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Autore: CedroContento    06/02/2021    6 recensioni
Sono passati appena 105 anni dalla Guerra dell’Anello e una nuova minaccia già incombe nuovamente sulla Terra di Mezzo. Il male si è risvegliato nell’antica fortezza di Dol Guldur. La Strega Nera, serva di Morgoth, accresce il suo potere ogni giorno e i suoi eserciti di orchi portano guerra e distruzione. Un solo luogo sembra essere ancora sicuro: La Contea.
Proprio da qui parte (di nuovo) la nostra avventura. Una giovane Hobbit verrà catapultata in eventi più grandi di lei, Elanor II dimostrerà ancora una volta la grande forza di questo piccolo popolo.
Contemporaneamente vengono narrati gli eventi risalenti a 100 anni prima (5 anni dopo la fine della Guerra dell’Anello). Elanor è tornata e accompagna il fratello Aragorn in missione nelle lontane terre di Rhûn. A loro si unisce Éomer, costringendo la mezzelfo a fare i conti con la sua scelta.
Genere: Avventura, Fantasy, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aragorn, Eomer, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo
 
Londra, 1950
 
Le risa spensierate e le urla di gioco dei bambini riecheggiavano per Kensington Gardens in quel assolato pomeriggio primaverile.
Passeggiava lungo la riva del laghetto, godendosi il calore del sole, concentrandosi sul fruscio delle foglie tra gli alberi e lo starnazzare delle anatre, quando un ragazzino le sfrecciò accanto, mancandola appena per un soffio; quello che lo rincorreva non fu altrettanto pronto a scansarla, finì per urtarle la borsetta a tracolla. 
Lei non si scompose. Il suo orecchio, ancora allenato, aveva già indovinato ciò che sarebbe accaduto, ma non aveva fatto nulla per evitarlo; aveva dovuto farne un’abitudine.
“Mi perdoni signora!” si scusò frettolosamente il ragazzino dopo essere riuscito ad arrestare la sua corsa, togliendosi il berretto e ripentendo diligentemente ciò che gli avevano insegnato a dire in certe occasioni, ma senza riuscire a celare la voglia di terminare quell’incombenza e tornare alla svelta alle sue faccende.
La donna accettò le scuse con un elegante cenno del capo.
Attraverso la paglietta del cappellino da passeggio, accessorio decisamente fuori moda ma indispensabile per lei, osservò il giovane raggiungere il suo compagno di giochi; spintonandosi, tra le risa, i due ripresero a correre a perdifiato. 
Una fitta di nostalgia le serrò lo stomaco: un tempo anche lei e suo fratello avevano corso in quel modo, tanti, tantissimi anni prima.
Suo fratello; la mano scattò meccanicamente alla catenina che portava al collo. Il suo ricordo si faceva sempre più sfocato, sempre più lontano, come un sogno fatto troppo tempo addietro, i cui contorni sbiadivano, ogni giorno un po’ di più. 
Ogni giorno perdeva un pezzetto del suo passato. Era il prezzo, una giusta condanna, ripeteva a sé stessa. Quando anche la sua ultima memoria sarebbe scomparsa, forse, sarebbe cessato anche il dolore.
“Un paio di ragazzi così giovani e scattanti potrebbero farci comodo,” commentò una voce, suadente e beffarda, al suo orecchio.
Non sei reale.
Riprese a camminare, il momento di godersi quella passeggiata era finito. Tesa, accelerò il passo.
“Pensaci, addestrati a dovere potrebbero diventare ottimi guerrieri. Sono forti, in salute, chi li verrebbe a cercare? Ripartiamo da questo.”
Non sei reale.
“Osi anche ignorarmi adesso?” insistette la voce, ora divertita. 
Ne colse la sfumatura di crescente irritazione, lo conosceva troppo bene.
Ormai poteva vedere i cancelli del parco, il passo svelto si era trasformato in una corsa.
Presto si ritrovò a spintonare la folla sul marciapiede trafficato, ignorò le proteste indignate di qualche passante. I suoi tacchi bassi picchiettavano frenetici sull’asfalto.
“Non puoi nasconderti per sempre, è solo questione di tempo, ti troverò”.
Non sei reale.
Prese il tram che le serviva appena in tempo; con il fiato corto si aggrappò alla maniglia di cuoio che pendeva dal soffitto. Si era impigrita.
“Prego signorina” un uomo di mezza età arrotolò il quotidiano che stava leggendo e si alzò per cederle galantemente il posto. Lo ringraziò con un filo di voce e, controvoglia, si sedette.
“Si sente bene?” indagò lo sconosciuto, cogliendo il suo stato d’animo.
Annuì educatamente, portandosi una mano al petto, fingendo che lo stato di agitazione fosse dovuto solo ed esclusivamente alla corsa per prendere il mezzo in tempo.
“Hai un compito da portare a termine, abbiamo un accordo. Ho tenuto fede alla mia parola, che avrebbe avuto un prezzo lo sapevi.” 
Non sei reale, si ripeté. Non sei reale.
In quella corsa, ormai disperata, si fiondò su per i pochi gradini all’ingresso dello studio medico. Senza bussare o annunciarsi aprì la scura porta di legno laccato.
Una giovane segretaria dietro al banco dell’accettazione balzò sulla sedia colta alla sprovvista. La ignoró.
“Signorina, si fermi! Il dottore è impegnato con un paziente, non può assolutamente entr-”
“Dottore, è un’emergenza. È tornato” disse, spalancando la porta, senza perdersi in convenevoli, ansimante ma risoluta.
Il giovane psicoterapeuta la guardò, senza scomporsi o dare segni di sorpresa, attraverso gli occhiali dalla
spessa montatura nera. In quell’attimo di silenzio nella stanza echeggiò solo il ticchettio costante del metronomo che lo specialista usava per le sue sedute di ipnositerapia.
“Signorina, posso farla accomodare nella stanza qui accanto? La raggiungo appena possibile,” le propose il dottor Clark a voce bassa, in tono pacato e rassicurante, alzandosi e invitandola delicatamente a seguire la segretaria che sentiva muoversi, fastidiosamente agitata, alle sue spalle.
Annuì, lanciando un’occhiata distratta all’ignaro paziente, comodamente adagiato su una chaise longue, a cui aveva interrotto la seduta. Si rassegnò a seguire l’assistente.
“Il dottor Clark la riceverà subito, miss Roberts” recitò inutilmente quella, accompagnandola a prendere posto in un accogliente salottino adiacente. “Le posso portare qualcosa nell’attesa?” 
“No” rispose bruscamente. “Grazie” aggiunse per rimediare, affacciandosi alla finestra, dava su un tranquillo quartiere residenziale. Non ascoltò quello che le disse la donna congedandosi.
“Hai cominciato tu a giocare con il fuoco, è tardi per tirarsi indietro!” proruppe la voce, ormai palesemente irata.
“Ho fatto la mia parte.”
 “Non è abbastanza!” sibilò, velenoso, lui.
“Lasciami in pace!” quasi urlò sull’orlo della disperazione, ma quel demone era nella sua testa, lo sapeva bene.


