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Autore: Enchalott    01/02/2021    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Una scintilla d’amore
 
Kalemi rivolse le iridi verde silvestre a Reshkigal, abbandonando la contemplazione del tragico scontro in atto.
«Tu riesci a comprendere quali siano le sue intenzioni?»
Il Custode delle anime negò senza distogliere lo sguardo dalla devastazione che stava scompaginando il mondo in cui suo fratello era stato forzatamente incarnato.
«È privo di forza spirituale. Se la donna mortale non fosse riuscita a distrarre Ishkur, snidando il suo frammento umano, Irkalla giacerebbe sconfitto e la sua essenza divina sarebbe ormai tornata qui.»
Il celeste principe sospirò, fremendo d’impazienza e d’inquietudine. Gli astanti si guardarono l’un l’altro indecisi.
«Manawydan ha accolto la sua richiesta e lo sta aiutando” intervenne Elkira «Sento la sua vigorosa essenza provenire dagli abissi marini.»
«Non la metterei su questo piano» corresse Valarde, attorcigliandosi un ricciolo all’indice «Il dio del Mare si sta limitando a contenere il Pelopi, ma non appoggia il Distruttore. Inoltre l’energia negativa è talmente forte, che il livello delle acque non è calato, anzi Manawydan ha seri problemi.»
Amathira posò Yasha a terra, invitandolo a raggiungere il padre e il bambino obbedì senza discutere, ma i suoi tratti infantili si intristirono.
«Vi prego, maestà» supplicò, prostrandosi ai piedi del sovrano divino »Consentitemi di raggiungere il mio gemello! Permettetemi di parlargli!»
«Un’ottima scusa per cavarsi dagli impicci, non è così mia cara?» obiettò la dea della Montagna.
«O peggio» rincarò il dio del Buio «Nessuno ci assicura che tu non voglia correre laggiù per dargli man forte, Amathira!»
«Non è così! Chiedete a Resh, si fida di me, lui mi conosce!»
I due le lanciarono un’occhiata di sufficienza, mentre il dio della Morte strinse con affetto la mano del figlio, che si era aggrappata alla sua lunga veste bruna. Non si sarebbe opposto alle decisioni del suo re, ma le accuse più o meno velate che i suoi pari stavano lanciando ad Amathira in presenza di Yasha lo stavano disturbando. Non era corretto che il bambino ascoltasse quei discorsi per lui troppo complessi: sarebbero stati motivo di sofferenza alle sue giovani orecchie. Il non compreso avrebbe generato dubbio, il dubbio collera e, come era sempre accaduto, la collera sarebbe sfociata in desiderio di rivalsa. Non lo avrebbe permesso.
«Non è una buona idea» sancì, ponendo fine alla querelle «Resteremo tutti fermi come ordinato. Evitando di peggiorare la situazione, se possibile. Ma tu, divino Kalemi, non dovresti tenerci sulle spine, con rispetto parlando. Vorrei che rivelassi la tua decisione in merito alle sorti della mia amata, anche se hai affermato di voler attendere il ritorno di Irkalla.»
Il giovane Immortale incrociò le braccia sul petto fasciato di seta bianca e annuì con convinzione, facendo oscillare la folta treccia corvina.
«È giusto. Sei sempre il più saggio tra tutti, Reshkigal. Sono rammaricato dal fatto che la punizione riservata alla donna che ami scivoli indirettamente su di te e su vostro figlio.»
«Ti ascoltiamo» rispose il Custode, pacato.
«Il tempo che hai riservato all’ignobile condanna del Distruttore sarà il medesimo che trascorrerai lontana dal pantheon, Amathira. In questo lasso millenario il tuo nome non verrà pronunciato dagli dei né invocato dai mortali, in modo che tu possa espiare nel totale silenzio la colpa di cui ti sei macchiata. Per aver mentito ai tuoi pari, trascorrerai le ere stabilite in solitudine, senza il conforto delle preghiere che ti riservano gli uomini, convinti della tua integrità morale e della tua bontà. Trascorso questo periodo, ti presenterai al mio cospetto e solo allora io, che governo sugli Immortali, ti farò sapere se potrai conservare il tuo ruolo di celeste o se, al contrario, non ti restituirò il titolo che hai sempre vantato.»
