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Autore: Merry brandybuck    31/01/2021    0 recensioni
Aragorn è salito al trono da pochi mesi e già si ritrova a combattere una battaglia contro degli orchi che non accettano la caduta di Sauron : per questo scontro il re si ritroverà a chiedere aiuto ai suoi amici fidati e a dover portare alla luce un membro della sua famiglia che è rimasto oscurato per anni.
Come continuerà l’esistenza sua e del regno dopo questo incontro ?
Personaggi: nuovo personaggio/ Aragorn/ Legolas/compagnia dell’anello/ un po’ tutti
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aragorn, Legolas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6: I pugni in faccia che mi dai mi restano nell’anima...

 

I giorni che seguirono furono ardui; il quarto mattino dall’inizio della battaglia, giunsero i rinforzi dalla città di Minas Tirith: donne, giovani e uomini ormai in età avanzata, tutti impauriti e assolutamente non preparati a combattere. Quando Aralis vide arrivare la lunga carovana che stava solcando quelle terre quasi sterili, lanciò una breve imprecazione: già da come si muovevano si poteva capire che erano praticamente incapaci di fare azioni violente coordinate e ciò richiedeva molto più allenamento di quanto avesse programmato “ Manwe, dammi la pazienza perché se mi dai la forza faccio una strage”  pregò, alzando gli occhi al cielo e facendo sorridere Legolas: “ Potremmo metterti fra i nemici se ti dona la seconda. Saresti molto utile” rispose lui, mettendole una mano sulla spalla; l’elfo fece appena in tempo a spostarsi, prima che il manico del falcione si abbattesse contro le mattonelle in pietra della pavimentazione “ Andiamo, che non voglio arrivare in ritardo, Otorno” sibilò e la ragazza lo trascinò giù dalla torre di vedetta. Il campo era in fermento e trepidante di attesa; l’olezzo dei morti era ancora nell’aria e le lacrime bagnavano ancora gli occhi dei commilitoni, ma i nuovi arrivati portavano la speranza, insieme a un nuovo stendardo che andava a sostituire quello semidistrutto dalla guerra precedente. Il re e il comandante andarono ad accogliere la bandiera, portando un piccolo drappello di soldati; i messaggeri cavalcavano come fossero piume al vento e gli altri fecero appena in tempo ad aprire i portoni perché essi non li sfondassero “ Le trombe di Gondor suoneranno ancora” mormorò assorto, Aragorn “ Ben detto” rispose Gimli. Il soldato migliore di tutto l’esercito* prese i cittadini impauriti e li condusse dove tenevano le armature, senza lasciarli respirare un attimo, per iniziare il prima possibile l’addestramento. La sorella del re si aggirava tra i giovanotti e dava delle aggiustatine alle armature; la sua attenzione venne catturata da un ragazzo di circa tredici anni, che stava tentando di allacciarsi i gambali e, nel frattempo, di aiutare alcuni bambini a vestirsi: “ Come ti chiami, ragazzino ?” chiese, mentre si avvicinava; quest’ultimo la guardò con gli occhi carichi d’orgoglio e rispose: “ Io sono il primo dei figli di Naemerio; mi chiamo Ieimerio” Nel frattempo, gli altri fratelli scorrazzavano in giro senza un minimo di contegno, infastidendo con la loro curiosità i combattenti già esperti; la ragazza li afferrò per la collottola e li trascinò col sedere in terra fino a dove stava l’altro giovinetto e li aiutò a indossare una maglia d’arme che dovette stringere con dei metodi alquanto alternativi; la donna si commosse quando vide il primogenito che tentava di proteggere i più piccoli e un ricordo le tornò a flagellare la mente “ Sei disarmato, ma io vedo in te più potere di quanto non ne ve sia in tutti gli uomini che ti circondano: tu ti badi anche degli altri figli di tua madre e perciò sei più che degno di combattere per la tua patria. Ora, ti darò qualcosa che potrà aiutarti nel tuo dovere e che alla tua morte sarà dato ai tuoi eredi” Lei mise una mano del piccolo sulla sua e con l’altra si mise a frugare nella sacca di cuoio; ne estrasse un lungo coltello dal manico di legno, con la lama lucente, avvolto da uno spesso strato di bende in pelle e lo poggiò sul palmo del ragazzo, stando attenta che non si tagliasse: “ Abbine la