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Autore: Little Miss Sunshine    25/08/2009    6 recensioni
Diciassette anni, capelli rossi, infinite lentiggini.
-Sembra che tu abbia la varicella!
Non ero la classica ragazza anonima che voleva mostrare di avere carattere.
Non ero la classica ragazza anonima che rispondeva acida.
Diciamo che ero la classica ragazza un po' stronza e popolare che non voleva un ragazzo facile da ottenere, ovviamente.
Possibile che nella mia scuola, carente di ragazzi carini, non si fosse mai parlato di quel ragazzo che meritava sicuramente un posto nella classifica dei più desiderati? Ipotizzai che fosse uno nuovo mentre portavo la tazzina alle labbra per mandare giù il caffé amarissimo. Ad un tratto lui si girò ed incrociò il mio sguardo che gli stava facendo una radiografia da almeno un paio di minuti. Mentre le mie guance si coloravano probabilmente di porpora ed indirizzavo il mio sguardo ficcanaso sul piattino dove posavo la tazzina, lui sorrideva guardandomi per poi tornare a concentrarsi sul suo cappuccino.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Settimo: New York, New York!

 Era passato un mese da quel quattro di febbraio. Un mese dal giorno in cui il mio cuore si era spezzato a causa di Emanuele Benassi. Un mese dal giorno in cui, non sapevo neanche io per quale motivo, se ne era andata via una parte importante dentro di me. Sembrerà inevitabilmente una di quelle frasi melodrammatiche delle diciassettenni innamorate, ma purtroppo era ciò che io diciassettene disillusa, provavo all’incirca da trenta giorni.
Era successo tutto in fretta, forse troppo in fretta, stentavo ancora a metabolizzare gli eventi del gennaio passato, malgrado febbraio fosse già passato da un pezzo e marzo stava passando, ben deciso a lasciare il posto ad Aprile, al mio diciottesimo compleanno, alle vacanze di Pasqua e tante altre cose che mi sembravano troppo differenti da quelle che io in realtà volevo.
Quel quattro febbraio, quando avevo urlato in faccia ad Emanuele il fatto che mi aveva scocciato con le sue manie di egocentrismo e lo avevo anche mandato a quel bel paese, non poteva non avere un amico del cuore: il cinque febbraio.

 Quella domenica mi ero alzata tranquilla dal letto, cercando di non rispondere alle invadenti domande di Sara sul mio stato d’animo. Mi ero chiusa a riccio dopo lo sfogo contro il petto di Gianluca ed evitavo accuratamente le domande di tutti su come mi sentissi. Come mi potevo sentire? Delusa? Ferita? Amareggiata? No, molto semplicemente: confusa. Ma non avevo voluto condividere quel mio stato d’animo con nessuno, e quella mattina mi ero precipitata in cucina a bere un caffé espresso che non poteva farmi altro che bene.
-Buongiorno.- Quando entrai in cucina, alzando lo sguardo incrociai ovviamente lo sguardo di Emanuele. Mi soffermai a guardare il suo labbro rotto, il grosso ematoma sulla sua guancia e l’occhio leggermente socchiuso, cercando tuttavia di mantenere l’espressione più impassibile possibile.
-Buongiorno.- Risposi freddamente, mentre mettevo la cialda nella tecnologica macchinetta Nespresso, quella pubblicizzata da George Clooney, per intenderci. Aspettai che il mio caffé fosse pronto e poi mi andai a sedere al tavolo, rigorosamente davanti ad Emanuele Benassi, se qualcuno avesse voluto avere il gusto del dubbio. Cercai di mandare giù il caffé il più velocemente possibile, per evitare quella stramba ed inconveniente situazione, ma quando fui sul punto di cominciare ad ustionarmi la lingua, piombò nella stanza Gianluca, ed io tirai un sospiro di sollievo.
-Buongiorno, Ginni. Buongiorno Emanuele.- Disse con dolcezza, spostando lo sguardo da me a Emanuele, come per volerci studiare con decisamente poca discrezione. Non c’era niente da studiare, niente! Non c’era neanche più niente da scovare: le relazioni, di qualsiasi genere ci fossero state, fra me, Ginevra Sforza, ed lui, Emanuele Benassi, erano terminate la sera precedente, o meglio dire alle tre di notte di quella stessa domenica.
-Buongiorno, Gianluca.- Risposi cortesemente, mentre l’atmosfera che si andava creando mi piaceva sempre di meno. Evitai accuratamente lo sguardo di Emanuele mentre prendevo una delle brioches che i genitori di Sara ci avevano comprato. Perché tutto d’un tratto Benassi mi guardava così intensamente? Che diamine aveva da guardare? Non mi ero truccata male, a dire il vero non mi ero truccata affatto, non avevo disegni strani nel viso e non stavo mangiando spinaci, evitando il rischio di avere roba strana fra i dente. Cosa voleva?
-Buongiorno a tutti!- Eccolo completato il quadro! Federico e Sara entrarono nella Sala da Pranzo e fermandosi accanto a Gianluca alla macchinetta del caffé, fissarono me ed Emanuele al tavolo, malgrado ci fossero tre posti liberi ad aspettarli.
-Potete sedervi, eh.- Dissi mentre finivo il caffé e posavo rumorosamente la tazzina sul tavolo. Li guardai riducendo i miei occhi a due fessure.
-Stiamo aspettando il caffé!- Trillò allegra Sara, guardando poi con amore Federico. Scossi la testa, chiedendomi se quella notte mentre io ero immersa in un sonno senza sogni, loro avessero fatto festa a base di sostanze stupefacenti ed allucinogene.

