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Autore: acchiappanuvole    05/02/2021    2 recensioni
“Non sono tanto piccola dopotutto. A volte lo sembro anche a me stessa, mi guardo e rimpicciolisco ai miei occhi. Ma ora non ne sono sicura. Forse sono grande e sei tu a rimpicciolire.”
Genere: Drammatico, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il gioco degli scacchi è la pantomima di una storia di famiglia e del dramma di Edipo.
Alexander Cockburn
 
Povlov alzò lo sguardo dalla scacchiera e lo puntò sullo zaichik, intorno a loro si era creato un sorpreso brusio e nessuno riusciva a decifrare quell’espressione tra il risentito e il divertito che si alternava sulla faccia del più anziano. Se un giorno qualcuno gli avesse detto che un ragazzino dalle braccine smilze lo avrebbe potuto mettere in difficolta non ci avrebbe mai creduto; soprattutto se suddetto ragazzino asseriva di non aver mai visto gli scacchi se non stampati sulla carta di qualche libriciattolo usato. Ciòrt poberì! In cinquantanove anni di vita c’era ancora di che sorprendersi e sorprendersi per Nikanor Povlov non era cosa da poco. In una vita passata era stato parte attiva nella fanteria della Russkaja Imperatorskaja armija, l’esercito dell’impero, seconda brigata reggimento Izmajlovsij, al servizio dello Zar. Il gioco degli scacchi l’aveva conosciuto sul campo di battaglia dove gli alfieri erano di carne e sangue e cadevano come pezzi di una scacchiera predisposta da chi il campo di battaglia non lo aveva visto nemmeno con il binocolo. Quanti amici aveva seppellito e quante cose aveva visto, dalla grande guerra alla rivoluzione di febbraio. Si sentiva un matusa a rievocare ritratti indelebili di tanti giovani immolati alla madre Russia, che fossero di una parte o dell’altra. La mossa della salvezza era stata strapparsi gli ornamenti dall’uniforme e abbracciare la causa bolscevica, non tanto per improvviso senso d’appartenenza quanto più per spirito di conservazione e sopravvivenza, di finir giustiziato per i Romanov non gli era sembrata una conclusione molto allettante. Di certo non era stata una storia da sbandierare, così reinventarsi come semplice operaio nella meccanica ripetitività dell’acciaieria e diventare il compagno Povlov aveva tolto la voglia a quanti, se mai ce ne fossero stati, avessero fatto troppe domande su trascorsi non in linea con il pensiero stalinista.
“Mi hai imbrogliato zaichik” asserì spostando il peso da un lato in modo da poter distendere la gamba destra, offesa ancora al tempo di guerra.
“Si può imbrogliare a scacchi?” gli occhi chiari del giovane Borgov si proiettarono in quelli dell’uomo che con la faccia divertita da orso bonario si grattò la barba scura.
“A tutto si può imbrogliare zaichik e tu” gli puntò l’indice all’altezza del naso “tu mi hai imbrogliato con la lingua. Qualcuno ti ha insegnato a giocare, mh? Questo orso della steppa non crede alla favoletta dei libri:”
Vasily non distolse lo sguardo “se avessi già giocato non avrei avuto motivo di nasconderlo”
“Lo pensi anche tu compagno Borgov!?” e all’unisono tutte le facce presenti si voltarono verso Lyubim fino a quel momento mantenutosi a discreta distanza; “non devi dubitare di mio figlio compagno Povlov, non ha tempo di imparare cose così complicate.”
“D’accordo, allora qui siamo in una posizione di stallo caro il mio zaichik e non te la darò la soddisfazione di sbeffeggiarmi davanti a tutti questi onesti signori, tanto più che mi sto congelando il culo.”
“Però dovete mantenere parola”
Povlov si fece cupo, improvvisamente infastidito da quel bambinetto rigido come un soldatino, gli ricordava un fantasma, un fantasma altrettanto rigido con una baionetta più lunga di lui.
“Tu dici?”
“Avevate detto a mio padre che se vi avessi messo in difficoltà una vostra buona parola sarebbe stata spesa per farmi assumere.”
“Non hai ascoltato bene zaichik perché ricordo benissimo di aver detto un può darsi. Vero compagno Borgov?”
Lyubim si portò alle spalle del figlio “non potete negare che vi ha messo in difficoltà compagno, e so che voi siete un uomo d’onore.”
Povlov avrebbe voluto scoppiare a ridere poiché con l’onore ci si era pulito la suola delle scarpe qualche decennio addietro; passò gli occhi dal padre al bambino e poi di nuovo al padre, non sembravano nemmeno parenti e tuttavia riuscivano ad avere il medesimo sguardo.
“Se vuoi la buona parola compagno l’avrai, ma sei sicuro ti convenga?”
“Vasily sarà un bravo lavoratore e se non dovesse rigar dritto ci penserò io personalmente ad assicurarmene.”