massima cura, usalo per supportare i tuoi compatrioti, non per ucciderli” gli raccomandò prima di andarsene e lasciò il tredicenne inginocchiato sul suolo. Intanto Sire Elessar si stava preparando ad allenare le nuove reclute, mettendosi al centro di uno spiazzo di terra battuta: i novellini si stavano distribuendo in quella specie di piazzetta, sferragliando impacciatamente nelle loro nuove vesti, graffiando le corazze già riciclate dai corpi dei caduti, urtandosi l’un l’altro, facendo scalpitare i destrieri e ridere i soldati più anziani “ Allora, prestate attenzione tutti a me” disse, battendo le mani perché tutti lo guardassero “ Quest’oggi sarò io a darvi le istruzioni base al combattimento: attaccheremo domattina alle prime luci dell’aurora, passando sulle due catene montuose che delineano il perimetro del campo avversario e perciò voglio che abbiate almeno le nozioni che serviranno a non farvi ammazzare; sono stato chiaro ? Bene, iniziamo dai fondamentali: taglio, parata e affondo. Non provate a strafare e state sempre con una guardia chiusa, seguendo i miei movimenti. E uno, due, tre e quattro…” Le movenze di Aragorn era fluide, molto eleganti e particolarmente adattate per far apprendere la sottile arte della guerra anche ai principianti; gli occhi vigili di Legolas erano fissi sul migliore amico e lo scrutavano con minuzioso riguardo da sopra la palizzata che circondava il campo. Il suo corpo sembrava essere stato scolpito nel marmo e lasciato sotto il respiro di Illuvatar sino a che i muscoli non avevano iniziato a guizzare sotto il sottilissimo strato di grasso e i pensieri a fluire liberamente in quella mente misteriosa e contorta; la cute sembrava dipinta dalla mano esperta di un pittore celestiale, tanto era uniforme il suo colore e candide le cicatrici che esaltavano il volto benigno e le iridi azzurre: era stato toccato dall’aspirazione alla perfezione che caratterizzava tutti i discendenti di Elros. Quei suoi modi così paterni e confortanti erano il riflesso di come Elrond lo aveva educato, come se lo avesse avvolto in una benda di lino per dargli una forma; invece la sorella era stata stritolata in un sacco di iuta per costringerla a stare buona, ma erano finalmente riusciti a reprimere gli istinti meno consoni e ad imporle dei blocchi mentali: forse era per questo che la preferiva a molti personaggi che aveva incontrato nell’arco della sua intera vita, oppure era per via di quell’aria indomita e fiera che assumeva ogni tanto e che lo faceva ridere. “ E chi lo sa !” si disse alzando le spalle e decise di fare una visita a Gimli: aveva fatto pace con quel nano e oramai erano divenuti ottimi amici, contro qualsiasi pronostico; dividevano il sacco a pelo, nonostante la barba del commilitone lo pungesse sul collo e gli desse un fastidio pazzesco, ma tanto l’altro lo accusava di soffocarlo con i capelli, quindi erano pari. Quando riuscì a trovarlo, l’amico era seduto su un ciocco di legno e stava osservando un pezzetto di carta che teneva stretto tra le dita; le pupille si spostavano velocemente da una parte all’altra dello scritto, ma il viso non denotava alcun segno di preoccupazione “ Ehilà, che vai leggendo di bello ?” domandò, mettendo una mano sulla spalla del compagno e sbirciando; quest’ultimo non alzò lo sguardo dal foglio “ Un messaggio dai miei cugini di Erebor: ci augurano buona fortuna con la battaglia” disse con tono distratto, mentre l’elfo stava andando in confusione: “ Aspetta, quale dei tuoi cugini ? Fili e Kili ?” “ Esattamente; tuo cognato e suo fratello” il biondo gli afferrò una ciocca barbuta e la strattonò violentemente verso il basso; nel frattempo che il nano sbottava insulti a mezza voce, Legolas si puliva le mani da qualche pelo che gli ci era rimasto appiccicato “ Non osare più dire ciò che hai appena detto, poiché Aralis non sa nulla del matrimonio che si è tenuto due anni fa e che tutt’oggi sussiste, legando la mia famiglia alla tua” spiegò in modo chiaro e coinciso, prima di allontanarsi a grandi passi; il nano era ancora un po’ refrattario all’atteggiamento chioccio che l’amico teneva nei confronti della ragazza, ma lo lasciò andare senza proferir parola.

