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Autore: rose07    02/02/2021    1 recensioni
Due anni.
Erano passati due anni da quando Taichi aveva smarrito sé stesso. Da quando la vita a Kyoto gli stava stretta.
Due anni da quando Yamato aveva iniziato ad andare alla deriva. Da quando il silenzio lo aveva risucchiato.
Due anni.
Erano passati due anni da quando Mimi aveva lasciato la persona che amava. Da quando il suo sorriso era meno sincero.
Due anni da quando Sora aveva riscoperto una parte di sé tenuta nascosta. Da quando le cose avevano preso una piega differente.
Tratto dalla serie: "Stay together in the end".
Genere: Erotico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Mimi Tachikawa, Sora Takenouchi, Taichi Yagami/Tai Kamiya, Yamato Ishida/Matt
Note: Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Stay together in the end ( ? )'
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Mimi entrò in bagno con le lacrime agli occhi. Aprì il rubinetto del lavandino in modo brusco, sentendo dentro di sé l’umiliazione e la disperazione tenerla stretta.
Shinichi aveva voluto ferirla appositamente solo perché non ricambiava i suoi sentimenti, e lei adesso stava così male perché ne era consapevole.
Era consapevole di essere una sciocca, illusa, ragazzina che aspettava qualcosa che probabilmente non sarebbe accaduta mai... lo sapeva... certo che lo sapeva...
Si sentiva così dannatamente vuota e inutile nel constatare quanto ancora soffrisse per lui... era un dolore troppo forte, le partiva da dentro e la distruggeva...
La rendeva vulnerabile, incapace di reagire se non piangere lacrime amare.
Tirò sul con il naso mentre due lacrime le solcavano il viso. Strappò con forza della carta igienica per asciugarsi gli occhi.
Non voleva trovarsi in quello stato. Voleva tanto essere forte, indifferente a quelle dure parole che le erano state rivolte, ma come faceva?
Era la cosa che più in assoluto aveva paura di affrontare. E adesso che era stata messa di fronte alla realtà, questa tentava di stritolarla.
Mise le mani sotto l’acqua corrente e portò le dita al bordo degli occhi castani, tamponando leggermente per cercare di salvare il trucco.
Taichi la raggiunse e la vide impegnata a guardarsi allo specchio. Non si era nemmeno premurata di chiudere la porta, e pensò che era stato meglio così.
Non avrebbe sopportato un’altra scusa per rimandare quel momento.
Si sentiva agitato, nervoso; gli effetti dello spinello e di tutto l’alcol che aveva bevuto non facevano altro che amplificare quel suo senso di tensione.
Mimi non si era accorta di lui, non si rese conto nemmeno della porta che venne chiusa e della mandata di chiave che il ragazzo diede subito dopo.
Sarebbero stati soli.
Solo loro due, nessuno li avrebbe disturbati. Nessuno poteva interrompere quel momento tanto atteso.
Non lo avrebbe permesso a nessuno perché aveva aspettato per troppo tempo, due anni prima di fare i conti con i suoi sentimenti.
Non poteva più fingere. Adesso che aveva visto Mimi piangere e dimostrare che ancora teneva a lui doveva farlo...
Con un sospiro, il ragazzo si avvicinò lentamente a lei. La vide impegnata a piegare un fazzoletto bagnato e a portarlo in viso, troppo attenta a rendersi presentabile agli occhi della gente.
Come sempre.
Come sempre indossava una maschera che non le apparteneva.
Ma lui aveva imparato a conoscerla bene. La conosceva come le sue tasche. E lei conosceva lui.
Per questo non potevano più scappare da quello che provavano.
La guardò per un altro po’ fino a quando non decise di parlare.
«Era quello il manzo imbalsamato?» la domanda risuonò per tutto il bagno e Mimi s’interruppe improvvisamente da quello che stava facendo, spaventata, con gli occhi sgranati di fronte alla visione del ragazzo appoggiato contro il muro.
Gli dava fastidio... fremeva dalla gelosia nel pensare che lei avesse permesso che un altro giudicasse la loro storia.
Quella storia era solo loro e di nessun’altro.
Nessun’altro poteva valicare quelle barriere, solo loro due.
Tai la guardava con uno sguardo che non riusciva a decifrare, era lì dietro di lei, lo aveva visto dallo specchio, e il cuore aveva fatto un balzo fino alla gola per lo spavento e l’emozione.
Da quanto tempo era lì?
Come aveva fatto a non accorgersene? Probabilmente l’aveva vista piangere, e che figura ci aveva fatto... era nuovamente passata per la più debole, la più succube, e lei non voleva essere in quel modo.
Con un sospiro, tentò di ridestarsi, ma aveva lo stomaco in subbuglio.
«Non... non so di cosa tu stia parlando...» la voce le si rinchiuse in un sussurro, e odiò il suo tentennamento nel rispondere, il tremolio con cui disse quelle parole.
Doveva risultare convincente e invece era così spaesata nell’averlo trovato dietro di lei che non sapeva cosa fare, cosa dire, come comportarsi...
Tai strinse le labbra e fece un’espressione strana. Alzò le sopracciglia scetticamente, come a voler contestare quello che gli aveva appena risposto.
Non doveva mentire a lui, perché la scovava senza il bisogno di guardarla. Bastava solamente l’indecisione della sua voce a fargli decifrare il suo stato d’animo.
Certe cose rimanevano invariate per quanto avessero cercato di cambiarle.
«Eppure mi è sembrato abbastanza insistente» soffiò il castano con voluta eloquenza.
Non sapeva nemmeno perché le diceva quelle cose, forse avrebbe dovuto rivolgerle parole diverse dopo così tanto che non innescavano una discussione da soli, ma non ce la faceva.
Nella sua testa risuonavano le frasi di quel tizio che voleva trascinarla giù, macchiare la memoria del loro amore, gettare merda su di lui insinuando che non avesse un minimo di riguardo per lei.
Non era vero.
Lui stava fremendo per quanto la voleva.
Mimi rimase impietrita sul posto, non sapendo come controbattere.
Perché le diceva quelle cose? Forse aveva captato qualcosa del discorso con Shinichi, era per questo che le si rivolgeva con quelle frasi allusive...
Voleva farle sapere che lui era lì, anche quando credeva di essere da sola.
E, figurativamente, sapeva che era vero, perché la sua presenza non l’aveva mai abbandonata, era come la sua più dura ossessione, la sua pena più grande ma anche quella più dolce.
Strinse le sopracciglia.
«Cos’hai sentito?» chiese con una nota infastidita, stringendo il fazzoletto bagnato tra le dita.
Tai alzò le spalle facendo una smorfia con le labbra, poi la guardò con un’espressione carica di rammarico.
«Tutto» le rivelò, sapendo che non sarebbe servito a niente mentire.
Voleva che sapesse che aveva capito cosa c’era stato con quel ragazzo, che aveva udito le sue parole difensive nei suoi confronti, che era consapevole del fatto che lei fosse rimasta ferita dalle frasi appositamente taglienti che le erano state rivolte.
Voleva che sapesse che il petto gli bruciava dalla gelosia.
Voleva che sapesse tutto.
La castana boccheggiò, incredula, spaesata, colta in fallo.
Aveva sentito tutto.
Dio, aveva sentito tutto quello che Shinichi le aveva detto, il fatto che erano stati insieme, la sua decisione di aver voluto mettere un punto a quella frequentazione...
Taichi la fissava ancora, le braccia dietro la schiena, ancora contro il muro e lo vide mordersi il labbro in un gesto nervoso.
Lei deglutì, impaurita, denudata, l’orgoglio completamente fatto a pezzi.
Aveva sentito lei che aveva preso le sue difese con vigore dopo che per due anni non si erano più cercati, dopo che avevano chiuso la loro relazione... aveva capito quanto le parole di Shinichi l’avessero ferita più di una coltellata...
L’aveva scoperta.
Tentò di acquisire quella sicurezza ormai persa da un po’.
«Non... non è educato origliare» se ne uscì usando un tono che avrebbe voluto apparire redarguente, ma che alle orecchie dell’altro suonò come segno di evidente difficoltà.
Taichi si spostò dal muro e fece dei passi avanti.
Lei non ricambiava il suo sguardo, faceva finta di piegare quell’inutile fazzoletto tra le mani come se fosse una cosa di estrema importanza.
Tanto non avrebbe potuto sfuggirgli.
«Nemmeno non guardare negli occhi le persone» replicò lui beffardamente, avvicinandosi a lei, violando la distanza interpersonale che li separava.
Era come se la stesse provocando apposta, piccato, ingelosito, colpito.
Voleva che lo guardasse, così da essere entrambi fottuti.
Mimi alzò gli occhi di riflesso e quasi le venne un colpo quando se lo ritrovò così vicino. Lo scrutò in viso, si scrutarono entrambi dopo tanto tempo.
Non si guardavano in quel modo intenso negli occhi da due lunghi, lunghissimi anni e adesso sembravano volersi beare di quella visione che avevano dell’altro.
Lei pensò a quanto fosse bello, più bello di come era stato. I capelli più corti ma sempre sbarazzini, il volto espressivo, gli occhi castani che, seppur lucidi, la accarezzavano fermamente.
«Cosa vuoi, Tai?» le chiese tentando di scorgere la più piccola espressione sul suo volto che poteva anticiparle le sue intenzioni.
 