Reshkigal ascoltò con profonda mestizia il verdetto, facendo del proprio meglio per non cedere allo sconforto immenso che gli stava procurando.
«Sei un giudice imparziale, Kalemi» mormorò con deferenza «Ti sono grato per aver risparmiato l’essenza di colei che mi è cara, evitandole l’umiliazione di incarnarsi in una creatura inferiore.»
«Diciamo di sì» sorrise il principe, sapendo di non essere stato indulgente «Tuttavia, sarà Irkalla a fornire il responso finale. È alla sua benevolenza che ti devi affidare, non alla mia.»
Gli occhi turchesi di Amathira si inumidirono. Incrociò lo sguardo triste dell’uomo che amava e quello spaesato di Yasha. Non li avrebbe rivisti per un’infinità. Non avrebbero neppure potuto parlare di lei. Non sarebbe stata quella giusta condanna a pesarle addosso, bensì la loro assenza. La certezza che non avrebbe assistito alla maturazione di suo figlio, che sarebbe cresciuto senza sua madre. Per la prima volta dalla genesi la dea comprese il significato dei termini responsabilità e conseguenza.
Sui presenti scese un silenzio greve e carico di tensione.
«Dove va la mamma? Perché non posso restare con lei?»
Il dio della Morte si lasciò sfuggire un sospiro angosciato e lo sollevò tra le braccia. Gli sorrise, celando nel cuore la propria amarezza e scrutandolo negli occhi d’argento identici ai suoi. Nella sua infinita saggezza non trovò risposte adeguate.
 

 
«Generale, siete sicuro che funzionerà?»
Rei si girò, tenendo il destriero a redine corta: c’era una massiccia inquietudine sul suo viso di guerriero, la stessa che aveva letto quella mattina sui volti solidi e risoluti dei suoi uomini mentre li passava in rassegna, su quelli altrettanto decisi dei soldati del Nord e nelle espressioni più timide dei cittadini di Erinna. Sorrise scaltro.
«Per niente. Ma un cambio di programma o di tattica non può che essere vantaggioso. Se non altro, sfrutteremo l’effetto sorpresa.»
Il suo secondo annuì tutt’altro che convinto, ma si guardò dall’obiettare. Sapeva che il nuovo generale aveva uno spirito agile e spregiudicato, che era furbo come un ghali delle sabbie, che era impossibile seguire le sue acrobazie mentali e che tante volte le sue risposte avevano il sapore acre di una presa in giro. Non per nulla, fino al giorno prima, lo avevano chiamato con un nome di battaglia che aveva il significato di sfacciato, impertinente. Ma sapeva anche che i suoi sottoposti lo avrebbero seguito in mezzo alle fiamme.
«Kendeas aveva optato per la difesa, è vero» continuò Rei «Ma essa non ha portato a nulla. I daimar ci hanno decimato a piacimento, senza risparmiarci la farsa di farci sentire sicuri di giorno. Ebbene, non ci sto. Se devo cadere nelle loro sporche grinfie, voglio che avvenga con stile, senza fare la figura del babbeo!»
Sul viso del compagno si disegnò una nota di divertimento. Bene. Ridere in faccia alla morte era un punto a loro favore.
«Neli Delas guiderà la seconda carica. Quando non saremo più in grado di tenere testa agli Anskelisia, ripiegheremo, dando l’impressione di porre termine allo scontro sfavorevole. In realtà copriremo la sortita del resto dell’esercito, che piomberà sui nemici inconsapevoli.»
«Che gli dei ci aiutino» mormorò l’uomo, osservando la luce del deserto, che filtrava attraverso i battenti ormai socchiusi del portone maggiore.
«Preferirei che ci aiutasse il reggente» ribatté Rei dissacrante «Le tribù nomadi combattono meglio degli Immortali, a quanto vedo.»
L’ufficiale rise, facendo sfumare parte della tensione. Il generale sollevò la spada al cielo e gridò il segnale d’attacco.
