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Autore: Pat9015    07/02/2021    1 recensioni
Circa otto mesi dopo il devastante tornado che ha spazzato via Arcadia Bay, Max e Chloe hanno cercato di andare avanti, ricostruendosi una vita quasi normale a Seattle, nonostante i traumi e i sensi di colpa che si portano dentro. Le indagini sui crimini di Jefferson, però, si stanno rivelando più complicate del previsto e vedono la bilancia della colpevolezza pendere sempre più verso Nathan Prescott, ancora dato per disperso e il cui corpo non è mai stato trovato e la famiglia finita in disgrazia a livello nazionale. Questo, unito a una serie di fatti ravvicinati tra loro, costringerà le due ragazze a tornare nel luogo da cui erano fuggite, costringendole ad affrontare, e questa volta senza poteri, i propri demoni interiori e questioni lasciate in sospeso sotto le macerie di Arcadia Bay.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Chloe Price, David Madsen, Mark Jefferson, Max Caulfield, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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[ Nota personale:  dato che ogni volta che pubblico sono un equivalente di circa 70 pagine di Word, se pensate che sia troppo lungo, lasciate pure un commento e comincerò a ridurre il numero di pagine pubblicate. Inoltre, per chi sta seguendo la storia, noterà che incominciano ad aumentare di molto i dettagli e per questo pensavo che fosse utile una pubblicazione più corta così da non creare troppa confusione. Mi scuso per eventuali errori che possono essermi sfuggiti in fase di riscrittura ma, come ogni volta, ricorreggo appena posso tutto ciò che è già stato pubblicato. Per qualsisi nota, appunto, precisazione, critica, scrivete pure: sono solo ben  felice di comprendere a che punto la mia storia sia arrivata e come possa essere migliorata. Grazie a tutti! ]


7.
 