*

Sire Thranduil scrutava l’orizzonte con aria assorta: l’adrenalina gli scorreva sotto pelle, facendolo fremere e rabbrividire ogni qualvolta la mente tornava alle immagini del campo disseminato di carcasse in putrefazione, dilaniate dai becchi affilati dei corvi. Non era stato più partecipe a un conflitto così importante da quando si era svolta la battaglia delle Cinque Armate: il suo esercito aveva subito delle gravissime perdite per via delle forze oscure provenienti da Mordor, ma ora era pronto a vendicarsi andando a colpire nei punti più inaspettati e reconditi del nemico. Non  sapeva precisamente se aveva fatto bene a tramandare il proprio cinismo ai figli, ma lui era fermamente convinto che la vendetta era un piatto che andava servito freddo, esattamente come il ferro affilato e ribattuto quando trapassava gli arti e spegneva vite: i fiotti di sangue maleodorante che macchiava i vestiti erano il suo bagno di latte, vedere la morte danzare tra le file di soldati era il suo trastullo ed essere considerato sovrano illuminato e sapiente, anche se sanguinario e capace di ammazzare i suoi stessi fratelli pur di far rimanere intonso il buon nome della casata, lo faceva sentire ineluttabile. Era certo che anche il suo primogenito avrebbe fatto le stesse cose, nonostante avessero punti di vista totalmente diversi; Tauriel, invece, lo aveva aiutato a difendere il regno con la sua prodezza e il suo spirito d’osservazione e in più aveva beccato due piccioni con una fava facendola sposare col principe cadetto della famiglia più facoltosa della razza nanica ( e l’unica di loro pari rango). L’ultima figliola era palesemente adottata, ma ciò non le aveva impedito di divenire molto abile nelle arti elfiche: naturalmente non quelle femminili come il ricamo o la pittura, bensì quelle maschili tra cui il combattimento, la lettura e la musica, in cui era molto dotata ed era stata istruita dai migliori insegnanti per far fruttare i suoi talenti. Era riuscita a ingraziarsi tutta la corte servendosi della sua più grande abilità: mentire. Si divertiva a plasmare la realtà a suo piacimento col solo ausilio delle parole ( il fatto di parlare perfettamente quattro lingue l’aveva molto aiutata in questo) e a usare le frottole in modo così tanto naturale da far credere all’interlocutore che stesse raccontando un fatto realmente accaduto; nascondeva piccolissime parti di verità tra milioni di bugie ed era realmente complicato distinguere il vero dal falso. Ma ora ciò non era più importante, visto che lei era scappata e ormai viveva isolata da tutti i familiari, mentre la sorella abitava in uno sporco covo di nani e il ragazzo era diventato un girovago: lui, Thranduil figlio di Oropher, era rimasto solo in compagnia di un alce gigante. Stravedeva per quei giovani e non riusciva a figurarseli come dei grandi guerrieri che ammazzavano altre persone tutti i giorni per lavoro;  nella sua testa erano ancora le sue piccole pesti che distruggevano i vasi della reggia e tornavano piangenti da lui quando si sbucciavano le ginocchia sul selciato. Però adesso non era il momento di pensare a come aveva sprecato larga parte della propria interminabile vita: oggi bisognava decidere se continuarla.

