Libri > Eragon
Segui la storia  |       
Autore: PrincessintheNorth    04/02/2021    2 recensioni
Nuova edizione della mia precedente fanfic "Family", migliorata ed ampliata!
Sono passati tre anni dalla caduta di Galbatorix.
Murtagh é andato via, a Nord, dove ha messo su famiglia.
Ma una chiamata da Eragon, suo fratello, lo farà tornare indietro ...
"- Cosa c’è?
Deglutì nervosamente. – Ho … ho bisogno di un favore. Cioè, in realtà non proprio, ma …
-O sai cosa dire o me ne vado.
- Devi tornare a Ilirea."
Se vi ho incuriositi passate a leggere!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Morzan, Murtagh, Nuovo Personaggio, Selena | Coppie: Selena/Morzan
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
DEREK
 
È morto, sussurrai, gli occhi fissi sul corpo esanime, decapitato ed insanguinato di Galbatorix. È morto davvero.
In quel momento mi sarei messo a ballare dalla gioia: avevamo vinto! Era morto! Ero riuscito a vendicare Mavis e Katherine, dopo oltre cento anni. Avevamo reso giustizia a tutte le anime che aveva tormentato, in primis quelle dei nostri figli: Morzan ed io avevamo compiuto il nostro dovere.
Non era stato un compito facile, e c’erano volute tutte le forze e conoscenze nostre e dei nostri draghi per abbatterlo, ma alla fine lui non aveva avuto più forze per combattere, e per Morzan sferrare il colpo fatale non era stato più così impossibile. Gli dei sapevano quanto mi sarebbe piaciuto essere io l'autore di quel colpo, ma sapevo in cuor mio di non averne il diritto: era a Morzan che spettava quel dolce compito. Era la sua vendetta: nessuno più di lui aveva sofferto a causa degli intrighi del Re Nero. 
«Kate!» la chiamai eccitato. «Katie, tesoro, è fatta! Puoi venire fuori ora, non devi più aver paura!»
Ma fu solo il vento a rispondermi.
«Katherine?» la chiamai nuovamente. Pochi minuti prima ero riuscito a localizzare lei, Murtagh e Galbatorix proprio su quel promontorio, ma quando eravamo arrivati loro due non erano in vista: eppure dovevano essere lì, da qualche parte. Maeslingr, la spada di Kate, era lì, abbandonata sul terreno. La sua proprietaria non poteva essere molto lontana.  
Morzan si rialzò da terra, boccheggiando: teneva la mano premuta sul fianco destro, dove Galbatorix l’aveva colpito, ma dopo un paio di secondi la sua pelle era di nuovo integra. «Non li sento, Derek» ansimò. «I ragazzi … non … non li sento».
Quando lo disse sentii un brivido gelido scorrermi lungo la schiena: era raro che Morzan non riuscisse a percepire la presenza di qualcuno. 
«Le tende dei guaritori sono lontane» osservai. «Magari … magari uno dei due si è ferito e sono andati là …»
«Se fossero alle tende li avrei sentiti» fece scuotendo la testa. «Se … Derek, io non so …»
All’improvviso, nel vento sentii qualcosa: era un suono flebile, debolissimo, ma che conoscevo bene. E non appena il mio sguardò incontrò quello di Morzan, colmo di consapevolezza e terrore, seppi di non essermi sbagliato.
Era il vagito di un neonato.
Katherine.
Disperato iniziai a guardarmi intorno, cercando un qualunque indizio che potesse dirmi dove si trovava mia figlia: ma tutto era confuso, l’erba schiacciata a causa dei combattimenti, gli odori mescolati. Quando non ci fu più nulla da guardare i miei occhi si posarono sull’unico punto che avevo evitato per disperazione: lo strapiombo sul mare.
No … per gli dei, no … pregai avvicinandomi al precipizio. Ogni mia preghiera fu vanificata quando notai che la quantità di sangue che macchiava il terreno aumentava ad ogni passo. La verità era davanti ai miei occhi, terribile, insopportabile: e sapendo che quel gesto mi avrebbe straziato, guardai giù.
