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Autore: Luinloth    30/01/2021    7 recensioni
Gli angeli sono scesi sulla terra e hanno soverchiato l’umanità, regredendola ad uno stato quasi medievale. Gli umani lavorano come schiavi alla costruzione di una torre, di diverse torri sparse intorno al globo, ma nessuno sa cosa succederà una volta che il loro lavoro sarà concluso. John Winchester è a capo di una delle cellule della Resistenza e Dean nei confronti degli angeli non ha mai provato altro che odio, per ciò che hanno fatto alla sua famiglia, per ciò che hanno fatto a Sam. Finché, un giorno, Castiel non viene assegnato al suo cantiere e tutte le certezze che aveva iniziano a sgretolarsi. Ma come gli ripete spesso suo padre, un umano non dovrebbe mai fidarsi di un angelo.
80% AU, 20% what if (vi assicuro che non è così complicato come sembra)
Dal testo:
«Perché?» […]
«Perché ho sempre creduto che non mi importasse» […] «Ma mi sbagliavo»
Genere: Angst, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene

 

 

33. Esseri umani

 

18 giugno 2009

La mattina seguente a ridestare Dean fu un grandioso appetito.

Una fame da lupi, a dire il vero: il suo stomaco gorgogliava in maniera alquanto imbarazzante.

«Non è mai accaduto prima d’ora, Castiel»

Castiel era in piedi, davanti alla finestra. Il ragazzo non ne distingueva che la sagoma scura in controluce, accanto al profilo ancora non ben identificato con il quale l’angelo stava animatamente discutendo.

«Che nessuno l’abbia fatto finora non significa che non possa essere possibile»

«Certo, allo stesso modo per cui io potrei staccarti le braccia e riattaccarti il destro al posto del sinistro! Senza sapere quali potrebbero esserne le reali conseguenze e soprattutto…» la seconda voce non gli era del tutto sconosciuta «Soprattutto, potrei non avere voglia di farlo»

«In tal caso provvederò io stesso»

Un pausa, poi un lungo sospiro.

«Castiel… sii ragionevole…»

«Gabriel, ti prego di non parlarmi con quel tono. Mi sembra di risentire Michael»

L’Arcangelo si passò nervosamente le dita tra i capelli.

«D’accordo!» si arrese con un gemito «D’accordo. Misericordia…» si avvicinò a Castiel e gli prese il mento tra pollice e indice «…possibile che non si possa fare niente per quello?» mormorò afflitto, facendogli ruotare delicatamente il collo da un lato.

Castiel non si sottrasse al suo tocco angustiato, limitandosi a chinare la testa.

«Mi dispiace» si stropicciò l’occhio sinistro «Non è qualcosa che sono capace di controllare»

«Non è colpa tua»

Dal suo mento, il palmo di Gabriel si spostò sulla sua guancia.

«E nemmeno i miei poteri possono granché, a quanto pare…»

Dean non era del tutto convinto di avere il permesso di assistere a un tale dialogo. Stava già per sollevarsi sui gomiti e annunciare la sua cosciente presenza, quando l’Arcangelo si voltò verso di lui e gli rivolse uno smagliante — oltre che perfettamente integro — sorriso a trentadue denti.

«Bentornato tra noi, Dean!» trillò «Perdona la confusione, ma là fuori è un disastro e questo era l’unico posto in cui poter godere di cinque minuti di tregua»

«Oh, no, nessun problema io…» 

Per quanto Gabriel fosse ormai uno di loro e si mostrasse affabile — e sopra gli inconfondibili pantaloni e camicia candidi non portasse più il frac ma un’improbabile giacca turchese — Dean avrebbe avuto bisogno di qualche altro giorno per abituarsi all’idea di poterlo guardare dritto in viso.

«Non mi avete svegliato» fu tutto ciò che riuscì a rispondere.

Cercò lo sguardo di Castiel. L’angelo gli sorrise, ma aveva, se possibile, l’aria ancora più esausta del giorno precedente: fosse stato un umano, chiunque gli avrebbe caldamente consigliato una buona dormita.