Voglio te.
 
Avrebbe desiderato dirglielo, sentì l’impulso di farlo, probabilmente spinto dallo stato alterato in cui si trovava.
Aveva una voglia spropositata di stringerla a sé.
Alzò leggermente la testa e sospirò.
«Parlarti» le disse, cercando di contenersi con tutte le sue forze.
Era questa la sua intenzione iniziale, ma non capiva se quell’atmosfera pesante in cui si trovavano o la sua condizione psichica lo stessero spingendo sempre di più a fare dell’altro.
Si sentiva attratto da lei come una calamita, e forse l’astinenza del non vederla, non toccarla, gli provocava delle sensazioni contrastanti, delle voglie irrefrenabili che faticava a controllare.
Era in bilico sul suo autocontrollo.
«Non abbiamo niente da dirci» udì rispondere da quelle labbra rosee, e si disse che probabilmente non aveva neanche tanto torto.
Tai si avvicinò ancora di più, mantenendo fisso il suo sguardo, mentre Mimi indietreggiò automaticamente, sentendosi nella più pericolosa delle trappole.
Dio mio... che stava succedendo?
Era vicino, troppo vicino...
«Ne sei sicura?» sussurrò lui, ma sembrava lo avesse detto di riflesso, troppo impegnato a guardarla come volesse leggerle dentro.
Catturarla.
E ci sarebbe riuscito, se solo non si fosse spostata.
«Non mi sembra il momento giusto questo» obbiettò e con un gesto fece per passargli avanti, ma lui l’afferrò dalle braccia e la bloccò contro il muro.
Lo fece con foga, ma senza farle male.
Solo voleva che non andasse via, che non scappasse. Voleva che stesse lì davanti a lui, solo loro due insieme e i loro respiri.
Quello della ragazza si fece più pesante. Il cuore batteva forte come un tamburo ed era stordita, incredula, eccitata.
«Hai paura di ferire il tuo ragazzo?» la provocò lui, guardandola di uno sguardo indispettito, cinico, quello che era solito rivolgerle quando era geloso.
E lo era, geloso. Era così geloso che avrebbe ammazzato quello stupido con le proprie mani se solo lo avesse visto un’altra volta con lei.
Aveva cercato di screditarlo ai suoi occhi, aveva cercato di prendersela, ma con scarsi risultati...
Mimi era sua.
Lui lo sapeva.
Lo sentiva.
Questa strinse le braccia che ancora la brandivano, e gli rivolse uno sguardo infuocato.
Le faceva quelle scenate dopo anni, si ingelosiva immotivatamente quando non si era premurato di rivolgerle la parola, quando l’aveva lasciata marcire nella più cupa delle sofferenze...
Era la prima volta che parlavano così da vicino da quando si erano lasciati, e lui pretendeva di avere il primato sulle sue scelte... non sapeva più niente di lei, non sapeva più niente della sua vita, quindi perché doveva immischiarsi in quel modo?
«Non è il mio ragazzo!» esclamò, spingendolo affinché si spostasse. Lo guardò con rabbia, risentimento, umiliazione per non aver ricambiato il suo amore quando avrebbe dovuto farlo.
«Cosa ti aspettavi, Taichi?» gli urlò in faccia, accecata dal peso della sofferenza che aveva dovuto subire.
«Dopo tutto questo tempo, ti aspettavi che non conoscessi nessuno?» continuò retorica, mentre lui abbozzava un sorrisino sulle labbra.
«Sono sicura che anche tu sei stato con qualcuna, quindi non venire a...»
Venne interrotta dal braccio di lui che rimase a mezz’aria e la rinchiuse nuovamente, appoggiando il pugno contro il muro.
Mimi spalancò gli occhi.
Lo vide scuotere la testa amaramente, con uno sguardo velato negli occhi.
«Non sono stato con nessuno» mormorò e sentì il suo respiro contro il volto. Vide che la guardava intensamente, come volesse spogliarla con lo sguardo.
Era bellissima, forse la ragazza più bella che avesse mai visto.
Il suo volto era fine e candido, i suoi occhi luminosi e sinceri... e il suo corpo... Dio, sentiva che sarebbe esploso se solo non si fosse avvicinato di più.
La voleva con tutto il suo cuore, sentiva le difese abbassarsi gradualmente, l’eccitazione per averla vicina prendere il sopravvento...
Al diavolo quella piccatezza, a lui che si era innervosito, perché quando la guardava negli occhi non riusciva a non pensare che era la persona più pura che avesse mai incontrato.
«Specie dopo averti vista adesso... Non credo riuscirò mai» le confidò facendola rimanere di stucco, senza parole, svuotata perfino da ogni singolo pensiero.
Si guardarono ancora, di uno sguardo che trapelava disperazione, desiderio.
Mimi lo vide farsi sempre più vicino.
Vicino, troppo vicino...
Vicino...
Al diavolo quel tizio, al diavolo tutto...
Tai le prese il mento con le mani e si avventò sulle sue labbra, senza lasciarle il tempo di dire qualcosa. Mimi strinse gli occhi e sentì la testa girare; pensò se non fosse tutto un sogno, ma quando la presa del ragazzo passò salda ai suoi fianchi, non ci pensò due volte a lasciarsi andare e gettare a sua volta le braccia al suo collo.
Schiuse le labbra e lo baciò con passione, sentendo la lingua del ragazzo lambire la sua con urgenza folle, quasi potesse scappare da un momento all’altro.
Le passò una mano dietro la nuca, stringendole i capelli castani. La ragazza sentì il suo corpo premere contro di lei e con una mano strinse il suo fianco per farlo aderire ancore di più a sé.
Se quello era il paradiso avrebbero dovuto dirglielo, perché sentiva di esserci finalmente arrivata...
L’odore, il sapore di Taichi dopo tanto tempo era la cosa più bella che le fosse mai capitato...
Si staccarono appena, solamente per mancanza d’aria. Si guardarono per qualche secondo, rossi in volto, il respiro affannato.
Era troppo presto per smettere...
Troppo bello per farlo finire.         
Tai si sporse per baciarla ancora e lei, stordita, lo strinse di nuovo a sé. Sentì la mano del ragazzo scendere sotto la sua schiena, fin troppo sotto, ed emise un mugolio spontaneo. Lui interruppe il contatto con le sue labbra e scese a baciarle il collo, mentre lei cacciò leggermente la testa all’indietro, gli occhi chiusi, completamente persa.
Lo voleva, lo voleva ancora, lo voleva di più...
Sentiva una strana sensazione, erano come delle scariche elettriche che partivano dal suo basso ventre e le facevano perdere il controllo, totalmente.
Sentì la presa al suo fondoschiena farsi più insistente, poi il ragazzo salì con le mani accarezzandole i fianchi, la schiena e poi sfiorarle il seno.
Credette di impazzire quando premette maggiormente sopra di lei e sentì la sua erezione contro il suo corpo.
Alzò gli occhi e lo vide ansimare davanti al suo viso, il fiato corto, il volto arrossato.
Aveva voglia di lei.
Dio, aveva una voglia spropositata di lei...
Mimi strinse la sua camicia con una mano.
Sentiva i rumori provenire da fuori ovattati e la testa galleggiare.
Non voleva pensare, voleva solo agire, voleva godersi quel momento.
Lanciò uno sguardo a Tai che ancora la guardava, e con un gesto delle braccia lo tolse di peso da sopra di lei e lo spinse contro il muro di fronte.
Si inginocchiò all’altezza del suo ventre e cominciò ad armeggiare con i suoi pantaloni, sentendosi stordita dall’alcol e dai sentimenti, così tanto da non riuscire a controllarsi.
Il castano fece una faccia sorpresa, eccitandosi ulteriormente non appena la vide abbassargli i pantaloni e i boxer.
Mimi accarezzò il suo membro eretto con una mano, pensando distrattamente a quanto tempo fosse passato. Lo accarezzò andando su e giù per un paio di volte, mentre Taichi stringeva le labbra per non emettere nessun suono rumoroso.
Era veramente difficile mantenersi.
Quando la ragazza si avvicinò e lo accolse in bocca, non riuscì a non lasciare andare un sospiro roco e di piacere. Mimi lo succhiava e andava su e giù, mentre con una mano continuava a tenere ferma l’estremità.
Le lanciò uno sguardo sconvolto, vedendo lei che aveva fatto lo stesso, gli occhi lucidi e pregni di desiderio.
«Ah... oh, Mimi...» sussurrò con la voce spezzata, e le mise una mano sulla testa, stringendole appena i capelli, facendo in modo che affondasse ancora contro il suo membro.
Mimi alzò un braccio e gli accarezzò l’inguine facendolo indietreggiare di più verso il muro.
Dio, sarebbe scoppiato, lo sapeva... era passato così tanto tempo... sarebbe venuto tra non molto se avesse continuato in quel modo e lui voleva di più...
Voleva di più, molto di più...
La bloccò, facendola staccare da lui. Con un gesto repentino la mise in piedi alzandola dalle braccia, poi la prese dai fianchi, caricandosela in braccio.
La castana gli si agguantò al collo baciandolo di un bacio umido, sentendo i suoi capelli di mezzo, mentre Tai la trascinava con foga verso una direzione.
Sentì la cintura del ragazzo strisciare per terra e tintinnare.
La posizionò sopra la lavatrice di peso, e nel movimento caddero un paio di cose che stavano appoggiate, facendo un rumore sordo.
«Tai...» lo chiamò con gli occhi chiusi, come fosse un’invocazione.
Lui non gli diede modo di parlare.
«Sssh...» le mormorò, baciandola ancora sulle labbra, reclamando la sua lingua.
Mimi aprì un braccio appoggiandosi al muro, mentre con l’altro teneva stretto Tai che era sceso a baciarle il collo. La sua mano si insinuò dentro il suo reggiseno e ben presto le abbassò le spalline del tubino fino a sotto le spalle per poterlo succhiare liberamente. Lei non riuscì a fare a meno di emettere un gemito, e d’un tratto sentì la mano di lui arrivare fin sotto il suo inguine.
Le spostò le mutandine e cominciò ad accarezzarla con le dita, continuando a baciarla dappertutto, mentre lei non potette fare a meno di ansimare.
Ne voleva ancora, ancora, non era mai abbastanza...
Dopo un po’ di tempo, Tai si allontanò leggermente e lei lo guardò preoccupata. Poi lo vide abbassarsi, alzarle ancora di più il vestitino fin sopra alla vita.
Dio, cosa stava succedendo...
Era così eccitata da non avere la cognizione.
Lo guardò sfatta, desiderosa, vedendo le mani del castano che le sfilavano le mutande e le lasciavano ricadere su di una gamba.
Poi con le mani le stringeva le cosce, allargandole, abbassandosi quel tanto da arrivare con il volto all’altezza del suo inguine. Mimi boccheggiò. Non appena sentì la sua lingua farsi strada dentro di lei, che le toccava quel punto, una scossa di cariche di piacere la pervasero.
Inarcò la schiena, gettando indietro la testa.
«Oh, Dio...» gemette, allargando di più le cosce, stringendo di riflesso i suoi capelli per poterlo sentire meglio.
La stava leccando, la stava assaporando come non aveva mai fatto.
Era qualcosa di così intimo, così sensuale, così eccitante... sentiva di volere la lingua di Taichi dentro di lei per sempre...
Per sempre...
La ragazza si strinse di più a lui con una gamba, stando attenta a non fargli male con il tacco della scarpa.
Era estasiata, eccitata, completamente senza difese.
Sentì la lingua di Tai leccarla con più decisione. Si mosse con il bacino, contraendosi per gli spasmi, mentre lui la leccava ed inseriva un dito, due dita, la stuzzicava facendole sentire un piacere così intenso da pensare di essere arrivata già al limite.
Il ragazzo, però, passò a baciarle l’interno cosce, fino ad alzare il capo e guardarla.
Mimi era sconvolta, i capelli scompigliati, il trucco ormai sbavato.
Era così attraente sfatta in quel modo, non ce la faceva, voleva prenderla subito.
Era passato troppo tempo, così tanto tempo che non importava né il luogo, né il momento.
Importava solo che fossero loro due, chiusi nella loro bolla, lontani dal mondo circostante.
Si alzò, e lei non perse tempo, si avventò a togliergli la giacca, a slacciargli la camicia, mentre lui si piegava e le baciava il seno nudo.
Lo vide prendere in mano il suo membro turgido, e quasi ebbe paura non appena capì quello che sarebbe successo, ma la sua mente si era soffermata su Taichi, solo su di lui, e ogni dubbio, ogni incertezza sfumò.
Sentì il suo pene che si appoggiava all’entrata, faceva leggermente fatica a insinuarsi e lo vide abbassarsi con la fronte contro la sua prima di penetrarla completamente con un’unica spinta.
Mimi lanciò un mugolio acuto non appena lo sentì dentro di sé e Tai emise un gemito virile di piacere.
Era calda e stretta, troppo stretta, ma pian piano cominciava ad abituarsi di nuovo alla sua presenza, ad accoglierlo come faceva una volta.
Era da tanto, troppo tempo che non era stata con qualcuno... aveva aspettato lui...
E lui si sentiva grato che lo avesse fatto.
Spinse in lei dapprima moderato per farla abituare, poi accelerò il ritmo. Mimi sentì la testa girare, le braccia intorno al collo dell’altro che lo tenevano stretto a sé.
Lui la stringeva dai fianchi, i pantaloni abbassati sotto le cosce, la cintura che ciondolava per terra.
Doveva contenersi, era troppo tempo che non provava quelle sensazioni, sarebbe venuto subito...
Mimi ansimava all’altezza del suo orecchio e quello non fece altro che incrementare la sua eccitazione.
Con un ringhio la penetrò più forte, facendola urlare, rivoltare la testa all’indietro.
Era così piena di lui... troppo... non avrebbe desiderato nient’altro...
Lo giurava...
Aprì gli occhi impastati e lo guardò fisso. Lui la guardava già, e in quello sguardo intenso lesse un sentimento così grande, un amore contenuto, ma troppo grande da tenerlo ancora a bada.
Si chinò sulle sue labbra e la baciò ancora con forza, mentre lei mugolava, persa in tutto il piacere che le stava donando.
Poi si staccò e la guardò ancora.
«Mi sei mancata...» le sussurrò con la voce spezzata, con un’intensità tale che le fece salire dei brividi su per la schiena.
Vide i suoi occhi lucidi e rimase impietrita dalla sincerità con cui glielo aveva detto. Non capì più niente, letteralmente, né riuscì ad aggiungere qualcosa. Aveva ripreso ad affondare in lei sempre più forte e, ansimando, strinse la sua schiena graffiandolo superficialmente.
Non voleva nient’altro dalla vita.
Nient’altro avrebbe avuto senso dopo quello.
Niente...
Proprio niente...
 