 
Non seppe dire che ore fossero, ma poco importava. Il sole era sorto, la loro camera era illuminata fiocamente grazie alle tende spesse che lasciavano filtrare meno luce possibile. Veleggiava una sorta di tenue illuminazione, che rendeva tutto ancora più pacifico. S’inebriò dell’odore del mattino, delle lenzuola, della pelle nuda di Chloe. Le si strinse addosso più che poté, le baciò le spalle e il collo.
Doveva nutrirsi di tutti quei momenti, perché appena si sarebbero alzate, sarebbe ricominciato tutto. Doveva prendere più pezzi possibili di pace per arrivare a fine giornata senza cadere nella depressione.
“Dobbiamo alzarci.”sussurrò dolcemente nelle orecchie di Chloe.
Lei rispose con un mugugno. Sorrise.
Uscì dal letto, si rivestì e si diede una lavata alla faccia per rendersi più presentabile. Non intendeva truccarsi adesso, magari l’avrebbe fatto dopo. Prima voleva scendere e godersi l’aria frizzante, la colazione e il silenzio.
Prese una maglietta e degli shorts, mentre tenne indosso le ciabatte. Chissenefrega di cosa avrebbero pensato!
Si avvicinò al letto, appoggiando una mano sulla spalla nuda di Chloe che sbucava dal lenzuolo. Provò a scuoterla dolcemente ma rispose ancora con un mugugno
“Checccceee” disse con un lamento
“Non vieni a fare colazione con me?”
“Mmmmmmmno….dopo….vai ti raggiungo…”
“Pelandrona.”
Prese la chiave (Chloe l’avrebbe sicuramente dimenticata e sarebbero rimaste chiuse fuori) e uscì.  Prese l’ascensore, scese e svoltò a destra, verso il ristorante.
Il salone era bellissimo e ampio, con tanti tavolini e un divisorio al centro della sala, come a sperare in due la struttura. A sinistra, la parete a vetri dava sul giardino interno con piscina per gli altri clienti. Era decisamente più grande e con molte più sdraio ma di certo non poté provare invidia.  All’immediata destra vi era il bar dell’hotel, separato da tutto con un bancone angolare e degli sgabelli.  A metà, sempre sulla destra, le cucine e i vari portavivande per i pranzi e le cene. Davanti ad esso, per la colazione, vi era il buffet disponibile per la mattina. Affamata, si avvicinò e prese una ciotola di cereali misti, del caffè con del latte, un po’ di succo d’arancia e una brioche ancora calda.
Scelse un tavolino vicino alla parete a vetri, uno piccolo con posto solo per due e ben visibile per farsi trovare da Chloe, quando fosse arrivata. Alla sua sinistra vi era una coppia di anziani, anche loro arrivati da poco da quanto poté notare dalla presenza di ancora quasi tutte le cibarie sul loro tavolo. Si leccò i baffi e iniziò a spazzolare i cereali. Aveva la bocca piena quando Chloe si presentò al tavolo. Era visibilmente ancora assonnata, con gli occhi pesti e le regalò un vistoso sbadiglio.
“Non voglio sapere che ore sono, ma ti giuro che avrei voluto strozzarti poco fa.”
“Buongiorno anche a te.” rispose allegra, mandando giù il boccone di cereali “Vai a prenderti qualcosa? Ti seguo: voglio farmi un secondo giro.”
“Max hai ancora roba in tavola. Sei un pozzo senza fondo.”
“Non eri tu che volevi approfittare del fatto che fossimo in hotel?”
“Si ma regola la tua golosità.” la punzecchiò Chloe “Guardassi me come guardi i dolci, sarei la donna più felice del mondo.”
“Non sei spiritosa.”
Se Max optò per ancora dolce, Chloe scelse una colazione più leggera e salata, con la poca scelta che offriva l’hotel in merito. Concluse con un bicchiere di succo d’arancia anche lei e una tazza di caffè nero.
Si sedettero al loro tavolino e Max ci diede dentro ma notò che Chloe la fissava.
“Che c’è? Puoi non prendermi in giro prima che mi venga una sorta di ansia ogni volta che devo mangiare?”
Chloe rimase impassibile, le prese le mani e la fissò negli occhi
“Baciami.”disse
Max parve confusa da quella richiesta ma fece le spallucce, si sporse e posò le sue labbra su quelle di Chloe. Si rimise a sedere e le sorrise, ma Chloe non mostrò ancora nessuna emozione
“No, Max. Baciami davvero. Come stanotte.”
Max si sentì arrossire. Si guardò attorno e c’erano sempre e solo la coppia di anziani che non badava a loro
“Chloe non capisco..” balbettò, arrossendo sempre di più
“Semplice: sembra che a volte tu abbia timore a mostrare…beh noi…. Non so se lo fai perché ti vergogni o se ti urta che..”
“Cosa? No! Chloe è solo che ….lo sai per me è tutto nuovo…non dico noi, dico… beh tutto…io prima di te ero….”
“Vergine? Si lo so.”
“Intendevo che  non ero abituata.” la corresse arrossendo “Io non so…insomma so che sbaglio spesso ma, penso che baciarti in pubblico come se fossimo sole, magari non è molto carino per gli altri.”
Chloe alzò gli occhi al cielo
“Ma fottitene degli altri. Il fatto è che a malapena mi prendi per mano. Rilassati, ok? Non stiamo mica uccidendo qualcuno! Che male facciamo a sbattere in faccia agli altri che ci amiamo?”
“No hai ragione …io ….”
“Sciogliti un po’, ok? In generale. Te lo dico da sempre. Devi rilassarti di più Max. Goditi un po’ la vita. So che non siamo nel momento migliore, almeno inizia a farlo quando abbiamo questi rari momenti di quiete, no? Io ci sto provando a migliorarmi per te. Fallo anche tu.”
Max pensò che avesse ragione, ma non glielo disse. Si sporse, le prese il viso con le mani e la baciò con più passione del dovuto, lasciando Chloe piuttosto sorpresa.
“Ehm…wow….ecco si così. Magari un filo meno.”disse
“Non ti va mai bene nulla.” replicò Max sorridendo.
Poi, le ragazze sentirono di avere gli occhi addosso e si girarono verso il tavolo occupato dalla coppia di anziani, che li fissava.
“Saaaaalve!”salutò Chloe con la mano. Max divenne rossa come non mai.
La signora salutò con la mano e sorrise
“Magari mio marito mi baciasse così. Non lo fa da almeno fine degli anni Ottanta!”
Finita la colazione, Chloe propose a Max di non mettersi subito all’opera.
“Non sappiamo nemmeno da dove iniziare. Non possiamo perdere tempo, Chloe.”le spiegò MaxNon seppe dire che ore fossero, ma poco importava. Il sole era sorto, la loro camera era illuminata fiocamente grazie alle tende spesse che lasciavano filtrare meno luce possibile. Veleggiava una sorta di tenue illuminazione, che rendeva tutto ancora più pacifico. S’inebriò dell’odore del mattino, delle lenzuola, della pelle nuda di Chloe. Le si strinse addosso più che poté, le baciò le spalle e il collo.
Doveva nutrirsi di tutti quei momenti, perché appena si sarebbero alzate, sarebbe ricominciato tutto. Doveva prendere più pezzi possibili di pace per arrivare a fine giornata senza cadere nella depressione.
“Dobbiamo alzarci.”sussurrò dolcemente nelle orecchie di Chloe.
Lei rispose con un mugugno. Sorrise.
Uscì dal letto, si rivestì e si diede una lavata alla faccia per rendersi più presentabile. Non intendeva truccarsi adesso, magari l’avrebbe fatto dopo. Prima voleva scendere e godersi l’aria frizzante, la colazione e il silenzio.
Prese una maglietta e degli shorts, mentre tenne indosso le ciabatte. Chissenefrega di cosa avrebbero pensato!
Si avvicinò al letto, appoggiando una mano sulla spalla nuda di Chloe che sbucava dal lenzuolo. Provò a scuoterla dolcemente ma rispose ancora con un mugugno
“Checccceee” disse con un lamento
“Non vieni a fare colazione con me?”
“Mmmmmmmno….dopo….vai ti raggiungo…”
“Pelandrona.”
Prese la chiave (Chloe l’avrebbe sicuramente dimenticata e sarebbero rimaste chiuse fuori) e uscì.  Prese l’ascensore, scese e svoltò a destra, verso il ristorante.
Il salone era bellissimo e ampio, con tanti tavolini e un divisorio al centro della sala, come a sperare in due la struttura. A sinistra, la parete a vetri dava sul giardino interno con piscina per gli altri clienti. Era decisamente più grande e con molte più sdraio ma di certo non poté provare invidia.  All’immediata destra vi era il bar dell’hotel, separato da tutto con un bancone angolare e degli sgabelli.  A metà, sempre sulla destra, le cucine e i vari portavivande per i pranzi e le cene. Davanti ad esso, per la colazione, vi era il buffet disponibile per la mattina. Affamata, si avvicinò e prese una ciotola di cereali misti, del caffè con del latte, un po’ di succo d’arancia e una brioche ancora calda.
Scelse un tavolino vicino alla parete a vetri, uno piccolo con posto solo per due e ben visibile per farsi trovare da Chloe, quando fosse arrivata. Alla sua sinistra vi era una coppia di anziani, anche loro arrivati da poco da quanto poté notare dalla presenza di ancora quasi tutte le cibarie sul loro tavolo. Si leccò i baffi e iniziò a spazzolare i cereali. Aveva la bocca piena quando Chloe si presentò al tavolo. Era visibilmente ancora assonnata, con gli occhi pesti e le regalò un vistoso sbadiglio.
“Non voglio sapere che ore sono, ma ti giuro che avrei voluto strozzarti poco fa.”
“Buongiorno anche a te.” rispose allegra, mandando giù il boccone di cereali “Vai a prenderti qualcosa? Ti seguo: voglio farmi un secondo giro.”
“Max hai ancora roba in tavola. Sei un pozzo senza fondo.”
“Non eri tu che volevi approfittare del fatto che fossimo in hotel?”
“Si ma regola la tua golosità.” la punzecchiò Chloe “Guardassi me come guardi i dolci, sarei la donna più felice del mondo.”
“Non sei spiritosa.”
Se Max optò per ancora dolce, Chloe scelse una colazione più leggera e salata, con la poca scelta che offriva l’hotel in merito. Concluse con un bicchiere di succo d’arancia anche lei e una tazza di caffè nero.
Si sedettero al loro tavolino e Max ci diede dentro ma notò che Chloe la fissava.
“Che c’è? Puoi non prendermi in giro prima che mi venga una sorta di ansia ogni volta che devo mangiare?”
Chloe rimase impassibile, le prese le mani e la fissò negli occhi
“Baciami.”disse
Max parve confusa da quella richiesta ma fece le spallucce, si sporse e posò le sue labbra su quelle di Chloe. Si rimise a sedere e le sorrise, ma Chloe non mostrò ancora nessuna emozione
“No, Max. Baciami davvero. Come stanotte.”
Max si sentì arrossire. Si guardò attorno e c’erano sempre e solo la coppia di anziani che non badava a loro
“Chloe non capisco..” balbettò, arrossendo sempre di più
“Semplice: sembra che a volte tu abbia timore a mostrare…beh noi…. Non so se lo fai perché ti vergogni o se ti urta che..”
“Cosa? No! Chloe è solo che ….lo sai per me è tutto nuovo…non dico noi, dico… beh tutto…io prima di te ero….”
“Vergine? Si lo so.”
“Intendevo che  non ero abituata.” la corresse arrossendo “Io non so…insomma so che sbaglio spesso ma, penso che baciarti in pubblico come se fossimo sole, magari non è molto carino per gli altri.”
Chloe alzò gli occhi al cielo
“Ma fottitene degli altri. Il fatto è che a malapena mi prendi per mano. Rilassati, ok? Non stiamo mica uccidendo qualcuno! Che male facciamo a sbattere in faccia agli altri che ci amiamo?”
“No hai ragione …io ….”
“Sciogliti un po’, ok? In generale. Te lo dico da sempre. Devi rilassarti di più Max. Goditi un po’ la vita. So che non siamo nel momento migliore, almeno inizia a farlo quando abbiamo questi rari momenti di quiete, no? Io ci sto provando a migliorarmi per te. Fallo anche tu.”
Max pensò che avesse ragione, ma non glielo disse. Si sporse, le prese il viso con le mani e la baciò con più passione del dovuto, lasciando Chloe piuttosto sorpresa.
“Ehm…wow….ecco si così. Magari un filo meno.”disse
“Non ti va mai bene nulla.” replicò Max sorridendo.
Poi, le ragazze sentirono di avere gli occhi addosso e si girarono verso il tavolo occupato dalla coppia di anziani, che li fissava.
“Saaaaalve!”salutò Chloe con la mano. Max divenne rossa come non mai.
La signora salutò con la mano e sorrise
“Magari mio marito mi baciasse così. Non lo fa da almeno fine degli anni Ottanta!”
Finita la colazione, Chloe propose a Max di non mettersi subito all’opera.
“Non sappiamo nemmeno da dove iniziare. Non possiamo perdere tempo, Chloe.”le spiegò Max