Centinaia di piedi più in basso, sul sottile lembo di spiaggia che separava la scogliera rocciosa dal mare, due figure scure erano sdraiate l’una accanto all’altra. I raggi del sole appena sorto le illuminarono per un secondo, facendo risplendere di rosso la spada che una delle due aveva accanto.
«Oddio» il sospiro strozzato di Morzan, nonostante lui fosse proprio accanto a me, mi arrivò come un’eco distante. Non c’era nulla, a parte il ruggire furioso del vento ed i due corpi immobili.
Fu un automatismo, per me, saltare nel vuoto, arrestando la caduta con la magia.
Possono essere due persone qualunque, iniziai a ripetermi. Avranno comunque bisogno di cure. Non sono Kate e Murtagh. Saranno semplicemente due soldati. Non sono loro, non sono loro.
Ma quando fui giù, a pochi passi da loro, mi resi conto che non potevo più mentire a me stesso. Fu in quel momento che sentii il mio cuore spezzarsi definitivamente, e per sempre.
Kate e Murtagh giacevano esanimi in una pozza di sangue, che andava allargandosi ogni secondo di più. Non c’era traccia di vita sui loro volti, pallidi e incrostati di sangue: non somigliavano nemmeno a loro stessi, così riversi a terra, così martoriati. In mezzo a loro, avvolto in un mantello ed adagiato con cura nella placca pettorale di Murtagh, un bambino singhiozzava e gridava, affidando la propria salvezza al vento.
Lentamente, un corvo planò accanto a loro, iniziando ad osservarli con lugubre aria affamata.
«VATTENE!» urlai prendendolo a calci, spargendo piume nere ovunque. Prima ancora che me ne potessi rendere conto la mia vista si annebbiò per le lacrime, che iniziarono a scorrermi sulle guance. «NON LI TOCCARE! NON LA TOCCARE!»
Gridando di dolore, di rabbia, di disperazione, mi lasciai cadere accanto al corpo del mio draghetto: sentivo un terribile male al petto, così forte che mi sarei voluto strappare il cuore.
«Amore mio …» singhiozzai prendendola tra le braccia. Dal ventre squarciato e dalla ferita che aveva appena sotto lo sterno ormai non usciva quasi più sangue: la terra del punto da cui l’avevo spostata era talmente zuppa del denso liquido rosso da non riuscire più nemmeno ad assorbirlo. «Katie, non … non fare così, andrà tutto bene, piccola, ti riprenderai, te lo prometto. Non è successo niente, niente … mi dispiace tanto …»
Ma da lei non provenne nulla, non un suono, non un cenno. Solo silenzio ed immobilità: solo morte.
Cos’avrei detto a Miranda, quando la notizia l’avrebbe raggiunta? Come le avrei detto che non avrebbe più potuto riabbracciare la sua Kate?
Come potevo io continuare a vivere con me stesso sapendo che non ero stato in grado di proteggere mia figlia in guerra?
Angvard, re degli dei, ti prego, scambia i nostri destini, mi ritrovai a pregare. Dà alla mia Kate la vita che ancora scorre in me. Io ho vissuto abbastanza. Falla vivere … falla vivere …
«NON LO MERITAVA!» urlai. «NON MERITAVA NULLA DI TUTTO QUESTO! NON MERITAVA DI VENIRE RAPITA, TORTURATA E AMMAZZATA! RIDALLE LA SUA VITA! RIDAMMI MIA FIGLIA
Ma è viva.
«Chi ha parlato?» feci sconvolto, il respiro mozzato, iniziando a guardarmi intorno. Ma non c’era nessuno: solamente io, Morzan, il neonato ed i corpi dei nostri figli.