«Fantastico» decretò l’Arcangelo, battendo le mani come stesse per esibirsi in un trucco di magia «Vado ad avvertire tuo fratello che sei sveglio. E ti faccio portare qualcosa da mangiare, o il tuo stomaco finirà per assordare l’intero grattacielo» aggiunse soave, ma Dean non fece in tempo ad arrossire che Gabriel si dissolse sotto i suoi occhi, con un rumore che assomigliava a un rapido frullio di ali.

«E’ sparito!» sobbalzò. 

«E’ sparito, com’è…»

Castiel abbandonò il davanzale assolato e si sedette affianco a lui. 

«Morto Michael, sono sparite anche le sue regole e i sigilli che aveva imposto sull’edificio» gli spiegò, rassicurante «E Gabriel adora teletrasportarsi in giro, credo di non averlo ancora visto mettere dieci passi uno dietro l’altro» osservò, soffiando una risata sommessa.

«Di cosa stavate parlando?»

Castiel strinse le labbra «Oh…» bofonchiò «Niente d’importante»

Dean non se la sentì d’indagare ulteriormente, e l’angelo dovette rendersene conto perché lo udì esalare un, fin troppo palese, sospiro di sollievo. Poi Castiel sollevò una mano, come volesse accarezzargli il viso, ma il movimento si bloccò d’improvviso a mezz’aria.

«Posso?»

Dean s’incupì.

«Da quando hai ricominciato a chiedere il permesso?»

Castiel non ne fece mistero a lungo «Da quando ti ho quasi ammazzato in quel bunker» 

«Quasi»

L’angelo sbuffò una seconda risata, ma era così amara che Dean desiderò che anche quella fosse un tic.

«Non eri tu, Castiel» sussurrò, sfiorandogli la linea tesa della mandibola «Non davvero»

Mentre gli scostava una ciocca corvina dalla fronte — nel tentativo di riparare le crepe nere che si erano aperte nei suoi occhi — la porta si spalancò, neanche se ad irrompere nella stanza fosse appena stato un tornado.

«Dean!»

Dean fu a stento in grado di staccarsi dall’angelo e di tirare su la testa prima che l’abbraccio incontrollato di suo fratello lo travolgesse, per poco non facendolo ribaltare all’indietro sul materasso.

«Sono…»

Era caldo Sam. Caldissimo.

Aveva la schiena sudata, la camicia appiccicata alla pelle e stava singhiozzando contro la sua maglietta, e… no. 

No, le parole le avrebbe tenute per dopo.

Dean gli cinse le spalle e lo tenne stretto finché non fu assolutamente e completamente certo che anche l’ultimo, minuscolo brivido non avesse smesso di scuotergli la spina dorsale. Poi pensò che suo fratello — con ogni probabilità — doveva essere entrato nella cella asettica di Castiel poco dopo la loro caduta nel vuoto, e forse aveva visto lo squarcio nella parete e l’angelo che vi si gettava attraverso, o forse al suo ingresso non aveva trovato che una stanzetta bianca e vuota. 

Lo strinse un po’ più forte.

«Sono contento anch’io di rivederti vivo, fratellino» mormorò, una volta che Sam ebbe ritrovato la compostezza e le forze per sciogliersi lentamente dall’abbraccio. 

«Immagino… immagino che tu adesso abbia bisogno di qualche spiegazione» biascicò il minore, asciugandosi le guance arrossate con la manica della camicia «E anche tu, Castiel…» si girò mortificato verso l’angelo, che nel frattempo aveva silenziosamente fatto ritorno al suo strapuntino «Scusami… avremmo dovuto almeno bussare»

Fintanto che Castiel si preoccupava di rassicurare suo fratello in merito alla sua tumultuosa entrata, Dean — richiamato dall’utilizzo del plurale nonché da un non ben definito ma oltremodo invitante profumo — allungò il collo per sbirciare oltre l’anta semi-socchiusa della porta; Sam l’aveva aperta con tale veemenza da farla quasi richiudere per il contraccolpo. 

«Jack» gongolò «Hai intenzione di rimanertene lì dietro ancora a lungo?»

«Oh…» 

Tra il battente e lo stipite comparve una ciotola bianca. 

Dei polsi nervosi e degli avambracci sottili, una camicia di cotone marroncino e infine, per ultimi, un paio di iridi dorate si arrischiarono ad affacciarsi all’interno.