 
Anshar smise di fissare il campo di battaglia, costellato di cadaveri irriconoscibili. Si ritrasse dalle mura con l’anima impregnata di sconforto. Si sorresse alla merlatura sinuosa del terrapieno, per sopperire al giramento di testa che lo colse in quel breve spostamento. Era ancora debole: non aveva preso parte all’ultimo scontro, ma aveva osservato lo svolgersi degli eventi da lassù, contravvenendo al parere dei guaritori. Se fosse rimasto al padiglione medico, si sarebbe sentito un vile: invece in quel modo gli sembrava di aver appoggiato con lo spirito i compagni scesi in combattimento. Aveva pregato, condividendo con trepidazione le loro sorti incerte.
L’esercito era appena rientrato nella sicurezza del perimetro fortificato. Le perdite erano state meno ingenti, ma l’ombra aveva mietuto le sue prede.
Attraversò il margine della cinta, lasciandosi alle spalle lo scenario del massacro, e si affacciò dalla parte opposta, scrutando l’orizzonte curvilineo e sfocato del deserto.
La contemplazione delle dune, martellate da un sole di mezzo pomeriggio troppo timido e debilitato, lo rasserenò come tutte le volte in cui aveva sentito il bisogno di una comunione con la sua terra. Avrebbe voluto suonare l’ògera, ma il suo braccio destro era sorretto da una fascia che gli passava intorno al collo. La slogatura provocata dalle percosse dei ripudiati era più fastidiosa del previsto.
La tattica ideata dal nuovo generale, il giovane coraggioso che aveva soccorso lui e Phylana, aveva funzionato piuttosto bene: gli Anskelisia erano stati colti di sorpresa e non erano ricorsi rapidi ai poteri dei daimar. La seconda ondata dell’offensiva aveva tagliato la strada ai sulluhat, che non erano riusciti a fornire le istruzioni ai sottoposti, lasciandoli in balia degli attaccanti.
In quel momento, nello spiazzo sottostante, il generale stava riorganizzando il terzo schieramento di guerrieri, in un’azzardata rotazione che avrebbe garantito difesa costante alla capitale, ma che avrebbe messo a dura prova gli uomini in grado di impugnare un’arma. Nessuna tregua, nessun riposo collettivo, solo quello breve creato dalle rapide turnazioni.
I demoni però non avevano necessità di rifiatare, uno svantaggio cui era impossibile porre rimedio, specie quando calavano le tenebre e il creato si trasformava in un luogo da razziare.
Il bailye dei Rhevia seguì con lo sguardo l’andirivieni agguerrito e marziale di Aska Rei, instancabile sul destriero dal manto scuro, mentre forniva le direttive che sarebbero valse le loro vite o le loro dipartite. Per quanto avrebbe retto? Per quanto sarebbero riusciti a contrastare le creature dell’oscurità? Avvertì la sensazione di stare lottando da sempre e all’infinito. Vibrò di mortificazione, impossibilitato a proteggere i propri cari come si era ripromesso.
«Non dovresti sottoporti a questo affaticamento, Anshar…»
Il ragazzo si volse, richiamato dalle note familiari della raccomandazione: i suoi occhi nocciola sfumati di giada incontrarono quelli castani e fieri di Neyosh.
«Rimanere in piedi non mi pesa.»
Stese l’arto sano e accolse l’amico nell’abbraccio, felice di vederlo in forma fisica e mentale.
Finché la polvere non si era sollevata a nascondere tutto, lo aveva seguito dall’alto nella mischia furibonda, poi ne aveva perso le tracce. Se non si era precipitato a cercarlo nel cortile principale, dopo che l’esercito aveva fatto dietro front, era solo perché il compagno lo avrebbe aspramente rimproverato.
«Sei tu che dovresti andare a riposare, Neyosh. Non hai molto tempo.»
«Non sarei riuscito a prendere sonno senza averti visto. Vieni giù con me?»
Anshar scrutò nel profondo del suo sguardo e trasse un lento sospiro, come se ciò che avrebbe risposto fosse stato destinato ad arrecargli un dispiacere. Scosse la testa con gentilezza e gli serrò entrambe le mani nella sua.
«No, c’è qualcosa che devo fare.»
Neyosh annuì sconsolato. Tra loro le parole non erano necessarie.