«L’hai sentito?» lui sussurrò. Anche lui aveva Murtagh fra le braccia: gli accarezzava i capelli proprio come quando era piccolo. «L’hai sentito anche tu?»
«Ha detto che Kate è viva, ma …» è morta, stavo per dire, ma le parole mi rimasero strozzate in gola. Non erano parole che un padre poteva pronunciare.
No che non lo è, la voce riprese a parlare. Era una voce dal genere indecifrabile, e tuttavia potente, bellissima, che trasmetteva calma e serenità a chiunque l’ascoltasse. Sembrava di sentir parlare il vento, gli alberi, i fiori, il mare, ed al contempo il niente. Nessuno dei due è ancora entrato nel regno dell’oblio. L’ingresso gli è impedito dalle anime che li amano, e che voi un tempo avete amato.
Improvvisamente, dal mare emersero due figure: e quando le vidi sentii il cuore riempirsi di commozione.
Erano una donna e una bambina: la prima somigliava a Morzan, e la seconda a me.
«Ciao papà» la bimba sorrise agitando la manina nella mia direzione. «Ciao zio Morzan» fece poi rivolgendosi a lui, che la guardava con gli occhi sconvolti e colmi di lacrime.
«Le vedi anche tu?» mi chiese, la voce tremante.
«Katherine» sussurrai, allungando una mano verso la piccola. Perché era di lei che si trattava: di Katherine, la mia prima figlia. Non poteva essere altrimenti: come se non bastasse la presenza di Mavis accanto a lei, a tenerle l’altra mano, a confermare quel fatto c’erano l’impressionante somiglianza di tratti che condivideva con me e con sua sorella, Kate. Se avessero avuto la stessa età si sarebbero potute scambiare quasi per gemelle: a differenziarle c’erano solo il colore degli occhi e dei capelli, che la prima aveva ereditato da Mavis: le sue iridi erano di un intenso viola scuro, ed i capelli neri come le ali di un corvo. E ovviamente, Kate aveva gli zigomi ed il naso di Miranda, per fortuna.
«Per quanto mi faccia piacere rivedervi, dovete muovervi» Mavis disse con urgenza. «Io e gli altri non possiamo ritardare la loro morte ancora a lungo. Se non gli verranno fornite immediate cure mediche non ci sarà nulla che possiamo fare».
«Ma … tu …» Morzan sussurrò singhiozzando. «Tu non …»
«Lo so» lei mormorò inginocchiandosi di fronte a lui. «Va tutto bene. Adesso però devi calmarti, perché tuo figlio, Katie e tua nipote hanno bisogno di te. Lo capisci, questo? Lo capite tutti e due?» aggiunse poi lanciandomi un’occhiata eloquente.
Lentamente, annuii, anche se farlo mi costò tutte le mie forze. Era la prima volta che vedevo mia figlia in maniera diversa dal minuscolo cadavere che aveva infestato per decenni i miei incubi. Dimostrava circa sei, sette anni, la stessa età di April: era bellissima. Sia lei che Mavis lo erano.
La piccola si avvicinò a Morzan: lei sorrideva, e lui non osava nemmeno guardarla a causa dei sensi di colpa che provava per essere stato la causa della sua morte.
Guardando il volto di mia figlia sentii il cuore straziarsi in un dilemma tremendo che odiavo anche solo realizzare: non sapevo chi scegliere. Volevo più tempo con la figlia che non avevo mai conosciuto, e al contempo sapevo che se non avessi portato Kate via di lì, lei l’avrebbe raggiunta. Stare con la prima Katherine avrebbe ucciso la seconda; ma per salvare la seconda avrei dovuto abbandonare nuovamente la prima.
Razionalmente sapevo quale fosse la scelta che dovevo compiere: Katie, che lottava per la propria vita fra le mie braccia, era ancora viva, e con dei bambini piccoli da cui tornare. Per lo spirito che parlava a Morzan, invece, non c’era nulla che potessi fare.  
Ma come poteva un padre scegliere tra i propri figli?
