Capitolo
Settimo: New York, New York!
Era successo tutto in fretta, forse troppo in fretta, stentavo ancora a
metabolizzare gli eventi del gennaio passato, malgrado febbraio fosse
già
passato da un pezzo e marzo stava passando, ben deciso a lasciare il
posto ad
Aprile, al mio diciottesimo compleanno, alle vacanze di Pasqua e tante
altre cose
che mi sembravano troppo differenti da quelle che io in
realtà volevo.
Quel quattro febbraio, quando avevo urlato in faccia ad Emanuele il
fatto
che mi aveva scocciato con le sue manie di egocentrismo e lo avevo
anche
mandato a quel bel paese, non poteva non avere un amico del cuore: il
cinque
febbraio.
-Buongiorno.- Quando entrai in cucina, alzando lo sguardo incrociai
ovviamente lo sguardo di Emanuele. Mi soffermai a guardare il suo
labbro rotto,
il grosso ematoma sulla sua guancia e l’occhio leggermente
socchiuso, cercando
tuttavia di mantenere l’espressione più
impassibile possibile.
-Buongiorno.- Risposi freddamente, mentre mettevo la cialda nella
tecnologica macchinetta Nespresso, quella pubblicizzata da George
Clooney, per
intenderci. Aspettai che il mio caffé fosse pronto e poi mi
andai a sedere al
tavolo, rigorosamente davanti ad Emanuele Benassi, se qualcuno avesse
voluto
avere il gusto del dubbio. Cercai di mandare giù il
caffé il più velocemente
possibile, per evitare quella stramba ed inconveniente situazione, ma
quando
fui sul punto di cominciare ad ustionarmi la lingua, piombò
nella stanza
Gianluca, ed io tirai un sospiro di sollievo.
-Buongiorno, Ginni. Buongiorno Emanuele.- Disse con dolcezza, spostando
lo
sguardo da me a Emanuele, come per volerci studiare con decisamente
poca
discrezione. Non c’era niente da studiare, niente! Non
c’era neanche più niente
da scovare: le relazioni, di qualsiasi genere ci fossero state, fra me,
Ginevra
Sforza, ed lui, Emanuele Benassi, erano terminate la sera precedente, o
meglio
dire alle tre di notte di quella stessa domenica.
-Buongiorno, Gianluca.- Risposi cortesemente, mentre
l’atmosfera che si
andava creando mi piaceva sempre di meno. Evitai accuratamente lo
sguardo di
Emanuele mentre prendevo una delle brioches che i genitori di Sara ci
avevano
comprato. Perché tutto d’un tratto Benassi mi
guardava così intensamente? Che
diamine aveva da guardare? Non mi ero truccata male, a dire il vero non
mi ero
truccata affatto, non avevo disegni strani nel viso e non stavo
mangiando
spinaci, evitando il rischio di avere roba strana fra i dente. Cosa
voleva?
-Buongiorno a tutti!- Eccolo completato il quadro! Federico e Sara
entrarono nella Sala da Pranzo e fermandosi accanto a Gianluca alla
macchinetta
del caffé, fissarono me ed Emanuele al tavolo, malgrado ci
fossero tre posti
liberi ad aspettarli.
-Potete sedervi, eh.- Dissi mentre finivo il caffé e posavo
rumorosamente
la tazzina sul tavolo. Li guardai riducendo i miei occhi a due fessure.
-Stiamo aspettando il caffé!- Trillò allegra
Sara, guardando poi con amore
Federico. Scossi la testa, chiedendomi se quella notte mentre io ero
immersa in
un sonno senza sogni, loro avessero fatto festa a base di sostanze
stupefacenti
ed allucinogene.
-Ciao, Ginevra, sono Marco.- La volce calma e rassicurante di quel
ragazzo
mi fece spuntare un sorriso sulle labbra. Sia benedetto Marco, il
cameriere del
“Rumba Room!”
-Ciao, Marco!- Risposi raggiante, mentre Emanuele lasciava cadere la
brioche per fissarmi. Che diamine hai da guardare? Gli avrei voluto
dire, ma
riuscii a trattenermi, tornando a guardare la tazzina vuota del
caffé. –Come
mai chiami così presto?-
-Devo andare in biblioteca a studiare.- Fece un attimo di pausa.
–Ti sta
fissando come un pesce lesso?- Spalancai gli occhi, cercando poi di
recuperare
un po’ di contegno.
-Ma cosa dici!- Sbottai, mentre notavo la curiosità
accrescere negli occhi
di Sara, Gianluca, Federico e ovviamente di Emanuele.
-Rispondi!- Il suo tono era beffardo ed io ridacchiai. Maledetto Marco!
-Sì.- Sibilai, cercando nel frattempo qualcosa con cui
distrarmi.
