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Autore: Alyeska707    05/02/2021    4 recensioni
una vecchia palazzina
arte, musica, agape ed eros, sentimenti e nostalgie
qual è il prezzo del successo?
dove conduce l'amore?
ma esiste davvero, la purezza?
♒︎
─ dal testo: ❝ Piccola. Stretta. Letteralmente a pezzi. Duncan aveva affittato una topaia, non una casa. Però era la sua topaia, ed era a pezzi esattamente come lui: un bordello, il disordine, una grezza anti-eleganza… ma non è affascinante, la distruzione? Agli occhi del punk, eccome: la distruzione era il suo riflesso specchiato.❞
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan, Gwen, Heather, Trent | Coppie: Alejandro/Heather, Duncan/Courtney, Duncan/Gwen, Trent/Gwen
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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CAPITOLO 7
 
«Non posso crederci che anche tu sia fissata con le sveglie!» Duncan si lanciò sotto al cuscino.
Gwen soffocò a denti stretti: «Anche?», prima di mettersi a sedere ed esclamare: «Io non posso crederci che tu non ci abbia pensato!»
«Mh? E perché mai avrei dovuto?»
«Perché devo tornare a casa mia prima che Trent torni!»
«Mh.»
«Duncan!»
«Mh?» Sfilò la testa dal cuscino quel tanto da riuscire a guardarla. Gwen indicava un punto, come dietro di lui, con imbarazzo, tenendo la coperta stretta al petto.
«Dovresti passarmi il…»
«Oh.» Duncan si sollevò sui gomiti, scoprendo di aver dormito sul reggiseno di lei. Glielo lanciò e Gwen, girata dall’altra parte, si vestì velocemente, troppo velocemente sotto la percezione del punk. Davanti all’evidenza che le cortesie della dark nei suoi confronti avevano raggiunto il loro tramonto, sommerse di nuovo la testa nel cuscino. Andava bene così, Gwen poteva anche andarsene. Dopo il trattamento della notte appena trascorsa, Duncan non sentiva certo il bisogno di doversi lamentare. Che tornasse pure da Trent, quindi; che pretendesse di averlo a cuore… tanto il punk se n’era ormai convinto, che la scontrosa vicina ardesse di un solo desiderio: quello per lui.
«Cavolo ma oggi è venerdì!» Gwen l’esclamò all’improvviso, sbattendosi la mano in fronte. «Cavolo!»
«Ma che bel modo che hai per iniziare la giornata…» la sfotté Duncan.
«Mi ero dimenticata che oggi devo lavorare! Avrei dovuto starmene di là a riposare, al posto di venire da te!»
«Come se ora te ne pentissi…» Gwen non l’ascoltava nemmeno.
«Dannazione… inizierò il turno in ritardo, di sicuro… ancora!»
«Ma che lavoro?» Duncan si mise a sedere. «E da quando lavoreresti, tu?»
«Da un bel po’ di tempo, in realtà…» Sotto lo sguardo sospeso del punk, Gwen si ritrovò costretta a spiegare ulteriormente: «… Potrei aver finto di stare male i giorni scorsi ed essere riuscita a strappare un permesso per restare a casa… fino ad oggi.»
Duncan sogghignò. «Potresti, eh?»
Gwen tirò un sospiro. «È talmente noioso, lì dentro! Senza qualche pausa ogni tanto, mi manderebbe in esasperazione!» Si avvicinò a Duncan chiedendogli di tirarle su la lampo del vestito che correva lungo la schiena. Con estremo piacere, il punk accettò di toccare di nuovo il suo corpo per aiutarla.
«E quale sarebbe questa noia mortale?»
«Sedersi al banco della vecchia biblioteca, quella vicina al municipio… e stare lì ore a non fare assolutamente nulla, rispondere a quelle cinque persone al giorno che prendono un libro in prestito… Almeno posso consolarmi leggendo, o facendo qualche schizzo a matita… Ma comunque… una palla.»
Duncan si separò a malincuore da quella zip dopo averla tirata su fino alle scapole pallide della ragazza.
«Allora vedi di sopravvivere» le disse ammiccando. «Dopo una notte del genere, non puoi certo abbandonarmi su due piedi.»
Gwen infilò gli anfibi con fretta, senza nemmeno allacciarli.
«E invece è proprio quello che succederà!» ribatté uscendo dalla camera di Duncan, senza nemmeno guardarlo.
Gli occhi di lui si strabuzzarono. «EH?!»
«Ciao, Duncan!»
«Ma che stai dicendo? Gwen! Che cazzo, Gwen!» Troppo tardi: la porta era già stata sbattuta, sotto l’amaro, oltre che, per Duncan, fintissimo, commento di Gwen. Non sarebbe tornata da lui? Se, come no.