 
 
Sora lanciò uno sguardo a Yolei che si era avvicinata a salutarla e adesso stava uscendo dalla porta insieme a Ken. Le aveva detto di dover andar via perché il giorno dopo aveva da lavorare e, curiosa, lanciò un’occhiata all’orologio appeso sul muro per constatare che ora si fosse fatta.
Erano le due di notte appena scoccate, e ancora la festa era nel suo vivo.
Si avvicinò al tavolo dove c’erano gli alcolici e si versò un cocktail.
Ripensò ai baci con Matt e lanciò un sospiro.
Dov’era finito?
Era uscito fuori in balcone per parlare con suo fratello e non era più tornato da lei.
Bevve succhiando dalla cannuccia, sentendo la testa pesante.
Forse stava esagerando con l’alcol, ma non ne riusciva a fare a meno quella sera, l’aiutava a pensare poco.
Guardò le persone che ballavano intorno a sé. C’era chi andava via, ma la maggior parte erano tutte riversate sulla pista.
I suoi sensi erano così abbassati e le sue voglie amplificate da voler fermare quella musica e tutta quella gente. Fermarli come se il tempo potesse scomparire in modo tale che le si figurasse Yamato in mezzo a quella calca.
Aveva voglia di raggiungerlo e abbracciarlo, baciarlo ancora e poi stringerlo a sé... andare in camera sua e fare l’amore...
Chiuse appena gli occhi, trasportata dalle sensazioni ampliate che le procurava l’alcol, muovendosi lentamente a ritmo di una canzone.
D’un tratto, si sentì stringere da dietro le braccia e percepì una forza strattonarla. Si voltò aprendo gli occhi, aspettandosi che quelle mani che adesso la stavano stringendo appartenessero a Matt.
Sulle sue labbra s’increspò spontaneamente un sorrisino ebete, che però sfumò non appena si rese conto di chi aveva davanti.
 
Victor.
 
Spalancò gli occhi.
 
No, non poteva essere... non poteva essere possibile...
 