“Ho fatto prima che ho potuto, miss Roberts,” si annunciò lo psicoterapeuta, dieci minuti più tardi.
 Prese posto su una raffinata poltroncina damascata, invitandola a fare altrettanto sul divanetto abbinato lì affianco.
“Miss Roberts, da un po’ volevo parlarle di una mia idea” cominciò, studiandola con i suoi rassicuranti occhi verdi, la sua unica ancora in quella dimensione caotica. “Finora abbiamo agito in modo da far tacere la voce, anche se per brevi periodi, focalizzandoci sul fatto che non è reale. Ci sarebbe, però, una tecnica dell’ipnosi, l’ipnosi regressiva, ci consentirebbe di far emergere ricordi che, per i più svariati motivi, potrebbero essere stati sopiti. La mia idea è questa. Forse, dovremmo cercare di risolvere il problema alla sorgente” le spiegò. “Ho la sensazione che ci sia qualcosa di rimosso che la tormenta. Ovviamente non voglio costringerla, è una tecnica esclusivamente sperimentale, solo...vorrei sapesse che esiste questa possibilità”.
Annuì assente: “Ci penserò” mentì.
Sapeva perfettamente di aver già smarrito anche più di qualche ricordo, una buona parte di sé stessa, in realtà. Più tempo passava in quell’universo e più dimenticava chi era stata, era uno degli effetti collaterali del vivere troppo a lungo in una dimensione non propria, ne era consapevole ed era una sofferenza costante.
Ma non aveva scelta: in quel mondo non esisteva la magia - era uno dei pochi -, così anche la sua ne risultava abbondantemente depotenziata. Finché fosse rimasta lì non avrebbe potuto causare ulteriori danni, avrebbe evitato di portare ad Arda ancora guerra e distruzione. Doveva rimanere lì, anche se questo voleva dire non rivedere mai più le persone che amava, anche se un giorno non ne avrebbe conservato nemmeno il ricordo. Era questo il prezzo.
“Bene, allora facciamolo tacere!” esclamò il dottore con decisione, colpendo il metronomo. “Sa cosa fare. Chiuda gli occhi, Elanor.” Indugiò con dolcezza sul suo nome.
Come aveva già fatto negli ultimi anni, decine di volte ormai, concentrò l’attenzione sul ticchettio ritmico dello strumento e svuotò la mente. 
Aveva scoperto che poteva chiuderlo fuori: rinnegandone l’esistenza, convincendosi che non fosse reale.
“Nasconditi quanto vuoi, Elanor, verrò a prenderti. E, te lo posso assicurare, pagherai caro il tuo tradimento,” le promise Morgoth.
 