-E poi dici che non gli piaci. Sta ribollendo di gelosia.- Per poco non
cascai a terra dalle risate. Risate decisamente isteriche,
sfortunatamente.
-Ed io sono cappuccino rosso!- E prima che potesse ribattere aggiunsi.
–Non
usare la scontata battuta che i miei capelli sono rossi come il
cappuccio.-
Sentii Emanuele soffocare una risata. Lo incenerii con lo sguardo,
tornando a
concentrarmi su Marco.
-Comunque le mie profezie si avvereranno, Rossa.-
-Rossa mi mancava come soprannome..- La mano di Emanuele si strinse in
pugno. Cercai di evitarlo. –Comunque ti
aggiornerò, stanne pur certo.-
-Okay, allora ora ti lascio al pomeriggio dei tuoi sogni.- Adorabili i ragazzi sarcastici, no?
-Ciao, Marco.-
-Ciao, Rossa!- Chiusi la telefonata, posando il telefonino sul tavolo
ed
alzando lo sguardo. Tutti cercarono di fingersi indaffarati, come se
non
avessero ascoltato come degli avvoltoi quella chiamata. Tutti si
finsero
indaffarati tranne Emanuele. Sbuffando mi alzai da tavolo, posando la
tazzina
nel lavandino ed allontanandomi da quella cucina-sala da pranzo.
Giunti ormai ai tornelli, Federico, Sara e Gianluca si erano fermati e casualmente mi ero ritrovata seduta su
quella dannata seggiovia insieme a Emanuele. Ovvio. Guardai dritto
davanti a me
e mi accorsi che quella salita era lunga, incredibilmente lunga,
probabilmente
sarebbe durata dai cinque ai dieci minuti. Troppo tempo da trascorrere
con quel
deficiente. Sbuffai, togliendomi poi un guanto e prendendo
dall’interno della
mia tuta il pacchetto di Camel Light. Presi una sigaretta, mettendomela
fra le
labbra, riponendo poi il pacchetto nella tasca interiore. Portai la
mano alle
tasche dei pantaloni, per poi sbuffare con talmente tanta forza da
rischiare di
lasciar cadere la sigaretta.
-Maledizione.- Sussurrai a denti stretti.
-Hai bisogno dell’accendino?- La voce di Emanuele
suonò estremamente
gentile. Troppo gentile. Mi girai e lo guardai in cagnesco, mentre lui
mi
rivolgeva un ampio sorriso. Non aveva capito nulla, allora? Non aveva
capito
che aveva chiuso con me? Tuttavia presi l’accendino e mi
accesi la sigaretta,
riconsegnandoglielo il più in fretta possibile.
-Da quand’è che fumi?- Domandai dopo aver fatto un
paio di tiri, sempre
senza guardarlo.
-Non fumo. L’ho portato via a Giulia ieri, per sbaglio.-
Rispose
tranquillamente, mettendosi poi a fischiettare. Ah bene! Dovevo anche
ringraziare Giulia Pelosi di aver lasciato casualmente
l’accendino ad Emanuele,
sanando in tal modo la mia crisi da assenza di nicotina. Grazie Giulia!
-Capisco.- Dissi secca, determinata a non spiccicare più
parola per il
resto della salita. Ed il deficiente fischiettava. Diamine, mi sentivo
proprio
una ragazzina delle elementari ad insultarlo per ogni minima cosa che
faceva,
ogni parola che pronunciava..ma non c’era niente da fare: ero
orgogliosa, di un
orgoglio ferito sì, ma di un orgoglio che adesso non ci
pensava proprio a
cedere un’altra volta davanti a quel bel faccino.
Gettai via la sigaretta, guardando poi dritta davanti a me. Mancava una
cinquantina di metri all’arrivo, grazie a Dio. Mi misi in
posizione per
scendere, togliendo la tavola dalla sbarra. Tentai di sollevarla ma
qualcuno la
bloccava. Mi voltai per vedere Emanuele che la tratteneva, serio in
volto.
-Perché hai reagito così?- Domandò.
Guardai prima lui e poi il punto
d’arrivo sempre più vicino. Doveva togliere quella
cosa immediatamente.
-Non ho reagito in nessun modo.- Risposi secca, tentando nuovamente
invano
di alzare la sbarra.
-A me non sembra.- Mi guardava fisso negli occhi, non curandosi del
fatto
che a cinque metri dovessimo scendere.
-Alza quella sbarra, deficiente!- Ringhiai con tutta la forza che
avevo.
Lui lasciò molto semplicente la presa e quella si
alzò. Appena posai la tavola
sulla neve, prendendo controllo dei miei movimenti, mi chinai un
secondo a
fermare gli attacchi, prendendo poi a scendere velocemente
-Mi potevi ammazzare, razza di deficiente!- Urlai dopo essermi
slacciata
gli attacchi ed essermi messa in piedi davanti a lui.
