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Autore: Laisa_War    03/02/2021    1 recensioni
Questa storia nasce da una fantasia che accomuna, credo, ogni fan di Vikings (di cui faccio fieramente parte): esser trasportati nel mondo dei figli di Ragnar, per poter interagire con loro e combattere al loro fianco.
Hylde, una normalissima ragazza del 2020, viene spedita nella Kattegat dell'800 d.C. per volere di Odino in persona. Il motivo, per ora, è per lei un vero mistero.
Incontrerà i fratelli Lothbrok, intenti ad organizzare una grande spedizione punitiva ai danni di re Aelle e re Ecbert, colpevoli di aver contribuito alla morte del più grande re vichingo della storia: Ragnar Lothbrok.
Diventerà, col tempo, parte integrante della società vichinga, imparandone gli usi e i costumi. Quella diventerà casa sua, molto più di quanto lo fosse il mondo moderno.
Con questo racconto, i cui capitoli usciranno settimanalmente, spero di potervi trasportare con me in quella fantastica epoca, trasmettendovi le sensazioni che avevo io, durante la scrittura.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ivar, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Quella mattina, Hylde si svegliò di buon’ora e sgattaiolò nella stanza del focolare, per controllare il tempo attraverso una delle piccole finestre: la tempesta di neve era finita, il vento si era fermato e la calma era tornata, sebbene qualche piccolo fiocco di neve continuasse a cadere.

Venne raggiunta dagli altri membri della famiglia e lei scambiò uno sguardo complice con Floki, esclamando: «Oggi dovremmo riuscire a finirla!», riuscì a stento a trattenere l’emozione.

Anche Floki si rivelò parecchio entusiasta: «Possiamo consegnargliela prima del banchetto di stasera!».

Brandr ed Helga, divertite e coinvolte nella loro felicità, chiesero cosa stesse succedendo.

Floki si avvicinò al tavolo e, con fare teatrale, annunciò: «Oh, lo vedrete molto presto!», mentre Hylde rivelava che quella era una sorpresa per Ivar.

Helga e Brandr si scambiarono un sorriso confuso e continuarono a preparare la colazione.

Il luogo che Floki usava per costruire le navi si era sviluppato di pari passo con la mole di lavoro da svolgere in vista della grande spedizione, a tal punto da essere ormai considerato un vero e proprio cantiere. Ogni popolo giunto a Kattegat, ogni sovrano e ogni Jarl desiderava possedere le creazioni del famoso costruttore Floki, conosciuto per le navi resistenti e di ottima portata. La piccola spiaggia pullulava di longships e drekar in costruzione, di uomini e donne che trasportavano legna, corde e grandi vele.

Tutte quelle persone avevano dato modo a Floki di prendersi una piccola pausa e pensare quindi al progetto commissionatogli da Ivar, permettendogli di sviluppare un’idea geniale, a detta di Hylde. Lavorarono a quel progetto durante tutta la prima parte della giornata e riuscirono a completarlo perfettamente, dopo le numerose interruzioni date dalla tempesta di neve.

Dopodiché Hylde si prese del tempo per svolgere delle commissioni per conto di Helga al mercato cittadino, il quale era cresciuto considerevolmente, con l’arrivo a Kattegat delle numerose delegazioni scandinave.
Quel luogo brulicava di persone e caos, i commercianti provenivano da ogni dove e vendevano cibi, bevande e prodotti di ogni genere, cose che emanavano profumi coinvolgenti. Clienti e curiosi affollavano le bancarelle ed i carretti pieni di merce interessante, accalcandosi e contribuendo a creare quell’ambiente così caotico.

Un gruppo di ragazzini attraversò di corsa gli angusti spazi tra un banco e l’altro, così uno di loro inciampò, cadendo a terra e procurandosi un taglio sulla coscia. Probabilmente era caduto su un sasso smosso ed appuntito.

Quando vide il sangue, il ragazzino strillò, preso da panico, sotto lo sguardo attonito degli amichetti e delle persone lì vicino, che si erano chinate su di lui, per controllarne le condizioni.