«Allora» Mavis sibilò, ed istintivamente, nonostante tutto, mi venne da sorridere. Aveva sempre avuto delle maniere brusche, dietro le quali celava le proprie manifestazioni d’affetto. In quel momento però sembrava furibonda. «Tu queste cose non le devi pensare nemmeno per scherzo. La nostra Kate sta bene, Derek. La tua no. Ti sta morendo fra le braccia, e la cosa che mi dà più fastidio è che né tu né tu» ed indicò Morzan, che voltò di scatto la testa verso di lei. «Avete degnato di uno sguardo questa povera bimba. Ma che maniera è?» sbottò indicando quella che ora mi resi conto essere una neonata. Come avevo fatto a non capirlo prima? Era palese che fosse una femmina! Il suo viso era inconfondibilmente quello di una bambina, di una piccola principessa. «Mi fa piacere rivedervi, e non avete idea di quanto, ma ora dovete andare. Né Katherine né Murtagh meritano di morire dissanguati su una stupida spiaggia. Avrebbero dato la vita per questa bimba e per sconfiggere Galbatorix, e l’hanno fatto. È questo il vostro ringraziamento? È questo tutto il rispetto che avete per loro?»
Nel sentire quelle parole mi sentii pieno di vergogna. Aveva ragione, su tutta la linea: entrambi meritavano di meglio che morire solamente per far sì che io e Morzan potessimo rivedere i nostri morti cinque minuti di più. La nostra nipotina, che piangeva in quella sorta di culla in cui era adagiata (l’unico gesto d’amore che il suo papà le aveva potuto offrire), meritava di stare con i suoi genitori, di godersi il loro affetto; Belle, Killian ed Evan meritavano di ricongiungersi a loro dopo tutto quel tempo e dopo tutto il dolore che la separazione da Kate e Murtagh gli aveva causato.
E dunque annuii: temevo che accettare di dover lasciare andare Katherine e Mavis mi avrebbe fatto male, ma così non fu. Non appena capii che smettere di soffrire riguardo al loro destino non equivaleva a dimenticarle mi sentii più libero, più forte persino.
Katherine finì di parlare con Morzan, che ora sorrideva, e poi mi raggiunse: teneva le manine piantate sui fianchi, e lo sguardo nei suoi occhi era identico a quello di sua sorella. Supponente, arrogante ed infastidito. Sarebbero andate d’accordo, probabilmente, se le cose fossero andate diversamente, cento anni prima. Ma, ricordai, se le cose fossero davvero andate diversamente, Kate, Alec ed April non sarebbero mai venuti al mondo.
«Senti papà» disse. «Puoi salvare Katie? No, perché a me sta antipatica. Insomma, come fa a piacerle il mare? Fa schifo!» protestò. «Non è che ho proprio tutta questa voglia di avercela intorno. Poi vorrebbe per forza essere mia amica e visto che sembrerebbe più grande vorrebbe comandarmi, anche se in realtà sono più grande io».
«Katherine!» Mavis sibilò strabuzzando gli occhi. «Ma come diavolo ti permetti?»
«Non c’è alcun problema, davvero» la tranquillizzai. «Kate ha … un bel caratterino».
«Proprio come qualcuno» lei ridacchiò, e sospirai.
«D’accordo, piccoletta» dissi dunque a Katherine. Ora che sapevo che genere di bimba era, capivo che era molto più simile ad April che a Kate. «Mi sembra di capire che voi due non andreste molto d’accordo. A te andrebbe bene se la facessi restare qui, sulla terra, ancora un po’?»
Katherine mi squadrò attentamente. «Il più possibile papà. Così almeno io sono felice, tu e gli altri siete felici, e tutti siamo contenti! Non è mica meglio?»
Il carattere l’aveva preso tutto da sua madre. Mi sembrava di parlare con lei. «Mi sembra un buon compromesso» conclusi. «Dunque, per evitare che Katie venga a disturbarti prima del previsto, andrò subito a rimetterla in sesto. Prima di andare, però, voglio che tu sappia che ti voglio bene, piccola. Più … più di quanto tu possa immaginare».
