Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: AlsoSprachVelociraptor    03/02/2021    0 recensioni
Nel 2018 Shizuka Higashikata, la figlia adottiva di Josuke, vive una vita monotona nella tranquilla Morioh-cho.
Una notte la sua vita prenderà una svolta drastica, e il destino la porterà nella misteriosa città italiana di La Bassa, a svelare i segreti nascosti nella sua fitta nebbia e nel suo sottosuolo, combattere antichi pericoli e fare nuove amicizie, il tutto sulle rive di un fiume dagli strani poteri.
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Terza riscrittura, e possibilmente quella finale, dell'attesa fanpart di JoJo postata per la prima volta qui su EFP nel lontano 2015.
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Prequel: “La battaglia che non cambiò nulla (o quasi)”
*Spoiler per JoJo parti 1, 2, 3, 4 e 6*
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Aggiornamenti saltuari.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Josuke Higashikata, Jotaro Kujo, Nuovo personaggio, Okuyasu Nijimura
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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In un mondo di calma e di quiete, di luce e di vuoto, Shizuka fluttuava senza gravità.

Shizuka, mi senti?

Sì, lo sentiva. Non ne era certa di come lo sentisse- non sembrava una voce proveniente da fuori, ma più da dentro le sue orecchie.

 Il destino ti ha voluto qui. Che tu ci creda o meno, tu sei destinata a grandi cose.

La voce aveva un qualcosa di familiare, un'intonazione già sentita e un accento che assomigliava a quello di qualcuno che già aveva conosciuto, ma non avrebbe saputo dire a chi. Shizuka si sentiva troppo leggera, come un piumino nel vento, ed i pensieri sembravano sfuggirle dalla mente come acqua tra le dita.

Shizuka, devi imparare a volare. Sarà difficile liberarti dalla gabbia e prendere il volo, sarà un processo lungo e complesso, ma per adesso devi almeno provare a sbattere le ali, ora che qualcuno te ne ha regalate un paio.

Non sapeva cosa la voce stesse dicendo. Era una voce maschile, non sembrava troppo avanti con gli anni ma definire un'età in quel contesto e in quel momento di confusione era impossibile.

Rimase ad ascoltarlo, perchè era l’unica cosa che potesse fare in quel momento.

Svegliati, recati nella Città delle Fenici e svolgi il tuo destino.

E Shizuka si svegliò.

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Si ritrovò ancora immersa nel bianco, ma si accorse che, stavolta, un corpo ce l'aveva. Ed era pesante, dolorante e immobile. Il dolore la colpí in faccia tutto ad un tratto, a tradimento, mentre cercava di cambiare posizione su quel lettino scomodo.

"Shizu!" Gridò una voce. Ah, sarebbe stato meglio il silenzio. Quel grido di donna le perforò i timpani da parte a parte.

Nonna Tomoko era lì, di fianco al suo lettino d'ospedale, con tutto il trucco colato dagli occhi gonfi e rossi. 

Shizuka era in ospedale. Attaccato al suo braccio c'è una flebo di soluzione salina, e una, enorme e ben più grossa completamente vuota, con solo alcune gocce rosse a indicare che lì dentro c'era una quantità sproporzionata di sangue.

"Nonna?" 

"Sì Shizu, sono qui… ora va tutto bene. Andrà tutto bene." rispose Tomoko con una vaga nota di dolore e dolcezza nella sua voce solitamente forte.

Nonna Tomoko non era solita dimostrare molte emozioni, come Josuke e come Shizuka del resto. Doveva essere una caratteristica di tutti loro Higashikata, cercare di sembrare più freddi di quanto non fossero davvero.

"Nonna… cos'è successo?"

Ma Tomoko sembrava poco restia al parlare. Strinse le labbra, abbassò lo sguardo e un'onda di tristezza si infranse sul suo viso. Vide una lacrima nera di mascara scendere dalla sua guancia. 

"Ti sei appena svegliata dopo quattro giorni! Hai avuto un incidente, sulla tangenziale. Ti hanno investita, stavi per…"

Tomoko non riuscí a dire quella parola. Morire, stava per morire.

"Avevi perso tutto il sangue, non avevi più battito, la tua pelle era fredda… e tuo nonno, Joseph, lui… lui…"

Un singhiozzo scappò dalle sue labbra carnose. Shizuka allungò una mano debole verso di lei e Tomoko la strinse con forza ma senza farle del male, in un calore di cui Shizuka sembrava avere disperatamente bisogno.

"Joseph ti ha donato il suo midollo spinale e tutto il suo sangue." Esordì la voce di suo padre, Josuke, vestito col suo solito camice ora macchiato di sangue. Il suo sguardo era duro e freddo ma Shizuka sapeva che dietro di esso si celava un dolore troppo profondo per essere mostrato.

