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Autore: Petricor75    05/02/2021    0 recensioni
SCRITTO A QUATTRO MANI CON REAPERONZOLO
Post Alien Resurrection Director's Cut. Ripley8 e Call fanno i conti coi fantasmi dei loro rispettivi passati. E mentre cercano di capire come affrontare il presente e trovare un posto dove costruirsi una parvenza di vita, hanno l'opportunità di conoscersi meglio e sostenersi a vicenda. Potrebbero anche innamorarsi, nel frattempo.
Alien e i suoi personaggi non mi appartengono e questa storia è stata scritta senza scopo di lucro.
I commenti sono bene accetti, fateci sapere se vi piace la storia e perché. Basta solo un minuto, c'mon! ^__^
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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CAPITOLO DUE

Avvantaggiata dalla sua vista potenziata, ma soprattutto, dal fatto di essere rimasta sola mentre gli altri riposano, Call lavora nella notte, velocemente e in modo efficiente.

I cadaveri dilaniati di DiStephano, Purvis e quello stronzo di Wren vengono trascinati fuori e seppelliti poco lontano, una roccia al centro di ogni tumulo, al posto dei fiori. Le brecce sullo scafo vengono rattoppate con ricambi adeguati, tagliati su misura e saldati alla perfezione. Il potente spruzzo che esce dal tubo attaccato alla pompa dell'acqua, porta via sangue e residui organici dalle superfici sporche.

Pensa di dare un'occhiata al danno ai motori, ma decide di lasciare il compito a Vriess e Johner, più esperti di lei in materia, ma soprattutto, per tenere occupato quel troglodita sfregiato, mentre lei lascerà che i suoi nanobot riparino il danno provocato dallo sparo di Wren.

È ancora buio quando Call si collega al computer della Betty tramite il suo ingresso nell'avambraccio. Scansiona trasmissioni radio e cerca eventuali messaggi criptati con un particolare algoritmo perfezionato da lei e dagli altri Auton, prima del Ritiro del Prodotto. Poco prima che ognuno di loro fosse costretto a bruciare il proprio modem interno, nel tentativo di sfuggire alla Purga, perdendo così ogni contatto con il resto della collettività.

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Deformità stoccate a scopo di studio. Soggetti 1-7. Tentativi falliti. -Chi sono?-, -Sei una cosa, una riproduzione, ti hanno prodotto in un cesso di laboratorio-. Contro la mia volontà. Lineamenti vagamente familiari. Denti di troppo, code rosee. Arti deformi, informi, fusi. Masse amorfe di peli, o capelli. Un respiro strozzato. -Che cosa mi hanno fatto? Perché? Che cosa ti hanno fatto?-Uccidimi-. Siamo un cazzo di esperimento. Ecco cosa siamo.

È seduta su una panchina. Davanti a lei, piante tropicali agitate dal vento. Un uomo entra dalle porte scorrevoli alle sue spalle con un plico di fogli in mano. Le si siede affianco. "Ha avuto notizie di mia figlia?" - "Amanda Ripley McLaren, da sposata, immagino. Sessantasei anni. Questo è stato due anni fa, quando è morta. Mi dispiace molto"- L'uomo le porge una foto. Il volto di un'anziana che potrebbe essere quello di sua madre, le sorride sereno. La vista le si annebbia per le lacrime di immenso dolore. -Amy… mi dispiace, amore mio… Non doveva andare così… sarei dovuta essere a casa per il tuo compleanno. Spero solo che tu abbia passato una vita serena- La foto si trasforma, quegli occhi poco prima sereni si fanno due pozze nere come la pece, il sorriso disteso si tramuta in una smorfia orribile. -Perché?-

Trema, dalla testa ai piedi. Si stringe il giubbotto addosso. Sente un occhio pulsarle dolorosamente. Ma il dolore più grande non ha una collocazione fisica. Un uomo apre sonoramente uno sportello metallico. Sbuffi di condensa escono dal loculo freddo. L'uomo sfila lo scaffale di stoccaggio. Un piccolo corpo è nascosto sotto al telo chiaro. Lei afferra il lembo di tessuto e scopre il cadavere fino alla vita. La piccola ha ancora gli occhi aperti. Il senso di oppressione che ha in gola da tempo peggiora, tormentato dai ricordi. La osserva, un'indicibile sentimento di sconfitta le tormenta l'animo. -Eccoci qui, piccola… Cosa non ho fatto per venire a salvarti… non è servito a nulla… Mi dispiace- Lunghe dita iniziano a tastare il torace del corpicino senza vita. Ma Ripley non può fare a meno di guardarla in viso, e poco dopo, i suoi lineamenti mutano. Le sclere si fanno completamente nere, il viso si contorce e la minuscola bocca si spalanca lentamente. -Perché?-