***

«Heather! Sono io! Sono tornata!» Courtney alla porta.
Heather, sospirando dal letto: «…Ci mancava soltanto lei.»
«Mi faccio una doccia e poi vado a studiare in biblioteca!»
«Ma fai quello che vuoi!» le gridò in risposta.
Al suo fianco, Trent ridacchiò. Si puntellò sui gomiti per distinguere meglio l’espressione stizzita della ragazza. «Come sei acida…»
Ripensando alla voce appena udita, non poté fare a meno di riflettere sulla sua famigliarità: un timbro squillante e vagamente insistente, deciso ma non sgarbato, reso più basso dalla porta chiusa… sì, Trent aveva proprio l’impressione di averla già sentita da qualche parte, una voce del genere... Ma doveva trattarsi solo di un’impressione, in fondo si era appena svegliato e no, non si sentiva per niente ragionevole: era nella stanza di Heather! Con lei! Sdraiato nel suo letto! Come avrebbe potuto sentirsi assennato? Trent intendeva i dati esterni soltanto confusamente, ponendo in primo piano i suoi pensieri riguardo alla situazione in cui ormai si era cacciato: sabbie mobili, Trent lo sapeva. Difficilmente ne sarebbe uscito. La sua volontà gliel’avrebbe impedito fino all’ultimo, al diavolo senno e morale.
«È difficile non essere acidi con lei!»
«Per te è difficile non essere acidi con chiunque» scherzò lui.
«Perché sono tutti psicotici!»
Per un momento il sorriso di Trent si smorzò. «Pensi che io sia psicotico?»
Heather inarcò le sopracciglia in segno di ovvietà. «Soltanto gli psicotici sono capaci di creare buona musica.»

***

In biblioteca, Gwen continuava ad annoiarsi, sempre di più, ad ogni nuovo rintocco dell’orologio appeso dietro la sua postazione. Non c’era molta gente a quell’ora; fortunatamente il turno mattutino era sempre più tranquillo del suo complementare. Gwen tirò fuori il romanzo del periodo, Frankenstein, decisa ad ingannare il tempo con la lettura. Ormai aveva superato i due terzi della storia. Nonostante la lentezza della trama, Gwen non poteva negare di trovare la delicatezza delle descrizioni e l’introspezione della Creatura adorabili, commoventi. E Gwen non si considerava affatto una dalla lacrima facile! Era una tosta, lei; una ragazza che guarda film horror e non ha paura di rispondere a tono, che sa quello che vuole e fa di tutto per conquistarlo. Eppure…