Istintivamente, Hylde si precipitò verso di lui, facendosi largo tra la folla. Gli parlò con voce calma e rassicurante: «Ciao! Stai tranquillo, sono qui per aiutarti.». Gli spostò i lembi strappati dei pantaloni, scoprendo una ferita non particolarmente grave, ma profonda.

Lui smise di urlare, ma continuò a singhiozzare per il dolore.

Hylde gli accarezzò i capelli e gli chiese, per distrarlo: «Come ti chiami?», e lui, tra un singhiozzo e l’altro, rispose con un accenno di titubanza: «Hali.».

«Ciao Hali, io mi chiamo Hylde. Dovrò metterti i punti su questa ferita, ma guarirai perfettamente. Va bene?», spiegò lei con serenità, seguita dal segno di assenso di lui.

Dalla folla, emerse un uomo adulto, ma che non aveva ancora raggiunto la mezza età, chiedendo cosa fosse successo. Era molto alto e possente, con occhi scuri e una folta barba bionda, incuteva rispetto agli abitanti di Kattegat, che si spostavano con reverenza al suo passaggio, liberandogli la strada.

Il ragazzino lo riconobbe come suo padre e Hylde si sbrigò a spiegargli la situazione: «Si è ferito cadendo. Io posso aiutarlo, ma dobbiamo portarlo in un luogo più tranquillo e pulito.».

L’uomo annuì con solennità e ordinò ad uno degli uomini che lo accompagnavano di mandare un guaritore alla longhouse, successivamente sollevò il figlio senza troppe cerimonie e ordinò a Hylde di seguirlo.

Arrivati alla longhouse, furono accolti da Lagertha e da una preoccupata Torvi, che si scoprì essere la madre di Hali. Accanto a loro, si trovava un’anziana signora, Munin, che venne presentata come una dei guaritori di Kattegat, e proprio lei aveva iniziato a scaldare un grosso pezzo di ferro sul focolare lì vicino, con l’intento di cauterizzare la ferita.

Hylde la fermò subito, mentre il ragazzino tornava a piangere, terrorizzato dal ferro rovente. Le chiese se avesse con sé degli aghi e un filo sottile, nel frattempo aveva iniziato a ripulire la ferita con un po’ d’acqua.

Quando la guaritrice ebbe trovato gli strumenti richiesti, fu mandata dalla ragazza all’esterno, alla ricerca di un grosso pezzo di ghiaccio pulito, e lei ubbidì, spronata da un’incuriosita Lagertha.

Hylde spiegò ad Hali, con risolutezza, cosa avrebbe fatto: gli avrebbe sterilizzato la ferita con il vino trovato in una brocca lì vicino, subito dopo avrebbe usato il ghiaccio per rendere la sua pelle insensibile, così avrebbe potuto “mettergli i punti”. «Ti chiuderò la pelle con il filo, come se dovessi cucirla. Sarà meno doloroso del ferro caldo, te lo garantisco.», gli disse, cercando di rassicurarlo.

Il povero Hali urlò di dolore, quando Hylde prese a versare qualche goccia di vino sulla ferita, ma si calmò quasi immediatamente , non appena gli passò il ghiaccio sulla pelle. Dopo aver anestetizzato quella parte di gamba e dopo aver sterilizzato gli aghi immergendoli nel vino, gli applicò i punti, chiudendo una perfetta sutura. Per Hali, non fu così doloroso come si aspettava, pur senza una forte anestesia.

Hylde gli rivolse un sorriso sereno: «Per qualche giorno dovrai evitare i movimenti bruschi, poi toglieremo questi punti. Ti rimarrà una bella cicatrice, ma da grande potrai coprirla con un tatuaggio, se vorrai!».

Quando ebbe finito di dare istruzioni a Torvi su come bendarlo, per evitare che la ferita si infettasse durante i bagni, ad esempio, fu raggiunta dalla regina e dal padre del ragazzo, che si rivelò essere Bjorn in persona. Nei loro sguardi c’era tanta gratitudine, soprattutto per aver risparmiato ad Hali il trauma della cauterizzazione, ma non si sognarono di riferirglielo, non avrebbero espresso ciò che provavano all’ultima arrivata in città.