Docili lamenti accompagnano un tenero contatto. La creatura comunica per via telepatica, tramite sensazioni, come Loro. L'appartenenza. Il riconoscimento. Tutte le altre voci nella sua testa, e nella testa della creatura sono cessate. Adesso ci sono solo loro due e tutto è più chiaro. Tienimi con te. Posso tenerti al sicuro. Non posso. Sarò obbediente. Posso insegnarti cose. -Non puoi insegnargli dei giochetti-. Non posso. -Non potevo stare a guardare, mentre si annichilivano, lo capisci?-Una volta, lo capivo-. Svuota la mente. Tagliati coi suoi denti affilati. Posso ancora tornare indietro. Posso nasconderti, proteggerti da loro. Non posso. Lo schizzo di sangue sul vetro. Guarda cosa ho fatto. Due oscuri buchi neri, la realizzazione dell'Inganno in quel cupo accecante. -Posso porre fine a tutto, al dolore, a quest'incubo, questa è l'unica cosa che posso offrirti-Perché?-. Mi dispiace. -Perché?-. Non posso proteggerti. -Perché?-. Dolore dappertutto. Il Vuoto mi prende. -Perché?-

"Mi dispiace!", le parole escono strozzate. Una presa salda sulle sue spalle. Apre gli occhi, smarrita, in preda ai singhiozzi. Per un attimo la confusione le impedisce di ricordarsi dove si trovi e come sia arrivata lì.

L'androide la guarda con espressione rassicurante, curva, sopra di lei. Sbatte le palpebre un paio di volte, e poi l'allontana malamente con il braccio, per mettersi a sedere sulla branda. Call le lascia spazio qualche momento, sparendo nel piccolo bagno adiacente.

Era ancora collegata al computer di bordo quando ha sentito i primi lamenti provenire da dentro il suo alloggio. -Una volta avevo il terrore di sognare, ma ora non più. Per quanto brutto possa essere il sogno, al mio risveglio la realtà è comunque peggio-

Chissà se la donna è sempre così agitata, quando chiude gli occhi, oppure, se gli ultimi avvenimenti hanno influito, incupendo ulteriormente lo stato onirico.

Si è scollegata subito, mettendosi in ascolto. Quando si è resa conto che Ripley sembrava sempre più tormentata, ha deciso di fare qualcosa.

Sudore e lacrime le imperlano il viso, le fanno bruciare gli occhi. La ragazza le si avvicina nuovamente, un bicchiere di acqua in una mano, una salvietta bagnata nell'altra.

"Ti ho sentita urlare", le dice in tono calmo, porgendole la salvietta e sedendosi accanto a lei, sul letto. La osserva coprirsi il viso col tessuto bagnato. Alza un braccio e lo posa delicatamente una mano sulla spalla.

La donna reagisce d'istinto, senza neanche pensare. Con uno scatto fulmineo, la scaraventa con forza lontana da sé. L'androide viene sbalzato al di là della piccola stanza, il bicchiere le schizza via di mano, spargendo il prezioso liquido ovunque, e infrangendosi sul pavimento subito dopo, ma il rumore è coperto dal sordo "THUD" della parete urtata dalla giovane, in parte anch'esso coperto dal "CRACK" dell'articolazione della spalla che esce dalla sua sede. Call scivola pesantemente a terra. Il suo sguardo perplesso si fissa su Ripley, cercando di capire.

Il clone assiste alla scena come se il tempo si fosse improvvisamente dilatato. Sembra che passino minuti, dal momento in cui ha furiosamente reagito al tocco della ragazza a quando le sue terga hanno toccato il pavimento. Poco prima di riuscire a distogliere lo sguardo, disgustata dalla sua stessa reazione, ma allo stesso tempo, soddisfatta di essersi abbandonata all'improvviso risentimento nei suoi confronti, scorge l'innocente sguardo interrogativo di Call. -Perché?-

"Che cazzo, Ripley!?", la giovane protesta, incredula. Non è proprio riuscita a trattenersi! Okay gli incubi, ma lei che cazzo c'entra?

Per un secondo, ma solo per un secondo, il clone ha l'istinto di scusarsi, invece stringe convulsamente la salvietta dentro al suo pugno, e nel silenzio totale del momento, il suono delle gocce che cadono ai suoi piedi le pare quasi assordante.

"Ti ho scelta al posto suo! Vattene, non ti voglio vedere!", le ringhia, sapendo di mentire. Il bisogno di dare la colpa a qualcuno, nel tentativo di estraniarsi dalla confusione delle proprie responsabilità, vince su tutto. Il bisogno di rigettare la gentilezza offertale, sentendo di non esserne degna, dopo quello che ha fatto alla quella creatura.