«Mi scusi tanto bellezza… anche se mi piacerebbe continuare a guardare le sue belle mani, avrei bisogno che le usasse per chiudere quel libro e venirmi in aiuto!»
Gwen alzò la testa di scatto riconoscendo la sua voce. «DUNCAN?! Che ci fai qui?!»
Il punk scrollò le spalle e si mise a sedere sul tavolo dietro al quale era sistemata Gwen.
«Sai com’è, stamattina ho scoperto che una ragazza per niente male lavora in questo posto e che, oltretutto, si annoia molto… sono venuto a salvarla.» Le strizzò l’occhio, accentuando il suo nervosismo. A denti stretti, replicò: «Pensavo che fossi tu quello col bisogno di aiuto…»
«Sì, anche.» Duncan si voltò meglio verso di lei, avvicinandosi al suo viso. «Che cavolo voleva significare il tuo commentino di stamattina?»
«Non so a cosa tu ti stia riferendo.» Gwen sbloccò lo schermo del computer di fronte a lei fingendosi improvvisamente occupata. Scrollava su e giù la lista dei prestiti rinnovati pretendendo di essere intenta a cercare qualcosa, ma non c’era proprio un bel niente da controllare.
«“Certo che ho intenzione di abbandonarti su due piedi!”» cominciò Duncan, in un falsetto incredibilmente acuto, «“Ciao ciao Duncan!” Che cavolo significa, eh?»
«Quello che ho detto.»
Duncan sbuffò. Si divertiva a prenderlo in giro, forse?
«Quindi sei tornata da me, tradendo il tuo fidanzatino, per approfittare una sola volta della mia disponibilità? Chi ci crede!»
«Non ho tradito Trent…» mormorò lei, cercando di convincere non solo Duncan, ma soprattutto sé stessa.
«Dio, Gwen! Eppure non eri incosciente, ieri notte!»
«Possiamo non parlare di ieri notte, per favore? Sto lavorando, e tra noi due non c’è niente, non ci sarà mai niente.»
Duncan ruotò gli occhi; come se ignorare il loro trascorso avesse potuto eliminarlo! «Ovvio.» Si sporse di più sulla scrivania di Gwen, che non accennava a dargli peso.
«Intendi pulirmi il tavolo strusciandotici sopra? Non ho bisogno di spettacolini, Duncan.» Lui non la considerò. Invece si sporse ulteriormente, per riuscire a vedere chiaramente un pezzo di carta pieno di schizzi in penna. Lo afferrò sotto le proteste di Gwen, senza permetterle di riprenderselo.
«Questo sono io?» disse, indicando la sagoma di un manichino maschile in posa.
«Ti sembri tu? Non ti sei mai guardato allo specchio?»
Duncan ridacchiò. «Fin troppo, piccola. Anche gli specchi mi amano.»
Gwen si bloccò dal ribattere. Duncan doveva soltanto decidersi a starsene zitto, ogni sua parola non avrebbe fatto altro che stimolarlo a punzecchiarla.
«Comunque sono davvero belli, i tuoi disegni.»
La dark lo guardò storto. «Non c’è bisogno che ti complimenti, non tornerò comunque a letto con te.»
Duncan ridacchiò. «Non l’ho detto per quel fine, lo penso davvero.»
«Allora grazie.»
«Allora prego. Ma che ci ricavi con la tua arte? Con le tele che ho visto nel tuo appartamento, per esempio. Le vendi?»
Gwen sospirò con mestizia. «Mi piacerebbe…»
«Ma…?»
«Ma finché un artista è vivo, è automaticamente una nullità.»
«Non se ti distacchi dalla massa» evidenziò il punk.
«Già lo faccio, ma non è comunque semplice. Gli artisti emergenti non hanno nessuna strada spianata. L’unica cosa in cui possiamo sperare è di essere notati in qualche mostra collettiva rigorosamente a pagamento, o di conoscere per puro caso gente incredibilmente inserita nel settore e incredibilmente interessata ai nostri stili… ma è una combinazione davvero improbabile. Le gallerie serie, anche le più piccole, prendono in considerazione soltanto nomi conosciuti. È una prospettiva triste, ma alla fine è così che stanno le cose: siamo solo un branco di illusi.»
«È così che stanno le cose in teoria» obiettò Duncan. «Ti lasci abbattere così facilmente?»
«Che vuoi dire?»
«Ma lo sai quanta illegalità giri nei sotterranei del mondo dell’arte?»
«Non sono un’esperta di illegalità, mi dispiace.»
«Beh, io sì. E si dà il caso che conosca diverse persone inserite nel campo.»
Gwen lo guardò con sospetto. «Non farò cose contro la legge, Duncan. Non voglio avere casini.»
«Quanta rigidezza!» esclamò l’altro. «Guarda che avere vagamente a che fare con attività un po’ illecite non ti rende una criminale.»
Gwen squadrò il ragazzo velocemente. «Immagino che tu la sappia lunga, su come guadagnarsi lo status.»