«Ho sentito molto parlare di te, dai miei fratelli. Finalmente posso fare la tua conoscenza.», ruppe il silenzio Bjorn, con una certa affabilità.

Avendo appena iniziato a comprendere le usanze del tempo, si scusò immediatamente con Bjorn e Lagertha per non essere mai tornata alla longhouse per porgere i propri omaggi e per ringraziarli di averla accolta in città, accennando alla grossa mole di lavoro che avevano lei e Floki per la costruzione della flotta.

La regina la interruppe: «Non mi sono mai interessate queste formalità, ho comunque i miei mezzi per controllare se gli stranieri che ospito a Kattegat siano delle brave persone.». Fece una breve pausa, facendole capire con lo sguardo che, sì, aveva indagato su di lei.
Riprese: «piuttosto, voglio che tu smetta di lavorare con Floki.».

Davanti alla confusione ed all’incredulità di Hylde, Lagertha chiarì, con una punta di gentilezza in più: «Alla città sei decisamente più utile come guaritrice, non credi?».

La giovane fu d’accordo con lei, aveva senso, in effetti.

«Puoi iniziare domani. Aiuterai Munin nei suoi compiti quotidiani.», concluse la regina, indicando l’anziana guaritrice, che in quel momento stava studiando, con curiosità, la sutura di Hylde.

Prese la parola Bjorn, incrociando le braccia sul proprio petto: «Mia madre ha ragione. E ti voglio assolutamente nella mia spedizione, conosci tecniche che possono riportare a casa, vivi, i miei migliori guerrieri.».

Hylde rimase spiazzata da quel drastico cambiamento: non avrebbe più lavorato con Floki, e la cosa la intristì notevolmente, ma avrebbe aiutato le persone, perseguendo così quella che era sempre stata la sua vocazione. La nuova prospettiva le diede una ventata d’euforia, che venne però rallentata dal carico di responsabilità addossatole da Bjorn. Nella sua “vita precedente”, Hylde rimaneva comunque una studentessa, di certo aveva accumulato esperienza durante le ore di tirocinio, ma ciò non la rendeva sicuramente capace di compiere miracoli, data la povertà di mezzi dell’epoca. Non si era neanche mai chiesta se fosse incline a partire per la grande spedizione.

“Dovrò abituarmici, a queste decisioni improvvise.”, convenne fra sé e sé, mentre Bjorn e Lagertha la congedavano.



I pensieri e le preoccupazioni della ragazza passarono in secondo piano, con l’arrivo del tardo pomeriggio. La luce del giorno aveva già iniziato a svanire, potando con sé un’aria gelida, che preannunciava l’arrivo della sera.

Non appena vide Ivar, portato sulle salde spalle di Floki, Hylde li accolse con tutto l’entusiasmo che aveva dovuto reprimere durante il giorno, senza riuscire più a trattenersi.

Lo stupore più puro si dipinse sul volto di Ivar, quando vide la robusta biga, dettagliatamente decorata con simboli vichinghi di cui Hylde ignorava il significato. Era già equipaggiata con un enorme cavallo, il quale sembrava già pronto per la battaglia, avendo già addosso tutte le protezioni e l’armatura apposita.

«L’avete fatta per me...», sussurrò Ivar con un filo di voce, visibilmente commosso, appena sceso a terra aiutato da Floki.

Hylde annuì, in risposta a quella frase, mordendosi la lingua per non iniziare a piangere, senza riuscire a parlare.

A prendere la parola fu Floki: «Sì, Ivar, queste sono le tue ali.». Toccò con aria profonda il bordo della biga e poi diede una carezza al cavallo, che scalpitava felice, voglioso di muoversi e correre.

Il giovane non perse altro tempo e si sbrigò a salire sul suo nuovo mezzo, indossando anche un elmo, come se stesse per entrare in battaglia. Nessuno si mostrò sorpreso quando Ivar ci prese subito la mano, neanche fosse la sua prima volta su un mezzo tanto veloce. Il suo viso era l’espressione più sincera del divertimento, fomentato dalle urla di Floki, oltre che dalla sua risata acuta.