*

La notte continuava a scorrere leggera e a Frodo stavano iniziando a gelare anche le ossa: non aveva certamente la stessa prestanza fisica di Sam e questo lo faceva patire particolarmente il clima freddo, quindi si continuava a rigirare nelle coperte, nel vano tentativo di prender sonno; dopo un po’ di tempo si mise a sedere e vide una luce calda e invitante che brillava nelle vicinanze. Si alzò e si mise a camminare in direzione del bagliore: trovò un piccolo focolare che continuava a bruciare nonostante la tenebra che l’avvolgeva ed era attorniato dagli hobbit; Pipino si accorse per primo della sua presenza, dato che gli altri due stavano parlando per mormorii. Il viso di Merry si distese in un sorriso che andava da orecchio a orecchio e l’attenzione si spostò sul nuovo arrivato “ Neanche tu riesci a dormire, eh ?” lo schernì il cugino e gli offrì un pezzo di pane di rapa scaldato; insieme chiaccherarono per varie ore, stando a sedere sui ciocchi di legno o sulla nuda terra, mangiando cibo ancora più povero di quanto non ne mangiassero quando erano a casa loro e fumandosi un po’ di Erba Pipa che gli rimaneva dal loro viaggetto a Isengard: parlarono anche di donne, in particolare di Rosie Cotton “ Oh com’è bella !” sospirò il giardiniere e in risposta ricevette una risatina: “ Non quanto Estella Bolgeri, credi a me” gli disse il figlio dei Brandybuck e Peregrino fece uno sguardo sognante; mister Baggins sorrise “ Siete sempre stati e sempre sarete dei bambinoni” mormorò, stando ben attento a non farsi sentire dagli altri amici. Sapeva quanto desse loro fastidio essere considerati immaturi e non voleva essere un peso per coloro che non avevano il carattere plasmato dall’aver portato un grosso fardello: lui era rimasto segnato dall’esperienza e oramai si aggirava in un mondo immutato in sola compagnia dei suoi pensieri profondi e intricati come le radici della quercia di Thorin, il re riuscito a sopravvivere alla battaglia contro gli orchetti e ad Azog il Profanatore, che Bilbo aveva piantato nel giardino di casa sua appena tornato dal suo viaggio; Frodo non era ritornato come prima, anzi a differenza di suo zio, non riusciva più a passare troppo tempo con una persona, detestava essere toccato e soffriva di dolori lancinanti che lo piegavano sempre in due da quando era stato ferito: ora aveva in mente un progetto che avrebbe tenuto segreto fino alla sua realizzazione completa, ma adesso non voleva gravare con incombenza sui suoi compagni. Si congedò e si assicurò che anche gli altri andassero a riposare, prima di rimettersi a rivoltarsi nelle sue lenzuola misere; la sua mente obnubilatasi con l’avvento del sonno iniziò a fare pensieri folli: l’unico sicuro era che doveva tornare indenne dallo scontro del giorno successivo.