 
Non seppero dire quante ore passarono da sole in camera, ma non importò loro granché. Presa dai dubbi, Max controllò l’ora e notò che erano da poco passate le undici. Male, molto male, pensò, ma  non voleva confessarlo a Chloe. Sembrava cosi felice ora, che non voleva passare per la solita guastafeste. Non che lei non si fosse goduta un po’ di spensieratezza, ma ammise a se stessa che la promessa fatta a Kristine andava mantenuta, o perlomeno dovevano seriamente provarci. Un telefono squillò all’improvviso e Chloe si precipitò a rispondere: lo aveva lasciato nei pantaloni, abbandonati all’ingresso
“David!”esclamò rispondendo al telefono “Sai che non amo il cellula… ah in vivavoce? Ok”
Mise una mano davanti al telefono e sillabò un ‘credo sia preoccupato’ in direzione di Max. Tornò a letto e adagiò il suo telefonino sul materasso, mettendo il vivavoce
“Vai, dicci tutto.”
La voce di David uscì dal telefono con un suono un po’ ovattato
“Devo vedervi per pranzo. Urgentemente. Dove siete?”
“Siamo a Bay City, pensavamo di restarci fino ad oggi pome..”
“Perfetto. Passo da tua madre e cerco di essere li da voi entro massimo un’ora.”
“Potresti spiegarci? Sembri teso.”chiese Max
“No, meglio di no. Anzi Max, ti hanno chiamato i tuoi genitori?”
“No, perché?”
“Nulla. Meglio cosi. Non voglio mettervi ansia ragazze, ma ho bisogno di parlarne a voce e non per telefono. Dove ci vediamo?”
“Beh sarai a stomaco vuoto. Ti facciamo compagnia e ci vediamo al Fisherman? La cameriera mi sta simpatica.”
“D’accordo, d’accordo. A più tardi.”
Finita la conversazione, si fissarono negli occhi in silenzio
“Non sono affatto serena, Chloe.” disse infine Max “Per nulla. Perché questa chiamata? Che cosa c’entrano i miei genitori?”
Chloe scosse la testa. Aveva mantenuto stranamente la calma durante al telefonata ma ora iniziava ad agitarsi visibilmente. Prese il telefono e lo guardò con occhi assenti, prima di lasciarlo cadere nuovamente sul materasso, ove atterrò con un tonfo morbido.
“Non ne ho idea. Non ha voluto accennarci nulla. Credo sia qualcosa di grave. Dovremmo vedere un telegiornale o…”
“Non se ne parla!” s’impuntò Max “Non voglio ricevere nessuna notizia da altri, se David vuole parlare con noi con questa urgenza. Se vedessimo qualcosa dai media e fosse travisato? Magari è una sciocchezza che i giornali vogliono pompare per farsi pubblicità!”
Ma non credeva minimamente che fosse cosi. Era grave e su questo non vi erano dubbi. Altrimenti, perché David avrebbe dovuto scomodarsi così tanto?
Non riusciva proprio a capire…
Si preoccupò di darsi una sistemata, magari una doccia le avrebbe schiarito le idee. Non ne aveva bisogno, ma voleva solo rilassarsi, ragionare e collegare i pezzi che potevano esserle sfuggiti. Aprì il getto bollente, si spogliò e vi si gettò sotto, sentendo le pesanti gocce d’acqua colpirle la nuca e la pelle nuda. Si appoggiò con una mano alla parete, chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dai suoi sensi.
Il rumore sordo dell’acqua sulla sua testa, martellante e costante, era il solo rumore che invadeva la sua mente. Aveva chiuso gli occhi, non aveva acceso  nessuna luce e, non essendoci la finestra, era completamente avvolta dal buio e dal calore.
 
….David vuole parlarci…..
 
Erano tornate dove non avrebbero mai e poi mai voluto essere. Troppi fantasmi, troppi brutti ricordi.
 
….parlarci….ma di cosa?
 
 
Ma anche ricordi bellissimi. L’infanzia passata in casa Price, le gite al faro, i bagni in spiaggia in Luglio e Agosto, quando non partiva con i suoi genitori per le vacanze, lontana da Arcadia, lontana da Chloe.
 
….Kristine vuole trovare i resti di suo fratello….perché? Riabilitarlo? Condannare solo Jefferson?
 
Le avventure con Chloe. I suoi bei ricordi non erano legati ad Arcadia, ma a Chloe.
La capsula del tempo, i suoi primi scatti, dedicati solo a lei o realizzati per lei. La degustazione di vini andata male, le feste di compleanno sempre assieme, le notti passate a dormire, a volte abbracciate dopo un film, a volte tenendosi per mano.
 
….che abbiano saputo? David vorrà parlarci di questo? Che sa che stiamo cercando di risolvere questo piccolo mistero? Dopo Rachel, scovare un altro corpo? Vuole aiutarci magari?
 
Quando l’aveva rivista alla Blackwell. Quando si erano scontrate e chiarite. Quando le aveva raccontato dei suoi poteri. Quando si erano intrufolate in piscina  e poi dormito assieme dopo anni. Quando la sfidò a baciarla. Quando raccolse la sfida con naturalezza pensando che baciarla fosse la cosa più normale del mondo. Quando aveva capito che avrebbe voluto baciarla ancora. Quando aveva capito che l’amava.
 
…forse non sa…..forse è successo altro. Dopotutto ha nominato i miei genitori. Quindi è altro….
Ma cosa….che altro mancava al puzzle? Un corpo, certo. Ma altro? Kristine, David, Joyce, Nathan…perché non c’era un collegamento eppure era come se tutto lo fosse?
 
Chloe che veniva colpita. Chloe che cadeva a terra. Chloe paraplegica. Chloe di nuovo viva. Il suo cuore che ripartiva. Chloe che le chiedeva di prendere la decisione più importante della sua vita e per la quale non aveva esitato neppure un istante. I suoi ricordi migliori, più belli, difficili, vitali non erano ricordi.
Erano un nome.
Chloe Price.
Chloe.
Chloe.
Chloe. Chloe. Chloe. Chloe. Chloe. Chloe. Chloe. Chloe. Chloe. Chloe. Chloe.
 
 
 
….no, c’è altro… qualcosa che ora mi sfugge ma c’è qualcosa che unisce tutto quanto. Qualcosa che dia un senso al nostro ritorno. Non può essere solo per Nathan….Il tornado era l’inizio, ora dobbiamo sistemare noi le macerie. Ma come? Cosa dobbiamo fare ancora? Forse voglio solo vedere un disegno del fato che, sicuramente, non c’è. Il debito è pagato. Ma allora perché siamo qui? In meno di un giorno ributtate tra le braccia di Joyce, nei corridoi della Blackwell, i nomi di persone che ho ucciso. Rachel che riemerge. Cosa mi sfugge?
 