Strizzò bene gli occhi e constatò che era proprio lui. Aveva i capelli color del grano scompigliati, il volto trafelato, gli occhi che, fermi, erano puntati sui suoi.
Lei aprì la bocca, interdetta, mentre lui la strinse ancora di più.
«Eccoti» le disse, alzando la voce per farsi udire sopra il fracasso, poi lo vide assumere una faccia angosciata «Ti giuro, non riuscivo a non venire. E’ stato più forte di me!»
Sora percepì il cuore battere forte.
Le aveva visualizzato il messaggio... credeva non venisse... era così tranquilla, era così serena del fatto che non fosse venuto...
Aprì la bocca, cominciando a guardarsi freneticamente intorno.
«Victor, che ci fai qui?» gli chiese allarmata, guardandolo con uno sguardo impaurito.
Non poteva stare lì... aveva paura... doveva andarsene...
Che diavolo aveva combinato?
Tentò di sottrarsi dalla sua presa, barcollando un po’. Era stordita e la vista risultava a tratti appannata.
Il cuore le era salito in gola.
Non immaginava che avrebbe mai avuto timore in quel modo in tutta la sua vita.
Si sentiva tremare, voleva urlare, voleva scappare...
«Aspetta, Sora, lasciami spiegare!» esclamò lui, trattenendola saldamente dai polsi.
La ramata lasciò andare il bicchiere vuoto che rotolò per terra.
Victor la strattonò contro di sé e la fissò con uno sguardo risoluto.
Doveva allontanarsi, doveva andare via... Dio, perché era venuto...
Non stava capendo più niente, si trovava in un macabro limbo di sensazioni contrastanti, credeva di poter svenire.
«Non puoi stare qui!» alzò la voce, intimorita, sconvolta «Ti prego, devi andartene!» lo supplicò.
Victor rimase impietrito nel vederla in quel modo.
Opponeva resistenza, sembrava volesse urlare dalla paura. Continuava a guardarsi intorno con quegli occhi velati dall’alcol, lucidi, abbassati.
Scosse la testa, mettendole una mano dietro la schiena per attirarla maggiormente a sé.
«Come pretendi che me ne vada?» le sussurrò contro il viso, mentre con una mano le accarezzava il volto.
Sora rimase immobilizzata, completamente incapace di muoversi.
«Non ce la faccio a pensare a te qui» disse in tono duro.
La ragazza scosse la testa, risvegliandosi dal trance in cui era caduta.
Sarebbe successo qualcosa.
Se non andava via era sicura del fatto che sarebbe successo qualcosa di sconveniente.
Sentiva i battiti del suo cuore accelerati, un’ondata di caldo la pervase e continuò a guardarsi intorno come fosse impazzita.
«C’è il mio fidanzato!» esclamò gravemente, facendo leva verso di sé affinché potesse liberarsi.
Victor sembrava non avere intenzione di mollarla.
«Ti prego, te ne devi andare... ti scongiuro...» lo pregò, sentendosi d’un tratto stanca, senza forze.
Si fermò sul posto sentendo la testa girare.
Non ce la faceva... sarebbe crollata...
Socchiuse gli occhi, mentre l’altro la tirava dolcemente contro di sé dai polsi.
«Io sono innamorato di te, Sora» le confidò guardandola negli occhi castani traboccanti di lacrime.
Lacrime di disperazione, frustrazione, timore.
Lo guardò interdetta, la bocca semiaperta, incapace di rispondere a ciò che le aveva appena detto.
Era innamorato di lei...
 
Le aveva detto che si era innamorato di lei.
Non poteva essere...
 
Sentiva le voci distanti anni luce.
 
Colpita, affondata, sotterrata.
 
 
 
 
Colpito, affondato, sotterrato.
 
Era così che si sentiva in quel momento. Sentiva la testa vorticare e un forte senso di rabbia, tristezza, frustrazione sopprimerlo.
Tirò un sospiro, mentre si trovava lontano dal soggiorno, lontano dalla calca di persone che non smettevano di spingere, ballare, urlare.
Era lui che avrebbe voluto urlare.
Abbassò lo sguardo sulle scarpe, mentre ripensava a quello che era successo con suo fratello.
Takeru lo disprezzava.
Non lo stimava più, glielo aveva detto semplicemente, lo aveva ucciso con solo quelle quattro parole.
Scosse piano il capo, gli occhi lucidi, il peso di quelle frasi che gli rimbombavano in testa.
Mai sarebbe arrivato a presagirlo.
Mai in tutta la sua vita avrebbe potuto pensare che il rapporto con TK potesse vacillare in quel modo talmente brusco e straziante.
Mai avrebbe immaginato di non poter più contare sull’appoggio del suo fratellino.
Era accostato contro la cucina, accanto al muretto dell’entrata. Udiva la musica provenire dal salotto, le urla, il vociare.
Aveva bisogno di staccare. Non riusciva più a reggere quel chiasso, gli doleva la testa per colpa dell’alcol, del nervosismo, di tutto lo stress che aveva subito in quei mesi.
In quegli anni turbolenti.
Si portò una mano alla testa, stringendola.
Sarebbe scoppiato.
Si sentiva arrivato al limite...
Era sicuro che se solo la goccia fosse caduta male avrebbe fatto traboccare tutto il vaso.
«Daisuke, io ti giuro sopra il Crocifisso che non la passerai liscia!» udì esclamare dalla voce acuta e petulante di Joe.
Spostò appena lo sguardo e lo vide nella stessa traiettoria del piano cucina, accanto al frigorifero. Con un giornale sventolava Davis, il quale era letteralmente spalmato sopra una sedia, ubriaco e strafatto.
«Mi avevi promesso che non avresti fatto il bufalo inferocito per non farmi fare la figura degli zulù e poi vai ad aizzarmi Takeru! Proprio Takeru!» sentì ancora dire dal maggiore.
Chiuse gli occhi per dei secondi non appena sentì nominare il fratello.
Non avrebbero recuperato mai più il rapporto...
Era tutto perso...
Andato...
La voce stridula di Joe lo portò nuovamente alla realtà.
«Che cos’hai in testa, noci?!» inveiva contro Daisuke con in volto un’espressione inviperita, ma risoluta «Te le spacco subito subito nel caso!» fece un gesto lesto per fare intendere che lo avrebbe rimesso sulla buona strada a suon di mazzate.
Il ragazzo emise un suono gutturale dalla bocca, portandosi le mani sul capo.
«Non urlare, Joe, mi scoppia la testa...» borbottò facendo una brutta smorfia con il naso.
Questi, nel frattempo, aveva posato il giornale e prendeva uno strofinaccio da un cassetto. Lo vide avvicinarsi e pulire il volto del più piccolo con un’espressione disgustata.
«Quando la smetterai di sniffarti anche la colla sarà un giorno di prosperità... Vuoi un po’ d’acqua? Un succo al kiwi? Bevi qualcosa, bestia, altrimenti...» sentì aprire il frigorifero e le bottiglie tintinnare.
Matt si isolò nuovamente, udendo in sottofondo le voci ovattate dei due.
Aveva voglia di andare a casa.
Voleva lasciare quella festa e rintanarsi a letto, coprirsi da quel gelo che sentiva dentro di sé e dormire.
Dormire fino a dimenticare perfino chi fosse...
Alzò gli occhi cerulei e guardò apaticamente verso il soggiorno. Le vetrate del separé erano scorrevoli ed erano state lasciate aperte.
Per un po’ non pensò a nulla, fino a quando una visione strana gli apparse davanti.
Sora...
Era Sora quella ragazza che intravedeva dalla vetrata. Era voltata di spalle, ma la riconosceva; riconosceva nonostante le luci alterne la sua tutina gialla, i suoi capelli ramati e mossi che le arrivavano fin sulle spalle.
Era lei e non era sola.
Strizzò bene gli occhi.
C’era qualcuno lì con lei, qualcuno che aveva un aria familiare. La teneva dalle braccia e le parlava fitto, in tono confidenziale.
Cominciò a sentire dei gorgoglii provenire dal suo stomaco. Era come un segnale di emergenza, come se lo stesse mettendo in all’erta da qualcosa.
Riconobbe lo stesso ragazzo con cui l’aveva vista discutere la mattina prima, fuori dall’università. Era lo stesso che aveva visto, ne era sicuro.
Si raddrizzò tenendosi dal mobile della cucina, facendo una faccia interrogativa, le sopracciglia contratte.
Perché stavano parlando di nuovo?
Che ci faceva quello in casa loro?
Non gli risultava che fosse un conoscente di Joe. Doveva essere venuto appositamente per qualcosa, e il suo intuito gli suggeriva tempestivamente che la voleva proprio da lei.
Cominciò a sentire dei campanelli d’allarme invadere la sua testa non appena lo vide attirarla contro di lui.
Strinse la mascella e provò dei sentimenti contrastanti così forti, una sensazione così dannatamente pesante che gli procurò un peso allo stomaco.
Venne distratto dal suono di un cellulare, e forse fu un caso che i suoi occhi si spostarono automaticamente verso quella direzione. Notò che c’erano tre cellulari riposti sul muretto all’interno di un cestino di vimini, e riconobbe tra di essi quello di Sora.
L’idea che lo colse all’improvviso probabilmente era scorretta, ma sentiva i battiti del cuore accelerati e un senso di angoscia sopprimerlo.
Lanciò un altro sguardo al soggiorno, poi allungò la mano verso il telefonino. Lo prese e lo guardò per un po’.
Non avrebbe dovuto farlo.
Sapeva che non avrebbe dovuto farlo, sapeva già che gli sarebbe costato caro.
Sentiva delle profonde martellate al petto mentre lo sbloccava.
I suoi sensi lo avvertivano, aveva un presentimento talmente nefasto che gli veniva da vomitare.
Aprì le conversazioni e vide in cima una chat rinominata sotto il nome “Victor”.
Il cuore continuava a tamburellare.
Con un dito, subito aprì la foto del profilo. Era un ragazzo con i capelli biondo scuro, quasi castani, legati in una coda. Un sorriso smagliante, rideva verso l’obbiettivo.
Alzò gli occhi che bruciavano verso la direzione in cui ancora si trovavano e lo riconobbe.
Era lui.
Corrispondeva al profilo.
Strinse le labbra e premette sulla conversazione. Gli si aprirono numerosi messaggi, e scorrette su e giù, a casaccio, con la mano che gli tremava.
Udì lontanamente Joe che imprecava contro Daisuke per qualcosa.
Nemmeno riusciva a leggere tanto si sentiva offuscato, adrenalinico, sopraffatto da una serie di emozioni che lo stavano asfissiando.
Decise di calmarsi, prese un sospiro e lesse qualche messaggio a caso.
Parlavano di come stavano, come era andato l’esame, il tirocinio... tutte cose di cui lui e Sora non avevano mai discusso... avevano una certa confidenza... parlavano di quando si sarebbero rivisti... di andare a bere uno Spritz insieme...
Il cuore sembrava poter esplodere.
Scese ancora fino agli ultimi messaggi.
La mano gli tremò ancora di più.
 