***

Il cielo iniziò a rischiarare quando Aralis si legò i capelli: era sveglia da un bel po’ di tempo, intenta a mettersi l’armatura in modo tale da non poter essere colpita in punti vitali con troppa facilità, e ora si chiedeva se anche Aragorn si fosse destato; per rispondere al quesito, iniziò a passeggiare per il campo facendo attenzione a non fare un eccessivo baccano e svegliare tutti. Le ci volle molta della sua buona volontà e del suo intuito per trovare il fratello in pochissimi tentativi: sembrava che loro due fossero in grado di capire se l’altro fosse in pericolo anche a chilometri di distanza, assomigliavano alle facce di una medaglia, una coppia di calamite, lui polo positivo e lei polo… negativo. Anche se il fratello di sangue non era stato presente durante la sua infanzia era comunque riuscito a esercitare su di lei una buona influenza e a darle dei preziosi consigli, come ad esempio quello di non fidarsi delle apparenze oppure di non agire troppo impulsivamente; era sempre stato un punto di riferimento per lei, un eroe da imitare, un caposaldo per l’impero di Gondor, una stella polare in un cielo scuro, una via sicura da percorrere quando tutte le altre l’avrebbero uccisa, un senso di calore quando fuori gelava e, in ultima analisi, perfetto esempio di virtù. Lo trovò intento a fissare l’alba rosata da una sporgenza rocciosa a ovest dell’attendamento, masticando un pezzettino di Lembas che teneva stretto tra le labbra morbide; gli si avvicinò silenziosamente stando a carponi per evitare di svegliare tutto l’accampamento “ Kail seler… bella mattinata per distruggere gli invasori in uno scontro sanguinario, nevvero ?”( Ciao sorella) Uno spavento madornale prese la ragazza facendola quasi capitombolare su un piccolo fazzoletto di muschio umidiccio; l’uomo si scostò e le fece segno di accomodarsi al suo fianco: lei eseguì l’ordine senza emettere un fiato “ Cosa ti porta qui a quest’ora ? Tra a momenti partirà la sveglia e tu dovresti essere alla guida dei soldati…” la sua voce era pacata, nonostante la stesse rimproverando pesantemente “ Volevo vederti un'ultima volta come Aragorn invece che come Sire Elessar” “ Permesso accordato soldato. Perché sei venuta a cercarmi, Aralis ?” adesso la squadrava coi suoi occhi gelidi “ Qualcosa ti turba, Estel, io lo sento nelle ossa” un riso amaro “ Hai una fervida immaginazione, sorellina” “ Tu soffri ma non vuoi darlo a vedere” insistette lei “ NO ! SMETTILA DI PARLARE SE NON SAI NULLA” la ragazza si fece intimorire per qualche secondo, ma vedendo che l’interlocutore stava per abbandonarla lì, tornò in sé e si alzò “ Daro Estel, daro…”( fermati, Estel, fermati) mormorò dispiaciuta; il maggiore riappoggiò il fondoschiena alla pietra compatta, continuando però a dirigere lo sguardo verso l’orizzonte che stava aprendosi davanti a loro: le nubi stavano aprendosi lentamente, lasciando intravedere uno sprazzo di eterno immacolato da stelle e  delicatamente roseo che segnava l’arrivo di un nuovo giorno in cui dare il massimo di ciò che si è per aiutare le generazioni future. La pelle brunita dell’erede di Isildur risplendeva sotto quella luce morbida e soffusa, facendolo sembrare più dolce di quanto non fosse in realtà; le candide dita del comandante gli  accarezzarono una gota e le sue labbra si schiusero in un sorriso esprimente tutta la sua mitezza “ Scusami Efneviel, mi sono lasciato prendere dal nervosismo” ruppe il silenzio, turbato solo da un lamento del vento “ I pugni in faccia che mi dai mi restano nell’anima a fianco a tutti i “ ti voglio bene”*1 e in più io dovrei essere meno saccente” commentò lei “ La tua capacità di mettere a risalto le debolezze di un uomo equivale a mettere a nudo i suoi intenti; era ciò che nostra madre più apprezzava di te” un suo braccio le cinse le spalle “ La tua saggezza e il tuo coraggio erano quello che lei ammirava maggiormente in suo figlio” aggiunse la ragazza: le parole erano divenute melodia persa tra i monti e vennero interrotte dal suono lontano del corno che segnava l’inizio degli spostamenti precedenti la battaglia. “ Vai, ti raggiungo subito”  la incitò la gemma elfica e la giovine balzò in piedi, iniziando a discendere i massi a gran velocità; quando si trovò ai piedi dello sperone roccioso, si fermò un attimo a guardare il fratello, ormai divenuto una figura nera che si stagliava sul fondale luminoso e poi si voltò, correndo a perdifiato lungo il pendio sterile. 

 

La tana della scrittrice 

¡Hola chicos ! ¿Cómo estás ? Spero bene; questo capitolo è molto corto poiché avevo poco tempo per scriverlo visto che sto progettando anche altre fan fiction ( non linciatemi vi supplico: continuate a seguire il racconto che il prossimo capitolo sarà sicuramente migliore di questo. Ve lo giuro su Aragorn XD)  Comunque sia, il primo asterisco si riferisce a un’espressione comune con cui definire un comandante, mentre il secondo è una frase tratta dalla canzone “ Nonono” dei “ Pinguini tattici nucleari”che mi ha messo in testa mia sorella; essendo un capitolo molto tranquillo eviterò di commentarlo. Al prossimo mese con il prossimo capitolo, saluti e baci hobbit 

Sempre vostro 

 

Merry

   
 
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