 Driin Driin

 La suoneria più banale del mondo, appartenente alla nokia, ruppe quella strana situazione, ed io ringraziai il cielo di essere l’unica deficiente ad avere quella suoneria e di essere quindi chiamata a rispondere a quel benedetto telefonino, evadendo da quel posto. Senza guardare lo schermo risposi, estremamente felice per avere finalmente altro a cui pensare.
-Ciao, Ginevra, sono Marco.- La volce calma e rassicurante di quel ragazzo mi fece spuntare un sorriso sulle labbra. Sia benedetto Marco, il cameriere del “Rumba Room!”
-Ciao, Marco!- Risposi raggiante, mentre Emanuele lasciava cadere la brioche per fissarmi. Che diamine hai da guardare? Gli avrei voluto dire, ma riuscii a trattenermi, tornando a guardare la tazzina vuota del caffé. –Come mai chiami così presto?-
-Devo andare in biblioteca a studiare.- Fece un attimo di pausa. –Ti sta fissando come un pesce lesso?- Spalancai gli occhi, cercando poi di recuperare un po’ di contegno.
-Ma cosa dici!- Sbottai, mentre notavo la curiosità accrescere negli occhi di Sara, Gianluca, Federico e ovviamente di Emanuele.
-Rispondi!- Il suo tono era beffardo ed io ridacchiai. Maledetto Marco!
-Sì.- Sibilai, cercando nel frattempo qualcosa con cui distrarmi.
-E poi dici che non gli piaci. Sta ribollendo di gelosia.- Per poco non cascai a terra dalle risate. Risate decisamente isteriche, sfortunatamente.
-Ed io sono cappuccino rosso!- E prima che potesse ribattere aggiunsi. –Non usare la scontata battuta che i miei capelli sono rossi come il cappuccio.- Sentii Emanuele soffocare una risata. Lo incenerii con lo sguardo, tornando a concentrarmi su Marco.
-Comunque le mie profezie si avvereranno, Rossa.-
-Rossa mi mancava come soprannome..- La mano di Emanuele si strinse in pugno. Cercai di evitarlo. –Comunque ti aggiornerò, stanne pur certo.-
-Okay, allora ora ti lascio al pomeriggio dei tuoi sogni.- Adorabili i ragazzi sarcastici, no?
-Ciao, Marco.-
-Ciao, Rossa!- Chiusi la telefonata, posando il telefonino sul tavolo ed alzando lo sguardo. Tutti cercarono di fingersi indaffarati, come se non avessero ascoltato come degli avvoltoi quella chiamata. Tutti si finsero indaffarati tranne Emanuele. Sbuffando mi alzai da tavolo, posando la tazzina nel lavandino ed allontanandomi da quella cucina-sala da pranzo.