Un’intensa folata d’aria fece sollevare la lunga casacca bianca e gli estremi della sciarpa rossa e oro del capotribù, che si intrecciarono ai lunghi capelli color cannella. 
L’altro ragazzo, in abito aderente da battaglia, stizzò le palpebre per non essere disturbato dalla sabbia che turbinava nella corrente ascensionale. Quando riaprì gli occhi, scorse al fondo della salita che conduceva agli spalti la ragione della risposta negativa. Annuì a malincuore.
«Sai dove trovarmi» rispose senza riuscire a mascherare la frustrazione.
Anshar lo attirò di nuovo a sé.
 
Phylana osservò la scena che si stava svolgendo sul camminamento tra i bastioni e si sentì alla stregua di un’intrusa, anche se di fatto si era mantenuta a rispettosa distanza. Attese che l’abbraccio tra i due Rhevia si slacciasse e anche allora non osò muovere un passo.
Quel giorno aveva combattuto al di sopra del portone maggiore, per coprire le spalle ai compagni e l’ingresso alla città, preservandoli da eventuali tentativi di sfondamento da parte degli Angeli. Gli arcieri abili come lei erano piuttosto esigui, pertanto il generale Rei aveva accettato di lasciarla intervenire. Non prima di aver mugugnato tra i denti che, al contrario, avrebbe dovuto accompagnarla a casa per lasciarcela a oltranza e che Narsas l’avrebbe scorticato vivo.
Quell’uomo attraente e deciso le piaceva: riusciva a mantenere il sangue freddo, a fare mente locale in ogni circostanza, appariva smaliziato e scherzoso, ma in realtà sapeva tenere la situazione sotto controllo senza renderla frenetica o ponderosa.
Pur non essendo scesa tra le dune come nell’ultima occasione, la ragazza aveva percepito il peso opprimente del conflitto impari. Ogni colpo messo a segno era un passo verso qualcosa che non appariva come una vittoria prossima, bensì come un disperato tentativo di rimandare la fine. Tutti loro avevano sperato di intravedere all’orizzonte il pulviscolo dorato che avrebbe annunciato l’arrivo del principe Stelio, ma le illusioni erano cadute, attraversando gli uomini di vedetta in un’onda carica di sconforto. Qualcuno aveva insinuato che il reggente potesse già essere stato sconfitto e l’eco delle voci scettiche era riverberata tra i difensori con l’effetto di un boomerang. Il generale aveva aspramente biasimato il pettegolezzo, definendolo un indegno disfattismo, e i soldati avevano smesso di rumoreggiare, mortificati.
La Aethalas aveva auspicato che la falsa notizia non fosse giunta alle orecchie della regina Eudiya e della principessa Dionissa, a incrementare la loro angoscia.
Tornò con lo sguardo alla sommità del terrapieno e vide che Neyosh stava percorrendo la discesa in solitaria. Si fece animo e gli andò incontro. Si incrociarono a metà strada e si fermarono a un passo l’uno dall’altra.
«Come sta Anshar?»
«Tanto bene da non volersi rimettere a letto» bofonchiò Neyosh indispettito.
«Oh… se è così, cercherò di disturbarlo il meno possibile. Desidero accertarmi delle sue condizioni, ti prometto che proverò a farlo ragionare, conosco termini medici che spaventerebbero chiunque!»
Sul volto accigliato di Neyosh sbocciò un sorriso aperto e spontaneo. Scosse il capo.
«Non occorre. Sa quello che fa.»
La ragazza spalancò gli occhi senza cogliere il senso di quelle considerazioni antitetiche. L’espressione serena dell’interlocutore la tranquillizzò, sebbene sui suoi tratti marcati stagnasse un palpabile velo di tristezza. Lui impugnò con solennità una delle collane che costituivano il tratto distintivo dell’abbigliamento della sua tribù.
«Sei mia sorella, Phylana” disse, sfilandosi il monile.
Si avvicinò e lo pose intorno al collo di lei con la premura di non toccarla. La giovane donna lo fissò stupita, stringendo tra le dita gli ornamenti colorati, inanellati a formare il prezioso gioiello.