 
“Non riesco a non sentirti... quel bacio per me ha significato più di quanto immagini...”
 
 
 
“Ti prego, non venire. Ti spiegherò un’altra volta”
VV
 
 
Alzò lo sguardo, gli occhi vitrei, i pezzi del suo cuore che si ruppero.
 
Li udì fracassarsi in mille cocci...
 
Il cellulare gli scivolò dalle mani.
Sentì un dolore immondo espandersi dal suo petto, delle fitte percorrergli il corpo. Un senso di nausea lo pervase, gli salì fino alla gola e pensò di dover rigettare tutto.
 
Tutto quello che aveva mangiato, tutto quello che aveva bevuto, tutto quello che aveva dentro.
 
Non era possibile...
 
Doveva essere un incubo, doveva essere tutta una finzione... non poteva crederci...
 
Era tutto un incubo...
 
Non era reale.
 
Rimase per dei secondi fermo, senza riuscire ad assimilare ciò che aveva appena letto. Si sentiva come in shock, si sentiva alienato dal suo corpo, estraneo a tutto quello che lo circondava.
I rumori erano distanti, ovattati, come se fossero fuori da una bolla.
 
Non ci poteva credere...
 
 
Sora...
 
 
La sua Sora...
 
 
Guardò ancora verso la vetrata da dove si intravedevano i due. Vide lui che ancora la tratteneva e, d’un tratto, realizzò.
Realizzò cos’era successo, cosa aveva appena scoperto e una sensazione estenuante gli si propagò dal petto.
Cominciò a sentire sentimenti contrastanti tutti insieme, una flotta di sensazioni negative che lo invadevano.
E il cuore...
 
Bum...
Bum...
Bum...
 
Poteva sentirlo così nitido, così vicino...
 
Strinse i pugni improvvisamente e in volto gli si disegnò un’espressione folle.
Poteva sentire la rabbia, il dolore, l’umiliazione, la vergogna tutte insieme, tutte nello stesso istante.
 
 
Sentì il vaso traboccare ed andare in frantumi...
 
Le sue gambe si mossero automaticamente verso l’uscita della cucina. Cominciò a non capire più niente, aveva solo in testa un pensiero fisso.
 
 
 
 
 
Voleva fargli del male.
Voleva toglierlo di mezzo.
 
 
Voleva ammazzarlo.
 
 
Nel viso era irriconoscibile, e sbatté forte la porta quando attraversò la soglia, attirando l’attenzione di Joe su di sé.
«Bevi piano che è più ghiacciata del Monte Fuji... cos-?» si bloccò da quello che stava facendo, il bicchiere pieno d’acqua in mano.
Vide Yamato uscire dalla cucina come una furia e, improvvisamente, collegò quanto stava succedendo.
Come se fosse una scena a rallenty, il maggiore gettò un urlo allarmato, stringendo forte il bicchiere tra le dita e spruzzando in faccia l’acqua a Daisuke.
«FERMATELO!» gridò con tutta la forza che aveva in corpo, chiudendo gli occhi e alzando la testa al cielo.
 