-Non ti è successo niente, o sbaglio?- Domandò
lui senza reagire alle mie
urla da pazza isterica.
-Poteva succedermi! Ma che diamine hai in quella testa?- Lo guardavo
fisso
negli occhi mentre il mio sangue ribolliva. –Cosa diamine
vuoi ottenere?-
-Spiegazioni.- Ah! Lui voleva delle spiegazioni! Certo, molto logico.
–Ed
il tuo perdono.- Aggiunse mentre io lo fissavo accigliata. Il mio
perdono,
certo!
-Ho solamente deciso che è meglio se stiamo uno fuori dalla
vita
dell’altro.- Dissi fredda, gelida quasi come l’aria
e la neve che ci
circondava. Lui non fece una piega, non mosse un singolo muscolo,
continuando a
guardarmi negli occhi.
-Io non voglio che tu stia fuori dalla mia vita.- Ribatté
con tale
semplicità che io per poco non mi lasciai deviare. No,
dovevo portare avanti
quella storia a testa alta, non volevo più soffrire per lui.
-Dimmi un motivo per cui vuoi che io resti.- Replicai affrontando il
suo
sguardo, senza più timidezza, senza più
imbambolarmi davanti a quel castano.
–Dimmi un motivo per il quale tu vuoi me e non una qualsiasi
altra persona
nella tua vita.- Specificai. Calò il silenzio. Lui
spostò lo sguardo a terra e
si strinse nelle spalle, senza parlare, mentre io lo continuavo a
guardare,
tenendo le redini di quella situazione, non subendo più. Lui
finalmente mi
guardò negli occhi.
-Io..- Tentò di dire, ma richiuse immediatamente la bocca.
Io lo guardai,
incitandolo con lo sguardo. Sperando che lui dicesse qualcosa che
cambiasse le
mie intenzioni.. Perché infondo io non volevo interrompere
quella
“relazione”,di qualunque genere fosse, con lui. Ma
Emanuele abbassò nuovamente
gli occhi ed io sospirai, mentre il mio cuore si stringeva forte.
-Quando trovi una risposta soddisfacente, fammi uno squillo.- Dissi
secca,
amareggiata, mettendomi poi la tavola ai piedi ed andandomene
lanciandogli un
ultimo sguardo. Lui mi guardava fermo, immobile, come se ad un tratto
fosse
diventato una statua di ghiaccio. Mi voltai dall’altra parte
e scesi
Quel marzo non era cominciato nel migliore dei modi, metereologicamente
parlando. Erano già tre giorni che pioveva a dirotto e
quella notte aveva
addirittura grandinato. Con il cappuccio della felpa che indossavo
tentai di
ripararmi dalla pioggia, mentre andavo a passo spedito al baretto.
Arrivai
inevitabilmente bagnata e quando entrai ringraziai il cielo che Sara e
Gianluca
avevano preso un tavolino lontano dalla massa, anche se vicino ai
bagni, e mi
aspettavano lì con il mio caffé ed il moretto
già pagato.
-Grazie vi adoro..- Dissi semplicemente, buttando la borsa a terra e
levandomi il giubbotto, per poi sedermi. Sara era tutta intenta a
ripassare per
l’imminente interrogazione di filosofia, mentre Gianluca
ricopiava la versione
di latino. Insomma avevo degli amici molto studiosi!
-Oggi non rischi nulla?- Mi domandò Gianluca alzando un
occhio da Cicerone.
Io scossi la testa soddisfatta.
-Rischierei solamente italiano ma mi giustifico, che ieri sera sono
tornata
tardi e non ho fatto in tempo ad aprire il libro.- Avevo passato il
week-end a
Milano a casa di mio padre ed il treno aveva fatto ritardo, al ritorno.
-E’ andata bene su?- Chiese Sara, chiudendo finalmente il
libro e
sorseggiando tranquilla il suo cappuccino. Ingoiai un pezzo di moretto,
annuendo.
-Sì, sono stata coi miei soliti amici di lì..
sabato siamo andati ad un pub
carino e per il resto siamo stati lì al Duomo e dintorni..-
Risposi, bevendo
poi il caffé prima di continuare. –Voi che avete
fatto?-
-Siamo stati con Federico, Emanuele e Sara a Firenze..- Disse cauto
Gianluca, ben consapevole del fatto che il tasto
“Benassi” era sempre piuttosto
doloroso per me.
-Divertiti?- Domandai atona, concentrandomi a mangiare il moretto.
-Sì abbastanza.. peccato che di vita notturna a Firenze non
ce ne sia.-
Commentò Sara con un largo sorriso sulle labbra.