«Non volevo disturbare» si giustificò il nephilim, dondolando il peso da una gamba all’altra.

«Non diciamo sciocchezze!» balzò sù Dean «Il pranzo non disturba assolutamente mai» dichiarò, raggiungendolo in due falcate e sfilandogli la scodella dalle mani. Poi gli gettò al collo il braccio libero e lo trasse a sé — non con meno, genuino impeto di quanto non avesse fatto Sam con lui un minuto prima — mentre il ragazzino era ancora alla ricerca di un vocabolo appropriato con il quale rispondergli.

«Grazie» gli bisbigliò all’orecchio. 

E Jack ne fu preso talmente alla sprovvista che Dean quasi poteva vederli, i suoi occhioni spalancati. 

«Sono…» balbettò «Sono solo riso e legumi…»

Davanti a un’innocenza del genere, lui ormai non sapeva se ridere o piangere. Il pizzicore nella sua gola, però, cominciava a farsi piuttosto esplicativo.

«Bene, mh…» tossicchiò quindi, fingendo di schiarirsi la voce «Fine dei convenevoli» sentenziò, separandosi dal ragazzino e allungandogli un buffetto sulla guancia «Sto morendo di fame»

Afferrò il cucchiaio che sporgeva dal bordo della ciotola e stava giusto chiedendosi se non dovesse procedere con delle presentazioni, o qualcosa del genere — dopotutto Castiel non aveva conosciuto che un Jack a malapena neonato — quando l’angelo richiamò il nephilim con un cenno, facendogli segno di avvicinarsi.

«Com’è andata a finire con quel muro crollato?» gli chiese, facendogli posto al suo fianco «So che avrei potuto informarmi tramite Gabriel ma ammetto di aver completamente dimenticato quella questione, stamattina»

«Ah, è stato persino più facile di quanto mi avessi detto!»

«Sì, beh…» all’occhiata perplessa che il maggiore gli indirizzò — mentre Jack riusciva finalmente a schiodarsi dallo stipite e raggiungeva Castiel con un sorriso che gli scavava due fossette enormi sulle guance — Sam rispose con una disinvolta alzata di spalle. 

«Sono successe un bel po’ di cose nelle ventiquattr’ore che tu hai trascorso a dormire» 

«’Un bel po’ di cose, eh?» 

Dean ritornò a sedersi sul materasso attaccando il pranzo con un’aria che avrebbe voluto spacciarsi per impermalita, ma ogni suo sforzo di espressione piccata non resistette oltre il primo boccone.

«Come sta?» borbottò, ancora con la bocca mezza piena «L’ultimo ricordo che ho di lui sono i suoi palmi carbonizzati»

«Se n’è occupata Anna» 

Sam si assicurò che Jack fosse sufficientemente preso dalla conversazione con Castiel, prima di continuare.

«In teoria avrebbe potuto curarsi anche da solo, ma quando vi abbiamo trovato era in stato a dir poco confusionale» gli confessò «Tu eri privo di sensi e Castiel non riusciva neppure a stare diritto. Ci sono volute ore per capire con esattezza cosa fosse successo»

«E i suoi poteri?»

«Stando a quanto sostiene Gabriel, se avesse continuato a reprimerli come stava facendo, nel giro di due, massimo tre settimane non sarebbe più stato in grado di controllarli e quasi sicuramente sarebbe…» il minore si massaggiò la tempia con due dita «Esploso, oppure avrebbe preso fuoco per autocombustione, o chissà cos’altro» gemette.

Se non fosse stato a digiuno da due giorni — e se il suo stomaco avesse almeno smesso di reclamare prepotentemente la sua attenzione — Dean avrebbe perso all’istante ogni appetito.

«Non voleva che lo abbandonassimo» ammise, rimestando nella scodella «Temeva che lo avremmo cacciato via se avesse dimostrato di essere così simile a un Arcangelo»

Suo fratello annuì «Sono stato un idiota» si maledisse «Avrei dovuto capirlo, avremmo dovuto parlargli subito»

«Ehi, non prenderti tutto il merito» lo rimbeccò lui, puntandogli la posata contro «Siamo stati idioti almeno in due» 

Sam gli regalò una smorfia non del tutto convinta. 