“Non ne dubito ma” grattò più intensamente la barba, a Vasily ricordò un cane tormentato dalle pulci “fossi in te non sprecherei certe convenienze per dare in pasto il tuo piccolo genio ad una qualche fornace.”
Lyubim parve perplesso non capendo dove l’uomo volesse andare a parare, così Povlov si rivolse direttamente al ragazzino “se è vero che gli scacchi li hai visti solo sui libri tu hai un talento marmocchio e di questi tempi avere quel tipo di talento è un biglietto in più per sperare di non far la fine dei topi. Vedi in Russia ci si crogiola quando si può far vedere al mondo che i figli della grande madre sono dei fenomeni, che sia piroettare fino a farsi sanguinare i piedi o divorarsi il cervello per vincere questa battaglia”  batté per tre volte le dita sulla scacchiera “perché questa è una battaglia e le battaglie vanno vinte, l’avversario va annientato con tutte le mosse possibili. Gli scacchi sono la più bella metafora della vita piccolo zaichik.”
“Occorrono soldi per fare quel che dici compagno” Lyubim impose a Vasily di alzarsi “e attualmente non è cosa che mi posso permettere.”
“Come ti pare compagno Borgov il mio era solo un suggerimento su un buon investimento, ci penserebbe lo zaichik a far soldi per te e se così non fosse a metterlo in fabbrica si farà sempre tempo” si alzò a sua volta rivelando a Vasily la reale mole massiccia, un monolitico blocco che sovrastava le teste di tutti gli altri “quanti anni hai?”
“Vado per gli otto”
E un’altra risata si condensò nell’aria “mi prendi in giro ancora zaichik?! Non hai nemmeno otto anni e hai lo sguardo di chi ha attraversato mille anni di vita, un piccolo saggio della tundra cari compagni.”
Vasily si rannicchiò nelle spalle, era certo che quel grosso orso bruno fosse il primo ad aver attraversato mille anni di vita decidendo inspiegabilmente di fermarsi ai margini del mondo, non era per nulla simile agli altri compagni, il modo in cui parlava e scrutava, non gli sembrava possibile associarlo ad un uomo delle fornaci; un sorriso si abbozzò sulle labbra violacee dal freddo, si ritrovò a pensare che il generale inverno fosse davanti a lui sotto le mentite spoglie di un operaio, l’aveva messo alla prova, gli aveva indicato una via, che fosse fantasia o meno.
I pensieri furono interrotti dal suono di una sirena, era il via per poter entrare nella fabbrica. Dolenti gli uomini si avviarono a passo svelto verso le porte, Lyubim volse un’ultima occhiata significativa in direzione di Pavlov, spingendo poi Vasily a seguire il gruppo. Il primo impatto fu deludente per il bambino, la fabbrica era spoglia e grigia come il piombo, un odore forte saliva per le narici facendo girare la testa, si ritrovò a starnutire ripetutamente. Senza tante cerimonie Lyubim sfilò un fazzoletto di stoffa azzurra dalla tasca soffiandogli il naso con vigore. “Ti ci abituerai” disse soltanto.
Gli uomini furono radunati a piedi dell’altoforno, un gigante e ribollente pentolone che lasciò Vasily a bocca aperta, il calore impattava improvviso sui loro visi creando una spiacevole sensazione sulla pelle gelata, Vasily si premette le mani sulle guance impaurito che potessero prendere fuoco da un momento all’altro. Davanti al gruppo un paio di uomini simili a corvi neri e con le mani rigide dietro la schiena scrutavano senza soffermarsi realmente su nessun volto. Si venne a sapere che i responsabili erano stati puniti, e Vasily guardò interrogativo suo padre che invece teneva lo sguardo fisso come un animale che fiuta il pericolo. Di questi responsabili non si seppe nulla, se fossero stati arrestati, o dove fossero portati, di certo si sottolineò che erano un grande disonore per tutti, che simili comportamenti rattristavano il grande cuore del ljubimomu Stalinu padre di tutti i russi.
“Immagino quanto al ljubimomu pianga il cuore per un po’ d’oppio” mormorò tra i denti Pavlov che ben conosceva quale punizione sarebbe spettata ai suoi ormai ex compagni di lavoro. Dopo aver fatto cantare loro l’inno, gli uomini furono mandati ai rispettivi posti di manovra, ordinati e rassegnati come formiche.
“Non ho capito nulla di quel che è successo papà” disse Vasily mentre suo madre immergeva le mani in una bacinella di acqua rossastra.
“C’era poco da capire figliolo, chi fa il furbo la paga. Fine della lezione. Ora immergi le mani qui dentro si scalderanno, intanto io e Pavlov parleremo con i compagni maggiori per farti assumere. E’ probabile che prima vorranno esaminare se hai forza e questo potrebbe richiedere l’intera settimana. Come un esame.”
 
 
“Vuoi una tazza di tè mamma? Preparo il samovar?”