«Io non ho nulla con cui ricambiare questo splendido omaggio» balbettò senza comprenderne la ragione effettiva «Il mio nudo grazie non è sufficiente.»
«Non è così» rispose Neyosh impenetrabile.
Lei si esaminò gli abiti maschili e spogli: tranne l’anello di rame che portava al pollice per assestare le frecce durante il puntamento e il fermacapelli appartenuto a sua madre, non possedeva niente. Gli rivolse un’altra occhiata meravigliata.
«Abbi cura di lui» precisò il ragazzo, riprendendo a scendere lungo la china.
«Neyosh!» lo richiamò lei «Anche tu sei mio fratello!»
Lui rispose con un cenno d’assenso e s’incamminò verso le tende.
 
Anshar colse lo scambio tra i due e una parte del suo animo gioì, liberandolo dalla sensazione di onere personale.
Phylana lo raggiunse in preda a un’emozione indefinibile: non riuscì né a rallegrarsi per il suo miglioramento né a rimproverarlo per aver disobbedito ai guaritori, limitandosi a contemplarlo come fosse un’apparizione ultraterrena. In effetti, nel bagliore del controluce ne aveva tutta l’aria, con la camicia leggera che sfiorava il suolo e fluttuava al vento, la chioma incendiata di riflessi arancio dai raggi obliqui del sole e gli orecchini gemmati che tintinnavano piano.
«Su di te è perfetta.»
Lei avvampò al complimento, sfiorando con deferenza la collana variopinta.
«Mi hanno detto che per i Rhevia ogni ornamento ha un significato che concorre a enunciare la storia di chi lo indossa. Suppongo che privarsene per farne dono sia un gesto di una generosità immensa, soprattutto verso chi, come me, non appartiene alla vostra gente.»
«È così. Neyosh non ha trovato altro modo per ringraziarti di avermi salvato la vita. Vorrei fare altrettanto» confermò Anshar.
«Non devi! Se esiste un debito di riconoscenza, è quello che ho io nei tuoi riguardi! Tu, prima ancora, mi hai guarita da me stessa!»
«Io? Ci sei riuscita da sola, Phylana.»
«No, senza di te mi sarei persa! Se tu non mi fossi stato vicino, avrei forse ucciso Laras, ma sarei rimasta prigioniera del mio astio! Tu mi hai portata a riflettere, hai fatto sì che io accettassi il mio dolore, la mia vulnerabilità… mi hai convinta a perdonarmi, a non infierire. Tu mi hai fatto piangere, Anshar.»
«Beh, non è un gran merito» borbottò impacciato il ragazzo.
«Lo è» sussurrò lei, abbassando gli occhi «Inoltre, quando ci sei tu, essere una donna mi pare addirittura… una fortuna.»
Il capotribù le sorrise con semplicità.
«Un passo alla volta e dimostrerai a tutti quale fortuna sei tu, Phylana. La tua femminilità è un pregio che non dipende dalla mia presenza, è…»
Si interruppe per sostenersi al bordo di pietra, colto da un altro forte capogiro. Impallidì e si addossò alla muratura, rimanendo eretto con un notevole sforzo. Faticò a riprendere fiato, dando ragione alle preoccupazioni di Neyosh.
«Anshar! Ah, lo sapevo! Non avresti dovuto venire quassù! Siediti per un attimo, cerca di riaverti... piano! Ti accompagno io al padiglione medico!»
«No. Quello che ho da dire, lo pronuncerò in piedi» rispose lui irremovibile.
La ragazza si stupì, ma non obiettò. Rilevò in lui una risolutezza diversa da quella pacata e morbida che gli apparteneva. Non riuscì a constatare altro, poiché lo vide vacillare e dovette ancora sorreggerlo affinché non crollasse a terra.
«Insomma, Anshar!»
«Ti domando scusa. Finisco sempre per invadere il tuo spazio, pur sapendo quanto ti metta a disagio.»
«Non con te.»
Il bailye si scostò per guardarla negli occhi. Esitò, come se non reperisse un incipit adatto a ciò che desiderava esprimere. Un atteggiamento insolito da parte sua.
«Phylana… quando mi hai svuotato dal veleno e mi hai medicato la ferita…»
Lei arrossì con violenza e indietreggiò.
