  non ho trovato riscontri ufficiali nell’area urbana di Tokyo di un maschio adulto chiamato Ryo Saeba.” Jane ridacchiò, malefico, con quello sguardo da gatto che si era finalmente pappato il canarino, e fissò dritta negli occhi Saeko, che si sentì raggelare, come se quell’uomo fosse in grado di scrutarle dentro. “In compenso girano parecchie voci nella vostra città, del fantomatico giustiziere City Hunter, che lavorerebbe appoggiato nell’ombra da un alto dirigente delle forze dell’ordine. O mi sbaglio?”

“Sweeper. Sono uno sweeper, mister Jane. Uno spazzino. Credevo di averglielo spiegato.” La voce di Saeba lo contraddisse, calma e decisa; Ryo entrò con passo felpato nella stanza, torreggiando su quasi tutti loro con la sua possente statura ed il suo fare sicuro, deciso, quasi letale. Si era cambiato rispetto a quando si era recato alla sede di Visualize, lasciando perdere il completo da damerino, come lui li chiamava, ed optando per una maglietta nera ed un completo di un beige chiarissimo. Con un sorriso disarmante, si voltò verso Teresa che, nonostante avesse amato Jane dal primo momento in cui i loro occhi si erano incrociati, arrossì come una ragazzina, e fu colta da un improvviso attacco di timidezza. “Ryo Saeba - e lei deve essere l’agente Teresa Lisbon di cui tanto ho sentito parlare…”

“Già, ed è anche molto sposata e molto madre di mio figlio, quindi…” Jane, su piedi un po’ incerto, si alzò, sistemandosi fisicamente tra la moglie e lo sweeper,  mostrando il più letale e maligno dei suoi sorrisi, non sapendo che genere d’uomo fosse quel Saeba. “A proposito, cos’è questa storia che ho sentito della sua ragazza che è stata rapita?”

Ryo cambiò all’improvviso, e queste fece venire una gran voglia a Jane di ficcanasare nella vita di quell’uomo misterioso: era arrossito, era divenuto rigido, sfuggiva lo sguardo del mentalista e si grattava, nervoso, il collo. “Cosa, ma no, Kaori mica è la mia ragazza, noi viviamo solo insieme e lavoriamo insieme e ci conosciamo da tanti anni, quindi sì, magari ci preoccupiamo anche l’un per l’altro, ma mica vuole dire niente, eh, eh, eh…”

“Quindi Kaori è la sua Pussy…” Ryo sgranò gli occhi, vedendo rosso, e come un cane rabbioso afferrò Jane per il colletto della camicia e lo sollevò da terra, sotto gli occhi spaventati e stupiti di tutti i presenti, che accorsero in aiuto del biondo riccioluto prima che Ryo potesse tirare fuori la sua amata Python e fargli un buco in mezzo alla fronte.

“Cosa hai detto di Kaori? Ripetilo se ne hai il coraggio!” Lo minacciò, e Jane, nonostante stesse iniziando a sudare freddo, non poté fare altro che compiacersi dell’essere stato in grado di causare una simile risposta emotiva nell’apparentemente impassibile uomo - e meno male che Kaori doveva essere solo la sua collega!

“Signor Saeba, per quanto comprenda il suo desiderio di prendere a pugni mio marito, cosa che io stessa ho fatto in ben più di un’occasione, mi duole tuttavia chiederle di lasciarlo andare. Temo che questo non sia altro che un problema di comunicazione: Jane non intendeva dire che la sua partner fosse una donna di, ehm, facili costumi, ma si riferiva a Pussycat, il gatto che vive a casa nostra, e che Jane asserisce essere il nostro gatto perché noi lo nutriamo, lo portiamo dal veterinario, l’abbiamo sterilizzato, dorme al fondo del nostro letto, e…” Teresa sgranò gli occhi, arrossendo, e si morse la lingua- non riusciva a credere di star giocando allo stesso gioco di Jane, di… di aiutarlo così!

“Okay, va bene, allora… perché non la smettiamo di comportarci come bambini dell’asilo e iniziamo a pensare alle cose importanti?” Prese un grosso respiro e si morse le labbra prima di proseguire. “La sua amica. Sapete chi l’ha presa? Stiles? Uno dei suoi?”

“In realtà, nessuno.” Appena sentì il dolce accento del sud della California che tanto le era mancato e che tanto sapeva di casa- Austin non sarebbe mai stata Sacramento, Austin le era stata imposta, Sacramento era quel posto che il caso aveva scelto per lei quando, giovane donna, aveva lanciato una moneta sulla cartina degli Stati Uniti - Teresa fece un sorrisetto sotto ai baffi e si voltò in direzione della voce; all’ingresso della camera c’era un uomo, forse leggermente più giovane di loro, vestito con un impeccabile completo bianco e una camicia azzurra, con tanto di guanti in pelle. Si avvicinò a Teresa e, presale la mano destra nella sua, le fece un delicato baciamano. “Michael Angel, dolcezza. Ma puoi chiamarmi Mick.”