«Ad ogni modo, impara in fretta» proseguì «Sta già aiutando Anna e Gabriel con la ricostruzione, anche se preferirei tenerlo sotto controllo ancora per qualche altro giorno, non vorrei si facesse di nuovo male per sbaglio»

Il maggiore mugugnò un masticato ‘E’ una buona idea’ assieme a quella che era indiscutibilmente una inumana — per quanto abbondante — cucchiaiata di riso, e per qualche minuto a riempire l’ambiente rimasero solo lo scampanellio del metallo contro la ceramica e l’allegro cicalare di Jack dietro di lui, intervallato a tratti dai pazienti commenti di Castiel.

«Cos’è successo?» 

Dean ingoiò l’ultimo boccone e abbandonò il contenitore vuoto sul pavimento «Quando ci siamo separati, quando ti ho lasciato con Gabriel e sono andato…» realizzò in quel momento di aver ridotto il volume della propria voce a poco più che un sussurro «Cos’è successo, dopo?»

Sam tirò lo stesso respiro infinito che avrebbe preso se di lì a un secondo avesse dovuto tuffarsi in un lago di pece.

«Anna ci ha trovati» esordì, espellendo l’aria tutta d’un colpo «Dopodiché Naomi è comparsa in fondo al corridoio»

Dean rabbrividì.

«Non potevamo nasconderci da nessuna parte, nonostante il buio non c’era la minima possibilità che lei non si accorgesse della nostra presenza» andò avanti suo fratello «Ma ormai Gabriel, una volta libero dalle manette, era di nuovo in possesso dei suoi poteri ed è riuscito facilmente a neutralizzarla, e a quel punto ci siamo precipitati nella cella di Castiel ma…»

«Era troppo tardi»

Né sopra, né sotto, né fuori. 

Silenzio. 

Il vuoto terrificante che aveva riempito le orecchie di Dean quarantotto ore prima gli esplose per la seconda volta dentro il cranio e lui si appigliò con tutte le proprie forze al bordo scucito del materasso come se avesse paura che potesse improvvisamente disintegrarsi, assieme al pavimento dove poggiava, e farlo cadere di nuovo nel nulla.

«Dean…»

Fu il tono apprensivo di suo fratello a riportarlo in superficie.

«Va tutto bene?»

Le sue dita attorno al suo gomito. 

Il maggiore scrollò la testa «Sì…» gracchiò, imbastendo di contro un’espressione saldamente risoluta «Sì, vai avanti»

«Dicevo, quando siamo arrivati nella cella, Michael era ancora lì» 

Il più piccolo riattaccò senza indugi da dove si era interrotto, ma preferì comunque non lasciargli il braccio per la restante parte del racconto. Dean gliene fu immensamente grato.

«E una volta intuite le intenzioni di Anna — e di Gabriel — ha richiamato il resto degli angeli e allora… non c’era molto altro che potessimo — che potessi — fare se non provare a sopravvivere. La Resistenza ha fatto irruzione dal pianterreno e dopo è stato solo…» Sam affondò i denti nella polpa rossa del suo labbro inferiore «…guerra, direi sia il termine più adatto» sospirò «Finché Gabriel non è riuscito a uccidere Michael, e gli angeli si sono definitivamente arresi»

«Gabriel?» Dean strabuzzò gli occhi «L’ha davvero ucciso lui?»

«Era l’unico che poteva farlo» 

Non era stato Sam a rispondergli.

Nessuno dei due si era reso conto che Castiel e Jack avevano smesso di dissertare di muri pericolanti e modi per rimetterli in sicurezza utilizzando concentrazione e poteri angelici, e che dovevano aver assistito in silenzio al loro ultimo scambio di battute.

«In uno scontro aperto, solo un Arcangelo avrebbe avuto le capacità per sconfiggerne un altro»

Il timbro serissimo e lugubre dell’angelo rammentava il tono di un’orazione funebre.

«Oh, ehm… Io credo di dover tornare di sotto» s’intromise Jack, titubante «Avevo promesso a Jody di finire entro oggi»

Fu suo fratello a mettere ufficialmente fine a quella discussione.