«Che devo dirti? La mia reputazione da delinquente mi precede.»          
La dark si lasciò andare a una risatina. A volte non lo sopportava, ma sotto sotto le stava davvero simpatico, quello strambo nuovo vicino. Era una persona alla mano, tremendamente carismatica e costantemente con la battuta pronta; sebbene la metà dei suoi commentini suonassero stonati alle orecchie di Gwen, soprattutto per via delle accese allusioni sessuali lasciate volutamente poco velate, non andavano mai a discapito della sicurezza del punk, anzi: parevano ricaricare le sue pile sempre di più, accrescendo il suo ego in una maniera pericolosa, ma al tempo stesso interessante e divertente. Duncan era bravo a scherzare e, nonostante la scorza da duro, in quel momento era lì da Gwen con la teoricamente nobile intenzione di farla evadere dalla morsa stringente della noia, e per giunta le stava pure suggerendo una strategia (per quanto storta) per innalzare le sue possibilità nel mondo dell’arte! Gwen non riusciva a spegnere il sorriso… Duncan era un bravo ragazzo, infondo… un bravo ragazzo che non sopporta di esserlo e che, di conseguenza, si ostina a fare il cattivo. Un paradosso.
«Senti, io conosco delle persone che si occupano di queste cose un po’… nascoste, diciamo. Hanno un locale, a prima vista sembra un semplice bar, ma c’è una porta nascosta dietro al banco degli alcolici che conduce a una sorta di speakeasy segreto. Lì combinano un po’ di tutto e so per certo che qualche volta hanno anche venduto delle opere d’arte. Non è un’attività così malsana, semplicemente vendono di più ed evadono il fisco. Se non hai da fare, posso portarti da loro quando finisci il turno. Giusto per presentarteli e farti spiegare tutti gli inutili dettagli che io non ho mai ascoltato, senza impegni. Che dici?»
«Dico…» Gwen si sporse oltre Duncan, individuando una figura familiare che aveva appena fatto ingresso nella biblioteca. «… che non so se avrai del tempo per me, dato che la tua non-ragazza è proprio lì dietro.»
«Eh?» Il punk non fece in tempo a girarsi che Courtney gli era già al collo.
«Dunky! Ma che ci fai in biblioteca? È l’ultimo posto nel quale mi sarei aspettata di trovarti! Oh, e ciao Gwen! Non mi ero mai accorta che lavorassi qui, e dire che vengo spesso!»
«Di solito sono ai piani superiori, quelli dimenticati… oggi mi hanno spostata qui per sostituire un collega. E me ne sto pentendo, data la quantità di gente che passa di qui…» Inviò un’occhiata a Duncan, alludendo alla sua apparizione improvvisa. Lui rispose con un sorrisino; tanto non ci avrebbe mai creduto, che Gwen fosse dispiaciuta della visita.
Courtney spostò di nuovo l’attenzione su Duncan. Lo strattonò un pochino, spingendolo a scendere giù dal tavolo e a seguirla al piano sotterraneo, dove la ragazza si recava sempre a studiare per via del silenzio ottimale. Dopo avere insistito con un paio di: «Ma che vengo a fare? Io non devo mica studiare!» il ragazzo lasciò il colpo, confermando a Courtney che sì, l’avrebbe seguita, ma di concederle qualche secondo. Courtney lo baciò sulla guancia, lasciandolo impassibile, e si incamminò verso le scale girandosi di tanto in tanto, esibendo espressioni da cerbiatta innamorata e provocante in direzione del suo non-ragazzo. Appena sparì dalla sua vista, Duncan si abbassò di nuovo sulla scrivania di Gwen. Afferrò una penna e cominciò a scrivere sul margine superiore del foglio schizzato dalla dark.
«E tu continui a dire che non state insieme… Non ne sono più convinta, sai? A che gioco stai giocando?»
«A nessun gioco Gwen, semplicemente non mi piace dover dare spiegazioni. Lasciare credere alle ragazze quello che preferiscono è molto più facile.»
Gwen ruotò gli occhi. «Sei davvero uno stronzo insensibile.»
Duncan sogghignò. «Ne ho sentite di peggio.» Quindi le restituì il foglio. «Mandami un messaggio quando stacchi, ho segnato lì il numero.» Corse via prima di sentire la risposta di Gwen, sperando che Courtney avesse in serbo per lui qualche piano un po’ più intrigante dell’intenso e noioso studio.
Gwen rimase a fissare il numero per un po’. Avrebbe dovuto salvarlo? Poteva davvero fare affidamento su Duncan, una delle persone più inaffidabili che aveva avuto modo di conoscere in tutta la sua vita? Oh, al diavolo.