 Tutti matti. Erano tutti irreversibilmente, incredibilmente, matti. Non c’era niente da fare. Dopo aver passato lo skipass nell’apposito apparecchio, io e gli altri stavamo in fila per prendere la seggiovia che ci avrebbe portati in cima, dalla quale poi saremmo dovuti scendere affrontando l’adorata Direttissima: una lunga, lunghissima pista nera, che dava del filo da torcere a tutti, nessuno escluso, ed era incredibilmente bella.
Giunti ormai ai tornelli, Federico, Sara e Gianluca si erano fermati e casualmente mi ero ritrovata seduta su quella dannata seggiovia insieme a Emanuele. Ovvio. Guardai dritto davanti a me e mi accorsi che quella salita era lunga, incredibilmente lunga, probabilmente sarebbe durata dai cinque ai dieci minuti. Troppo tempo da trascorrere con quel deficiente. Sbuffai, togliendomi poi un guanto e prendendo dall’interno della mia tuta il pacchetto di Camel Light. Presi una sigaretta, mettendomela fra le labbra, riponendo poi il pacchetto nella tasca interiore. Portai la mano alle tasche dei pantaloni, per poi sbuffare con talmente tanta forza da rischiare di lasciar cadere la sigaretta.
-Maledizione.- Sussurrai a denti stretti.
-Hai bisogno dell’accendino?- La voce di Emanuele suonò estremamente gentile. Troppo gentile. Mi girai e lo guardai in cagnesco, mentre lui mi rivolgeva un ampio sorriso. Non aveva capito nulla, allora? Non aveva capito che aveva chiuso con me? Tuttavia presi l’accendino e mi accesi la sigaretta, riconsegnandoglielo il più in fretta possibile.
-Da quand’è che fumi?- Domandai dopo aver fatto un paio di tiri, sempre senza guardarlo.
-Non fumo. L’ho portato via a Giulia ieri, per sbaglio.- Rispose tranquillamente, mettendosi poi a fischiettare. Ah bene! Dovevo anche ringraziare Giulia Pelosi di aver lasciato casualmente l’accendino ad Emanuele, sanando in tal modo la mia crisi da assenza di nicotina. Grazie Giulia!
-Capisco.- Dissi secca, determinata a non spiccicare più parola per il resto della salita. Ed il deficiente fischiettava. Diamine, mi sentivo proprio una ragazzina delle elementari ad insultarlo per ogni minima cosa che faceva, ogni parola che pronunciava..ma non c’era niente da fare: ero orgogliosa, di un orgoglio ferito sì, ma di un orgoglio che adesso non ci pensava proprio a cedere un’altra volta davanti a quel bel faccino.
Gettai via la sigaretta, guardando poi dritta davanti a me. Mancava una cinquantina di metri all’arrivo, grazie a Dio. Mi misi in posizione per scendere, togliendo la tavola dalla sbarra. Tentai di sollevarla ma qualcuno la bloccava. Mi voltai per vedere Emanuele che la tratteneva, serio in volto.
-Perché hai reagito così?- Domandò. Guardai prima lui e poi il punto d’arrivo sempre più vicino. Doveva togliere quella cosa immediatamente.
-Non ho reagito in nessun modo.- Risposi secca, tentando nuovamente invano di alzare la sbarra.
-A me non sembra.- Mi guardava fisso negli occhi, non curandosi del fatto che a cinque metri dovessimo scendere.
-Alza quella sbarra, deficiente!- Ringhiai con tutta la forza che avevo. Lui lasciò molto semplicente la presa e quella si alzò. Appena posai la tavola sulla neve, prendendo controllo dei miei movimenti, mi chinai un secondo a fermare gli attacchi, prendendo poi a scendere velocemente la Direttissima senza voltarmi. Emanuele Benassi non aveva capito assolutamente nulla, quello era certo. Possibile che il suo cervello fosse veramente pieno di mangime per canarini? Un cervello non era proprio riuscito a prenderselo quando li consegnavano? No, non funzionava così con me. Mi aveva ferita, la sera precedente, magari non lo sapeva, magari non pensava al bacio con Giulia come prima causa di quella mia rabbia.. E poi, però. Poi mi aveva anche colpevolizzata! Mi aveva accusato in quella semi-scenata di gelosia che era colpa mia se si ritrovava con la faccia deformata perché andavo in giro con “sconosciuti”. Ma alla faccia sua lo sconosciuto! Era una persona molto più normale di lui! Sicuramente con un cervello ben funzionante nella scatola cranica! Mentre inventavo nuovi termini per insultare mentalmente Emanuele, scendevo in preda ai deliri quella dannata Direttissima che, quel giorno era più gelata del solito. Facevo una fatica immensa a controllare la tavola e a non perderne il controllo durante le varie curve. Ad un tratto, mentre giravo in backside, riuscendo a malapena a mantenere in equilibrio la lamina sulla lastra di ghiaccio che avevo preso, qualcuno mi afferrò per il cappuccio del giubbotto della tuta, facendomi cascare all’indietro. Grazie al cielo la direttissima era stretta e mi trovavo proprio al bordo pista: beccai in quel modo un cumulo di neve e rallentai la discesa, tirando un sospiro di sollievo mentre senza girarmi, mi mettevo nel fuoripista, seduta. Dopo aver ripreso controllo di me stessa mi voltai e vidi Emanuele che teneva ancora fermamente il mio cappuccio. Sbarrai gli occhi incredula.
-Mi potevi ammazzare, razza di deficiente!- Urlai dopo essermi slacciata gli attacchi ed essermi messa in piedi davanti a lui.
-Non ti è successo niente, o sbaglio?- Domandò lui senza reagire alle mie urla da pazza isterica.
-Poteva succedermi! Ma che diamine hai in quella testa?- Lo guardavo fisso negli occhi mentre il mio sangue ribolliva. –Cosa diamine vuoi ottenere?-
-Spiegazioni.- Ah! Lui voleva delle spiegazioni! Certo, molto logico. –Ed il tuo perdono.- Aggiunse mentre io lo fissavo accigliata. Il mio perdono, certo!
-Ho solamente deciso che è meglio se stiamo uno fuori dalla vita dell’altro.- Dissi fredda, gelida quasi come l’aria e la neve che ci circondava. Lui non fece una piega, non mosse un singolo muscolo, continuando a guardarmi negli occhi.
-Io non voglio che tu stia fuori dalla mia vita.- Ribatté con tale semplicità che io per poco non mi lasciai deviare. No, dovevo portare avanti quella storia a testa alta, non volevo più soffrire per lui.
-Dimmi un motivo per cui vuoi che io resti.- Replicai affrontando il suo sguardo, senza più timidezza, senza più imbambolarmi davanti a quel castano. –Dimmi un motivo per il quale tu vuoi me e non una qualsiasi altra persona nella tua vita.- Specificai. Calò il silenzio. Lui spostò lo sguardo a terra e si strinse nelle spalle, senza parlare, mentre io lo continuavo a guardare, tenendo le redini di quella situazione, non subendo più. Lui finalmente mi guardò negli occhi.
-Io..- Tentò di dire, ma richiuse immediatamente la bocca. Io lo guardai, incitandolo con lo sguardo. Sperando che lui dicesse qualcosa che cambiasse le mie intenzioni.. Perché infondo io non volevo interrompere quella “relazione”,di qualunque genere fosse, con lui. Ma Emanuele abbassò nuovamente gli occhi ed io sospirai, mentre il mio cuore si stringeva forte.
-Quando trovi una risposta soddisfacente, fammi uno squillo.- Dissi secca, amareggiata, mettendomi poi la tavola ai piedi ed andandomene lanciandogli un ultimo sguardo. Lui mi guardava fermo, immobile, come se ad un tratto fosse diventato una statua di ghiaccio. Mi voltai dall’altra parte e scesi la Direttissima, cercando di resettare i miei ricordi fino ad un mese prima, quando Emanuele Benassi non era nessuno per me.