Matt era entrato nel soggiorno tenendo gli occhi fissi al suo bersaglio. Senza lasciar trasparire un segno di risentimento, spostò con forza le persone che lo intralciavano.
Sentiva la rabbia prenderlo dai capelli, la disperazione farlo suo.
Spostò da un lato un povero malcapitato che si era ritrovato per caso davanti il suo passaggio e poi, con un calcio, ribaltò il tavolino sopra il quale vi erano riposte le bottiglie di vetro e i bicchieri che si fracassarono di rimando.
Sora si voltò all’improvviso, spaventata, e lo vide andare contro di Victor con una luce negli occhi che non aveva mai visto prima. Aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono, perché Yamato lo aveva afferrato dal collo e lo aveva trascinato via.
Non appena la ragazza realizzò, si portò le mani alla bocca e lanciò un urlo.
Il biondo lo aveva inchiodato contro il muro, lo stringeva e lo fissava con il demonio impresso negli occhi.
«Figlio di puttana!» ringhiò, per poi lanciarlo con forza sopra il divano e prenderlo a pugni.
Le persone si scansarono impaurite, lasciando che si creasse un vuoto attorno a loro. Victor tentò di scrollarselo di dosso con scarsi risultati, mentre Matt lo prendeva dalla nuca e lo spingeva di nuovo contro il muro.
Sora, disperata e con le lacrime agli occhi, si avvicinò tentando di fermalo.
«No, Matt! Ti prego!» gridò, afferrandolo da un braccio «Ti prego! Lascialo stare!» la sua voce sfiorava l’isteria, il corpo tremava di paura.
Quello scansò la sua presa e si avventò nuovamente sull’altro, il quale, riuscendo per dei secondi a liberarsi, mise le braccia davanti e tentò di bloccarlo dal lanciarglisi addosso.
Matt venne spintonato all’indietro, e quella reazione lo fece adirare ancora di più. Gli si scaraventò addosso e lo colpì allo stomaco, mentre l’altro si attaccò alla sua schiena e riuscì a difendersi restituendogli un colpo.
Nel frattempo, Joe era entrato in soggiorno e aveva scavalcato le persone che, interdette, non sapevano che fare, impaurite dal modo cruento con cui si stavano pestando.
«Qualcuno lo fermi!» strillò con una voce acuta che sfiorava gli ultrasuoni «AIUTO!» si rivolse con gli occhi fuori dalle orbite verso dei suoi conoscenti
«Porca vacca zozza!» si portò le mani alla faccia disperato e incapace di fare qualcosa.
Non avrebbe mai potuto fermare Yamato da solo. Aveva una forza impressionante, mentre lui si rompeva come un grissino fresco.
Vide la figura di qualcuno che tentò di togliere Matt da sopra l’altro, ma non fu una buona idea, perché il biondo si infervorò ancora di più e, con un gesto repentino, spinse contro il divano anche quello.
Joe spalancò le orbite non appena lo vide scaraventare Victor contro un mobiletto e far cadere quello che c’era sopra, tra cui delle statuine di porcellana che gli aveva regalato sua nonna.
Si morse la lingua e lanciò un urlo disperato.
Sora era immobile, paralizzata a guardare la scena. Non riusciva a muovere un arto, era in stato di shock completo. Le lacrime le sgorgavano fuori come un fiume in piena e si spaventò a morte non appena Matt strinse ancora il collo dell’altro.
«Ti ammazzo!» udì dire al biondo in faccia al ragazzo, e sentì di poter crollare da un momento all’altro.
Il cuore le martellava al petto e il corpo era pervaso dagli spasmi.
«Mio Dio!» urlò, non appena lo vide bloccare Victor contro il mobile
«Lascialo stare! TI PREGO!» ma non venne ascoltata, anzi, quelle urla di difesa non fecero altro che incrementare nel biondo la voglia di fargli ancora di più del male.
Lo alzò dal mobile e lo spinse per terra.
Non appena videro quella scena, alcune persone cominciarono ad andare via.
Joe tentò di fermarle, saltando su un piede e l’altro, e cercando di pararsi di fronte per occultare la scena.
«Non sta succedendo niente, signore e signori, non preoccupatevi!» esclamava, tentando di mantenere un sorriso finto sul volto, mentre le persone lo guardavano intimorite e andavano via
«E’ solo una scenetta di intrattenimento!» continuava a saltellare costringendosi a ridere, ma quello che ne uscì fuori fu solamente un nitrito isterico.
Si voltò a fissare quello che stava succedendo e strinse i pugni. Poi si rivolse nuovamente ai suoi amici e colleghi.
«Continuate a ballare!» urlò in preda alla schizofrenia, afferrando a caso delle persone e spingendole da un lato
«Continuate!» corse verso varie direzioni, acciuffando un tizio che stava cercando di sgattaiolare fuori.
«CONTINUATE!» strillò tra i denti, esibendo un’ espressione imbizzarrita con un luccichio folle riflesso negli occhi.
Il malcapitato fece una faccia spaventata, e Joe lo spinse con forza disumana sopra una sdraio in balcone.
Si girò sentendo un fracasso provenire da dietro. Victor aveva delle ferite in viso e aveva il fiato corto, spezzato.
Quando il biondo fece per lanciarglisi ancora addosso, lo strinse dalle gambe e riuscì a spingerlo a sua volta contro il muro.
Matt aveva a suo volta il fiato pesante e il rivale ne approfittò di quel momento di debolezza per sferrargli un pugno di contrattacco.
Sora cacciò un altro urlo.
In quello stesso frangente, apparvero sulla soglia TK e Kari, attirati dal frastuono e dalla gente che si era riversata a guardare.
La castana spalancò gli occhi non appena vide quella scena, e si voltò verso il fidanzato che fissava con un cipiglio suo fratello scontrarsi con l’altro.
«Fa’ qualcosa!» lo supplicò la ragazza, tirandolo da un braccio «Per l’amor di Dio!» esclamò, portandosi una mano alla bocca.
Takeru continuò ad osservarli senza fare una piega. Hikari, sconvolta, lo strattonò con forza.
Perché si comportava in quel modo?
«E’ tuo fratello!» lo scosse, tentando di farlo agire.
Il biondino si tastò le tasche e tirò fuori una sigaretta.
Era ora che venisse a contatto con i suoi demoni.
Solo in quel modo avrebbe capito.
Se l’accese e fece un paio di tiri.
Victor era riuscito a primeggiare su Matt per un po’, fino a quando quello non oppose resistenza e lo bloccò dal busto, per poi prenderlo e trascinarlo sopra il mobile su cui era ritta la TV e le casse.
Joe corse subito a togliere la televisione da là sopra, urlando a più non posso parole di protesta.
Victor gli bloccò le mani che tenevano stretto il suo collo, cercando di fargli allentare la presa. Aveva la bocca piena di sangue.
«Non ti meriti una ragazza come lei» gli ringhiò con ribrezzo, mentre il sangue gli colava ai lati.
«Lasciala andare se ci tieni un minimo» continuò a dirgli, e quelle parole colpirono in pieno Yamato ancora di più di quanto avesse potuto fare un pugno in pieno viso.
Non aveva torto...
Stava dicendo il vero... era successo tutto quello perché non se la meritava...
Strinse di più la presa.
«Stai zitto, bastardo!» la voce gli si incrinò tra i denti e con una mano gli strinse forte i capelli e lo scaraventò per terra.
Joe lanciò uno sguardo a Sora che piangeva angosciata, e subito pensò a una soluzione. Le persone stavano andando via, e quelle che erano rimaste si facevano i fatti loro per non essere messe in mezzo.
Pensò e ripensò, e si portò all’improvviso una mano al capo, socchiudendo gli occhi.
Avrebbe fatto finta di svenire... così lo avrebbero soccorso e le cose si sarebbero risolte...
Fece per barcollare e gettarsi per terra, quando, improvvisamente, una lampadina si accese nel suo cervello.
«Porca puttana, TAICHI!» urlò con gli occhi fuori dalle orbite, chiedendosi dove fosse quell’idiota e perché non ci avesse pensato prima.
Solo Tai avrebbe potuto fermare Matt, ne era sicuro, era l’unico che poteva tenergli testa e farlo ragionare.
«Dove cazzo è Taichi?!» strillò nel panico, guardando da una parte all’altra della sala, uscendo fuori e correndo per il balcone.
Il castano non si trovava.
Non l’avrebbe mai immaginato, ma aveva un urgente bisogno di Taichi.
Ritornò dentro come una furia e sorpassò Matt e Victor che si stavano ancora picchiando a vicenda, aprì con foga la porta scorrevole del corridoio e si mise a urlare come uno squilibrato.
Dove era andato a finire?!
«TAICHI!» urlò a perdifiato, spalancando la porta della sua stanza e rimanendo di stucco non appena una scena disgustosa gli si presentò davanti.
Fece una faccia schifata, portandosi una mano alla bocca come se avesse potuto vomitare da un momento all’altro.
Koushiro e la sua fidanzata si trovavano in atteggiamenti intimi sopra il suo letto.
Il suo letto.
Il suo candido e immacolato letto.
Si sentì svenire.
Era tutto un complotto...
Dio, perché ce l’hai con me?, pensò disperato.
«Questa me la paghi, rosso mal pelo!» gli sbraitò contro, mentre Izzy e Frankie lo fissavano stralunati e senza veli, coperti solo dalle lenzuola.
Chiuse la porta con forza, arrabbiato, continuando a correre come un matto verso le altre stanze. Le spalancò entrambe, ma non vi trovò nessuno.
Provò la sua ultima spiaggia e si diresse verso il bagno, muovendo su e giù la maniglia con foga.
«Taichi!» urlò ancora, mentre si rese conto che la porta era serrata a chiave.
Fece una faccia di giubilo e pensò che forse l’amico era lì dentro. Doveva assolutamente farlo uscire da lì.
Cominciò a bussare imperterrito e a trascinare su e giù la maniglia.
 
Mimi aprì gli occhi che aveva tenuto chiusi fino a quel momento.
Tai era sopra di lei e spingeva ritmicamente, affondando in profondità, sempre di più, fino a farle sentire delle sensazioni di piacere intenso, delle sensazioni che pensava di non poter provare mai più.
Le braccia erano al suo collo, e con una mano gli stringeva i capelli.
Cominciava a sentire un piacere così talmente profondo da non capirci più niente.
Avrebbe voluto spingesse in eterno proprio lì, in quel punto che stava colpendo con vigore.
Cacciò la testa all’indietro e chiuse di nuovo gli occhi.
L’orgasmo la stava cogliendo, sentiva delle scariche di piacere che le partivano da dentro e raggiungevano il suo cervello.
Contrasse il bacino, stringendosi ancora di più a lui.
Lo sentiva, era vicino... le veniva voglia di urlare per quanto era bello...
Ansimò più forte, portando una mano sul sedere del castano affinché non smettesse.
Non doveva smettere... doveva continuare... doveva spingere.. c’era quasi...
Quasi...
Lanciò un urlo strozzato, lasciandosi andare all’orgasmo, sentendo come un’esplosione dentro di sé. Le gambe le tremarono, il respiro era corto e irregolare, il viso era stravolto e arrossato.
Tai si accorse quello che era successo, e quella visione lo indusse a spingere ancora più forte, eccitato.
Vederla venire lo aveva fatto impazzire...
Sentiva il suo membro pulsare, stava per arrivare anche lui, lo sentiva... Spinse ritmicamente, con colpi precisi e intensi.
Mimi gli accarezzò una guancia, e quel gesto lo fece letteralmente scoppiare.
Sentì un’ondata di piacere avvolgerlo, capì che l’orgasmo stava per cogliere anche lui, allora fece per spostarsi da sopra di lei.
La ragazza, però, lo strinse con le gambe contro il suo bacino trapelando sicurezza, e lui rimase per qualche secondo spaesato, prima di abbandonare i sensi e riversarsi completamente dentro di lei con un gemito liberatorio.
Mimi sentì un fiotto caldo pervaderla e tremò per il piacere.
Era venuto dentro di lei.
Non era mai successo prima di allora, nemmeno quando stavano insieme.
Il ragazzo alzò lo sguardo e la guardò con il respiro pesante, gli occhi che trapelavano stupore, soddisfazione, sentimento.
Piano abbassò il capo fino a farlo congiungere con la sua fronte.
Non ci poteva credere... avevano fatto l’amore... era stato così bello, così intenso, così soddisfacente da sentirsi stordito, confuso...
Era così bella in quel modo...
Mimi sospirò e socchiuse gli occhi. Sentì distrattamente delle urla provenire dal corridoio, ma nessuno dei due se ne curò.
Non ce la faceva più.
Lo voleva con tutta sé stessa...
Voleva lui e solo lui... adesso lo sapeva, lo sentiva sulla sua pelle, lo sentiva dentro il suo cuore...
«Ti amo, Tai» mormorò d’un tratto contro il suo viso.
Il ragazzo si bloccò non appena udì quelle parole. Fece un’espressione strana, stupita, come se non avesse sentito bene.
Lo amava?
Gli aveva detto che lo amava ancora?
Il cuore cominciò a martellargli nel petto, sentì di voler dire qualcosa, di volerle rispondere, ma la gola era secca.
Era spiazzato, interdetto, non sapeva cosa fare...
Glielo aveva detto così all’improvviso, spontaneamente, e adesso lo fissava con una luce speranzosa negli occhi che gli struggeva il cuore.
Quel silenzio venne squarciato improvvisamente da dei colpi insistenti alla porta.
«Taichi!» lo chiamava qualcuno di vagamente familiare
«Esci, TAICHI!» urlava, ma lui non sentiva.
Guardava la ragazza sotto di sé e non si capacitava di quello che aveva appena udito.
Lo amava...
Mimi lo amava...
I colpi s’intensificarono, e Mimi si morse il labbro intimorita vedendolo indugiare per così tanto tempo.
Forse era stata precipitosa, forse avrebbe dovuto aspettare... magari non se l’aspettava, non se la sentiva di dover ascoltare quelle parole così importanti...
Non appena il ragazzo fece per aprire bocca, un calcio colpì la porta.
«Taichi! Yamato sta pestando a sangue uno! ESCI DI LI’!» la voce isterica di Joe irruppe nelle loro orecchie e li riportò improvvisamente alla realtà, rompendo quell’idillio che si era creato.
Il castano spalancò gli occhi non appena sentì nominare l’amico. Alzò la testa allarmato, assimilando quello che era stato detto.
Udì dei rumori forti provenire dal soggiorno, e subito uscì da Mimi con un balzo. Si ripulì in fretta e si rialzò i pantaloni.
«Cazzo!» imprecò, mentre si abbottonava in maniera disuguale i bottoni.
Sentì la preoccupazione avvolgerlo, e Mimi, a sua volta, si rialzò le mutandine e tentava di abbassarsi il vestito con difficoltà.
Era successo qualcosa a Yamato, doveva correre...
Senza pensare ad altro, girò la chiave nella toppa e spalancò la porta, facendo fare un balzo a Joe all’indietro.
Quello lo guardò stralunato, accorgendosi poi della ragazza dietro, ma Tai aveva incominciato a correre verso il salotto e il maggiore si rimise in piedi, seguendolo.
 