«Avviati pure» acconsentì, sorridendo «Arrivo tra un minuto» 

Il nephilim recuperò la scodella di ceramica dal pavimento e si congedò, salutandoli allegramente. Sam finì con lo scusarsi di nuovo per la turbolenta improvvisata — nonostante i reiterati ‘non ce n’è alcun bisogno’ di Castiel — e aveva già afferrato la maniglia argentea della porta, quando qualcosa lo fece tentennare e girare di nuovo verso il maggiore.

«Dean, se te la senti…» propose, puntando l’indice in direzione dell’uscio «E’ ora di pranzo, il che significa che sarà ancora tutto più frenetico del solito, e in generale Charlie e Anna non hanno il tempo neanche per respirare, ma ci sono Ellen, Jo… persino Claire» gli spifferò «Che non vedono l’ora di salutarti»

Dean si sentì attraversare da una scarica di energia.

Inconsciamente, forse non aspettava nient’altro dal momento in cui si era svegliato quella mattina.

Anzi in tutta onestà non vedeva l’ora di mettere il naso fuori e di potersene andare in giro — per la prima volta nella sua vita — con in tasca la consapevolezza di essere finalmente un uomo libero. 

Non un servitore del cielo, né un Collaborazionista, e neppure un fuggiasco o un fuorilegge. 

Un uomo libero.

Un essere umano, e basta.

Eppure la rotazione successiva del suo collo la compì in direzione di Castiel. 

«Oh, non preoccupatevi per me» lo anticipò l’angelo, scambiandosi con Sam un pacato segno d’intesa «Almeno per il momento, io sarei ben felice di evitare la confusione.

Dean ingoiò un sospirò a metà tra il deluso e il preoccupato, ma non insisté. 

Né diede segno di aver cambiato idea in merito al suo desiderio di scoprire quanto davvero fosse cambiato il mondo al di là di quelle quattro mura, e tuttavia rimase lo stesso tanto a lungo a temporeggiare sulla porta — mentre suo fratello lo aveva già preceduto lungo il corridoio — che Castiel si ritrovò a doverlo letteralmente sospingere fuori dalla stanza.

«Dean, davvero… Sopravviverò a una mezza giornata di solitudine» ribadì, ridacchiando. Gli scoccò un bacio — troppo breve — sulla punta del naso, dopodiché il ragazzo si convinse a voltargli le spalle e la sensazione che provò fu di quella di essere stato catapultato in una strana sorta di realtà parallela.

Ed era tutto talmente disordinato, e rumoroso, e affollato, che lui non riusciva a riconoscere che i bordi, i contorni degli oggetti e dell’ambiente in cui si trovava. Tutto il resto era sommerso da pacchi, pacchetti, attrezzi di vario genere e persone impegnate nelle faccende più disparate. 

Dean identificò a fatica il pavimento anonimo e le pareti intonacate che caratterizzavano i livelli inferiori della Corte — non dovevano trovarsi più su del quindicesimo piano — ma ricordava alla perfezione le finestre squadrate e i relativi, impolverati, telai metallici che cigolavano maledettamente ogni qual volta si provasse ad aprirle: nel caotico via vai di uomini e donne che si alternavano, sparivano e riapparivano a velocità stordenti nel suo campo visivo, nessuno però sembrava darsi troppa pena per quegli infissi sigillati. 

D’altronde, la maggior parte dei vetri era saltata via.

I raggi del sole gli riscaldavano la pelle e inondavano l’intero corridoio di un calore dorato e quasi liquido

«Dean, vieni!» lo richiamò Sam, al di sopra del chiacchiericcio generale «C’è Jack che ci aspetta!»

Nello stesso istante Claire sbucò, sfrecciando, da dietro l’angolo, puntando dritta su di lui come se avesse tutte le intenzioni di atterrarlo con una testata, e per un istante nella sua mente balenò l’idea di tuffarsi di lato e nascondersi all’interno del primo locale utile a salvarlo dalla sua furia bionda.

Solo che questa volta lei non lo prese a pugni.
 





Il resto della giornata trascorse in un frastornato stato di beatitudine incredula, tanto che la notizia di un mezzo esercito — quanto era rimasto — di angeli tenuto prigioniero dal novantesimo livello del grattacielo in su lo scalfì appena.