 Mi destai da quell’ondata di ricordi, tornando alla prima settimana di Marzo che stavo vivendo. Terminai di fare la cartella, mettendomi poi la borsa a tracolla e dandomi un’ultima occhiata allo specchio. Quel lunedì si tornava in classe dopo la settimana di riposo che la scuola ci dava sempre a fine febbraio. Mi sistemai i capelli ed uscii dalla mia camera, per poi uscire di casa. Mia madre era già uscita da un pezzo per andare in ufficio, quindi non mi soffermai a salutare nessuno e corsi spedita nel garage. Dieci minuti ero davanti a scuola.
Quel marzo non era cominciato nel migliore dei modi, metereologicamente parlando. Erano già tre giorni che pioveva a dirotto e quella notte aveva addirittura grandinato. Con il cappuccio della felpa che indossavo tentai di ripararmi dalla pioggia, mentre andavo a passo spedito al baretto. Arrivai inevitabilmente bagnata e quando entrai ringraziai il cielo che Sara e Gianluca avevano preso un tavolino lontano dalla massa, anche se vicino ai bagni, e mi aspettavano lì con il mio caffé ed il moretto già pagato.
-Grazie vi adoro..- Dissi semplicemente, buttando la borsa a terra e levandomi il giubbotto, per poi sedermi. Sara era tutta intenta a ripassare per l’imminente interrogazione di filosofia, mentre Gianluca ricopiava la versione di latino. Insomma avevo degli amici molto studiosi!
-Oggi non rischi nulla?- Mi domandò Gianluca alzando un occhio da Cicerone. Io scossi la testa soddisfatta.
-Rischierei solamente italiano ma mi giustifico, che ieri sera sono tornata tardi e non ho fatto in tempo ad aprire il libro.- Avevo passato il week-end a Milano a casa di mio padre ed il treno aveva fatto ritardo, al ritorno.
-E’ andata bene su?- Chiese Sara, chiudendo finalmente il libro e sorseggiando tranquilla il suo cappuccino. Ingoiai un pezzo di moretto, annuendo.
-Sì, sono stata coi miei soliti amici di lì.. sabato siamo andati ad un pub carino e per il resto siamo stati lì al Duomo e dintorni..- Risposi, bevendo poi il caffé prima di continuare. –Voi che avete fatto?-
-Siamo stati con Federico, Emanuele e Sara a Firenze..- Disse cauto Gianluca, ben consapevole del fatto che il tasto “Benassi” era sempre piuttosto doloroso per me.
-Divertiti?- Domandai atona, concentrandomi a mangiare il moretto.
-Sì abbastanza.. peccato che di vita notturna a Firenze non ce ne sia.- Commentò Sara con un largo sorriso sulle labbra. –Oh guardate, c’è Federico!- Si illuminò ancora di più, sbracciandosi poi per attirare l’attenzione dell’amato. Alzai a malavoglia lo sguardo, vedendo inevitabilmente la figura di Emanuele avvicinarsi insieme a Federico al nostro tavolino. In quel mese non ci eravamo praticamente mai visti. Avevo interrotto le uscite con quei due ed avevo passato i sabato sera o con Gianluca e Sara soltanto o con la mia classe. A ricreazione Emanuele non scendeva mai e nei corridoi non ci incontravamo, quindi quella era una sottospecie di “primo incontro” dopo la tempesta.Abbassai lo sguardo, finendo il moretto il più lentamente possibile.
-Ciao, Ginni!- Mi salutò Federico, chinandosi a baciarmi una guancia.
-Oi, Fede!- Risposi con tutta la mia simpatia. In fondo Federico non mi aveva fatto niente ed avevo passato volentieri alcuni pomeriggi a casa di Sara anche con lui. Non lo volevo solamente vedere quando era in compagnia dell’amichetto.
-Ciao.- Mi salutò Emanuele. Lo guardai freddamente, a differenza del mio cuore che accellerava.. Maledetto!
-Ciao.- Risposi talmente secca da stupirmi, portando poi tutta la mia attenzione al discorso che stavano portando avanti Gianluca, Sara e Federico.
-Avete sentito che si è allagato tutto l’ultimo piano e metà del nostro?- Disse Federico. Noi spalancammo tutti gli occhi: ok che il liceo cadeva a pezzi. Ma addirittura allagarsi per due piani interi!
-Quali classi del nostro piano?- Domandai curiosamente. Lui si strinse nelle spalle.
-Non lo so.. Ce lo diranno quando entreremo perché molte classi sono in gita e quindi c’è disponibilità di classi vuote ..magari spostano lì gli sfollati..-