Entrò di corsa e vide Matt scagliarsi contro un ragazzo che non conosceva, prenderlo dai capelli e spingerlo con la faccia contro il muro.
Spalancò gli occhi, intimorito, e subito scansò le persone per potersi avvicinare.
Che cos’era successo?
Perché faceva in quel modo?
Non riuscì a trovare delle risposte adatte ai suoi interrogativi perché il biondo si era avventato nuovamente contro l’altro, e fu costretto ad intervenire subito.
Gli si lanciò addosso e lo bloccò da dietro la schiena, stringendolo forte. Matt si sentì agguantare e mollò per qualche secondo la presa da Victor, sanguinante e senza forze.
«Matt!» urlò Tai, tentando di scansarlo dal ragazzo, nonostante opponesse resistenza.
«Che cazzo sta succedendo?!» gli chiese, senza essere ascoltato.
Il biondo cercò di togliere le mani dell’amico e per un po’ lottarono in quel modo. Tai lo tenne ben stretto, ma Matt fu più lesto, riuscì a liberarsi facendo barcollare il castano all’indietro, e si lanciò nuovamente come una furia contro Victor.
Gli tirò un calcio, facendolo accasciare per terra.
«Lascialo! » gridò Tai, e si lanciò nuovamente addosso per fermarlo. Lo strinse con le braccia imprigionando le sue, e il biondo non ce la fece più a muoversi.
Tentò ancora di liberarsi e, non riuscendoci, allungò una gamba per rifilare un altro calcio al malcapitato.
«Lascialo ho detto!» Il castano lo spinse contro il muro, facendo spostare le persone terrorizzante da quanto stava succedendo.
Il biondo non ne voleva sapere di cedere. Gli lesse negli occhi la furia, la rabbia, la frustrazione. Rimase interdetto di fronte a tutto quello che traspariva dallo sguardo.
«YAMATO!» lo scosse, e con una mano lo tenne dalla nuca, stringendogli i capelli per farlo rinsavire.
Matt fece una smorfia di dolore, allora lui ne approfittò per prenderlo dal volto con entrambe le mani.
«Guardami» gli intimò, ma quello aveva il volto arrossato, il fiato spezzato, e guardava verso la direzione di Victor con l’odio negli occhi «Guardami, Matt» lo scosse più forte, facendogli emettere un ringhio.
Provò ancora a mollarsi, ma Taichi fu più risoluto.
«GUARDAMI, CAZZO!» gli urlò in faccia, facendo congiungere la fronte a quella sua.
Matt spostò gli occhi velati dalla rabbia verso di lui, e Tai cercò di trasmettergli con la forza dei suoi calma e sicurezza.
Piano il ragazzo cominciò a respirare in modo più regolare, ipnotizzando dallo sguardo magnetico dell’amico, cominciando a calmarsi a mano a mano.
Victor era per terra dolorante e sanguinolento, e Sora accorse subito per vedere come stava. Si abbassò per terra e lo tenne da un braccio.
Matt spostò lo sguardo e la vide.
Quella scena gli provocò un dolore così atroce che non riuscì a reggere. Con una smorfia sofferente, tolse le mani dell’amico da sopra il suo volto, lanciando un urlo disperato.
Tai indietreggiò per la spinta. Lo vide d’un tratto sorpassare le persone e andare in direzione dell’uscita.
Si voltò a guardare ciò che era successo. C’era il tavolino ribaltato, le bottiglie in cocci di vetro, dei soprammobili rivoltati.
Vide quel ragazzo per terra e Sora vicino a lui che lo tratteneva. Aprì la bocca senza capire cosa fosse successo, mentre gli occhi pieni di lacrime della ragazza si posavano sopra i suoi.
Ebbe l’istinto di avvicinarsi a lei, per qualche secondo fu combattuto sul da farsi, ma poi sentì che doveva andare da Yamato, e allora si voltò e corse verso la direzione in cui era sparito.
Mimi sopraggiunse nello stesso frangente in cui il ragazzo scappò via. Lo vide uscire fuori dalla porta correndo.
Un senso di vuoto la colse.
Cambiò espressione non appena spostò lo sguardo e vide Sora accasciata per terra, chinata su un ragazzo sanguinante.
Spalancò gli occhi, spaventata, e si portò una mano alla bocca.
La ramata mise le mani sulle spalle di Victor per sorreggerlo, sentendo distrattamente i pezzi del cuore che volavano via.
«Mi dispiace...» sussurrò con un’espressione vacua, gli occhi all’infuori, le orecchie che oramai sembravano assordate.
Quello si portò una mano contro il naso e si ripulì il sangue con la manica. Alcune persone si avvicinarono per soccorrerlo. Lo misero in piedi e lo trascinarono verso la cucina.
Sora si rialzò automaticamente, guardando il vuoto.
 
Era stata tutta colpa sua...
 
Aveva causato un errore madornale che non poteva mai e poi mai essere messo apposto...
 
Aveva rovinato tutto...
 
Tutto...
Era in stato di shock, e piano si accasciò contro il muro, sentendo di poter scivolare rovinosamente per terra da un momento all’altro.
Mimi la notò e subito si lanciò in suo salvataggio, afferrandola prima che toccasse terra. Si accasciarono insieme, mentre l’amica la strinse tra le braccia.
 
Era tutto finito...
 
Tutto finito...
 
Le persone andavano via. Uscivano dalla porta sconvolte, scosse da tutto quello che era successo.
 
Era tutta colpa sua...
 
Joe le guardava con gli occhi sbarrati. Tentava di fermarle per non farle andare, biascicando scuse che non reggevano affatto.
 
Aveva rovinato tutto...
 