Passò il resto del turno a pensare a quella proposta. C’erano dei pro? Certo, secondo il punk si sarebbe rivelata un’occasione. Contro? Nemmeno questi mancavano: che cavolo poteva aspettarsi di trovare in un covo abusivo? Però Duncan diceva che… ma davvero si stava fidando delle parole di Duncan?! Gwen archiviò la riflessione sfilando il telefono dalla tasca. Memorizzò il numero annotato dal punk in rubrica e gli scrisse:

tra 15 minuti all’ingresso
 
Quando sentì il cellulare vibrargli in tasca per il nuovo messaggio ricevuto, Duncan era in piedi contro a una parete scarabocchiata, nella cabina di un wc, con Courtney inginocchiata di fronte. Il contesto gli suggerì subito di ignorare bellamente il telefono, perché insomma, sicuramente un messaggio non si sarebbe rivelato più importante del trattamento che stava ricevendo dalla ragazza. Ma poi si ricordò dell’accordo con Gwen. Dovette far appello alle ultime briciole di senno, Duncan, per estrarre il telefono dalla tasca e assimilare le parole del messaggio senza distrarsi gemendo. Sapeva che Gwen avrebbe accettato. Certo, avrebbe dovuto attenderlo un pochino, a quell’ingresso; sarebbe stato un vero peccato interrompere tanto piacere in modo brusco.