 Me ne stavo seduta tranquillamente accanto a Gianluca, immersa completamente nella pace dei sensi. Avete presente quando non vi devono interrogare, avete fatto tutti i compiti, nessuno vi rompe? Ecco, quello era il mio stato d’animo mentre al cambio dell’ora giocherellavo con il mio diario attendendo l’arrivo di Ombretta Marini.
Sara stuzzicava con la matita Gianluca, mentre Davide e Matteo erano vicini al nostro tavolo a parlare di Daniele de Rossi come due dodicenni con gli ormoni in fiamme.
-Ma sembrate gay!- Sbottai dopo un po’ che loro gli attribuivano aggettivi come “bello di casa”, “il più bello” e cose simili.
-Shh.. Non capisci nulla. Totti e De Rossi sono ..SONO!- Disse orgogliosamente Matteo levando i pugni al soffitto.
-Ah, certo.. capisco..- Mormorai cercando altro su cui concentrarmi. I deliri calcistici maschili sono davvero da evitare se si tiene al proprio Quoziente Intellettivo. Aprii il diario ed il mio sguardo si imbatté sul post-it di Emanuele. Complimenti per i gusti musicali. Quanto tempo era passato da quando ci eravamo scambiati le borse? Da quando mi aveva dato il passaggio a casa con la moto? Poco, ma a me sembrava troppo.
-Buongiorno, ragazzi!- Trillò Ombretta Marini entrando saltellante. Scattammo tutti in piedi per salutarla e poi ci sedemmo. –Allora, allora.. Oggi vorrei proprio sentire qualcuno visto che i pagellini sono vicini e non ho neanche un voto..- Disse mentre apriva la propria borsa e tirava fuori i libri, sistemandosi poi gli occhiali sul naso. Alzai prontamente la mano, attirando la sua attenzione. –Dimmi, Sforza.-
-Professoressa, vorrei giustificarmi.- Dissi con voce chiara e decisa. Lei strabuzzò gli occhi ed incominciò a scuotere la testa: brutto segno.
-Ma hai avuto questa bella settimana per prepararti..E poi avevo già annunciato che interrogavo.. Lo sai, lo sapete, che dovete dirmi delle giustificazioni prima che io specifichi cosa voglio fare nell’ora di lezione.- Disse in quel continuo scuotere di testa che cominciava seriamente a darmi sui nervi.
-Ma non ha dato il tempo..- Provai incerta ma lei scattò in piedi, con gli occhi che brillavano di una strana luce decisamente folle. Bruttissimo segno.
-Sforza! O vieni a colloquiare con me o prendi due o prendi due ed esci fuori dalla classe!- Sbarrai gli occhi: ma stava parlando seriamente quella donna? Non sapevo una ceppa del programma d’italiano, non avevo ripassato assolutamente nulla e le mie conoscenze di fermavano a gennaio quando mi aveva chiamata per mettermi un voto in pagella.
-Ma prof! Sono partita e ieri sono tornata tardi! Non ho ripassato nulla!- Mi alzai anche io, cercando di giustificarmi in tutti i modi, anche a costo di arrampicarmi sugli specchi con tutte le mie forze.
-Sempre con queste scuse! Ma non ti sei stancata? Ancora ricordo la tua storiella per la parafrasi..- Ridacchiò, guardandosi le mani. Lo sapevo, lo sapevo che l’avrebbe ritirata fuori. -..Uno scambio di borse eh, Sforza?- L’accompagnai nella sua folle risata, mentre in me nasceva uno strano desiderio di sangue: la volevo morta, subito, quella dannata professoressa incompetente.
-Poi però l’ho ritrovata.- Abbozzai un sorriso, sperando che si dimenticasse la faccenda del due.
-Sforza, mi hai stancata. Vai fuori dalla classe.. Per questa volta senza il due. Ma non ti voglio vedere per il resto dell’ora. Fuori!- Alzai le mani in segno di resa ed uscii il più velocemente fuori da quella maledetta classe.
Era matta, era completamente matta quella donna. Cosa diamine si prendeva? Confondeva la cocaina con lo zucchero la mattina? Scossi la testa mentre chiudevo la porta alle mie spalle. Mi poggiai con la schiena contro la parete e scivolai a terra, portando le gambe al petto, mettendo ordine nella mia testa. Seriamente ero stata cacciata dalla classe perché avevo tentato di giustificarmi in italiano? No, non era possibile. Mi alzai di scatto, passandomi le mani tra i capelli, incamminandomi poi al bagno che si trovava a pochi metri dalla mia classe. Quando fui sul punto di entrare, chiudendo la porta per poter fumare, una porta sbatté con tale forza da farmi saltare. Tornai indietro nel corridoio e guardai allibita Emanuele Benassi che era davanti alla mia classe. Alzai entrambe le sopracciglia. Da dove era uscito?
-Tu non stai nell’altro corridoio?- Domandai, mentre mi avvicinavo a lui. Lui guardava ancora infuriato la porta.
-Si è allagato.. Ricordi quello che diceva Federico?- Disse recuperando la calma. Mi ero quasi dimenticata del suono della sua voce: un po’ roca, profonda, così dannatamente maschile ed attraente.
-Ah.. E vi hanno spostai qui..- Conclusi, facendo scivolare le mani nelle tasche mentre tornavo a poggiarmi con la schiena alla parete. Lui annuì sedendosi per terra come avevo fatto io poco prima.
-Come mai sei fuori dalla classe?- Mi domandò, guardandomi poi fisso negli occhi. Il tempo non aveva aiutato a guarire le ferite del mio cuore.. Perché dopo un mese, rivederlo, rivederlo guardarmi in quella maniera, mi faceva rabbrividire.
-Ho una professoressa folle. Mi ha sbattuta fuori perché mi sono giustificata.- Spiegai, riassumendo tutto l’evento a quelle poche parole. –E tu?- Quando finì di sghignazzare, lo vidi stringere i pugni: era un gesto che faceva quando si innervosiva.