–Oh guardate, c’è Federico!-
Si illuminò ancora di più, sbracciandosi poi per
attirare l’attenzione
dell’amato. Alzai a malavoglia lo sguardo, vedendo
inevitabilmente la figura di
Emanuele avvicinarsi insieme a Federico al nostro tavolino. In quel
mese non ci
eravamo praticamente mai visti. Avevo interrotto le uscite con quei due
ed
avevo passato i sabato sera o con Gianluca e Sara soltanto o con la mia
classe.
A ricreazione Emanuele non scendeva mai e nei corridoi non ci
incontravamo,
quindi quella era una sottospecie di “primo
incontro” dopo la tempesta.Abbassai
lo sguardo, finendo il moretto il più lentamente possibile.
-Ciao, Ginni!- Mi salutò Federico, chinandosi a baciarmi una
guancia.
-Oi, Fede!- Risposi con tutta la mia simpatia. In fondo Federico non mi
aveva fatto niente ed avevo passato volentieri alcuni pomeriggi a casa
di Sara
anche con lui. Non lo volevo solamente vedere quando era in compagnia
dell’amichetto.
-Ciao.- Mi salutò Emanuele. Lo guardai freddamente, a
differenza del mio
cuore che accellerava.. Maledetto!
-Ciao.- Risposi talmente secca da stupirmi, portando poi tutta la mia
attenzione al discorso che stavano portando avanti Gianluca, Sara e
Federico.
-Avete sentito che si è allagato tutto l’ultimo
piano e metà del nostro?-
Disse Federico. Noi spalancammo tutti gli occhi: ok che il liceo cadeva
a
pezzi. Ma addirittura allagarsi per due piani interi!
-Quali classi del nostro piano?- Domandai curiosamente. Lui si strinse
nelle spalle.
-Non lo so.. Ce lo diranno quando entreremo perché molte
classi sono in
gita e quindi c’è disponibilità di
classi vuote ..magari spostano lì gli
sfollati..-
Sara stuzzicava con la matita Gianluca, mentre Davide e Matteo erano
vicini
al nostro tavolo a parlare di Daniele de Rossi come due dodicenni con
gli
ormoni in fiamme.
-Ma sembrate gay!- Sbottai dopo un po’ che loro gli
attribuivano aggettivi
come “bello di casa”, “il più
bello” e cose simili.
-Shh.. Non capisci nulla. Totti e De Rossi sono ..SONO!- Disse
orgogliosamente Matteo levando i pugni al soffitto.
-Ah, certo.. capisco..- Mormorai cercando altro su cui concentrarmi. I
deliri calcistici maschili sono davvero da evitare se si tiene al
proprio
Quoziente Intellettivo. Aprii il diario ed il mio sguardo si
imbatté sul
post-it di Emanuele. Complimenti per i
gusti musicali. Quanto tempo era passato da quando ci eravamo
scambiati le
borse? Da quando mi aveva dato il passaggio a casa con la moto? Poco,
ma a me
sembrava troppo.
-Buongiorno, ragazzi!- Trillò Ombretta Marini entrando
saltellante.
Scattammo tutti in piedi per salutarla e poi ci sedemmo.
–Allora, allora.. Oggi
vorrei proprio sentire qualcuno visto che i pagellini sono vicini e non
ho
neanche un voto..- Disse mentre apriva la propria borsa e tirava fuori
i libri,
sistemandosi poi gli occhiali sul naso. Alzai prontamente la mano,
attirando la
sua attenzione. –Dimmi, Sforza.-
-Professoressa, vorrei giustificarmi.- Dissi con voce chiara e decisa.
Lei
strabuzzò gli occhi ed incominciò a scuotere la
testa: brutto segno.
-Ma hai avuto questa bella settimana per prepararti..E poi avevo
già
annunciato che interrogavo.. Lo sai, lo sapete, che dovete dirmi delle
giustificazioni prima che io specifichi cosa voglio fare
nell’ora di lezione.-
Disse in quel continuo scuotere di testa che cominciava seriamente a
darmi sui
nervi.
-Ma non ha dato il tempo..- Provai incerta ma lei scattò in
piedi, con gli
occhi che brillavano di una strana luce decisamente folle. Bruttissimo
segno.
-Sforza! O vieni a colloquiare con me o prendi due o prendi due ed esci
fuori dalla classe!- Sbarrai gli occhi: ma stava parlando seriamente
quella
donna? Non sapevo una ceppa del programma d’italiano, non
avevo ripassato
assolutamente nulla e le mie conoscenze di fermavano a gennaio quando
mi aveva
chiamata per mettermi un voto in pagella.
-Ma prof! Sono partita e ieri sono tornata tardi! Non ho ripassato
nulla!-
Mi alzai anche io, cercando di giustificarmi in tutti i modi, anche a
costo di
arrampicarmi sugli specchi con tutte le mie forze.