«Ti prego» la trattenne lui con gentilezza, appoggiandosi alla sua spalla «Non voglio piombare a terra davanti a te e desidero porti una domanda. Consentimelo.»
Phylana annuì, continuando ad aiutarlo.
«Non ricordo con chiarezza» ricominciò Anshar «Perciò dimmi se ti ho mancato di rispetto. Se ho tradito la tua fiducia.»
«Cosa? Come ti è balenata un’idea del genere?»
Poi l’immagine delle loro labbra che si sfioravano mentre erano stretti l’uno all’altra nell’incertezza del fato, le riempì la mente. Avvampò.
«Oh. Non è avvenuto di proposito. Ci siamo mossi insieme e… non mi hai offesa.»
Lo sguardo di Anshar restituì sollievo e inquietudine.
«Nient’altro?»
«La tempesta di sabbia e il terribile timore di perderti» rispose lei.
Il portavoce dei Rhevia tacque, inalando una boccata d’aria. Allora tutto il resto lo aveva immaginato nel torpore dovuto all’emorragia e alla tossina. Rimaneva qualcosa che non era frutto di un’allucinazione. Si raddrizzò cauto, sperando di non cedere, si sfilò dal collo la fasciatura che gli reggeva l’arto slogato e stese le braccia, emettendo un gemito soffocato.
«Che fai!?« sbottò la Aethalas «Non sei guarito!»
«Le tue mani. Accontentami, se puoi.»
Le iridi striate di giada erano lucide e vibranti. Era luminoso come il riflesso del sole sull’acqua placida. Altrettanto limpido e rassicurante. Phylana posò con indugio i palmi aperti sui suoi e avvertì la stretta successiva delle sue dita. Non distolse lo sguardo, incantata dalla sua espressione così seria e così dolce.
«Non accetti da me né doni né riconoscenza» continuò il bailye «Ti comprendo, io agirei allo stesso modo. Ma accoglieresti le mie parole?»
Lei si abbandonò a quel sorriso appena accennato e assentì spaesata. Lui sospirò.
«Ho avuto paura di morire, quando Laras mi ha pugnalato. Una paura immensa. Non quella che si classifica come reazione umana a un evento rischioso e neppure quella che fa parte dell’istinto animale di sopravvivenza. Non certo quella di smarrire la mia anima tra le fauci dei daimar. Eppure l’ho avvertita ed era insopportabile… la paura di non rivedere te, Phylana.»
La ragazza spalancò gli occhi. Anche lui, dunque…
«E poi quella vergognosa e irresoluta per non averti confidato quanto provo. A costo di perderti a causa della verità e non per altra ragione.»
«Anshar…?»
«Non è nelle mie intenzioni arrecarti oltraggio, sono consapevole di provocare la tua repulsione, so che potresti fuggire da me, ma lo accetterò. Se deciderai di non incontrarmi mai più, non commetterò forzatura e non tenterò di dissuaderti. Sono un uomo, anche se l’immagine che hai di me è lontana eoni da quella virile e solida degli arcieri della tua gente. Sono un uomo e come tale non voglio tacere. Non voglio fingere, non voglio tenere per me ciò che appartiene a entrambi. Perciò ricevi le mie parole. Quest’uomo, che non possiede altro che se stesso, ti ama dal profondo. Accogli in dono il mio cuore, Phylana, figlia di Varsya.»
La ragazza ascoltò frastornata la dichiarazione schietta. Se la presa stabile delle sue mani non l’avesse ancorata alla realtà contingente, avrebbe pensato all’effetto di un eikatoptri. Lo contemplò abbagliata, incredula, davanti a ciò che le sembrava un paradosso: una persona unica e saggia come Anshar, innamorarsi di lei, che non era neppure degna di essere sua amica. Di lei, che rifuggiva ogni contatto maschile e che era soltanto capace di combattere come un soldato. Nonostante le convinzioni sminuenti, una felicità palpitante le traboccò dall’animo. La riconobbe subito, anche se da mesi non l’aveva più provata, se non abbinata alle dolorose memorie che la restituivano come perduta in eterno. La potenza di quella sensazione familiare si tradusse in un pianto istantaneo e incontenibile. 