Dal tono della frase, a Call sembra più una giustificazione, che una minaccia aggressiva. -ti ho scelta al posto suo-ma che cazzo significa?- Decide d'ignorare ciò che è appena accaduto. Soprattutto d'ignorare il personale senso di vergogna per la sua natura, anzi, decide di usarlo a suo favore, di scherzarci addirittura su, per una volta. Decide di rischiare. Si rialza malamente.

"Beh, si da il caso che questo sia il mio alloggio, quindi non vado proprio da nessuna parte, semmai, te ne vai tu!", ribatte in tono calmo, come se ciò che è appena accaduto, fosse una cosa di poco conto, mentre controlla l'articolazione della spalla per capire l'entità del danno e come intervenire, tastandosi con la mano del braccio non danneggiato. Lancia un'occhiata neutra a Ripley e scorge perplessità e un velo di preoccupazione nei suoi occhi scuri. Ma la donna non accenna ad alzarsi dalla sua branda. Ha solo voglia di sbatterla fuori, ma non può ricaricarsi con la spalla messa così, prima ha bisogno di rimetterla a posto.

"Dai, aiutami", le dice avvicinandosi. "Afferrami la mano", aspetta paziente che il clone si riprenda dallo shock.

L'ibrido seguita a guardarla con aria imbambolata, incapace di muoversi, e forse anche di pensare, data la sua espressione vaga.

"Dai, Ripley, non lo posso fare da sola", insiste guardando Ripley dall'alto in basso.

La donna sussulta sul letto, quando dei forti colpi alla porta invadono il silenzio del piccolo alloggio, ma nessuna delle due rompe il contatto visivo.

"Call? Tutto bene lì dentro?"

"Tutto bene, Vriess. Controlla i motori con Johner, ti dispiace?", Call liquida l'intruso e solleva un sopracciglio con aria interrogativa verso Ripley. Alza gli occhi al cielo, spazientita, e muove un passo per avvicinarsi ulteriormente. L'approccio finalmente funziona e lunghe dita l'afferrano saldamente per il polso. Senza ulteriori istruzioni, la ragazza compie un paio di movimenti del corpo e con uno scatto secco e una smorfia di disgusto sul viso, accompagnato da uno schiocco raccapricciante, la spalla torna in sede.

"Ah, grazie!", esclama con enfasi facendo roteare il braccio appena sistemato. Volta le spalle alla donna e si dedica a ripulire il pavimento dai frammenti di vetro.

"Come puoi essere così calma, dopo quello che ti ho fatto? Che stai facendo, ora?", Ripley domanda incredula ed esasperata dalla sua placidità.

"Sto ripulendo questo disastro, non vorrei che ti tagliassi e mi perforassi lo scafo col tuo... simpatico sangue! Ho passato metà della notte a rattoppare questo cesso di bagnarola! E comunque, non significa che non sono incazzata!", la giovane risponde in tono animato, puntandole un dito contro, prima di proseguire nel suo compito.

Ripley si ritrova a trattenere una risata improvvisa, alla battuta sul suo sangue, ma non si azzarda a esternarla, vista la frase conclusiva della giovane. La osserva rigirandosi il telo umido tra le mani, indecisa sul da farsi.

Sperava che dandosi da fare a ripulire, la rabbia per essere stata colpita ingiustamente si estinguesse, ma proprio non le va giù di dare l'impressione di una che si fa mettere i piedi in testa! Vaffanculo! Si avvicina a Ripley e le strappa il cazzo di asciugamano bagnato dalle mani senza troppe cerimonie, lo getta malamente oltre la porta aperta del bagno e attraversa nuovamente la minuscola stanza, fino a raggiungere l'ingresso, aprendo la porta.

"Forza, fuori di qui", esclama, prima di ripensarci, facendo un gesto esaustivo all'amica. La osserva ingobbirsi all'improvviso, indossare velocemente un paio di pantaloni puliti dal mucchio nell'angolo e infilarsi gli stivali.

Si. In fondo, se l'è cercata. Si alza, avvicinandosi. Se solo si fosse fermata un attimo a pensare, invece di sputarle addosso quella patetica scusa del cazzo. Se si fosse scusata subito, e le avesse semplicemente detto che cosa non andava, è quasi sicura che Call le avrebbe perdonato lo scatto aggressivo di poco prima. Si ferma davanti a lei, cercando un contatto visivo che chiaramente la giovane non vuole concederle.

"Mi dispiace", le dice, incapace di aggiungere altro.

"Si, certo. Te ne devi andare, Ripley, ora", l'androide risponde seccamente. "Mi devo ricaricare", aggiunge, addolcendo appena il tono e grattandosi un sopracciglio per il lieve imbarazzo nel menzionare il suo bisogno da persona artificiale.

La donna annuisce e si allontana senza voltarsi indietro. Sente la porta chiudersi piano. Sono proprio una stronza!

   
 
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