Lei sorrise ed annuì. «Anche io ti voglio bene papà» mi sussurrò all’orecchio, in gran segreto. Nel sentire quelle parole, finalmente mi sentii in pace, almeno su quell’argomento: lei sapeva che l’amavo, e mi voleva bene. Non mi odiava.
Tuttavia non potevo ignorare Kate, che stava morendo fra le mie braccia. Non appena riportai la mia attenzione su di lei mi resi conto che la mia armatura, così come le mie mani, erano zuppe del suo sangue. La sua mano, che stringevo nella mia, era ancora più fredda.
Non ha più tempo.
«Ora devi andare» Mavis disse. «Non hai un minuto da perdere. Kate e Murtagh non ce l’hanno. Io e gli altri gli impediremo l’accesso finché non saranno fuori pericolo».
«D’accordo» annuii. Seguendo l’esempio di Morzan, che si era già messo al lavoro, strappai il mio mantello e lo usai per fasciare le ferite più importanti di Katherine. Non c’era tempo per la magia: per guarirla avrei dovuto analizzare attentamente le ferite ed i tessuti lesi, e avrei perso tempo prezioso, vitale persino. Una volta che ebbi fermato alla bell’è meglio le emorragie mi rialzai da terra, reggendola fra le braccia; poi usai la magia per raccogliere da terra la bimba e sistemarla in sicurezza fra il corpo di Kate ed il mio petto. Sfruttando l’aria, il vento ed incantesimi che avevamo imparato una vita prima ritornammo sul promontorio, dove i nostri draghi ci avevano aspettato: a causa della loro mole non sarebbero mai riusciti ad atterrare su quella spiaggetta.
Persino Maegor, che era sempre stato placido e distaccato da qualunque cosa dal momento in cui era uscito dall’uovo, rimase sconvolto nel vedere le condizioni in cui Kate e Murtagh versavano.
«Io porto i ragazzi» Morzan decise. «La mia sella è l’unica abbastanza grande. Tu prendi la piccoletta».
Attesi che finisse di imbragare Murtagh e poi gli passai Katherine; una volta che lei fu al sicuro ben legata sulla sella, mi dedicai alla mia nipotina.
«Ciao» mormorai stringendola fra le braccia. «Ciao, amore … non preoccuparti, adesso ti portiamo al caldo e ti daremo da mangiare. Andrà tutto bene».
Sfruttando il mantello di Kate come marsupio mi assicurai la bambina al petto, avendo cura che fosse ben protetta dagli elementi, e mi arrampicai sulla sella.
Piano, mi raccomando, feci a Maegor.
«Dobbiamo andare a Lionsgate!» Morzan gridò per farsi sentire oltre il ruggire del vento. «I medici qui non hanno né il tempo né le capacità per gestire le loro ferite!»
Faremo in tempo, Dracarys disse. Non ci metterò più di due ore. Kate e Murtagh ce la faranno, non temere. Tu e la bimba potete prendervi un po’ più di calma.
Sei sicura?
Ne sono certa.
Morzan spiccò il volo l’attimo dopo; già dopo cinque minuti Dracarys non era più visibile.
Sì, faranno in tempo. Ma meglio muoversi.
Diedi un bacio sulla fronte della piccola, che ora sembrava essersi calmata, e mi voltai per salutare Katherine e Mavis: ma loro non c’erano più.
No, non è vero, mi corressi. Non posso vederle, ma so che sono accanto a me.
«Andiamo, piccoletta» dissi alla mia nipotina. «Sai, stai per battere il tuo papà. Lui non ha mai volato a dorso di un drago a pochi minuti di vita».
E ci lanciammo all’inseguimento di Dracarys.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Eragon / Vai alla pagina dell'autore: PrincessintheNorth