-Quella cogliona di Arte.. Mi sono preparato quell’interrogazione da una settimana e non mi ha fatto recuperare il quattro del compito perché ho confuso il termine “essiccato” con “disseccato”.. Le ho montato su una scenata che mi ha fatto guadagnare il suo odio perenne.. Ma ne è valsa la pena, la odio dal primo giorno che l’ho vista!- Concluse in quel modo quel suo racconto un po’ rabbioso, un po’ confuso.. Ed io gli sorrisi. Lui mi guardò, senza dire nulla, ed io mi sentii avvampare le guance.
-Perché mi guardi?- Chiesi senza pensarci. Che vergogna.. come me ne uscivo con quelle domande? Abbassai lo sguardo, intimidita.
-Mi ero quasi scordato di quanto fosse bello il tuo sorriso.- Mi rispose con la voce più roca del solito, in una sottospecie di sussurro. Probabilmente diventai un peperone e mentre sussurravo un timido “grazie”, evitai accuratamente di alzare lo sguardo. –Com’è andata questa settimana?- Lo ringraziai mentalmente per aver cambiato argomento e lo guardai con molta più calma.
-Sono stata qui a Roma.. ed il week-end sono salita a Milano a trovare mio padre.- Risposi. Che gioco stavamo giocando? Era solo una chiaccherata, infondo. Mica gli stavo offrendo l’opportunità per recuperare il rapporto perso con me.. Era solo una chiaccherata fra due studenti che erano stati sbattuti fuori dalle rispettive classi contemporaneamente.
-Ah tuo padre lavora lì?-
-Vive lì con la sua famiglia.- Precisai con assoluta calma. Lui si limitò ad annuire, probabilmente imbarazzato per il fatto tirato fuori. In realtà a me non faceva nessun effetto parlare della storia della mia famiglia. Mia madre era stata amante di mio padre, che le aveva mentito dicendole di aver lasciato sua moglie e l’aveva poi messa incinta, scappando quando il test di gravidanza aveva dato positivo. Non era esattamente il padre ideale, il padre che si voleva conoscere.. ma mia madre ci teneva, tuttavia, a farmi avere una figura paterna e di conseguenza andavo ogni tanto a trovarlo, ma senza considerarlo troppo. Lui ci provava, certo, ad instaurare un rapporto con me.. Ma lui per me non era nessuno, non significava nulla. Passavo le giornate a Milano uscendo con i miei amici di lì, limitandomi a pranzare una volta o due con mio padre. –Tu sei andato a Firenze giusto?- Domandai, deviando il quella volta il corso della conversazione.
-Sì.. Ci siamo divertiti..- Rispose senza troppo entusiasmo. Si alzò, mettendosi nella mia stessa posizione, poggiato però alla parete opposta. –L’hai più visto Marco?- Quella domanda arrivò come un fulmine a ciel sereno. Cercai di non mostrarmi esageratamente sorpresa e boccheggiai, prima di riuscire a parlare.
-Sì è venuto a Roma un paio di volte.. Ci sentiamo fondamentalmente con internet e al telefono.- Dissi con voce incerta. Cosa gliene importava ad Emanuele se avevo sentito Marco? E perché si ricordava ancora di Marco? Deglutii, guardando un po’ il pavimento ed un po’ lui. –Tu hai più visto Giulia?- Non so con quali forze riuscii a pronunciare quelle parole. Ero masochista, ecco tutto.
-Mi ha mandato un sacco di messaggi.. Mi ha chiamato parecchie volte.. Ma non ho mai risposto. Non me ne frega nulla di quella stupida.- Rispose serio, senza staccarmi gli occhi di dosso. E certo! Però intanto in discoteca non gli era dispiaciuto farsela strusciare addosso in tutte le posizioni possibili! Accennai un sorriso e distolsi lo sguardo. –Si era illusa che quella cosa in discoteca potesse avere un seguito.- Ecco come rideva delle ragazze che si illudevano! Velocemente nella mia mente si fece spazio il pensiero che avesse potuto ridere anche di me, dei miei sentimenti, del mio cuore ferito.. La vista mi si annebbiò e socchiusi gli occhi. Sì, probabilmente aveva riso di me, aveva riso delle mie scenate, delle mie parole.. Di tutte le volte che lo avevo guardato con gli occhi tipici di una deficiente stracotta del figo di turno.
La campanella suonò ed io alzai lo sguardo, incrociando il suo che mi fissava in una maniera dubbiosa, interrogativa. Cercava di capire cosa passasse per la mia mente.
-Io vado.- Dissi, riuscendo a malapena a parlare. Mi girai, pronta ad entrare in classe, quando la sua mano mi afferrò dolcemente per il polso, come aveva fatto infinite altre volte. Mi girai e lo guardai, incapace di opporre resistenza.
-Mi manchi da morire.- Mormorò, mentre io mi scioglievo lentamente ai suoi piedi. Mi avvicinò a sé ed io obbedii a quel gesto che mi avvicinava a lui. –Io ti voglio nella mia vita, Ginni.- Aggiunse. A quelle parole il mio cervello si svegliò tutto d’un tratto e la mia espressione si indurì. Dovevo portare avanti la decisione presa. Mi allontanai di scatto, liberandomi da quella leggera presa.
-Perché?- Domandai sicura, senza paura. Volevo un perché, volevo una risposta, una qualsiasi. Lui si incupì, incrociando le braccia al petto.
-Ginni, ti prego.. Cancella tutto ciò che è successo..- Prese il mio viso fra le mani, ma riuscii ad allontanarmi nuovamente con non so quale forza di volontà. Dov’era la Marini? Perché non usciva? -Emanuele, sai perfettamente che voglio una risposta. Non bastano più queste frasi fatte.- Dissi seria, mentre i miei occhi si appannavano a causa delle lacrime che volevano uscire. Non potevo guardarlo, non potevo stare così davanti a lui.. Mi girai ed entrai in classe, fregandomene altamente del fatto che la professoressa non fosse ancora uscita. Mi sedetti al mio banco ignorando le sue parole, passandomi le mani fra i capelli sotto lo sguardo preoccupato di Gianluca. Perché Emanuele non usciva dai miei pensieri?