“Joseph è morto. Stava già morendo in verità, ma ha deciso di sacrificarsi. Una eutanasia indolore, e ti ha anche salvato la vita.”

Shizuka non reagì. Non rispose. 

Tutto il sangue di Joseph- di suo nonno Joseph...

Joseph era pur sempre suo nonno. Non era stato un gran nonno come non era stato un gran padre per Josuke, ma… ma era pur sempre suo nonno, no? Era l’uomo che l’aveva trovata per le strade di Morioh e l’aveva portata a casa sua.

Era l’uomo che aveva deciso di sacrificarsi per lei.

Joseph le aveva salvato la vita per ben due volte, e Shizuka non aveva fatto nulla in cambio.

Si voltò appena a guardare nonna Tomoko, che aveva tanto amato quell’uomo e per colpa sua l’aveva perso. 

Scusa, avrebbe voluto dirle. Perdonami.

Ma nonna Tomoko le accarezzò i capelli e anche in quel viso stravolto dalla sofferenza sorrise. “Sono contenta che tu sia ancora qui, Shizu. Sei la mia nipotina…”

Anche Josuke le si avvicinò. Tomoko sembrava tremendamente stanca, assonnata e vestita alla bell’e meglio. Probabilmente aveva vegliato su di lei per chissà quante ore o giorni. Abbracciò velocemente il figlio e salutò entrambi, quasi scappando dalla camera, come se non riuscisse più a contenere quel dolore che, probabilmente, la stava distruggendo dentro.

Josuke si sedette sulla sedia su cui la madre era seduta prima. Anche i suoi occhi erano stanchi, i suoi capelli spettinati e la sua barba un po’ più lunga del solito.

Shizuka lo stava fissando. Non ricambiò lo sguardo, appoggiò una mano sul suo braccio a pochi centimetri dalla flebo e la tenne lì.

“Credo di doverti delle spiegazioni.” disse. 

E Josuke le spiegò tutto, mentre Shizuka ricominciava a ricordare.

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La notte era gelida e Shizuka aveva dimenticato il cappotto nel ristorante. Era scappata in fretta e furia in preda all’ira più estrema nel sentire le parole del padre.

‘Non rischierò la vita di mia figlia’ , così aveva detto quello stronzo. Sei debole, aveva anche detto.

Shizuka non era debole. Certo, Achtung Baby- quello stand di cui non aveva nemmeno deciso il nome per sé- era solo uno stand che le permetteva di diventare invisibile, o parzialmente invisibile, o far diventare per qualche tempo e in un raggio molto ridotto oggetti e persone invisibili. Poteva anche cambiarne i colori, ma era qualcosa che ancora non riusciva bene a fare. Ma con un po’ di pratica sarebbe diventata al livello di Crazy Diamond, ne era sicura! Forse anche il suo stand avrebbe avuto delle braccia, anche il suo stand avrebbe potuto tirare i pugni e afferrare le cose.

Shizuka stava camminando col pilota automatico, senza dare troppe attenzioni a quello che la circondava o verso dove fosse diretta. Liverpool non era una città particolarmente sicura, e Morioh lo era decisamente di più, tuttavia non si sentiva a casa, lì a Morioh.

Socchiuse gli occhi e immaginò di ritrovarsi a Liverpool, a girare per il porto con quello che anni prima era il suo baby-sitter e poi divenne un amico, alto e dinoccolato e dai capelli più neri del cielo intasato di luci della città, mentre le spiegava i segreti dei luoghi nascosti e oscuri in cui lui era cresciuto.

E invece Shizuka riaprì gli occhi e si ritrovò in Giappone, sul marciapiede al fianco della tangenziale, in un posto che non le apparteneva. 

Da sola.

Abitava a Morioh dalla fine del 2012, quando suo padre decise tutto ad un tratto di trasferire la famiglia nella sua città natale. Cinque, quasi sei anni lì e ancora si sentiva un’estranea.

Perchè non torni in Inghilterra, se ti piace tanto? le ripetevano le sue amiche. La verità era che a Liverpool c’era il suo cuore, certo, e la villa in cui aveva abitato, ma non c’erano i soldi di suo padre.

Seppur persa nei suoi pensieri, Shizuka sentì qualcosa alle sue spalle. Si voltò appena e notò che una figura le si stava avvicinando, e anche velocemente. Non le piaceva. Bert, a Liverpool, le aveva insegnato un trucchetto per liberarsi di questi pervertiti del cazzo.

Svoltò bruscamente il primo angolo che trovò e divenne completamente invisibile. Una volta che i passi dell’uomo si fecero più vicini, tirò fuori una gamba invisibile e cercò di fargli lo sgambetto. Funzionava ogni volta.