«Invoco il tuo perdono» mormorò il giovane Rhevia, avvilito difronte alla sua reazione «Sono un egoista a parlarti così. Oggi il terribile pensiero che uno di quei poveri corpi straziati potesse essere il tuo o che uno di quei demoni spietati ti infliggesse la sua venefica coercizione senza che io potessi intervenire a salvaguardarti… ah! Se l’amore puro sconfigge la tenebra, e io ne sono convinto, allora il mio riuscirà ad allontanare da te ogni male, anche se non lo desideri, anche se non lo ricambi, se esso provoca il tuo disgusto.»
Le lasciò le mani e si ritrasse, tornando ad appoggiare la schiena alla muratura. Era spossato, le energie risucchiate dal duplice sforzo cui si era costretto.
«No! Io sono onorata! Io non…»
Anshar sorrise, ma i suoi occhi scintillarono di pena.
«Lo so. Tu mi vedi come un amico un po’ eccentrico, che talvolta si trasforma in un fratello maggiore per erogarti una paternale non richiesta. Volevo che conoscessi i miei sentimenti più profondi. Non aggiungerò altro e non ti tratterrò. Non desidero importi la mia presenza.»
Phylana trasalì, attraversata da una scossa di panico. Gli prese il viso tra le mani, senza curarsi dell’aderenza al suo corpo, senza smettere di tremare.
«Non andare! Non vorrei piangere, ma posso giurarti che è l’effetto di una gioia insperata! Anshar… oh, dèi immortali!»
Lo abbracciò forte e percepì che lui restituiva la stretta, esitante nella convinzione di esserle sgradito. Gli accarezzò i capelli e lo guardò negli occhi, abbacinata da tutto ciò che lui era e che riusciva a trasmetterle.
«Anshar, ho smesso di pensare a me stessa quando ho incontrato te! Il terrore più grande che abbia mai provato è stato quando ti sei abbandonato inerte tra le mie braccia. Mi sento vuota senza di te a colmarmi, fragile se non sei al mio fianco, non posso affrontare l’idea di perderti, persino il coraggio che ritenevo di possedere non è una virtù che mi appartiene. Ma se questo fosse il nostro ultimo giorno, saprei che nulla è andato sprecato, neppure il più piccolo granello della mia esistenza. Forse sono rimasta in vita solo per ascoltare le tue parole, per lasciarmi amare da te, per sperare in un futuro diverso, persino se esso non fosse composto che di pochi istanti. Anshar, gli dei mi hanno concesso la grazia di incontrarti. Mi vergogno a impiegare parole tanto grandi, eppure non ne trovo altre per descrivere l’irrealizzabile che tu solo hai reso concreto. Amo te, ti amo tutto e in ragione di questo mi sento… vera!»
Il ragazzo le appoggiò le labbra alla fronte, commosso. Avvertì scemare dal sé una tensione della quale non si era accorto di essere preda.
Phylana tuffò il volto sul suo petto, tra le collane tintinnanti e sulla pelle tiepida che la casacca slacciata gli lasciava scoperta. Lui restò immobile nella stretta, non osò cingerla più di quanto non stesse già facendo.
«Non piangere più» le disse piano «Ci resta così poco tempo, desidero trascorrerlo annegando nel tuo sorriso, nient’altro.»
Le passò il pollice sulle guance e prese fiato, scacciando i pensieri turbinanti di giovane uomo. Lei appoggiò la mano sulla sua, assimilandone il calore.
«Non farò nulla che tu non voglia» mormorò con dolcezza il bailye.
«Oh, è che io… io ero convinta che tu e Neyosh…»
Anshar sgranò gli occhi.
«Cosa?»
«Lui…»
Il portavoce dei Rhevia scosse la testa, arrestando ogni obiezione.
«Lui è mio fratello. Lo sa. Questo è sufficiente per te?»
Phylana annuì. Si sollevò sulle punte dei piedi e lui la accontentò.
Le loro labbra si sfiorarono e rimasero unite in quel bacio appena accennato. Una scintilla d’amore pulito a illuminare l’oscurità tetra del mondo.
   
 
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