“Ribadisco: Teresa è mia moglie!” Jane asserì con tutta calma, tuttavia i suoi occhi avevano un che di minaccioso, che fece sorridere dietro ai baffi Mick; aveva sentito storie su quell’uomo ai tempi in cui viveva in California, ci aveva impiegato oltre dieci anni, ma era riuscito a mettere all’angolo un uomo che aveva all’attivo almeno una quarantina di vittime ufficiali: non aveva il benché minimo dubbio che, avesse voluto, avrebbe potuto distruggerlo, ne aveva le capacità, nonostante non possedesse le abilità “tecniche” sue e di Ryo. Ma Jane, forse per questo, era un nemico ancora più pericoloso: era intelligente, meticoloso… e paziente. Molto.

“Eh, che vuole che le dica, signor Jane,  a me le donne impegnate piacciono, e pure parecchio!” Gli rispose, sornione, scrollando le spalle con nonchalance e facendo l’occhiolino alla bella Teresa, che, tuttavia, non si sciolse minimamente davanti al suo fascino e alla sua classe; si limitò ad alzare un sopracciglio e osservarlo con aria di sufficienza, come se fosse stata una cartaccia da levare dal suo cammino con la punta delle scarpe, mentre invece lo sguardo che riservò al marito fu molto più seccato, come per dirgli che sapeva cavarsela da sola e non aveva bisogno che lui le coprisse costantemente le spalle.

“Mister Angel, mi duole ammettere che il suo fascino su di me ha poco… aplomb. E mi creda, non è certo perché sono sposata con quello.” Sottolineò la parola congelando  il marito. “No, il fatto è che lei è identico a quell’idiota quando perse la memoria e cercò di portarmi a letto per dimostrare semplicemente che poteva riuscirci. Elegante, persuasivo, seduttivo, ma un maiale pervertito che è stato sfiorato da un proiettile che mi era casualmente partito dalla pistola.”

Mick ingoiò a vuoto, avvertendo inoltre gli occhi furenti di Kazue, sua fidanzata, su di lui; aveva capito l’antifona: la virtù di Teresa era protetta da un marito vendicativo, da un’infermiera dall’incavolatura facile (ma giustificata) e da Teresa stessa, una poliziotta dal grilletto facile. Già, avrebbe fatto meglio a starsene buono, e comunque, come lo sguardo feroce di Ryo gli suggeriva, c’erano cose più importanti di cui discutere.

“Sì, sì, sì, va bene, comunque tornando alle cose serie, non ti avevo detto di tenere d’occhio Kaori, testa di rapa?” Ryo sbuffò, le mani sui fianchi, rivolgendo un’occhiata gelida a Mick; aveva casualmente spostato leggermente la giacca, lasciando libera alla vista la fondina che custodiva la sua fidata Python .

“Tsè, ci scommetto che il pivello faceva il pervertito con qualche bella ragazza invece di fare il suo lavoro,”  Falcon sogghignò dietro gli occhiali scuri.

“Guardate che vi sbagliate di grosso, tutti e due!” Il biondo sbottò, offeso e colpito nell’orgoglio. “Kaori è andata da Eriko come quasi tutti i giorni, quando è stata l’ora della pausa pranzo è uscita da sola, si è incamminata da sola verso il solito bar dove pranza e poi… e poi non lo so, si è infilata in una stradina e quando l’ho raggiunta era sparita, ma giuro che non c’erano segni di colluttazione, e sappiamo tutti che Kaori non è esattamente una che sta con le mani in mano se provano a prenderla!”

“Com’era la sua postura? Il suo sguardo?” Jane chiese all’improvviso. “Le è sembrata assente, abbattuta?”

“Beh, sì, ma lei ultimamente era di cattivo umore e avevo pensato che….”

“Beh, hai pensato male, Angel! E se le capita qualcosa giuro su Dio che mi supplicherai di ammazzarti quando avrò finito con te.” Ryo sibilò, con tutta calma, mentre sollevava Mick per la cravatta, facendogli mancare il fiato. Non smetteva di guardarlo negli occhi, con un’espressione rancorosa ma carica di determinazione, che mise sul chi va là i suoi “compagni, che quello sguardo lo conoscevano bene: non era Ryo, nemmeno City Hunter: quello, era l’angelo della morte, il killer spietato, determinato e vendicativo.

“Non se la prenda con il suo amico, Saeba, se ho ragione io, lui non poteva fare nulla per fermarla.” Jane, pensieroso, si picchettò le labbra con l’indice. “Stiles a Visualize sono fautori dell’ipnosi, se la sua amica era sotto pressione, stress o sconvolta per qualcosa, questo potrebbe averla resa più facilmente suggestionabile. Ma questa è una buona notizia: se Stiles ed i suoi l’avessero voluta morta a quest’ora avremmo già trovato il suo corpo. Lei gli serve viva, per qualcosa.”

Il telefono di Ryo squillò con il veloce trillo di notifica dei messaggi. Sovrappensiero, non si rese nemmeno conto che stava controllando la notifica fino a che i suoi occhi non si sgranarono per la sorpresa e lo shock: veniva dal telefono di Kaori.

Solo poche parole, che gli gelarono il sangue. Quattro parole.

CI VEDIAMO DOMANI SERA ALLE 23 . SAPETE DOVE TROVARMI.

Poco più di ventiquattro ore ancora, ed i loro destini sarebbero stati decisi.

   
 
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