 
Una rapida e debole lama di luce colpì la sua serrata palpebra sinistra. Pochi istanti dopo, un fruscio e dei rumori di passi umidi. Le braccia attorno alla sua vita, calde, lunghe e forti, che la cinsero in un abbraccio. Due labbra sul suo collo.
“Chloe non è il caso di….”
“Ssssh, giuro che ho solo ottime intenzioni. Volevo solo confortarti e ricordarti che sono qui, ok?” le sussurrò all’orecchio.
Sorrise.
Sentiva l’acqua filtrare tra i capelli di lei, unirsi in una serie di rivoli compatti e fini e colare tra le fessure dei loro corpi, sulla sua schiena. Le prese una mano. Rimase a occhi chiusi e parlò
“Mi sfugge qualcosa. Mi sembra che tutto questo sia così agli opposti delle nostre vite, ma comunque unito. Non credo che sia sovrannaturale o il destino. Penso solo che il nostro ritorno qui abbia scatenato una serie di eventi. Ci hanno viste e sono sbucate fuori molte complicazioni. Mi chiedo cosa manchi ancora all’appello.”
“Forse Jefferson è evaso di prigione.”
“Cazzo speriamo di no. Ci mancherebbe solo quello.”
“Già. E poi, per me, sarebbe una buona notizia.”
“Perché?”
“Beh vorrà dire che posso prenderlo a calci nelle palle senza troppi problemi.”
“Scema. No credo che sia poco probabile. Se scappasse, tutta la sua difesa crollerebbe.”
“Ma ci risparmierebbe di cercare un cadavere. Sono stufa di scavare e trovare gente morta. Non era quello che mi immaginavo per le nostre avventure piratesche.”
Max aprì gli occhi e strinse di più a se Chloe, obbligandola ad affondare le labbra ancora di più nel suo corpo.
“Non so davvero che pensare. Mi sfugge tutto. Mi sembra cosi assurdo, esattamente come un anno fa. All’ora avevo quei poteri, ma adesso?”
“Anche all’ora ci sfuggiva tutto e poi capimmo che era tutto connesso. Forse è ancora cosi. Solo che stavolta noi vogliamo fuggire e non rimediare. Questo è un bell’ostacolo.”replicò, poi la baciò sul collo, dietro l’orecchio, sulla guancia. Max si piego abbastanza da baciarla sulle labbra. Avrebbe dato tutto quello che aveva per non dover uscire da quella doccia, ma non poteva. Terminato il bacio mormorò che dovevano andare. Con uno sbuffo di accettazione, Chloe spense l’acqua e la strinse a sé qualche istante prima di sciogliersi e prepararsi ad affrontare le brutte notizie per bocca di David.
Tutti i suoi più bei ricordi erano in quell’abbraccio umido, nel buio, nel gorgoglio dello scarico. Ed avevano i capelli  blu.
 
 
 