 


Angolino dell’autrice:
 
Bentrovati miei cari lettori! Come promesso eccomi a cominciare questa long tanto attesa (?). 
 Devo cominciare con un paio di spiegoni, che inizialmente dovevano essere note, ma non volevo farvi interrompere la lettura per così poco:
 1. L’ipnosi è stata, ed è ancora oggi, utilizzata da medici professionisti (psicologi, psicoterapeuti, e psichiatri) per trattare disturbi di vario genere tra cui: del sonno, di dipendenza, comportamentali, stati d’ansia ecc. Ha veramente svariate applicazioni.
Nel caso dell’ipnosi regressiva non è invece una tecnica con valenza scientifica, la sua pratica non è stata accettata dalla medicina. La nostra Elanor si affida a questo per tenere fuori dalla sua testa Melkor (sì, l’ho usata un po’ come l’Occlumanzia cari potterheads).
 2. Per chi non sapesse chi è Morgoth in breve (anche se non è facile perché è un personaggio molto complesso): 
Tolkien per il suo universo ha dato vita anche ad una sorta di divinità/entità angeliche (i Valar), originati da un unico Dio vero e proprio, Eru. 
Uno di questi figli di Eru è Melkor (chiamato Morgoth successivamente). 
Morgoth è l’origine di tutto ciò che è malvagio sulla Terra di Mezzo (ha creato lui orchi, draghi e Balrog - quel mostro infuocato contro cui combatte Gandalf per intenderci -), la sua storia è analoga a quella di Lucifero, è un Angelo Caduto, caratterialmente ricorda molto anche il Loki della mitologia norrena.
È stato lui a corrompere l’animo di Sauron, facendone suo servo. Morgoth dopo le sue imprese è stato relegato per sempre nel “Vuoto”, ma una profezia dice che tornerà per uno scontro finale, un’apocalisse. 
 3. In ultimo, ma non meno importante: per chi di voi non avesse letto il breve prequel, “Fiore Dorato”, vi consiglio di farlo, non andreste oltre il terzo capitolo di questa long. È lì che spiego chi è Elanor e vi racconto qualcosa di fondamentale del suo passato, è una mini long rimasta un po’ grezza, sorry, ma ci metterò mano, promesso!

Ringrazio infinitamente chi è arrivato a leggere fino a qui, mai scritta una nota così lunga, ma tengo davvero tantissimo a questa storia e spero piacerà anche a voi (devo dirvelo di farmelo sapere?).
Per quanto riguarda gli aggiornamenti saranno lenti, lentissimi, armatevi di tanta pazienza. 
Nel prossimo capitolo andremo a conoscere la seconda protagonista, cominciate a scaldare la colonna sonora, “Concerning Hobbits”, torniamo a casa.
 
 
 

 
   
 
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