 -Sei innamorata.- Decretò Marco. Lo guardai con entrambe le sopracciglia inarcate. Stavamo seduti sulle scale di Piazza di Spagna mangiando tranquillamente il take-away del Mc Donald’s.
 
-Grazie, non ci ero arrivata!- Borbottai sarcastica, addentando poi il mio Cheeseburger.
-E presumo che tu sappia che devi anche fare qualcosa.- Io scoppiai a ridere, scuotendo poi la testa.
-Qui ti sbagli. Non ho intenzione di fare nulla.- Dissi convinta, guardandolo di sbieco. –Tra qualche settimana mi passerà questa mia stupida cotta.- Continuai, mangiando nel frattempo le patatine.
-Non è una stupida cotta. Sei innamorata.- Non osai replicare, limitandomi a continuare a mangiare. –E cosa vorresti fare? Continuare a piangerti addosso per queste settimane nella speranza di scordarti di lui?-
-Io non mi piango addosso!- Sbottai indignata. –Mica ho tre anni!- Finii il cheeseburger buttando la carta nella busta che ci avevano dato, passando poi a terminare anche le patatine e la coca-cola.
-Ci pensi continuamente però.- Guardai Marco, che ricambiava tranquillamente il mio sguardo. Il mio cuore dava ragione a lui ma la mia testa.. La mia testa no. Portava avanti le proprie considerazioni agguerrita, senza farsi intimorire da nessuno. Restai in silenzio finendo le mie patatine.
-Io non so cosa fare.- Ammisi infine, mentre sorseggiavo la coca-cola. Sì, infondo la realtà era proprio quella: io non sapevo cosa fare con Emanuele. Avrei voluto non fare nulla.. Assolutamente nulla.
-Non fare nulla non ti farà stare meglio.- Ovviamente aveva smontato il mio desiderio in due secondi. Sospirai, guardando i turisti che si accalcavano vicino alla fontana per fare le foto.
-Perché non fa qualcosa lui?- Borbottai scocciata, facendo scoppiare a ridere Marco.
-Lui ha provato a fare qualcosa..quand’è successo? Il lunedì della settimana passata?- Io annuii, ricordando l’accaduto nel corridoio.
-Sì ma.. Io voglio che lui mi dia un  perché..un dannato perché..- Mugolai fissandomi le scarpe.
-Hai ragione.-
-E che è successo che mi dai ragione?- Scoppiammo a ridere. Incredibile a dirsi ma Marco De Angelis era entrato a far parte della mia vita, dopo quel quattro febbraio a Rivisondoli. Ne era entrato a far parte senza prepotenza, senza forzare.. Aveva semplicemente trovato la chiave giusta per farmi aprire il mio cuore a lui, ed ora era una delle persone a cui raccontavo tutto della mia vita.
Veniva regolarmente a trovarmi a Roma, una o due volte al mese, come quel giorno, quel sabato. Aveva la macchina e quindi non era un problema per lui venire nella Capitale, ogni volta che avevo bisogno di lui o quando lui aveva voglia di raccontarmi un po’ di sé. Marco era un ragazzo per bene, uno di quelli che si cercano assiduamente e si catalogano come principi azzurri. Era bello d’aspetto ma anche intelligente.. Mi aveva parlato per ore ed ore della facoltà di medicina, delle sue aspirazioni, dei suoi sogni. Poi mi aveva raccontato della sua situazione famigliare, i problemi con il fratello che era al carcere minorile per aver picchiato la propria professoressa, del padre e della madre che facevano finta che non esistesse per non macchiare di vergogna il nome della loro famiglia. Inoltre avevamo affrontato insieme non solo i miei problemi d’amore, ma anche i suoi.. Che si trovava in un perenne tira e molla con la ragazza che era stato il suo primo vero amore.
Dovevo ammettere, in fondo, che quel quattro febbraio non era stato un giorno totalmente negativo. Avevo conosciuto Marco e Gianluca aveva conosciuto Marzia, la sua attuale ragazza.
Sì, faticavo anche io a capacitarmi del fatto che Gianluca, il mio Gianluca Terenzi, si fosse fidanzato, mettendo finalmente la testa a posto. Aveva sempre rappresentato per me il Casanova ideale.. Il bello e impossibile di cui io ero la migliore amica, invidiata da tutte le ragazze. Ma ero felice per lui, incredibilmente felice.. Marzia era una ragazza adorabile che avevo avuto modo di conoscere in quel mese, ci teneva a Gianluca e non gli faceva mancare attenzioni..Come del resto faceva anche lui nei suoi confronti. E nel frattempo il ero l’unica che ancora vagava da sola in mezzo a migliaia di cuori innamorati.

 Salutai Marco con un bacio sulla guancia, scendendo dalla sua Smart ed avviandomi verso il mio palazzo. Salii al secondo piano, dovevo vivevo, ed entrai nel mio appartamento. Mia madre ancora non c’era. Entrai nella mia stanza e buttai il cappotto sul letto sedendomi poi al computer. Entrai su Facebook ed andai a vedere i messaggi privati che mi attendevano: Valeria.. Sara.. Emanuele Benassi. Emanuele Benassi?! Guardai stupida lo schermo, cliccando poi sul messaggio per leggerlo.

Presto saprai il perché.