Avevano ancora entrambe i capelli umidi quando si sedettero al Fisherman, ma la calura estiva avrebbe provveduto presto ad asciugarli. Non volevano perdere tempo e temevano di fare tardi, perciò si erano asciugate, vestite e scese per l’appuntamento con David, accomodandosi allo stesso posto del giorno prima, solo con Chloe accanto a Max per lasciare il posto di fronte a loro libero per il patrigno in arrivo. Rebecca, sfortunatamente, non c’era. Al suo posto vi era una ragazza molto più giovane, forse poco sopra la ventina, capelli lunghi e castani, occhi nocciola e piercing al naso ma un sorriso dolce e sincero. Chloe si convinse che ammiccasse a lei, facendolo notare a Max sperando di farla ingelosire un po’, ma la ragazza rimase di ghiaccio.
“Non ti ha affatto ammiccato e non credo che sia interessata a te.”disse dopo l’ennesima provocazione
“Ah! Quindi non sarei appetibile eh?”esclamò, guardandola con sfida e appoggiando la testa sul suo pugno.
“Non ho assolutamente detto questo e lo sai. Vuoi solo farmi ingelosire, ma non ci sono abbastanza prove a sostegno della tua burla.”rispose Max con calma, non staccando gli occhi dal menù “Penso che oggi prenderò una porzione di barbecue ribs e un tea freddo al limone.”
“Mi stai davvero ignorando cosi? Ok, io prendo un lobster roll….hey almeno fingiti arrabbiata però!”
“Perché dovrei? Nessuno qui ci sta provando con te.”
La ragazza giovane si avvicinò al tavolo e Max scorse il nome dalla targhetta. Si chiamava Laureen.
“Siete pronte, ragazze?”
“In realtà si, ma volevamo aspettare una persona. Dovrebbe essere qui a momenti.” spiegò Max
“Ma certo, nessun problema.”rispose Laureen sorridendo “Però volete bere qualcosa intanto?”
“Mh, si dai. Un tea freddo al limone per me e…”
“Birra media per me.”concluse Chloe
“Ricevuto. Se volete dirmi che volete per pranzo, vi dico se occorre molto attendere e in quel caso faccio iniziare a preparare i vostri piatti.”
“Mi sembra una ottima idea!”disse Chloe, allungandosi sul tavolo. Max intuiva quello che stava facendo: voleva fingere moine per cercare di avere ragione. Laureen non si scompose
“Prendiamo un Lobster Roll e una porzione di Barbecue Ribs.”disse Max, prima di far ulteriormente peggiorare il gioco di Chloe.
“Perfetto! Si forse è meglio che inizi  a farveli preparare. Vuoi del ghiaccio nel tea, Max?”
“Oh si grazie!”
Laureen le sorrise con calore e se ne andò. Max riprese il menù per studiarlo a fondo, dato che aveva letto un sacco di piatti che le facevano venire l’acquolina in bocca. Ma  dopo pochi secondi dovette abbassarlo perché sentiva lo sguardo di Chloe piantato addosso.
Era ancora allungata sul tavolo e la fissava con occhi e bocca spalancata.
“Che c’è?”chiese
“Ti ha chiamata per nome!”
“Ovvio Chloe. Ricordi? Qui ci conoscono tutti ormai.”
“E ti ha sorriso!”
“E’ il suo lavoro, Chloe.”
“Io la ammazzo.”
“No, Chloe. E’ il  suo lavoro.”
“Le strappo i capelli. Vorrà  del ghiaccio anche lei per i lividi che le lascerò?”
“Chloe, sarai mica gelosa di una ragazza che fa solo il suo lavoro?”
Chloe si rimise a sedere imbarazzata.
“No.”
“Si e io odio la fotografia. Smettila, non è successo niente.”
S’imbronciò e cominciò a fissare in cagnesco il bancone e, occasionalmente  Max, che continuava beatamente a studiarsi il menù
Un paio di minuti dopo, Laureen era di ritorno con le loro bevande e le adagiò al tavolo, senza fare nulla di compromettente. Questo però non bastò a placare Chloe, che questa volta si disse sicura di essersi sporta apposta in avanti mentre le passava la birra solo per avvicinare il seno al viso di Max.
Quest’ultima, ovviamente, rise e ignorò la cosa.
Finalmente arrivò David. Ordinò anche lui una birra e un hot dog semplice.
Si sedette nel posto libero lasciato alle ragazze. Sorrise, ma notarono che era forzato rispetto al giorno prima. Era nervoso e si tormentava le mani. Aveva appoggiato il cellulare sul tavolo, assieme alle chiavi della macchina e
“Sigarette?”esclamò Chloe “Davvero? Fumi?”
“Avevo smesso ma ho ripreso da qualche mese. Spero di smettere di nuovo appena tutto quanto sarà passato. Odio questa merda.” spiegò
“Prova le canne, secondo me….Sto scherzando, sto scherzando, non fulminarmi con gli occhi!”
Max rise. Fu catartico per un istante. Sentì meno peso sullo stomaco per una manciata di secondi.
Questa nuova versione di Chloe e David, senza rancori ne astio, era un quasi un vero quadretto familiare. Si sentiva sollevata per lei. I piatti arrivarono poco dopo e, di comune accordo, decisero di rimandare le chiacchiere a dopo il pranzo. Chloe chiese novità su sua madre e David la rassicurò dicendole che stava nettamente migliorando e che la vista da parte loro avvenuta il giorno prima sembrava avere dato più forza.
“Sembra che non veda l’ora di tornare a farti ramanzine.”scherzò David “Chissà, magari tornerà anche a me”
“Ehi…”Chloe puntò la forchetta in direzione di David “Se volete una guerra so combattere. Ma lo farò da Seattle, così vi toglierò la soddisfazione di punirmi.”
Terminato di mangiare, attesero che Laureen venisse a sparecchiare, ma Chloe la interruppe
“Scuuuusa maaa potrei chiederti un’altra bi..”
“Chloe, devi guidare, giusto?”chiese David
“…..coca….Una coca. Con ghiaccio. E penso che MAXINE voglia il dolce. Vero Maxin…ahia!”
Max le aveva dato un pizzicotto sul braccio nudo
“Si. Un milkshake al cioccolato e una bottiglia d’acqua. Grazie.”
Laureen si ritirò, sempre sorridendole.
“MI HAI FATTO MALE, CAZZO!”
Max piantò gli occhi su Chloe, gelandola con lo sguardo e minacciandola con una cannuccia
“Non ti azzardare mai più a chiamarmi Maxine solo perché sei gelosa.”sibilò
David scoppiò a ridere
“Voi due si che siete bizzarre. Chloe gelosa? Questa si che è nuova!”
“Si è messa in testa che la cameriera ci stia provando con me.”spiegò
David rise di nuovo
“Chloe sta solo lavorando.”
Ma la ragazza aveva incrociato le braccia e fissava in cagnesco sia Max che David
“Questo è bullismo.” borbottò “Vedrete che ho ragione io.”
Il milkshake arrivò poco dopo, assieme alle bevande. Stavolta però, non se la sentiva di rimandare ancora.
“Quindi David, cosa è successo? Perché volevi vederci?” chiese Max
Questo bastò a far interrompere la finta sceneggiata di Chloe, che si avvicinò al tavolo. David si massaggiò le tempie, adagiò i gomiti sul tavolo e fissò prima Max e poi Chloe con intensità, come a studiare i loro volti prima che desse loro una spiacevole notizia.
“Ho ricevuto una chiamata stamattina, da un agente di polizia di Arcadia che ora opera a Tillamook in attesa di tornare a casa. Beh è stato contattato da un avvocato, a quanto pare, che voleva espressamente parlare con voi direttamente, senza intercedere con i vostri avvocati per il momento. Avrebbe mosso una questione importante e chiede di poter essere ascoltato.”
“Col cazzo.”sbottò Chloe “i genitori di Max pagano due avvocati. Che parli con loro.”
“Lo so ed è quello che ho risposto anche io ma prima mi ha gentilmente chiesto di sentire le sue motivazioni e del perché vorrebbe che prima lo sapeste voi. Poi è disposto ad intermediare con gli avvocati. Sarebbe più corretto dire che non sono esattamente le sue intenzioni, ma del suo cliente. Vuole un contatto diretto con voi.”
“Chi è ?” chiese Max, che sentiva un orribile sospetto crescerle dentro “Che cosa vuole?”
“Il suo cliente ha chiesto di incontrarti, Max. Senza avvocati. Un incontro solo tu e lui. Vuole parlarti”disse David, guardandola negli occhi.
Allontanò il milkshake ancora pieno. La nausea era insopportabile. Aveva capito.
“Chi? Chi cazzo è?”chiese Chloe, che ancora non aveva afferrato.
David emise un sospiro. Chiuse gli occhi e chinò il capo per un istante.
“Mark Jefferson.” rispose con tono asciutto “Mark Jefferson vuole incontrarti, Max.”
Lo sapeva. Aveva intuito, ma comunque non fu facile sentirlo. Accusò il colpo, si appoggiò al divanetto morbido, lasciò cadere le braccia ai fianchi e chiuse gli occhi, cercando conforto. Si sentiva sfinita, come dopo una maratona.
“Col cazzo!” strillò Chloe. I pochi clienti presenti, si voltarono, ma a lei non importò granché “Non lascerò che vada.”
“Ha chiesto di far sapere entro stasera.”continuò David “Potete chiamare voi i vostri avvocati e sentire i loro pareri. Saranno loro i tramite con l’avvocato di Jefferson, ma posso farlo anche io dato che mi ha concesso “l’onore” di essere il messaggero di questa notizia di merda.”
“Non andrà.”s’impuntò Chloe “Non esiste. Puoi chiamarlo anche adesso davanti a noi e…”
“Chloe…”
Max le appoggiò una mano sul braccio, cercando di rasserenarla. Non funzionò granché, dato che lei le prese la mano e la fissò dritta negli occhi
“Non esiste. Non puoi andarci. Non con quello che ti…”
Si bloccò prima di tradirsi. Max ne approfittò per appoggiarle un dito della mano libera sulle labbra. Sorrise, sapendo di non trasmettere tranquillità ma solo stanchezza e rassegnazione
“Lo sapevamo, giusto? Sapevamo che qualcosa sarebbe successo. Ci penseremo con calma, non occorre decidere ora. Non ho alcuna fretta. Poi cosa vorrebbe da me? Non ho nulla che gli interessi e lui non ha nulla che interessi a me. Posso anche tranquillamente lasciare perdere.”