-Sempre con queste scuse! Ma non ti sei stancata? Ancora ricordo la tua
storiella per la parafrasi..- Ridacchiò, guardandosi le
mani. Lo sapevo, lo
sapevo che l’avrebbe ritirata fuori. -..Uno scambio di borse
eh, Sforza?-
L’accompagnai nella sua folle risata, mentre in me nasceva
uno strano desiderio
di sangue: la volevo morta, subito, quella dannata professoressa
incompetente.
-Poi però l’ho ritrovata.- Abbozzai un sorriso,
sperando che si
dimenticasse la faccenda del due.
-Sforza, mi hai stancata. Vai fuori dalla classe.. Per questa volta
senza
il due. Ma non ti voglio vedere per il resto dell’ora.
Fuori!- Alzai le mani in
segno di resa ed uscii il più velocemente fuori da quella
maledetta classe.
Era matta, era completamente matta quella donna. Cosa diamine si
prendeva?
Confondeva la cocaina con lo zucchero la mattina? Scossi la testa
mentre
chiudevo la porta alle mie spalle. Mi poggiai con la schiena contro la
parete e
scivolai a terra, portando le gambe al petto, mettendo ordine nella mia
testa.
Seriamente ero stata cacciata dalla classe perché avevo
tentato di
giustificarmi in italiano? No, non era possibile. Mi alzai di scatto,
passandomi le mani tra i capelli, incamminandomi poi al bagno che si
trovava a
pochi metri dalla mia classe. Quando fui sul punto di entrare,
chiudendo la
porta per poter fumare, una porta sbatté con tale forza da
farmi saltare.
Tornai indietro nel corridoio e guardai allibita Emanuele Benassi che
era davanti
alla mia classe. Alzai entrambe le sopracciglia. Da dove era uscito?
-Tu non stai nell’altro corridoio?- Domandai, mentre mi
avvicinavo a lui.
Lui guardava ancora infuriato la porta.
-Si è allagato.. Ricordi quello che diceva Federico?- Disse
recuperando la
calma. Mi ero quasi dimenticata del suono della sua voce: un
po’ roca,
profonda, così dannatamente maschile ed attraente.
-Ah.. E vi hanno spostai qui..- Conclusi, facendo scivolare le mani
nelle
tasche mentre tornavo a poggiarmi con la schiena alla parete. Lui
annuì
sedendosi per terra come avevo fatto io poco prima.
-Come mai sei fuori dalla classe?- Mi domandò, guardandomi
poi fisso negli
occhi. Il tempo non aveva aiutato a guarire le ferite del mio cuore..
Perché
dopo un mese, rivederlo, rivederlo guardarmi in quella maniera, mi
faceva
rabbrividire.
-Ho una professoressa folle. Mi ha sbattuta fuori perché mi
sono
giustificata.- Spiegai, riassumendo tutto l’evento a quelle
poche parole. –E
tu?- Quando finì di sghignazzare, lo vidi stringere i pugni:
era un gesto che
faceva quando si innervosiva.
-Quella cogliona di Arte.. Mi sono preparato
quell’interrogazione da una
settimana e non mi ha fatto recuperare il quattro del compito
perché ho confuso
il termine “essiccato” con
“disseccato”.. Le ho montato su una scenata che mi
ha fatto guadagnare il suo odio perenne.. Ma ne è valsa la
pena, la odio dal
primo giorno che l’ho vista!- Concluse in quel modo quel suo
racconto un po’
rabbioso, un po’ confuso.. Ed io gli sorrisi. Lui mi
guardò, senza dire nulla, ed
io mi sentii avvampare le guance.
-Perché mi guardi?- Chiesi senza pensarci. Che vergogna..
come me ne uscivo
con quelle domande? Abbassai lo sguardo, intimidita.
-Mi ero quasi scordato di quanto fosse bello il tuo sorriso.- Mi
rispose
con la voce più roca del solito, in una sottospecie di
sussurro. Probabilmente
diventai un peperone e mentre sussurravo un timido
“grazie”, evitai
accuratamente di alzare lo sguardo.
–Com’è andata questa settimana?- Lo
ringraziai mentalmente per aver cambiato argomento e lo guardai con
molta più
calma.
-Sono stata qui a Roma.. ed il week-end sono salita a Milano a trovare
mio
padre.- Risposi. Che gioco stavamo giocando? Era solo una chiaccherata,
infondo. Mica gli stavo offrendo l’opportunità per
recuperare il rapporto perso
con me.. Era solo una chiaccherata fra due studenti che erano stati
sbattuti
fuori dalle rispettive classi contemporaneamente.
-Ah tuo padre lavora lì?-
-Vive lì con la sua famiglia.- Precisai con assoluta calma.