Duncan raggiunse Gwen all’entrata dell’edificio, correndo verso di lei dalla rampa delle scale.
«Studiato bene?» lo prese in giro lei quando ebbe raggiunto la porta.
Duncan annuì stando al gioco. «Geometria e arredamento: ho approfondito le mie conoscenze del bagno. Davvero accogliente, abbastanza spazioso per due, perfetto.»
«Sul serio?» la voce della gotica intendeva schernirlo, ma non raggiunse nessun risultato. «Fai schifo.»
Duncan sogghignò e, con tono suadente, disse: «Guarda che l’avrei fatto volentieri anche con te, se non avessi deciso di trattarmi male da stamattina.»
«Duncan, senti… tappati quella fogna prima di farmi cambiare idea, ok?»
Il punk in risposta si sbatté una mano in fronte mimando il tipico saluto militare: «Sissignora!», gesto che gli fece guadagnare un ulteriore: «Scemo.» Quindi guidò Gwen alla sua moto, per partire in direzione del tanto misterioso locale.
Il viaggio trascorse in fretta; inutile dire che per il punk alla guida i limiti di velocità segnalati apparivano come divertenti scarabocchi da ignorare. Gwen rimase aggrappata a lui per tutto il tempo, dettaglio per niente negativo per Duncan, e realizzò soltanto all’arrivo quanto tutti i suoi muscoli fossero precedentemente bloccati dalla tensione.
«Bel viaggetto eh?» le disse il punk scendendo. Gwen lo fulminò con lo sguardo, quindi rispose, a denti stretti e con evidente ironia: «Incredibile.»
Duncan le fece cenno di seguirla sul marciapiede. Entrarono in un locale che, dall’esterno, si sarebbe definito asettico e spento: la porta a vetro opaca, l’insegna soprastante dai colori spenti e i margini sbiaditi. L’interno, invece, ritraeva un bar pulito e curato, ancora vuoto; che l’orario di apertura alla clientela non fosse ancora giunto? Soltanto due figure si stagliavano davanti al bancone. Un ragazzo magrolino si voltò verso di loro. Sembrava incredibilmente divertito da chissà cosa.
«Ehi amico!» questo era l’altro: un ragazzone da più di centocinquanta chili.
«La tua ennesima ragazza, Piercing?» adesso era lo smilzo a parlare; smilzo a cui, evidentemente, piaceva sfruttare un’ironia fuori luogo.
Duncan sogghignò. «Lei continua a negarlo.»
«Perché non è la verità!»
«Certo, certo…» Il ragazzo smilzo girò lo sgabello per poter guardare i due arrivati in faccia. «Allora criminale, a cosa dobbiamo la visita?»
«È per lo speakeasy, Noah.»
Noah perse subito il senno. «Quante volte ti ho detto di non parlare dello speakeasy alle tue dannate ragazzine?! Vuoi capirlo che deve restare un segreto?!»
«Ehm… e a chi altro ne avrei parlato, scusa?»
«Al tuo amico col cappello e alla sua ragazza!»
«E tu conteresti Geoff come una delle mie dannate ragazzine? Amico, hai bisogno di un bel ripasso dell’anatomia femminile.»
«NON SCHERZARE, PIERCING!» Se la faccia di Noah fosse stata ritratta istantaneamente in un fumetto, sarebbe stato disegnato perfino del fumo ad uscirgli dalle orecchie, oltre alle fiamme negli occhi. Sapeva cosa aspettarsi da Duncan: qualsiasi cosa, eppure il punk riusciva comunque a sbilanciarlo ogni volta. «Se si scopre dello speakeasy poi non potremo più usarlo! Capisci il rischio?!»
«Gwen non è un rischio. Pensavo soltanto che potesse esporre qualcosa qui da voi, lei dipinge.»
«EHI! Guarda che anche se qui facciamo le cose sottobanco siamo comunque seri! Non prendiamo quadretti senza valore solo perché Mr. Piercing viene a proporci l’ultima ragazza che si è passato!» Poi si voltò appena verso Gwen, ancora a bocca aperta per la sua esclamazione. «Perché, perdona la sincerità, è davvero palese che tu sia finita nel suo letto.»
Gwen strinse i pugni. «Non sono venuta qui per discutere di questo!»
«E io non sono qui per accontentare i capricci di un’insulsa artista-wannabe!»
Più il dibattito si accendeva, più Owen sentiva il disagio pesargli e no, non era certo un peso sullo stomaco: la sua digestione funzionava eccome – aveva già di nuovo fame! –. Quello che percepiva assomigliava più a un macigno sulle spalle, sulla testa: «Ehm… è proprio necessario litigare tanto? Dai Noah, facciamole fare una prova, vediamo cosa sa fare… no?»
«No!»
«Noah…» Questa volta era stato Duncan a intervenire.
«Non provare a minacciarmi Piercing, perché non cambierò idea! E non fumare in questo locale!»
Duncan gli diede retta, ma soltanto per il gusto di notare la faccia dell’altro mentre si sfilava la sigaretta dalle labbra per, ops: spegnerla sulla carta da parati.
Owen iniziò a urlare: «AL FUOCO! AL FUOOOCO! AHHHH!»
«L’unica cosa che andrà a fuoco qui dentro sono io!» esclamò Noah.
«Non più di me!» Questa era Gwen.
«Pf, al diavolo.» Duncan. «Senti sfigato, non mi interessa quello che pensi. Se l’ho portata qui è perché ne vale la pena, quindi guarda i suoi lavori e falla esporre almeno una volta, guarda come va. Il guadagno è solo tuo.»
«”Ne vale la pena”» riprese Noah mimando il paio di virgolette, «solo perché non aspetti altro che la tipa qui presente passi il resto della vita a ringraziarti di questa tua grande proposta in favori sessuali! Non ti conoscessi, Duncan!»
Owen, dietro Noah, cominciò a ridacchiare. «Sei proprio una canaglia, amico… Però sei anche intelligente… Una canaglia geniale!»
Noah: «E zitto, Owen!» L’altro fece gesto di cucirsi la bocca e sorrise imbarazzato. Noah sospirò, stanco della situazione. In effetti non gli avrebbe cambiato nulla la presenza o assenza di Gwen: chiedeva soltanto un piccolo spazio per sé, per sperimentare l’impatto delle sue opere con un pubblico di professionisti… Noah non le avrebbe dovuto proprio niente. Tuttavia ciò che realmente lo infastidiva era l’atteggiamento menefreghista del punk. Si presentava quando gli pareva, senza avvertire e dopo mille casini mai riparati, e chiedeva pure gentilezze! Ma insomma, dove viveva? Noah avrebbe tanto voluto gridargli che il mondo non era ai suoi piedi! Tuttavia alla fine cedette.
«Prima voglio vedere quello che sai fare.»
Gwen lanciò uno sguardo a Duncan. Non era affatto convinta di volersi prestare a un essere tanto arrogante. Duncan però le fece cenno di accettare. Sembrava rassicurante, annuendo in quel mondo, quasi sorridendo, quasi con dolcezza… quasi.
«Va bene.»
«Torneremo nei prossimi giorni» concluse Duncan staccandosi dalla parete.
«Prego! Come foste a casa vostra!» esclamò sarcastico Noah.
Camminando verso la porta del bar accanto a Duncan, Gwen si sentì investita da un improvviso momento eureka: si voltò verso i proprietari del locale per chiedere loro: «Avete mai assunto delle band per suonare dal vivo in questo posto? Il mio ragazzo suona molto bene… potrebbe attirare dei clienti.»
Duncan, sforzandosi di restare nel suo conveniente silenzio, dovette mordersi il labbro per impedire agli insulti rivolti al chitarrista di trapelare dalla sua bocca.
Noah ricominciò con le polemiche: «Musica dal vivo? In questo posto? Ma ce li hai gli occhi? Stai scherzando?», poi però si intromise Owen: «Ohh sìì! Musica dal vivo! Io amo la musica dal vivo! Sì Noah! Dille di sì Noah, dai dille di sì! Musica!»
«Ma… Ma Owen… Questo non è proprio il posto da…»
«Wuh-uh! Musica dal vivo! Uh!»
Noah sospirò sconfitto. «E va bene… come ti chiami? Greta, Gwen, tipa di Duncan… o di questo che suona…»
«Gwen» lo corresse. «Solo Gwen.»
«Va bene, Solo-Gwen. Daremo una possibilità al tuo altro-ragazzo, ma da questa parte del locale e per una sola volta! E soltanto perché il ragazzone qui dietro conta un’età cerebrale di tre anni e mezzo!»
«Tre anni… e mezzo?» Owen ridacchiò. «Non mi ricordo neanche cos’ho mangiato stamattina a colazione, chissà cosa mangiavo a tre anni e mezzo? Li avrò festeggiati, tre anni e mezzo? È quel mezzo che non mi convince, sai Noah? Oh, ricordo! Stamattina ho mangiato i pancakes! …ma avrò fatto solo una colazione stamattina? Mh…»
 