Non appena si rese conto che la festa era stata sabotata, si voltò ad esaminare in che stato era la casa. Era tutto ribaltato. Il tavolino, le sedie, l’alcol tutto per terra... la bomboniere e i soprammobili frantumati, i centrini scomparsi, il divano sporco di sangue...
Gli prese un colpo al cuore e cominciò ad urlare.
«FIGLI DEL DEMONIO!» si piegò in due dalla rabbia «BASTARDI! SODOMITI!» non appena lo udirono imprecare in quel modo, anche le ultime persone decisero di andarsene.
 «Avete rovinato la mia festa! Avete buttato all’aria tutto!» stringeva i pugni e si dimenava «Perché, perché devo meritarmi questo?!» ripensò alla sua laurea e a quello che aveva dovuto passare, ai sacrifici di una vita intera, allo studio, ai soldi.
Le lacrime spuntarono amare nel bordo dei suoi occhi. Lanciò uno sguardo assatanato in direzione di Sora tra le braccia di Mimi, la testa appoggiata sulla sua spalla, lo sguardo fisso senza vedere realmente.
«Questo puttanaio in casa mia!» la indicò, incolpandola con fervore e disprezzo «Questo disonore in casa mia il giorno della mia laurea!» si portò le mani ai capelli, strappandosi alcune ciocche «Sacrilegio disumano! IO VI MALEDICO!» continuò ad imprecare in piena crisi isterica.
Takeru chiuse gli occhi con un sospiro e voltò le spalle. Mentre le urla di Joe continuavano a propagarsi per la casa, uscì in balcone. Kari se ne accorse e lo seguì con il cuore che le usciva dal petto per lo sgomento.
Sora alzò appena gli occhi e li puntò sulla cucina. Sembrava una scena a rallenty. Victor era vicino ai fornelli, mentre qualcuno si stava premurando di medicarlo. Lo vide fare delle smorfie di dolore ad ogni tocco sul suo viso.
La ramata sentì le lacrime agli occhi. Incrociò il suo sguardo e i due si guardarono intensamente.
 
Era stata tutta colpa sua...
 
L'espressione di Victor era indecifrabile. Si guardarono per qualche secondo, poi il ragazzo scansò la mano di Cody e lasciò la cucina raggiungendo l’uscita.
La ragazza si sentì morire.
«Mi dispiace... mi dispiace tanto...» sussurrò addolorata, mentre le lacrime sgorgavano da sole e tracciavano delle linee sulle sue guance.
 
Sarebbe stato meglio morire piuttosto che vivere tutto quello.
 
Mimi la strinse forte a sé, chiudendo gli occhi in un’espressione angosciata, sentendo a sua volta le lacrime premere per uscire.
Le accarezzò la testa amorevolmente.
Joe si era gettato a terra e pestava con i pugni contro il pavimento.
«Cosa ho fatto di male per meritarmi tutto questo?!» ululava piangendo come un matto, la faccia per terra. Emise un lamento simile ad un nitrito.
«Sono un uomo di fede... un uomo puro e buono come il pane...» disse penosamente, mentre le ultime persone che si trovavano fuori dal balcone andavano via.
Lui alzò un braccio in direzione di quelle.
«Non andate via, vi prego!» le pregò, strisciando invano verso di loro «Non andate...» disse in un lamento acuto e spezzato, mentre il braccio ricadeva per terra.
Nel frattempo, Luchia rientrò dentro. Vide tutto quello che le si presentava dinnanzi senza sbattere ciglio, la solita faccia austera, lo sguardo altero.
Tra le dita teneva un lunga sigaretta. Fece un paio di tiri e sorpassò Joe che, prostrato per terra, singhiozzava.
Arrivò fino in cucina e vide dei tovaglioli ripieni di sangue e del ghiaccio squagliato. Il suo sguardo fu catturato da qualcosa che era per terra. Afferrò il cellulare e vide che lo schermo era ampiamente rigato.
Strinse le sopracciglia e si avvicinò a passi eleganti verso di Sora.
«Questo deve essere tuo» le disse piatta, porgendoglielo.
La ramata la guardò in pena. Allungò un braccio in maniera automatica e lo afferrò.
 
Capì tutto.
 
Lo strinse in una mano.
 
Era tutto finito.
 
Tutto...
 
La sua vita era finita...
 
Scoppiò a piangere disperata, mentre Luchia si allontanava lasciando dietro di sé una scia di cenere.
Mimi la strinse ancora più forte, sconvolta, e le lacrime colsero anche lei. Joe urlava ancora miserabilmente.
 
Erano colpiti, affondati, sotterrati.
 
Erano cenere.
 
Cenere che era appena volata via...
 
 
 
 
 
 
 
Taichi corse in direzione di Yamato. Con il respiro affannato tentò di stargli dietro, vedendolo correre a sua volta senza fermarsi.
Lo chiamò a squarciagola, ma quello non si fermò.
Lo vide sorpassare l’isolato e scagliarsi contro dei bidoni della spazzatura che si trovavano ai lati della strada. Lanciò dei calci così talmente forti da farli rotolare per terra, i rifiuti sparsi per la strada, le bottiglie in vetro fare rumore nell’impatto.
Lo sentì urlare e ribaltare tutto.
«Yamato!» lo chiamò, raggiungendolo «Fermati! FERMATI!» gridò, la voce amalgamata al rumore dei bidoni che si fracassavano.
Chiuse gli occhi dal fastidio, mentre Matt si fermava e respirava pesantemente. Vide il suo petto alzarsi e abbassarsi ritmicamente, il volto scuro, i capelli appiccicati alla faccia.
Emise un ringhio e si lasciò cadere sul marciapiede, sedendosi e portandosi le mani alla nuca.
Taichi lo sentì piangere e si avvicinò preoccupato.
 
Cosa diamine stava succedendo?
 
«Perché fai così?» gli domandò basito, guardandolo dall’alto.
Il biondo non rispose, continuò a piangere con le mani sul volto sanguinante, emettendo dei suoni sofferenti e disperati.
Tai strinse i pugni.
Doveva smetterla.
Doveva uscirne.
«Amico, non puoi continuare a reagire in questo modo, ti prego...» disse esasperato, tra i denti «ti fai del male così... questa gelosia è troppo!» esclamò in tono duro.
Doveva controllarsi, per diamine... diventava ingestibile, non riusciva a fermarlo nessuno...
Si tastò il polso che gli faceva male per la presa.
Matt non disse nulla. Lo vide scuotere la testa e continuare a tirare su con il naso.
Quella sua mancata reazione lo fece arrabbiare ulteriormente.
Si distruggeva da solo ed esasperava Sora in quel modo. Non era salutare. Era nocivo. Era terribilmente annientante.
Doveva smetterla...
Aveva fatto andare via tutti... aveva rovinato tutto...
 
Tutto.
 
«Rovini la vita a Sora!» sbottò, infervorato «Non puoi scaricare la rabbia contro le persone solo perché sei geloso!» lo vide abbassarsi e poggiare la testa sopra le braccia. Strinse ancora di più i pugni, adirato.
Non capiva niente.
Faceva sempre di testa sua e mandava all’aria tutto!
Era pericoloso, perdeva la ragione... non ce la faceva più a stargli dietro in quel modo...
«Non ne hai motivo!» lo redarguì di nuovo, ma ancora una volta non trovò reazione «Hai capito? E’ da stupidi! E’ da insicuri!» sembrava fosse piombato in un silenzio disperato e assordante e odiava quando faceva in quel modo.
«MATT!» lo richiamò brusco, tanto che la sua voce rimbombò per la strada.
Il biondo alzò all’improvviso il viso rigato dalle lacrime, il sangue che fuoriusciva dal labbro e lo fissò con uno sguardo martoriato, uno sguardo che conteneva rabbia, ma anche un’espressione spenta.
Come se fosse morto dentro.
«Mi ha tradito, Tai!» urlò, schiaffandogli in faccia ciò che era successo, ciò che aveva scoperto leggendo quei due soli messaggi.
 
Lo aveva tradito...
 
 
 
Sora lo aveva tradito...
 
 
 
Strinse i denti e le lacrime continuarono a sgorgare.
Il castano aprì la bocca, fermandosi.
«C-cosa?» biascicò incredulo, sentendo la voce tremare.
Il biondo lo guardò ancora e poi chinò nuovamente il capo.
Tai rimase interdetto, ritto davanti a lui. La mente lavorava frenetica e tentava di trovare un senso a ciò che aveva appena sentito.
 
Era stato tradito.
 
Era vero?
 
Matt era stato tradito da Sora...
 
Non era possibile, doveva esserci un errore... uno di quegli errori madornali che andavano corretti...
 
Gli occhi erano spalancati, il cuore gli batteva forte dentro il petto.
Udì ancora i singhiozzi dell’amico, e lentamente, cominciò ad assimilare.
«Dio mio, no...» mormorò sconvolto, realizzando che quello che gli aveva detto corrispondeva alla realtà.
Spontaneamente, si piegò all’altezza dell’altro e si sedette accanto a lui. Portò un braccio attorno alle sue spalle e lo attirò a sé, facendo scontrare le loro fronti.
«Mi ha tradito...» ripeté Yamato, disperato, non appena percepì la stretta dell’amico, sentendo di potersi lasciare andare a lui, sfogarsi, mostrarsi debole.
 
Il dolore lo stava straziando.
 
Lo aveva spezzato in due.
 
Tai guardava la strada senza vederla realmente, il pianto di Matt gli rimbombava nelle orecchie.
Era l’unico rumore che poteva udire intorno.
 
 
 
Erano distrutti.
 
 
Colpiti, affondati, sotterrati...
 
 
Nient’altro che cenere.







   
 
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