Lui si limitò
ad annuire, probabilmente imbarazzato per il fatto tirato fuori. In
realtà a me
non faceva nessun effetto parlare della storia della mia famiglia. Mia
madre
era stata amante di mio padre, che le aveva mentito dicendole di aver
lasciato
sua moglie e l’aveva poi messa incinta, scappando quando il
test di gravidanza
aveva dato positivo. Non era esattamente il padre ideale, il padre che
si
voleva conoscere.. ma mia madre ci teneva, tuttavia, a farmi avere una
figura
paterna e di conseguenza andavo ogni tanto a trovarlo, ma senza
considerarlo
troppo. Lui ci provava, certo, ad instaurare un rapporto con me.. Ma
lui per me
non era nessuno, non significava nulla. Passavo le giornate a Milano
uscendo
con i miei amici di lì, limitandomi a pranzare una volta o
due con mio padre.
–Tu sei andato a Firenze giusto?- Domandai, deviando il
quella volta il corso
della conversazione.
-Sì.. Ci siamo divertiti..- Rispose senza troppo entusiasmo.
Si alzò,
mettendosi nella mia stessa posizione, poggiato però alla
parete opposta. –L’hai
più visto Marco?- Quella domanda arrivò come un
fulmine a ciel sereno. Cercai
di non mostrarmi esageratamente sorpresa e boccheggiai, prima di
riuscire a
parlare.
-Sì è venuto a Roma un paio di volte.. Ci
sentiamo fondamentalmente con
internet e al telefono.- Dissi con voce incerta. Cosa gliene importava
ad
Emanuele se avevo sentito Marco? E perché si ricordava
ancora di Marco?
Deglutii, guardando un po’ il pavimento ed un po’
lui. –Tu hai più visto
Giulia?- Non so con quali forze riuscii a pronunciare quelle parole.
Ero masochista,
ecco tutto.
-Mi ha mandato un sacco di messaggi.. Mi ha chiamato parecchie volte..
Ma
non ho mai risposto. Non me ne frega nulla di quella stupida.- Rispose
serio,
senza staccarmi gli occhi di dosso. E certo! Però intanto in
discoteca non gli
era dispiaciuto farsela strusciare addosso in tutte le posizioni
possibili!
Accennai un sorriso e distolsi lo sguardo. –Si era illusa che
quella cosa in
discoteca potesse avere un seguito.- Ecco come rideva delle ragazze che
si
illudevano! Velocemente nella mia mente si fece spazio il pensiero che
avesse
potuto ridere anche di me, dei miei sentimenti, del mio cuore ferito..
La vista
mi si annebbiò e socchiusi gli occhi. Sì,
probabilmente aveva riso di me, aveva
riso delle mie scenate, delle mie parole.. Di tutte le volte che lo
avevo
guardato con gli occhi tipici di una deficiente stracotta del figo di
turno.
La campanella suonò ed io alzai lo sguardo, incrociando il
suo che mi
fissava in una maniera dubbiosa, interrogativa. Cercava di capire cosa
passasse
per la mia mente.
-Io vado.- Dissi, riuscendo a malapena a parlare. Mi girai, pronta ad
entrare in classe, quando la sua mano mi afferrò dolcemente
per il polso, come
aveva fatto infinite altre volte. Mi girai e lo guardai, incapace di
opporre
resistenza.
-Mi manchi da morire.- Mormorò, mentre io mi scioglievo
lentamente ai suoi
piedi. Mi avvicinò a sé ed io obbedii a quel
gesto che mi avvicinava a lui. –Io
ti voglio nella mia vita, Ginni.- Aggiunse. A quelle parole il mio
cervello si
svegliò tutto d’un tratto e la mia espressione si
indurì. Dovevo portare avanti
la decisione presa. Mi allontanai di scatto, liberandomi da quella
leggera
presa.
-Perché?- Domandai sicura, senza paura. Volevo un
perché, volevo una
risposta, una qualsiasi. Lui si incupì, incrociando le
braccia al petto.
-Ginni, ti prego.. Cancella tutto ciò che è
successo..- Prese il mio viso
fra le mani, ma riuscii ad allontanarmi nuovamente con non so quale
forza di
volontà. Dov’era
-E presumo che tu sappia che devi anche fare qualcosa.- Io scoppiai a
ridere, scuotendo poi la testa.
-Qui ti sbagli. Non ho intenzione di fare nulla.- Dissi convinta,
guardandolo di sbieco. –Tra qualche settimana mi
passerà questa mia stupida
cotta.- Continuai, mangiando nel frattempo le patatine.
-Non è una stupida cotta. Sei innamorata.- Non osai
replicare, limitandomi
a continuare a mangiare. –E cosa vorresti fare? Continuare a
piangerti addosso
per queste settimane nella speranza di scordarti di lui?-
-Io non mi piango addosso!- Sbottai indignata. –Mica ho tre
anni!- Finii il
cheeseburger buttando la carta nella busta che ci avevano dato,
passando poi a
terminare anche le patatine e la coca-cola.