Mentiva. Chloe lo sapeva, gli leggeva dentro. Sapeva che non credeva a una sola parola. Nessuna delle due ci credeva. Ma andava rasserenato David, farsi vedere forti per non dargli più pensieri di quanti non ne avesse già.
“Senti oggi andiamo a farci un giro per i boschi, ok?” propose Max “Potrebbe farci bene!”
Era una bugia. Chloe l’aveva capito, ma accettò la commedia
“Ok, ok. Come vuoi tu. David? Grazie per ….beh la notizia. Ce ne occuperemo noi, non vogliamo tirarti in mezzo più del necessario. Parleremo con i nostri avvocati e poi ci penseranno loro.”
David annuì
“Posso fare qualcosa per voi, ragazze?”
Max fece per dire di no, ma Chloe l’anticipò
“In verità una cosa ci sarebbe…… ma non credo che tu possa farla….”
“Spara.”
“Riusciresti a procurarci tutto il materiale possibile su Nathan Prescott in mano alle autorità?”
Chloe fu diretta e questo spiazzò non poco David, che la fissò sbalordito
“Chloe non ruberò…..”
“No, non fraintendere. Non voglio che rubi nulla. Basteranno delle copie o anche semplicemente un tuo resoconto verbale. Tutto quello che c’è su Nathan, i suoi spostamenti ipotetici, cosa hanno trovato a casa sua e alla Blackwell, eventuali stranezze che la polizia ha preso in considerazione…”
“C’è di mezzo anche l’FBI, lo sai? Una agente sola, ma c’è. Stanno risalendo ad altri crimini che potrebbero essere stati compiuti da Jefferson in altri stati, ma anche la parte di Prescott è entrata nella sua orbita, anche se ufficialmente non le compete. Non mi stai chiedendo una cosa semplice, Chloe.”
“Lo so e mi dispiace molto farlo, dico sul serio” (non era vero, Max lo sapeva. Ok, il rapporto tra loro era nettamente migliorato, ma se Chloe voleva qualcosa non si dispiaceva per niente). “Credo che ci sia qualcosa che potrebbe spiegare la volontà di Jefferson di vedere Max. Forse è convinto che lei c’entri qualcosa o voglia ottenere informazioni da lei. Se noi lo sapessimo tempestivamente, potremmo evitare di cadere nella sua trappola.”
“Non mi raggiri cosi, Chloe. Non è per questo che me lo stai chiedendo. Che motivo avete per sapere tutto sulle indagini in corso?”
Chloe esibì un sorriso forzato a denti stretti, essendo colta in fragrante
Max evitò altre sceneggiate e disse una mezza verità
“Sappiamo tutti che Nathan Prescott è morto, anche le autorità scommetto. Vogliamo capire come hanno condotto le ricerche e cosa hanno ispezionato. Nathan è qui, bisogna solo capire dove cercare.”
David si fece pensieroso
“Non vorrete replicare? Dopo aver trovato il cadavere di Ra….”s’interruppe. Sapeva che Rachel Amber era grande amica di Chloe e non voleva apparire indelicato “Dopo che avete fatto quell’altra scoperta, ora intendete farne un’altra? Ragazze è diverso stavolta: Rachel non la stava cercando il corpo di polizia della contea. Qui ci sono in gioco molti più mezzi e uomini, oltre che interessi giuridici…”
“Ma Nathan, come  Rachel, ha una famiglia che non sembra interessata a trovare il suo corpo.”sottolineò amaramente Chloe “Se solo gli Amber si fossero sbattuti, specie James con il potere che aveva, forse il suo corpo sarebbe stato trovato molto prima e il casino di Jefferson scoperto. I Prescott non sono più nemmeno qui, hanno solo dichiarato che il figlio non è fuggito e si stanno preparando ad affrontare le loro beghe legali e salvare il loro impero finanziario in declino. Nessuno lo sta realmente cercando. E se non è la famiglia a volerlo più di tutti, perché dovrebbero insistere degli estranei, per quanto vadano in giro con il motto servire e proteggere?”
David non replicò subito. Fece una smorfia simile a un sorriso amaro.
“Non so come replicare, Chloe. Potresti avermi messo a tacere per la prima volta. Si, sono brave persone gli agenti che lavorano al caso, ma ammetto che la situazione è talmente complessa e intricata che non faticherei a credere che abbiano mollato il colpo. Oltre ai crimini locali, vi sono le questioni del corpo di Nathan e anche delle piste che lo vogliono vivo, la ricostruzione di Arcadia, il processo di Jefferson…. Il dipartimento di Tillamook è sotto pressione, non che a Salem ci ignorino. E’ un crimine per tutto l’Oregon, ci sono troppe pressioni e troppi interessi in ballo. Serve ripulire Arcadia, oltre che ricostruirla. Ci sono finanziamenti e finanziatori in arrivo. Sbattere in galere almeno Jefferson il prima possibile sembra l’interesse maggiore, indipendentemente dalla condanna che possa ricevere. Su Nathan, perciò, ci troviamo in una situazione di stallo: è importante per l’accusa averlo, ma per la difesa e lo stato dell’Oregon no. Serve un colpevole e serve in fretta, cosi da buttarsi tutto alle spalle e far ripartire Arcadia Bay entro il suo anniversario. Che schifo.”
Max colse uno spiraglio da quelle parole e provò a inserirsi
“Quindi ci aiuterai? “
David sospirò di nuovo, inclinando all’indietro la testa, prendendo tempo. Sapeva cosa stavano chiedendo: un tradimento. Beh, non era un vero e proprio tradimento, ma per l’indole da soldato di David, in parte, lo era eccome. Passare loro informazioni sulle indagini in corso, fatte da potenziali colleghi, era qualcosa che impegnava di molto la sua morale.
Si ricompose e parlò a bassa voce
“Ok, ok. Vedrò cosa posso recuperare. Ma non porterò fuori nulla, sottolineo nulla, dal dipartimento. Niente prove, niente fascicoli. Nulla. Intesi?”
“Va benissimo.” affermò entusiasta Max
“E come farai a passarci tutto?”chiese Chloe
“Dovrete fidarvi delle mie parole.”disse semplicemente “Spulcerò ogni volta che posso, annoterò se possibile, ma poi dovrete credere ciecamente a quello che vi dirò.”
“Certamente.”disse Max “Sappiamo che ci diresti solo la verità.”
David abbozzò un sorriso
“Posso anticiparvi qualcosa di cui sono a conoscenza e che i media non possono ancora aver detto o addirittura ignorano. Badate bene, non è molto.”
“E’ comunque più di quanto potremmo sapere noi adesso.”disse Chloe “Spara.”
“Sembra che la pista della fuga in California sia definitivamente morta. Sono circa due mesi che laggiù non viene più cercato Nathan Prescott e sono quasi sicuro che a breve abbandoneranno ufficialmente le ricerche con un annuncio pubblico. Dichiareranno che, secondo le loro indagini, Nathan Prescott non può trovarsi a Los Angeles e nelle contee limitrofe. Non lasciano comunque chiusa la possibilità che sia altrove in California o negli Stati confinanti. Direi che sperano ardentemente che qualcuno in Arizona faccia una segnalazione e si prendano lì questa patata bollente. Vi sono un paio di comunità isolate nel deserto, ex hippie o cose simili, per cui sperano che qualcuno segnali di fare una ricerca laggiù, spostando l’attenzione in un altro Stato. Manterranno, sempre con il supporto dell’FBI, lo status di ricercato nello Stato della California. Si presume che vogliano estenderlo in tutti gli stati. Ma la verità è che pensano che sia ancora in Oregon.
La squadra di ricerca che si occupa di ritrovare il suo presunto cadavere ha perlustrato palmo a palmo la vecchia fattoria Prescott e dintorni, senza trovare traccia. Era quella più fattibile dato che Jefferson l’ho arrestato li e, per tempistiche, il posto più probabile dove potesse essersi sbarazzato di Nathan.”
“Ma non il solo.”disse Chloe “Lui era scomparso almeno dal pomeriggio, no?”
“Si e no. Victoria Chase era stata vista con lui intorno alle diciotto, dato che stavano ultimando i preparativi per la festa in piscina. Purtroppo la Chase è deceduta, perciò non possiamo sapere la sua versione, ma alcuni studenti superstiti hanno confermato quasi allo stesso modo che era vivo e presente al campus, in evidente stato alterato. Agitato, rabbioso veniva descritto. Ma lo era parecchio dal suicidio di Kate Marsh, da quello che mi ricordo.”
“Tu eri il capo della sicurezza. Avrai dovuto rilasciare dichiarazioni!”esclamò Chloe
“Si, ovviamente. Ma su quel giorno non ho molto da dire. Prescott l’ho incrociato un paio di volte, intorno alle quindici. Poi più nulla.”
Max venne in mente un dettaglio
“Alla festa, quando eravamo andate a cercarlo, ho perso di vista Chloe e chiedevo a tutti dove fosse. Molti non lo avevano visto, ma sembravano spaventati dal suo stato mentale. Sappiamo che nel pomeriggio era al campus, ha avuto una lite con Warren, poi dicono che per le diciotto fosse nei pressi della piscina con Victoria. Noi, quando siamo arrivate alla festa per cercarlo, erano almeno le ventidue passate. Se nessuno lo aveva visto, nemmeno Victoria, allora ci sono almeno quattro ore di vuoto, forse meno. Jefferson può anche averlo ucciso presto, ma non può essersi liberato del cadavere prima del tramonto. Inoltre verso le ventidue e trenta doveva annunciare il vincitore del concorso EveryDay Heroes…”
Aspetta.” disse David “Hai detto che alla festa nessuno sembrava averlo visto…. Non mi avevate detto di essere entrate dentro…. E nemmeno che vi eravate perse di vista…”
 