Arrivò il momento in cui Ivar decise di fermarsi ed omaggiò Floki con un cenno di sentita gratitudine, seguito da: «La trovo bellissima. La cosa migliore che qualcuno abbia mai fatto per me.». Non avrebbe ammesso neanche sotto tortura quanto fosse emozionato.

Floki si schiarì la voce, sottraendosi a quelle forti emozioni, con lo scopo di spiegare al ragazzo che sul carro c’era spazio per lui ed un’altra persona, se mai avesse avuto bisogno di trasportare qualcuno.

Fu così che Ivar guardò Hylde e le tese una mano, invitandola a salire, vicino a lui. Un po’ titubante, lei decise di accettare quell’invito, issandosi sulla biga e reggendosi al bordo, che presentava una scintillante rifinitura in bronzo. Si posizionò proprio al fianco del giovane vichingo, che l’aspettava sull’unica seduta rialzata. «Reggiti forte.», fu l’unico consiglio di Ivar per la timorosa ragazza, prima che muovesse le briglie, ordinando al cavallo di partire al galoppo.

Un piccolo urlo sfuggì a Hylde per la sorpresa, la velocità era impressionante e il vento gelido sferzava con prepotenza, cosa che la costrinse a rimanere lievemente piegata in avanti, per proteggersi il viso. Allo stesso tempo, si reggeva saldamente al bordo con entrambe le mani, costretta ad un precario equilibrio.

Ivar urlava ed incitava il cavallo, divertendosi come non mai. La solita espressione corrucciata lasciava spazio ad un enorme sorriso, che contagiò anche la ragazza. Il cuore le batteva forte e l’adrenalina la rendeva energica.

Dopo qualche chilometro di corsa, Ivar decise di dare tregua alla povera Hylde, che ancora non riusciva a stare in perfetto equilibrio, tanta era la sua paura di cadere.

La giovane si portò dietro l’orecchio i capelli scompigliati dal vento, non che fosse solita domare quella chioma rossa e selvaggia, desiderava solamente la faccia libera da quelle ciocche ribelli.

Lui invece si tolse l’elmo, scoprendo il viso leggermente imperlato di sudore. Aveva un lieve fiatone, dovuto alle urla che aveva lanciato fino a poco prima a pieni polmoni.

Quando si furono calmati gli animi, Hylde ricordò il secondo regalo preparato per il giovane vichingo: estrasse dalla tasca della veste superiore una boccetta di terracotta non troppo grande e la porse ad Ivar. La sua espressione confusa la divertì molto, così lo invitò ad aprire il piccolo contenitore e ad annusarne il contenuto.

Gli occhi di Ivar divennero lucidi, facendo spiccare il loro colore blu, non appena capì. Era quasi lo stesso odore della crema che gli preparava sua madre Aslaug per il dolore alle gambe.

Non era stato facile per Hylde ritagliarsi il tempo necessario a preparare quella pomata, con tutto il lavoro che aveva da fare, senza contare la tormenta di neve degli ultimi giorni. La cosa in assoluto più difficile, però, era stato ricordarsi le proprietà medicinali delle numerose piante spontanee della Scandinavia e come riconoscerle in natura. Aveva scavato nei meandri più oscuri della sua mente, alla ricerca di vaghi ricordi inerenti agli esami di botanica sostenuti in università. Alla fine era arrivata a due perfette opzioni: Arnica e Angelica, piante con caratteristiche ottime per il tipo di dolore provato da Ivar. Grazie alle indicazioni di Helga, era riuscita a trovarle nelle radure oltre i boschi (pur perdendosi diverse volte) e, sempre grazie all’aiuto della donna, aveva portato a termine con successo la creazione della crema.

Ivar era rimasto immobile con la piccola boccetta in mano, quindi Hylde, abbastanza imbarazzata, cominciò a straparlare: «Lo so che non è neanche lontanamente paragonabile a quella di tua madre, ma so per certo che ti aiuterà col dolore. Sai, ho visto che alla fine di ogni allenamento sei sempre un po’ sofferente, quindi...». Non completò mai la frase. Le sue parole rimasero sospese nell’etere.