-Ci pensi continuamente però.- Guardai Marco, che ricambiava
tranquillamente
il mio sguardo. Il mio cuore dava ragione a lui ma la mia testa.. La
mia testa
no. Portava avanti le proprie considerazioni agguerrita, senza farsi
intimorire
da nessuno. Restai in silenzio finendo le mie patatine.
-Io non so cosa fare.- Ammisi infine, mentre sorseggiavo la coca-cola.
Sì,
infondo la realtà era proprio quella: io non sapevo cosa
fare con Emanuele.
Avrei voluto non fare nulla.. Assolutamente nulla.
-Non fare nulla non ti farà stare meglio.- Ovviamente aveva
smontato il mio
desiderio in due secondi. Sospirai, guardando i turisti che si
accalcavano
vicino alla fontana per fare le foto.
-Perché non fa qualcosa lui?- Borbottai scocciata, facendo
scoppiare a
ridere Marco.
-Lui ha provato a fare qualcosa..quand’è successo?
Il lunedì della
settimana passata?- Io annuii, ricordando l’accaduto nel
corridoio.
-Sì ma.. Io voglio che lui mi dia un
perché..un dannato perché..- Mugolai
fissandomi le scarpe.
-Hai ragione.-
-E che è successo che mi dai ragione?- Scoppiammo a ridere.
Incredibile a dirsi
ma Marco De Angelis era entrato a far parte della mia vita, dopo quel
quattro
febbraio a Rivisondoli. Ne era entrato a far parte senza prepotenza,
senza
forzare.. Aveva semplicemente trovato la chiave giusta per farmi aprire
il mio
cuore a lui, ed ora era una delle persone a cui raccontavo tutto della
mia
vita.
Veniva regolarmente a trovarmi a Roma, una o due volte al mese, come
quel
giorno, quel sabato. Aveva la macchina e quindi non era un problema per
lui
venire nella Capitale, ogni volta che avevo bisogno di lui o quando lui
aveva
voglia di raccontarmi un po’ di sé. Marco era un
ragazzo per bene, uno di
quelli che si cercano assiduamente e si catalogano come principi
azzurri. Era
bello d’aspetto ma anche intelligente.. Mi aveva parlato per
ore ed ore della
facoltà di medicina, delle sue aspirazioni, dei suoi sogni.
Poi mi aveva
raccontato della sua situazione famigliare, i problemi con il fratello
che era
al carcere minorile per aver picchiato la propria professoressa, del
padre e
della madre che facevano finta che non esistesse per non macchiare di
vergogna
il nome della loro famiglia. Inoltre avevamo affrontato insieme non
solo i miei
problemi d’amore, ma anche i suoi.. Che si trovava in un
perenne tira e molla
con la ragazza che era stato il suo primo vero amore.
Dovevo ammettere, in fondo, che quel quattro febbraio non era stato un
giorno totalmente negativo. Avevo conosciuto Marco e Gianluca aveva
conosciuto
Marzia, la sua attuale ragazza.
Sì, faticavo anche io a capacitarmi del fatto che Gianluca,
il mio Gianluca
Terenzi, si fosse fidanzato, mettendo finalmente la testa a posto.
Aveva sempre
rappresentato per me il Casanova ideale.. Il bello e impossibile di cui
io ero
la migliore amica, invidiata da tutte le ragazze. Ma ero felice per
lui, incredibilmente
felice.. Marzia era una ragazza adorabile che avevo avuto modo di
conoscere in
quel mese, ci teneva a Gianluca e non gli faceva mancare
attenzioni..Come del
resto faceva anche lui nei suoi confronti. E nel frattempo il ero
l’unica che
ancora vagava da sola in mezzo a migliaia di cuori innamorati.
Presto saprai il perché.
Spensi il computer e mi buttai sul letto, guardando il soffitto.
Emanuele
Benassi era un vero e proprio dilemma, dall’inizio alla fine.
Inizialmente non
mi calcolava in dei momenti e poi mi calcolava troppo.. Poi eravamo
passati
agli sguardi d’intesa, agli abbracci, alle frasi dette un
po’ apposta un po’
no.. Ed ora eravamo tornati ai messaggini in codice scritti su
Facebook.
Ottimo. Io, povera deficiente innamorata, cosa mai dovevo pensare?
Perché non
volevo dare una tregua al mio cuore stremato? Ce l’aveva
così tanto con me?
E ripensai velocemente a quella mattina nel corridoio.. “Mi
manchi” mi
aveva detto avvicinandomi a sé. Cosa sarebbe mai successo se
mi fossi
avvicinata cedendo al suo fascino? Cosa aveva intenzione di fare? E
perché
tutto d’un tratto dopo un mese mi diceva quelle cose e dopo
un mese e mezzo mi
mandava messaggi privati così, senza senso? Mi pensava anche
lui, forse?
-Ginni, sei a casa?- La voce di mia madre mi fece destare di scatto. Mi
alzai da letto e mi sistemai i capelli.