Il mio cuore cominciò a battere a velocità inaudite. Presto saprò il perché. Cosa voleva dire quell’ennesimo misterioso messaggio? Emanuele Benassi aveva proprio scocciato con quella storia dei rebus.. Continuava a mandarmi messaggi in codice che non riuscivo mai a risolvere a causa sia della sua ambiguità e sia del fatto che non ero assolutamente portata per indovinare.
Spensi il computer e mi buttai sul letto, guardando il soffitto. Emanuele Benassi era un vero e proprio dilemma, dall’inizio alla fine. Inizialmente non mi calcolava in dei momenti e poi mi calcolava troppo.. Poi eravamo passati agli sguardi d’intesa, agli abbracci, alle frasi dette un po’ apposta un po’ no.. Ed ora eravamo tornati ai messaggini in codice scritti su Facebook. Ottimo. Io, povera deficiente innamorata, cosa mai dovevo pensare? Perché non volevo dare una tregua al mio cuore stremato? Ce l’aveva così tanto con me?
E ripensai velocemente a quella mattina nel corridoio.. “Mi manchi” mi aveva detto avvicinandomi a sé. Cosa sarebbe mai successo se mi fossi avvicinata cedendo al suo fascino? Cosa aveva intenzione di fare? E perché tutto d’un tratto dopo un mese mi diceva quelle cose e dopo un mese e mezzo mi mandava messaggi privati così, senza senso? Mi pensava anche lui, forse?
-Ginni, sei a casa?- La voce di mia madre mi fece destare di scatto. Mi alzai da letto e mi sistemai i capelli.
-Sì, mamma, arrivo!- Corsi in salone, sorridendo a mia madre. Lei alzò il braccio stringendo una busta blu.
-C’è posta per te.- Disse, porgendomi la busta. La guardai incuriosita, aprendola.

 Gentile Ginevra Sforza,
Le annunciamo con immenso piacere che in seguito alla Sua partecipazione alla competizione d’inglese al concorso Canguro, ha vinto un viaggio a New York dal 3/04 al 07/04 di questo anno ed un corso di inglese di per la durata del suo soggiorno nella prestigiosa Williams School of New York City.
Alloggerà nel campus della Columbia University, situato nel centro della città e tutte le spese di vitto e alloggio saranno pagate dalla nostra organizzazione.
Alleghiamo insieme a questa lettera la prenotazione del volo di andata e ritorno ed i dettagli sul suo corso di lingua nella città.
Le inviamo i nostri più cordiali saluti,
Asia De Matteis e Giacomo Cornacchia.

 Fissai con la bocca spalancata quei fogli. Lessi almeno tre volte la lettera e controllai almeno altre dieci la prenotazione dell’aereo.
-Allora?- Domandò mia madre, curiosa. Io la guardai completamente stupefatta.
-Ho vinto un viaggio a New York.- Dissi riuscendo a malapena ad articolare quella frase.
-Un viaggio a New York? Fai vedere!- Mi strappò di mano tutta la documentazione. Corsi al calendario: Era il diciassette marzo.. Ed il tre aprile andavo a New York. Avrei festeggiato il mio diciottesimo compleanno a New York.
-Vado a New York!- Dissi ad alta voce, come finalmente realizzando ciò che mi stava accadendo. Mia madre mi guardò sorridendo ed annuendo.
-Sì, Ginevra, vai a New York.- La abbracciai con foga, baciandole più volte la guancia. Non potevo crederci.. Possibile che finalmente la fortuna mi stesse sorridendo? Andavo a New York. Gratis. Andavo a New York grazie ad un diamine di concorso fatto in prima liceo. Andavo a New York!

Spazio dell’autrice*che pubblica perché il viaggio che doveva fare è saltato..uff*: Alloooora! Spieghiamo questo capitolo. Ho voluto soprattutto delineare il rapporto che c’è ora fra Emanuele e Ginevra ed i motivi dei loro comportamenti. Inoltre ho voluto delineare meglio la figura di Marco ed il suo ruolo nella storia.. Ricordatevi che non introduco mai i personaggi a vuoto, io! Inoltre, ho introdotto questa nuova avventura che attende Ginni. New York. Vi dice qualcosa? Mah.. Non anticipo nulla! Spero che vi piaccia anche questo capitolo malgrado io personalmente lo reputo noioso, anche se necessario. Ora passiamo ai ringraziamenti:
x_MoKoNa: Preciso che sfortunatamente queste storie romantiche hanno sempre un non so che di film.. Tuttavia quel capitolo l’ho voluto introdurre appunto per delineare meglio la figura di Emanuele. Come hai detto tu è molto ambiguo.. Non si capisce se è interessato a Ginevra o no. In realtà sembra proprio che lui si diverta semplicemente.. Ma dopo la reazione di Ginni e le sue decise condizioni affinché tornino al loro rapporto precedente, Emanuele comincia a cambiare e a definirsi, perdendo la sua tendenza a cambiare ogni secondo faccia. Comunque.. Grazie infinite per la recensione, attendo tuoi commenti anche su questo capitolo! Un abbraccio!
Swettlove: Eh già, Emanuele è proprio un deficiente.. Però se non fosse così complicato e stupido, non sarebbe bella la sua storia con Ginni, no? J
Grillomylife: Ahahahah ma non si chiama Lucry! E’ Ginni lei!
Vero15Star: Oh! Una nuova lettrice! Si.. Sfortunatamente in amore siamo tutti un po’ degli idioti! Emanuele è uno stronzo da un lato, certo, ma anche lui si renderà conto dei propri errori, col passare del tempo.. Gianluca è il migliore amico che anche io vorrei, e tutte le sue caratteristiche, il suo carattere, sono uguali a quelle di un mio carissimo amico che però non vive a Roma.. Uffa! La sfiga proprio! :D Grazie per la tua recensione, spero di leggerne altre! Bacio!
Elienne: Marco è un amoree! Infatti l’ho introdotto anche in questo capitolo perché mi piace un sacco.. Anche se ho paura di farlo diventare una sottospecie di Gianluca 2! Grazie per la recensione!
Ombrosa:
Ahahah si in quel capitolo mi ero effettivamente divertita.. Ho creato un paio di situazioni che potevano far pensare che succedesse qualcosa ed invece.. Alla fine La Catastrofe più totale! :D Grazie per aver conitnuato a leggere e recensire questa storia.. mi fa un piacere immenso!

  
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