***

Gwen si sentiva confusa, frastornata dalla nuova (forse) occasione dischiusa grazie a Duncan. Era turbata e, per lo più, non poteva farlo trasparire a causa del vincolo di segretezza del locale.
Esilarante ciliegina sulla torta: l’unica persona con cui avrebbe potuto confidarsi era lo stesso punk che, si ripeteva, avrebbe fatto meglio ad evitare il più possibile. Duncan non era una rassicurazione, le parole di Noah l’avevano confermato: “l’ennesima ragazza?” “non ti conoscessi, Duncan!” , perchè Noah lo conosceva; Gwen non ancora, non a fondo almeno, ma era certa di averlo ben inquadrato: pericolo, il tipico ragazzo che pensa solo a divertirsi nel presente, che ama fare lo spaccone. Stava dando un pezzo della sua arte proprio in mano a lui. Sarebbe stato un bene? Una parte di lei diceva di sì, che preoccuparsi per ogni sottigliezza è da idioti… eppure non riusciva a smettere di dubitare. La sera, rientrando a casa dal negozio di Chef, anche Trent aveva notato il suo palese turbamento. Punto nel suo peccato, per un attimo si era sentito trafitto al cuore al pensiero che la sua bugia fosse già stata scoperta. Ma poi Gwen lo aveva salutato con un pallido sorriso e i muscoli del ragazzo erano tornati a rilassarsi.
Gwen avrebbe voluto parlargli, ma non poteva: sia per le minacce di Noah sullo speakeasy, sia per la morsa - immediatamente affiorata all’apparire del fidanzato - della sua coscienza, che non faceva che ricordarle le cose che aveva fatto con Duncan la notte precedente. Pensava che fare sesso con lui avrebbe definitivamente chiuso il capitolo che lo riguardava, che così avrebbe voltato pagina del tutto, trovato la soluzione perfetta… stupida illusa; la sua mente, elaborando quel piano, aveva escluso la minaccia maggiore: il senso di colpa. Perché, a prescindere dalla positività del suo fine, Gwen era colpevole. Gwen aveva tradito Trent e per giunta col vicino che lui odiava, lo stesso che aveva scatenato la sua gelosia, gelosia a cui Gwen aveva dato un senso.
Per fronteggiare la negatività di tali emozioni, Gwen si limitò a dire al ragazzo: «Sai, Trent? Ho trovato un posto in cui potresti suonare.»
«Davvero? Che forte!» Da parte sua, Trent non aspettava altro che questo: un qualsiasi discorso per distrarsi dai momenti trascorsi con Heather. E parlare con la fidanzata riusciva a distoglierlo, sì, ma non abbastanza. Così disse: «Sei fantastica, Gwen», prima di afferrarla per i fianchi per baciarla e portarla in braccio fino al letto.
«È il tuo modo per ringraziarmi?»
Trent ridacchiò sfilandosi la maglietta. «Sì, diciamo di sì.»
Così i due cercarono di soffocare i rispettivi peccati, sotto l’ardore della passione che, fortunatamente, non richiedeva parole.
 