E invece non funzionò, perchè la mano che spuntò da dietro l’angolo era verdastra e dalle unghie nere e marce. Afferrò la caviglia invisibile di Shizuka e la tirò con forza, tanto da non sentirla più attaccata al proprio corpo. 

Shizuka gridò cercò di tirare calci e pugni ma quella bestia- non era un uomo! Non era nemmeno un essere umano! Aveva la pelle pallida e verdastra e gli occhi rossi, rossi come semafori- le mise le mani al collo e strinse, e sentì le sue unghie dentro la carne, il dolore invaderle il corpo e la sua mente sempre più annebbiata, buia, leggera…

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“...poi il vampiro ti ha trascinata in mezzo alla strada e ha finto un incidente stradale.” finì di raccontare suo padre, e sembrava quasi più pallido di lei in quel momento. Shizuka rimase a fissarlo, quasi senza espressione, con troppi sentimenti da processare in quel momento. 

“Praticamente tutto il sangue nel tuo corpo era stato prelevato, e il tuo midollo osseo era completamente inutilizzabile. A quanto pare, è questo che rende letali gli attacchi dei vampiri. È come se, nel prendere il sangue, rilasciassero anche degli enzimi strani che bloccano alcune funzioni vitali e… non lo so. Davvero.”

Josuke si passò una mano tra i capelli e si premette le dita sugli occhi stanchi. Era stressato, disperato, e sì, felice, ma anche spaventato. Shizuka allungò una mano, tremante e debole, a tirare indietro una ciocca di capelli che era ricaduta sulla fronte di suo padre. Josuke le sorrise, a malapena, ma era comunque un sorriso. Un’emozione che dimostrava.

Sapeva che i diamanti erano le pietre più dure, ma con un po’ troppa pressione applicata su essi si rompevano in mille pezzi.

Ma appena la porta si aprì Josuke tornò il solito freddo Josuke, e Shizuka avrebbe voluto tirargli un calcio in faccia, se solo fosse stata capace di muovere le gambe. Una in realtà si muoveva, l’altra, quella afferrata dal vampiro, sembrava pesante come il piombo. Probabilmente lussata o rotta da quella forza sovrumana.

E nella camera si riversarono i due piccoli Hirose che le si affiancarono al letto ridendo e saltando. Manami toccò la grossa garza alla base del suo collo e vicino alla spalla sinistra, dove il vampiro aveva conficcato le unghie per succhiarle il sangue. Shizuka non l’aveva notata, prima.

“Quella non sono riuscita a guarirla nemmeno con Crazy Diamond” spiegò Josuke agli Hirose e anche a Shizuka. “dovrai tenerti la cicatrice.”

Josuke uscì dalla stanza, e tutti gli altri vi entrarono, portando colore e allegria nella stanzetta bianca e spoglia.

Okuyasu le portò un profumatissimo mazzo di fiori, Yukako le pettinò i capelli mentre Koichi cercava di spiegarle la situazione meglio di come avesse fatto suo padre. 

“Vedi, il sangue di Joseph è… speciale!” iniziò lui, sedendosi al bordo del letto. Era un uomo molto magro, leggero e non particolarmente alto, e stava seduto comodamente al bordo del lettino. 

“Quando i vampiri attaccano gli esseri umani, in alcuni casi succede che una specie di veleno venga iniettato nella vittima. Fin’ora non ne conosciamo le cause, cosa faccia o un antidoto...”

“E a me è stato iniettato questo veleno?”

Koichi era bravo con le parole e sapeva come rendere anche le situazioni più tragiche, almeno a parole, più supportabili. Annuì, mentre Yukako al suo fianco finiva una splendida treccia coi capelli corvini di Shizuka. “Ma sembra che il sangue di Joseph… del signor Joestar, carico di Onde Concentriche, l’abbia contrastato e sconfitto, quasi interamente.”

Quasi interamente? Dunque qualcosa ha comunque fatto?" tagliò corto Shizuka.

Koichi annuì.

“E cosa fa questo veleno? Non posso più camminare? Morirò lentamente?”

“Nulla di tutto questo…” parlottò Koichi, mentre Shizuka si sporgeva per prendere il bicchiere d’acqua che Josuke le aveva lasciato lì prima di andarsene dalla stanza. “...quel veleno solitamente è usato per contagiare gli esseri umani, ucciderli e renderli vampiri a loro volta. A te sembra non aver fatto niente, salvo per un flebile rallentamento del battito cardiaco e qualche leggero cambiamento cromatico…”

Shizuka guardò il proprio riflesso nell’acqua del bicchiere. I suoi occhi erano diventati di un profondo colore rosso scuro, la sua pelle quasi inumanamente pallida. 

L’acqua nel bicchiere si increspò in perfette onde, rompendo quel riflesso.

   
 
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