Quando Sam si decise a concedergli un po’ di autonomia, fu il turno di Jo ed Ellen di piombargli entusiaste tra capo e collo e di trascinarlo da un piano all’altro snocciolando informazioni e consigli — che comunque suo fratello si era già ampiamente premurato di fornirgli — riguardo agli orari dei pasti, i turni per le docce, le zone da evitare in quanto non ancora rimesse in sicurezza.

Furono loro a comunicargli che Rufus non era sopravvissuto alla notte.

All’esterno il tenue azzurrino del cielo aveva ricominciato a virare verso un pallido color avorio; una sfilacciata velatura di nubi lattee scendeva da ovest, mischiandosi al fumo grigio che Dean scorgeva, a tratti, oltre le vetrate semi-infrante.

A metà del pomeriggio Ash lo tirò per una manica e lo convinse ad aiutarlo a riparare le tubazioni di uno dei bagni del quarto piano: all’interno dell’Empire State Building adesso erano decisamente in troppi a necessitare dei servizi igienici, e non potevano certo permettersi di abbandonare neppure un cubicolo alla ruggine e ai danni del tempo.

Al termine del lavoro entrambi avevano i pantaloni e le braccia sporche fino ai gomiti di un non ben identificato mix nerastro di ossido di rame, mastice e sudore ma il lavandino tirava che era una meraviglia, e a Dean quel paio d’ore in compagnia di Ash e del suo umorismo bislacco avevano messo un tale buonumore in corpo da fargli accettare — con fervore inusitato per una richiesta del genere — l’invito di suo fratello ad aiutarlo con gli scatoloni da ordinare all’interno del magazzino che Jack aveva oramai finito di sistemare.

Ritornò in stanza che la notte era ormai calata da un pezzo.

(Non che un orario del genere fosse stato esclusivamente colpa sua, aveva aspettato mezz’ora in fila solo per potersi fare una doccia).

«Allora, com’è andata?»

Anche le lastre della finestra al quale Castiel aveva appena dato la schiena — notò — erano tagliate in diagonale da una sottile fenditura.

«Mi sembra tutto così…»

L’aggettivo che il suo corpo esausto gli proponeva era prosciugato.

Anziché poche ore aveva l’impressione di aver consumato giornate intere ad abbracciare, festeggiare, elargire amichevoli pacche sulle spalle e riceverne il doppio, bighellonare incredulo da un piano all’altro, trasportare cassapanche, segare tubi e avvitare bulloni.

«…irreale»

Si tuffò sul materasso mugugnando frasi sconnesse di cui non avrebbe mai serbato il ricordo. 

Qualcosa a proposito di Claire — era davvero passata in stanza mentre lui dormiva, davvero lui non si era accorto di niente? — e sul fatto che Ash avrebbe dovuto accorciarsi i capelli, e pure suo fratello, a meno che non fosse intenzionato a farsi crescere due belle trecce e poi… 

«…eglio che tu dorma, ora…»

Sentì Castiel ridere, e scivolare accanto a lui.

«…finirai di raccontarmi doma-»
 

19 giugno 2009

Questa volta, al suo risveglio, trovò la camera silenziosa e tranquilla come l’aveva lasciata prima di addormentarsi.

Castiel — disteso sul suo strapuntino stinto, a nemmeno mezzo metro di distanza — era un po’ più lontano di quanto Dean avrebbe voluto, ma poi realizzò di essere stato probabilmente lui stesso a sfrattarlo dal proprio materasso. 

A pancia sotto, con le braccia e le gambe spalancate (e la bocca — Dio, c’era un laghetto di saliva proprio in corrispondenza del suo mento), non c’era da meravigliarsi che l’angelo avesse preferito trasferirsi più in là: l’alternativa sarebbe stata trovare un modo per raggomitolarsi tra la sua coscia destra e la curva del ginocchio sinistro, oppure nella concavità creatasi tra il suo gomito semi-flesso e il bacino. E Dean non era poi così sicuro che gli angeli padroneggiassero anche l’arte del contorsionismo.

Tirò indietro il collo. Nonostante si fosse precipitato a serrare le labbra, neanche stesse sbavando acido, quell’imbarazzante pozzangherina sotto la sua faccia pareva seguitare ad allargarsi.

«Cosa sognavi?»