 
Il pomeriggio seguente:
«Allora? Hai pensato a me, mentre stavi a letto con lo sfigato?»
Gwen abbassò subito lo sguardo per l’imbarazzo e Duncan, non potendo proprio risparmiarsi dal farla impazzire, si sporse quel tanto per sussurrare al suo orecchio: «Sai, pareti sottili… e sembravi parecchio contenta.»
Gwen gli pestò il piede per ripicca portando il punk ad imprecare.
«No che non ti stavo pensando, idiota! Il nostro ultimo incontro ha avuto esattamente l’effetto sperato!»
«Ovvero? Farti urlare? Perché me lo ricordo bene, questo.»
Gwen si sentiva così sporca, colpevole e imbarazzata da non riuscire nemmeno a colpirlo per reagire. Istintivamente distolse lo sguardo da quello, troppo divertito e sicuro di sé, di Duncan.
«No» rispose poi. «Ovvero, permettermi di realizzare quanto non avesse senso pensare a te!»
«Oh» fece Duncan, fintamente offeso. «Quindi ora non mi vuoi più?» Vederla in difficoltà era un gioco divertentissimo per il punk, soprattutto con quella punta piccante che, nella sua testa, esclamava “lo so che vorresti rifarlo, Gwen!” e “Non puoi fingere di non volermi!” … Ma Gwen non lo voleva. Duncan le era servito come terapia, un’ottima terapia, ma ormai conclusa e che, assolutamente, non poteva ripetersi. Gwen già lo vedeva, il baratro dentro il quale sarebbe caduta continuando a vedere il punk in quel modo. Si sforzò di non immaginarlo a petto nudo; anche se non provava nessun tipo di sentimento per Duncan (a lei piaceva soltanto Trent, e molto!), non poteva negare che fosse sexy. Il suo atteggiamento provocante la distruggeva, ma non avrebbe ceduto.
«Esatto, Duncan. Comunque ti ringrazio.» Gli sorrise; infondo una piccola rivincita la esigeva. «È soltanto merito tuo se ho ritrovato la perfetta armonia con Trent.» Lo baciò sulla guancia sottolineando la provocazione delle sue parole e poi si voltò richiudendosi la porta di casa alle spalle, lasciando Duncan visibilmente infastidito, lì fuori sul pianerottolo, immobile e con le mani chiuse in pugni. Come riacquistò la sua sicurezza, diede un colpo alla porta della vicina: «Tanto lo so che menti, Gwen!»
«Io non mento mai!» urlò lei dall’altra parte.
«Sì invece, e non ti riesce per niente bene! Tanto lo so che stavi pensando a me!»
Gwen riaprì la porta e si appoggiò allo stipite con aria arrendevole. «Come faccio a dimostrarti il contrario?»
Semplice, pensò Duncan: non puoi. Ma seppe ben rigirare il suo pensiero a favore del momento: «Con un bacio, per esempio.» Gwen ruotò gli occhi e fece per avvicinarsi al volto del punk, proteso verso di lei. Non appena fu abbastanza vicino e con gli occhi chiusi, Gwen arretrò quel tanto per sbattergli la porta in faccia, facendolo cadere all’indietro.
«E questo era per dire “smettila di insistere”!» gli gridò dall’interno dell’appartamento, girando la chiave nella serratura della porta.
«Sei soltanto una stronza, Gwen!» Gli venne da ridere: una stronza maledettamente brava a tenergli testa… era stronza quasi quanto lui… quasi. Sorrise pensando che sarebbero stati proprio una bella coppia… coppia? Duncan scosse la testa e si rialzò in piedi. Entrò in casa dopo aver dato un calcio alla porta di Gwen.
Da quando in qua lui credeva alle coppie?
 


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Ciao a tutti! Ecco qui sfornato il nuovo capitolo, sono contenta della circa-regolarità di queste pubblicazioni ^^ spero di continuare così! In linea di massima comunque, punterei ad aggiornare la storia rimanendo sempre in un arco di 10-15 giorni (ovviamente questo è il proposito xD ma almeno avete un’idea su quando aspettarvi i capitoli!)
Contenti per l'entrata in scena di Owen e Noah?? Non ve l'aspettavate ehh? Neanche io, prima di questo capitolo xD in vesti così losche, oltretutto... ci sarà da divertirsi! Adoro quei due!
Giusto per fare chiarezza, approfitto anche per specificare la natura degli speakeasy: in pratica sono locali, tipici degli anni 20, in cui si vendono illegalmente bevande alcoliche; ovviamente non è questo il caso, dato che il proibizionismo è trascorso da un pezzo, ma come atmosfera/ illegalità della cosa, ho comunque deciso di soprannominare così questo "spazio segreto" del locale di Owen e Noah.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Io mi sono divertita a scriverlo ^^ (soprattutto, ammetto, i momenti di Noah!.. ma anche i momenti Gwuncan! Agh, è dura scegliere!) E voi quale scena avete preferito? o quale tratto di dialogo? Insomma sono interessata a ogni sfaccettatura del vostro personale giudizio! Se siete arrivati a leggere fino a questo punto, mi raccomando, datemi un feedback! Ci tengo molto!
Ps. Ogni informazione riguardante il sistema dell'arte contemporaneo non è inventata, i mercati illeciti esistono eccome e, menomale per questa storia, ho avuto modo di affrontare il tema nello studio. Quindi solo informazioni di spessore per voi, cari lettori!
Pps. Lo so, quel "Dunky" è vomitevole, ho avvertito la nausea anch'io scrivendolo, ma tristemente l'alter-ego buono e accettabile di Courtney lo prevede
Ppps. Ho inserito una battuta di Duncan che riprende moolto una sua affermazione in TD; riuscite a rintracciarla?? ;)

Alla prossima!

Alyeska

 
   
 
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