Kalisa era rientrata pochi minuti dopo di loro, sedeva al tavolo della cucina e fissava la tovaglia cerata; Vasily attendeva che alzasse la testa, che chiedesse qualcosa ma non succedeva nulla.
“Cosa? Oh sì, grazie. Ho sete.”
Kalisa non girò neppure la testa, Vasily preparò il samovar rischiando di scottarsi più volte.
“Sily…”
“Sì mamma?”
La donna non aggiunse altro e attese che Vasily gli mettesse il tè davanti, vi aggiunse anche del latte con movimenti distratti, quasi cechi.
“Sily vai in camera da letto e prendi la scatola di latta dentro il cassettone, fa attenzione che tuo padre non veda. Vorrei che mi dicessi…conta quanto c’è.”
Vasily esitava poiché in quello strano comportamento c’era qualcosa che non capiva e questo lo spaventava. Andò a prendere la scatola e contò.
“Allora?”
“cinque rubli mamma”
“Cos..cinque?”
 Il bambino annuì e per tutta risposta Kalisa chinò la testa e iniziò a piangere. Quell’immagine pietrificò Vasily, non aveva mai visto sua madre piangere, nemmeno quando litigava ferocemente con Lyubim. L’abbracciò ma lei non lo strinse a sé, continuò a piangere scossa dai singhiozzi  Poi come aveva cominciato improvvisamente smise.
“Dammi un fazzoletto. Scusami Sily, sono solo stanca e non c’è davvero di che piangere per questo.”
Vasily le portò il fazzoletto e sua madre si asciugò gli occhi e soffiò il naso, il bambino le sedette accanto poggiando una mano sul braccio della donna, era assalito da un senso di desolazione e impotenza.
“Mamma per favore, non fare così, non piangere. Se sei preoccupata, se c’è qualcosa che non va puoi dirmelo. Lo so che sembro piccolo ma diventerò grande mamma, diventerò grande in fretta e ti aiuterò.”
Kalisa trasse un profondo respiro sembrava quasi in collera con se stessa “so che lo farai, ma va tutto bene Sily. Non dire a tuo padre che mi hai vista piangere, va bene? Adesso prepariamo la cena e domani andrà meglio, vuoi leggere per me?”
Vasily deglutì, aveva gli occhi che pesavano di stanchezza e con essi anche il petto sembrava diventare più pesante, come se sua madre vi avesse adagiato sopra una grossa pietra. Non gli chiese nulla della fabbrica, forse l’avrebbe fatto quando si fossero trovati tutti e tre a tavola. Vasily sentiva l’urgenza di raccontargli dell’orso dalla barba scura e degli scacchi, ma Kalisa si muoveva davanti alla stufa con lo sguardo vuoto, di tanto intanto si toccava il ventre scotendo il capo.
“Ach, pod sosną, pod zieloną” Vasily si ritrovò ad intonare la Kalinca, dapprima con voce incerta poi ogni parola venne più convinta e sicura “Spać połóżcie wy mnie! Aj-luli, luli, aj-luli, luli, Spać połóżcie wy mnie!”
Sua madre lo fissò come se realizzasse realmente la sua presenza solo in quel momento, accennò un sorriso senza farlo arrivare agli occhi. Non cantò.
 
Note
Ciòrt poberì! è l’esclamazione russa che potremmo associare al nostro “porca miseria”
Russkaja Imperatorskaja armija – era l’esercito imperiale russo che si sfaldò nel febbraio del 1917 con l’inizio della rivoluzione che vide contrapporsi l’armata bianca all’armata rossa.
Lavoro minorile : -con l’accavallarsi delle prima guerra mondiale alla rivoluzione russa furono molti i bambini che rimasero orfani di entrambi i genitori, un fenomeno molto vasto chiamato besprizornye, ovvero i bambini randagi. Per far fronte a questo il governo russo post rivoluzionario creò delle case lavoro dove gli orfani venivano predisposti appunto al lavoro ma anche all’apprendimento e all’alfabetizzazione, in alcuni casi si trattava di pallidi esempi pedagogici che sfumarono con la crisi economica del 1921 e furono ripresi dopo il 1924. Il lavoro minorile non comprendeva soltanto gli orfani ma anche tutti i bambini in età scolare figli delle situazioni economiche più svantaggiate, era quindi comune che nelle fabbriche, nelle miniere e nei campi si trovassero ragazzini impegnati in estenuanti lavori di fatica.
 ljubimomu Stalinu: traslitterato “amato Stalin” uno dei tanti modi reverenziali con cui i russi si riferivano a Stalin.
Kalinka: scritta nel 1860 è ancora oggi la canzone russa più conosciuta.
Testo tradotto:
O viburno rosso di casa mia,
dove in giardino fioriscono i lamponi.
Bacche di bosco,
lasciatemi dormire,
sotto il pino verde odoroso.
E voi fate piano
non turbate i miei sogni leggeri.
Ma tu dolce fanciulla,
quando accetterai l'amore mio?
Dimmi che mi ami….....
  
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