Ivar l’aveva abbracciata forte, circondandole la vita con le braccia solide e stringendola con impeto a sé. Da seduto, rimaneva comunque molto alto, il che gli permise di appoggiare il viso nell’incavo del collo di Hylde, godendosi il profumo della sua pelle.

Il cuore di Hylde le martellava nel petto a un ritmo quasi allarmante. Aveva spalancato gli occhi, colta davvero alla sprovvista, mai avrebbe pensato che Ivar fosse capace di un gesto d’affetto così palese, che fosse capace di trasmetterle così chiaramente la gratitudine provata. Ricambiò l’abbraccio con trasporto, accoccolando la testa sulla spalla del ragazzo, cingendogli con tenerezza il collo.

Diamine, nessuno lo aveva mai trattato con quella gentilezza disinteressata, a parte alcuni, pochissimi, membri della sua famiglia. Le altre persone preferivano tenersi a distanza da lui, sia per via della sua condizione, sia perché egli stesso si era costruito una corazza di spietatezza e crudeltà. Il motivo era semplice: per difesa, ma anche per indurre gli altri a rispettarlo.

«Lo capisco... è più efficace attaccare per primi, che essere attaccati e feriti. Se parti da una condizione di svantaggio, devi essere il doppio più efficiente per guadagnare lo stesso rispetto che agli altri viene dato di diritto.», disse Hylde quando, dopo attimi che loro avrebbero misurato in anni, si staccarono senza mai interrompere il contatto visivo, attratti com’erano l’uno dall’altra.

Ivar realizzò di non essersi mai sentito così compreso come in quel momento. Quella strana, buffa ragazza in così poco tempo era stata in grado di vedere il suo vero animo, così ben celato al mondo esterno. E la cosa che più lo meravigliò fu il fatto di non avere paura, o vergogna di farsi leggere, di farsi vedere da lei. Le parole gli uscirono di bocca come un fiume in piena: «Sono stanco di tutto questo. Voglio delle gambe normali, Hylde. Voglio essere come le altre persone.». Si mostrò alla giovane senza alcun timore, gettando una maschera indossata ormai da anni.

Hylde fece davvero fatica a mantenersi lucida, trattenendo le lacrime con ogni flebile traccia di autocontrollo rimastole. Alzò piano una mano, accarezzando con delicatezza estrema la guancia di Ivar: «Ci vuole una grande forza e un immenso coraggio ad essere diversi. Tu hai il vantaggio di vedere il mondo da una prospettiva differente... Guarda solo alla furia che la tua condizione ti ha donato: in battaglia sei una forza della natura, molto più dei tuoi fratelli. E, cazzo, tu combatti con solo una metà del corpo! Prima o poi, tutto questo darà i suoi frutti, Ivar Lothbrok!».

Quell’esempio di lucida saggezza era stato visto dal ragazzo solo un’altra volta: nelle parole che suo padre, Ragnar, gli aveva rivolto l’ultima volta che l’aveva visto, nel Wessex, prima di esser consegnato agli uomini di re Aelle.

Hylde continuò: «...ma la tua consapevolezza non cambierà il modo di pensare degli altri, almeno nell’immediato futuro. Il tuo continuare a desiderare delle gambe funzionanti è più che legittimo e comprensibile.».

Ivar le sembrò davvero scoraggiato riguardo a quell’argomento, anche se visibilmente rincuorato dalla comprensione della ragazza: «Sarebbe come desiderare la luna, o le stelle...».

«E allora inizia a mirare al cielo! Ti aiuterò io, devo solo scoprire come.», disse lei, puntando con la mano il cielo sovrastante, che si era fatto più scuro ma anche più sgombro. Non nevicava più, dagli spiragli lasciati liberi dalle poche nuvole erano spuntati gli astri luminosi e la luna piena si era unita in loro compagnia. Hylde aveva ancora quel fuoco negli occhi, avrebbe potuto sciogliere tutto il ghiaccio che ricopriva ogni elemento del paesaggio in cui erano immersi.

Ivar non poté fare a meno di osservarle il viso, per assistere allo spettacolo del fuoco crescerle dentro. Lo avrebbe aiutato davvero, quella era una promessa.
  
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