-Sì, mamma, arrivo!- Corsi in salone, sorridendo a mia
madre. Lei alzò il
braccio stringendo una busta blu.
-C’è posta per te.- Disse, porgendomi la busta. La
guardai incuriosita,
aprendola.
Le annunciamo con immenso
piacere che in seguito alla Sua partecipazione alla competizione
d’inglese al
concorso Canguro, ha vinto un viaggio a New York dal 3/04 al 07/04 di
questo
anno ed un corso di inglese di per la durata del suo soggiorno nella
prestigiosa Williams School of New York City.
Alloggerà nel campus della
Columbia University, situato nel centro della città e tutte
le spese di vitto e
alloggio saranno pagate dalla nostra organizzazione.
Alleghiamo insieme a questa
lettera la prenotazione del volo di andata e ritorno ed i dettagli sul
suo
corso di lingua nella città.
Le inviamo i nostri più
cordiali saluti,
Asia De Matteis e Giacomo
Cornacchia.
-Allora?- Domandò mia madre, curiosa. Io la guardai
completamente
stupefatta.
-Ho vinto un viaggio a New York.- Dissi riuscendo a malapena ad
articolare
quella frase.
-Un viaggio a New York? Fai vedere!- Mi strappò di mano
tutta la
documentazione. Corsi al calendario: Era il diciassette marzo.. Ed il
tre
aprile andavo a New York. Avrei festeggiato il mio diciottesimo
compleanno a
New York.
-Vado a New York!- Dissi ad alta voce, come finalmente realizzando
ciò che
mi stava accadendo. Mia madre mi guardò sorridendo ed
annuendo.
-Sì, Ginevra, vai a New York.- La abbracciai con foga,
baciandole più volte
la guancia. Non potevo crederci.. Possibile che finalmente la fortuna
mi stesse
sorridendo? Andavo a New York. Gratis. Andavo a New York grazie ad un
diamine
di concorso fatto in prima liceo. Andavo a New York!
Spazio
dell’autrice*che pubblica perché il viaggio che
doveva fare è saltato..uff*: Alloooora!
Spieghiamo questo capitolo. Ho voluto
soprattutto delineare il rapporto che c’è ora fra
Emanuele e Ginevra ed i
motivi dei loro comportamenti. Inoltre ho voluto delineare meglio la
figura di
Marco ed il suo ruolo nella storia.. Ricordatevi che non introduco mai
i
personaggi a vuoto, io! Inoltre, ho introdotto questa nuova avventura
che
attende Ginni. New York. Vi dice qualcosa? Mah.. Non anticipo nulla!
Spero che
vi piaccia anche questo capitolo malgrado io personalmente lo reputo
noioso,
anche se necessario. Ora passiamo ai ringraziamenti:
x_MoKoNa: Preciso che
sfortunatamente queste storie romantiche hanno sempre un non so che di
film..
Tuttavia quel capitolo l’ho voluto introdurre appunto per
delineare meglio la
figura di Emanuele. Come hai detto tu è molto ambiguo.. Non
si capisce se è
interessato a Ginevra o no. In realtà sembra proprio che lui
si diverta
semplicemente.. Ma dopo la reazione di Ginni e le sue decise condizioni
affinché tornino al loro rapporto precedente, Emanuele
comincia a cambiare e a definirsi,
perdendo la sua tendenza a cambiare ogni secondo faccia. Comunque..
Grazie
infinite per la recensione, attendo tuoi commenti anche su questo
capitolo! Un
abbraccio!
Swettlove: Eh
già, Emanuele è
proprio un deficiente.. Però se non fosse così
complicato e stupido, non
sarebbe bella la sua storia con Ginni, no? J
Grillomylife: Ahahahah ma
non si
chiama Lucry! E’ Ginni lei!
Vero15Star: Oh! Una nuova
lettrice!
Si.. Sfortunatamente in amore siamo tutti un po’ degli
idioti! Emanuele è uno
stronzo da un lato, certo, ma anche lui si renderà conto dei
propri errori, col
passare del tempo.. Gianluca è il migliore amico che anche
io vorrei, e tutte
le sue caratteristiche, il suo carattere, sono uguali a quelle di un
mio
carissimo amico che però non vive a Roma.. Uffa! La sfiga
proprio! :D Grazie
per la tua recensione, spero di leggerne altre! Bacio!
Elienne: Marco
è un amoree!
Infatti l’ho introdotto anche in questo capitolo
perché mi piace un sacco..
Anche se ho paura di farlo diventare una sottospecie di Gianluca 2!
Grazie per
la recensione!
Ombrosa: Ahahah
si in quel
capitolo mi ero effettivamente divertita.. Ho creato un paio di
situazioni che
potevano far pensare che succedesse qualcosa ed invece.. Alla fine