….cazzo! C A Z Z O! QUELLA LINEA TEMPORALE NON SI E’ AVVERATA MAX! STUPIDA!
 
 
“Max intendeva dire la gente fuori… abbiamo incrociato Warren che, come al solito, molestava Max nella speranza di farsela dare, ma al contrario di lei io non volevo perdere tempo. Ho sentito dire da una scagnozza di Victoria che lei lo stava cercando ma non lo trovava, mentre rientrava alla festa. Ci siamo divise per pochi minuti, il tempo di Max di farsi un selfie con il suo amicone e poi venirmi a cercare. Nel frattempo ho parlato con della gente fuori dalla palestra. Ci siamo ritrovate poco prima di entrare e lì mi ha persuaso a contattare te per dirti dove andare, dicendo che noi non potevamo partire alla caccia all’uomo da sole. Per fortuna mi ha calmato, eh?”
Chloe le parò il culo in maniera convincente. Le rivolse uno sguardo complice e un sorriso furbo. Sembrava dirle ‘visto? Ti serve la tua spalla di fiducia, eroina’  e si compiaceva della sua pronta bugia. Max le appoggiò una mano sulla coscia destra in segno di apprezzamento e sollievo per aver rimediato.
David pensò un attimo tra sé poi annuì
“Si in effetti non vi ho mai chiesto granché su quella sera. Non ricordo un passaggio del genere nelle vostre dichiarazioni, ma può darsi che vi sia sfuggito. Avevate detto che lo stavate cercando e avete desistito e poi chiamato me. Una omissione da poco, ma forse poteva restringere il tempo di ricerca sulla scomparsa di Nathan. O forse non cambia nulla. Se comunque non ci sono più testimoni che lo vedono nel campus dopo le diciotto, cambia poco. E, come ha detto Max, se fosse stato assassinato, di sicuro il corpo non poteva essere occultato prima del tramonto. Il tempo è molto ristretto. Massimo un paio d’ore circa.”
“Esatto. Controllando ogni percorso dalla Blackwell alla fattoria verrebbe fuori….”
“Una pista assolutamente già controllata.”disse David “Hanno perquisito dentro i dormitori, dentro la piscina, dentro l’ufficio di Jefferson e nei boschi. Non hanno trovato nulla.”
“Per quanto tempo?”chiese Max
“Due giorni. Inoltre la struttura, anche se poco danneggiata, è stata comunque colpita e alcune parti andavano ripulite e messe in sicurezza prima. Soprattutto la piscina.  Nulla.   Gli edifici non hanno rivelato niente.”
“E non hanno scavato in giro?”chiese Chloe “La Blackwell è praticamente immersa nel bosco! Potrebbe essere in quella zona!l ”
“No. Non occorreva, a detta loro. Hanno usato i cani molecolari nei boschi intorno, molto a nord. Hanno supposto che Jefferson potesse trasportare un cadavere del peso di Nathan, seppellirlo, cambiarsi e farsi vedere in tempo per la premiazione  per circa un chilometro e mezzo. Hanno portato i cani in quella area. Prima era poco probabile, visto i detriti e la troppa vicinanza alla scuola. Inoltre i cani sono stati usati solo per un pomeriggio, dato che servivano in maggioranza per la ricerca dei sopravvissuti tra le macerie.”
“Mi sembra un po’ fatta con il culo sta ricerca.” disse Chloe “Tolta la Blackwell e la fattoria, non so dove possa averlo scaricato.”
“Beh, non siete obbligate a scoprirlo.”disse David, che assunse un piglio paterno “Avete già dato tanto e fatto anche troppo. Lasciate perdere. So che non volete che Jefferson ne esca quasi pulito, ma meglio qualche anno di carcere che saperlo libero e in fuga. Lo avete fermato e non credo che avrà modo di infierire in futuro. Siate serene.”
Annuirono, ma poco convinte.
“C’è altro?”chiese David, vedendo che non rispondevano
“Si.”disse Chloe “Potresti anche farci sapere esattamente quante sono le vittime certe o sospette di Jefferson? Anche i loro nomi.”
David ora sembrava decisamente infastidito
“Chloe qua andiamo troppo oltre. Per la privacy….”
“Lo so, ma voglio scrivere una lettera a tutte loro. Voglio chiederle scusa. Ho perso una amica per colpa sua, voglio essere solidale con loro. Se solo avessi capito prima…”rispose
Max comprese che era nuovamente una bugia. Ma stavolta non sapeva perché.
David pareva averla bevuta e sembrò sinceramente colpito
“Mh. Ok. Ma sappilo: molte negano. Alcune non vogliono nemmeno parlarci. Si vergognano oppure non ricordano e pensano che le stiamo confondendo. Ti farò avere una lista dei nomi ma non tirarmi in mezzo, chiaro?”
“Ricevuto, capitano!”esclamò Chloe soddisfatta.
Finirono di pranzare in tranquillità. Max bevve il suo ormai disciolto milkshake,  mentre David e Chloe sorseggiarono un caffè. Poi, con enorme insistenza, lo convinsero a lasciare che fossero loro, anzi Chloe, a pagare il suo pranzo. Lo salutarono e lo videro andare via. Appena videro la macchina allontanarsi, Max interrogò Chloe
“Che hai in mente?”
Lei fece le spallucce
“Mi tutelo. Se mai decidessi di incontrare Jefferson, e non so perché ho il timore che tu voglia farlo, voglio avere in mano una lista delle vittime. Cosi, vediamo se qualche nome buttato li lo agita, cosi giriamo il coltello nella piaga.”
“Perché?”
“Perché è il solo che sappia dove Nathan è sepolto. Non ce lo dirà mai. Perciò lo tortureremo mentalmente. Lui lo ha fatto con te, con Rachel e con chissà quante altre. Voglio tenerlo io per le palle, stavolta. Non ci aiuterà a incastralo, ma non vuol dire che debba privarmi di una soddisfazione, no?”
“Chloe tu ragioni come se io volessi davvero vederlo. Non lo so ma non credo. Ti stupirò, ma sono più propensa a non volerlo incontrare.”disse Max.
Chloe la strinse a sé
“Rilassati Max. Io sono solo felice se vuoi evitare quella testa di cazzo. Ma oggi propongo un tuffo nei ricordi, parte seconda: andiamo nella mia vecchia dimora. Ci stai?”
Annuì
“Prima chiamiamo Kristine. Dobbiamo aggiornarla su questa cosa.”disse
Chloe sbuffò e disse che, però, non la voleva dentro casa sua.
Si alzarono, andarono a pagare e in quel momento entrò un ragazzo giovane che salutò con affetto Laureen che rispose
“Arrivo subito amore, stacco tra poco. Vuoi del caffè, intanto?”
Chloe si gelò e ignorò gli sguardi divertiti di Max.
Finché non salirono in macchina, evitò proprio di guardarla, nonostante le occhiate divertite che riceveva. Una volta avviato il motore sbottò
“Non significa che tu abbia ragione!”
“Significa che sei gelosa più di quanto tu voglia ammettere.” la rimbeccò Max, ridacchiando di fronte alla faccia infastidita di Chloe.
 

 


 
 
8.
 
 
Parcheggiarono di fronte al vialetto di casa, dove sorgeva il garage appena risistemato.
Il Quarantaquattro di Cedar Avenue si presentava diverso e al contempo identico da come era sempre stato. L’ultima volta che lo videro era appena stato investito dai venti e non aveva nemmeno un vetro intatto, circondato da detriti nel giardino, parte del tetto scoperchiato e qualche pezzo di ferro e legno conficcato nelle pareti.
Ora si presentava in perfette condizioni, pareti intonse, tetto rimesso a nuovo, lucidi vetri scintillanti al sole, prato pulito ma non curato con erba di discreta altezza e un fantastico tono di azzurro che ora avvolgeva tutta la casa. Evidentemente, durante la ricostruzione, gli addetti pensarono che i lavori furono lasciati a metà a causa della tempesta e devono aver deciso di completare l’opera di tinteggiatura esterna.
Spense il motore, mettendo a tacere l’autoradio che trasmetteva ora un pezzo di Bon Iver, Holocene
 
And at once, I knew I was not magnificent
Hulled far from the highway aisle
Jagged vacance, thick with ice
But I could see for miles, miles, miles

 
 
“Maledettamente adatto” pensò Chloe, mentre scendeva al veicolo.
Si fermò a mirare la sua vecchia casa, che ora sembrava appena costruita. Nulla da obiettare, avevano fatto davvero un ottimo lavoro. Ma la seccava vederla completamente tinteggiata. Doveva farlo lei, se suo padre non poteva farlo. Era un suo compito.
 