Castiel si era spostato sul fianco sinistro — doveva averlo percepito agitarsi — e si era girato dalla sua parte, piegando l’avambraccio sotto la testa, a mo’ di cuscino.

«Oh… era…»

Colori accesi, un sogno piacevole.

Un prato?

Dean riprese il controllo dei propri arti sparsi sul materasso e cominciò a grattarsi la fronte, assorto.

Aria tiepida, schiamazzi in lontananza.

Oppure si trattava di un giardino? 

La memoria sfocava.

«Credo di non ricordarlo» si arrese infine «Perché?»

Le iridi blu di Castiel erano molto più pulite del giorno precedente; come se qualcuno avesse rimosso lo strato di condensa fermo sopra una superficie appannata.

«Sembravi… contento, a un certo punto»

Dean distese il braccio finché la guancia dell’angelo non fu sotto le sue nocche: tutto sommato — constatò con gioia, accarezzandogli lo zigomo con il pollice — il tratto di pavimento che li separava non era poi tanto esteso.

«Dev’essere proprio interessante guardarmi dormire, ah?» lo punzecchiò, mentre Castiel si godeva le sue attenzioni con le palpebre socchiuse. 

«Mh-mh»

Il sole gli sfumava fili d’oro nero tra i capelli. 

«Mi dispiace di essere crollato, ieri sera» 

La sua mano scivolò dal viso di Castiel alla sua spalla avvoltolata in quella maglietta grigia troppo grande. 

«Ora capisco cosa intendeva Gabriel. Oltrepassata quella porta sembra di saltare sopra una giostra impazzita» riconobbe, ancora meravigliosamente impressionato dalla macchina rombante di persone e mezzi che la Resistenza aveva saputo portare a regime nell’arco di soli due giorni, ma non senza una punta di timore al pensiero di cosa lo avrebbe aspettato — di cosa avrebbe aspettato tutti loro — nei giorni a seguire.

«Non dovresti scusarti»

Castiel riaprì gli occhi.

«Il fatto che non dorma non significa che non mi stia prendendo il mio tempo anch’io» gli fece notare con gentilezza, sollevandosi sul gomito. Si protese verso di lui, le loro labbra si sfiorarono appena.

Dean fece per approfondire il bacio un altro centimetro… e ruzzolò giù dal materasso.

Il suo sedere planò con scarsa grazia sulle piastrelle e una sonora e altrettanto inelegante imprecazione soffocata si levò a rompere la luminosa quiete della stanza.

«Certo è sempre stato molto interessante osservarti anche al risveglio» osservò prontamente l’angelo, avvicinandoglisi, mentre lui si tastava con preoccupazione il fondoschiena.

«Questo non è affatto diverten…»

Oh, chissenefrega.

Quando Castiel sorrideva, un intreccio di minuscole rughette si sostituiva alle ombre che stagnavano intorno alle sue ciglia.

Le punte dei loro nasi quasi si toccavano e la bocca dell’angelo, dalla sua, adesso distava meno di un respiro. Persino le sue occhiaie gli apparivano meno profonde.

Chissenefrega, poteva dargliela vinta.

«Piano…» seguitò a ridacchiare Castiel, mentre Dean si metteva alla ricerca di una posizione comoda che gli permettesse di non dover staccare la faccia dalla piega del suo collo «Altrimenti dovrai tenerti le ammaccature finché non rivedi Jack, o un altro angelo egualmente bendisposto»

Non che qualcuno, Sam, Gabriel, Claire, si fosse dato il pensiero di informarlo a riguardo.

Castiel non aveva smesso di accarezzarlo, eppure il ragazzo si rabbuiò di colpo. 

Né lui aveva avuto il coraggio di domandare, in verità, ma nonostante la pelle diafana dell’angelo non avesse un graffio Dean non aveva la minima idea di quali fossero le sue reali condizioni.

«Stando a quanto sostiene Gabriel…» fu il mormorio che arrivò alle sue orecchie «Dovrei riuscire a recuperare la totalità dei miei poteri per la fine del mese» 

Le dita di Castiel continuavano a scorrergli tra i capelli e su e giù per la sua colonna vertebrale, irrigiditasi come il resto del suo corpo sotto l’inquietudine delle sue elucubrazioni.

«Ma l’ottimismo è una sua caratteristica innata, con maggiore realismo Anna prevede dei tempi di recupero di almeno tre o quattro settimane»

Dall’esterno sopraggiunse un rumore di ceramica infranta, seguito da un vociare confuso e da una serie di ordini agitati: doveva essere ora di pranzo, immaginò Dean, a giudicare dal trambusto.

Rialzò la testa «E’una buona notizia»

«Sì…» sospirò Castiel «Immagino che lo sia»

Dalla finestra però entrava una luce fresca che non assomigliava affatto a quella del mezzogiorno.

«Perché dici ques…»

L’energica bussata che lo interruppe si rivelò essere una mera formalità: Kevin girò la maniglia e infilò la testa all’interno non concedendo né lui né a Castiel il tempo di formulare un ‘avanti’.

«Charlie è qui?» li incalzò, senza neppure salutarli, frugando febbrilmente la camera spoglia con lo sguardo «L’avete vista?»

Preso completamente alla sprovvista, Dean balbettò un ‘no’ confuso «Non l’ho ancora incontrata in realtà, da quando…»

«Cos’è successo?» 

L’espressione di Castiel si era indurita; scattò in piedi, ma Kevin aveva lasciato l’anta accostata ed era già sparito.

«Kevin! Ehi!» Dean si precipitò alla porta. La figurina smilza dell’adolescente aveva appena travolto — suscitando un vivace coro di proteste — un gruppetto di ragazzini; in pochi secondi arrivò alla fine del corridoio, svoltò a destra e finì definitivamente fuori dalla sua portata.

«Attento ragazzo, non ho ancora finito di pulire»

Con aria compassata, una donna di mezza età stava spazzando via dal pavimento i cocci di un piccolo lavandino di porcellana — molto simile a quelli che lui ricordava di aver utilizzato a suo tempo nei bagni del settantaduesimo piano — e del cartone che lo conteneva, caduti da una precaria pila di scatoloni che Kevin doveva aver urtato mentre si affrettava a raggiungere la loro camera.

Dean si guardò intorno, stranito. 

«Chiedo scusa, ma…» 

Senza accorgersene, mentre provava a richiamare l’adolescente, aveva iniziato a camminare e aveva percorso circa un quarto del corridoio.

«Quel ragazzino che correva… l’ha visto… perché era così agitato, lei ne sa qualcosa?»

«Hanno trovato Lucifer stamattina»

Fu come se un mattone gli fosse appena cascato in testa.

Non era possibile, non…

Lucifer era morto.

«E a quanto pare quel figlio d’un cane ha fatto in tempo a cavare le orbite al poveretto che l’ha trovato» la donna si appoggiò alla scopa con entrambe le mani e alzò su di lui uno sguardo a metà tra il compassionevole e il disgustato «Prima che riuscissero a sbatterlo in una cella insieme al resto della sua razza deforme» 

Quando Dean si voltò, Castiel lo fissava dalla soglia della stanza, tre metri indietro: non aveva fatto che un passo incerto oltre il quadro bianco dell’uscio, ma senza dubbio aveva ascoltato ogni parola. E ciò che lo sconvolse maggiormente fu il fatto che l’angelo non apparisse per nulla turbato.

Andiamo, Lucifer era morto. Doveva essere morto.

Che la Resistenza avesse placidamente iniziato i lavori di ricostruzione dimenticandosi un Arcangelo a piede libero era un’ipotesi assolutamente insensata.

Dean si rese conto di essere scalzo parecchio tempo dopo aver superato la donna di mezza età e i resti del lavandino ammucchiati in un angolo.

Dieci secondi dopo, stava già correndo su per scale.

 

 

 

 

 

 

 

L’avrò revisionato dieci volte questo capitolo, eppure mi sembra sempre che ci sia qualcosa che non fila: vi prego, se capite di cosa si tratti fatemelo sapere -__-
Devo purtroppo chiedervi un po’ di pazienza in più per gli ultimi aggiornamenti: il prossimo capitolo non è ancora finito e l’ultimo al momento vive solo nella mia testa, perciò le battute finali di questa storia potrebbero arrivare con qualche giorno di ritardo rispetto alle canoniche due settimane. 
Vi ringrazio per le recensioni e vi abbraccio fortissimo.
A presto *

   
 
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