Avresti potuto pensarci prima, testa di cazzo. Invece hai speso cinque anni di vita ad essere arrabbiata e a voler fuggire. Non lamentarti se ora qualcuno ha completato un compito che tu ti eri imposta di fare.
 
Max sbucò alla sua sinistra, da dietro del pick-up. Anche lei sembrava colpita dalla messa a nuovo della casa dei Price.
“Sembra in ordine, no?”chiese
“Troppo. Su, andiamo vicino alla strada. Almeno può vederci.”
“Come se ci fosse una ressa qui.”sottolineò Max
Arcadia era deserta, se si escludevano gli operai, ma in quel frangente erano ormai concentrati verso il porto. Cedar Avenue era completamente vuota. Nessun rumore, nessuna auto, nessun odore di qualche pietanza che faceva capolino da una finestra aperta. Nulla. Era sempre stata una delle vie più tranquille di tutta la cittadina, altro motivo per cui i suoi genitori l’avevano scelta e anche i Price, a quanto ricordava. Ma si sentiva il pulsare della vita, anche nella quiete, occasionalmente rotta da loro due, in preda ai giochi più disparati nella bella stagione.
Ora era fredda, vuota e priva di ogni gioco o risata. Era desolante.
“Che vuoi dirle?”chiese Chloe
“Tutto. Ha diritto di sapere. Collabora con noi, mi sembra corretto dimostrarle che ci fidiamo.”
“Non so. Forse non vuole sentire tutto…”
“A me sembra che abbia accettato totalmente la morte del fratello. Conviene essere trasparenti con lei, potrebbe esserci di fondamentale aiuto.” suggerì Max  “E noi abbiamo davvero bisogno di qualsiasi aiuto. Siamo ancora al punto di partenza.”
Chloe si limitò ad annuire ed osservare la strada, come se temesse di vedere arrivare qualcuno. Probabilmente, non sentiva nemmeno lei a suo agio con tutta quella innaturale quiete.
Era primo pomeriggio e il sole iniziava a picchiare forte sulle loro teste, facendo sentire la calura sulle loro pelli e l’asfalto non aiutava di certo a rinfrescarsi. Dopo una decina di minuti di attesa, videro una Dodge rossa fiammante imboccare Cedar Avenue e rallentare in prossimità di casa Price. Non furono sorprese di vedere scendere Kristine, vestita in maniera semplice, senza trucco, gonna di jeans e maglietta smanicata bianca e anonima. Salutò allegramente le ragazze e chiese come era stata la prima notte al Seaside.
“Comoda e rilassante. Non possono non ammettere che la stanza è incantevole.”disse Max
“Moooolto rilassante.”sottolineò Chloe con un sorriso malizioso e una occhiata in direzione di Max, che arrossì lievemente.
Kristine parve non badarci e si limitò a commentare entusiasta
“Sono felice che vi sia piaciuta. E’ una delle mie poche proprietà di cui non vorrei separarmi.”
“Già: uno dei vantaggi delle proprietà Prescott.”
“No Chloe. Quando ieri vi dissi che era mio, intendevo proprio mio. Preso con una mia quota di eredità quando chiesi dei soldi per andarmene in Brasile. Mi innamorai di quel posto e lo presi, partendo per il Brasile con un budget nettamente inferiore. Ma ne è valsa la pena: mi sono goduta di più la realtà brasiliana e ora sto facendo affari d’oro. Mio padre non c’entra nulla.”
Chloe emise un fischio ammirato
“Una bella botta di culo, eh? Se ogni anno viene spazzata via Arcadia, in dieci anni potresti essere la donna più potente d’America.”
“Scusa, mi sono espressa male: è ovvio che avrei preferito andare avanti con le solite entrate. Questa disgrazia mi ha rimesso in pari nel giro di pochi mesi, non posso negarlo. Ma non mi importa, dato che ora investirò i soldi di famiglia in cose decisamente migliori. Anche in Arcadia.”
“No, ti prego no.” esclamò Chloe “Basta Prescott in Arcadia.”
Kristine sorrise affabile
“Tranquilla: il nome della mia famiglia non comparirà mai. Vedrete voi con il tempo.”
Chloe parve un po’ sospettosa e per niente rilassata da quelle affermazioni. Era evidente che ancora non si fidava totalmente di Kristine che, nel frattempo, si era rivolta a Max
“Dunque: di che novità mi devi parlare? Nel messaggio hai detto che volevi riferirmi qualcosa su mio fratello che forse potrebbe essermi utile.”
Max annuì e raccontò tutto quello che avevano scoperto da David, omettendo la fonte e dicendole che avrebbero potuto scoprire più cose, ma avevano bisogno di altro tempo.
Dopo averla ascoltata, Kristine si fece pensierosa per un po’. Infine chiese di poter ascoltare il messaggio in segreteria che suo fratello aveva lasciato a Max. La ragazza acconsentì, porgendole il telefono. Kristine ascoltò due volte la voce del fratello. Se si emozionò, non lo diete a vedere. Rimase impassibile tutto il tempo.
Porse il telefono a Max e disse le sue conclusioni
“Nessun rumore di sottofondo. Nulla. Perciò non poteva essere nelle vicinanze della palestra, visto che i rumori si sarebbero sicuramente sentiti. Azzarderei dire che potesse essere in camera sua, nel dormitorio, ma non credo.”
“Perché?”chiese Chloe
“Perché dice chiaramente che Jefferson sta per arrivare a ucciderlo, e poi si sarebbe occupato di Max. Quindi Jefferson era nei paraggi e gli aveva reso chiare le sue intenzioni. Forse lo aveva già drogato o mezzo sedato per non farlo fuggire e ucciderlo appena possibile. Ma il dormitorio era troppo rischioso: qualche studente che non fosse andato alla festa avrebbe potuto vederlo. Dopotutto, doveva trasportare il corpo di un adolescente, non credo fosse una mossa saggia farlo in un dormitorio, no?”
“Direi di si. Ma quindi dove potrebbe averlo ucciso?” chiese Max “Nel suo ufficio a piano terra? Sembra la cosa più probabile ma poi come poteva trasportalo da li alla sua macchina per nasconderlo e trasportarlo fuori dalla Blackwell?”
Kristine non seppe rispondere
“Nei boschi?”suggerì Chloe “La Blackwell è praticamente circondata dalle piante: butti il corpo di Nathan fuori dalla finestra, esci con tranquillità, lo recuperi, passi tra gli alberi e lo carichi in macchina. Si, la piscina è di fianco al parcheggio e pullulava di gente, almeno quando siamo arrivate noi lo era  e non ricordo di aver visto l’auto di Jefferson ma…”
“Ma eri talmente incazzata e vogliosa di ammazzare Nathan che non ci siamo fermate a guardare le auto.” concluse Max “Quindi poteva stare benissimo in un punto poco illuminato, non necessariamente nel suo posto auto designato. O semplicemente, lo era, ma non ce ne se siamo accorte.”
“Era una cazzo di festa, Max.”disse Chloe “Secondo te, se avesse infilato Nathan in un sacco, nascosto nei boschi, spostato l’auto fino al limite del parcheggio e all’ombra, qualcuno si sarebbe voltato a guardare? Bevevano tutti e all’esterno sono abbastanza certa che chi ci fosse era li per farsi qualche canna. Non credo che fossero al massimo dell’attenzione. Jefferson poteva anche uccidere Nathan davanti a loro e non se ne sarebbero accorti.”
Kristine annuì. Rimase impassibile e questo colpì le ragazze. Avevano parlato di suo fratello, morto, come un oggetto o una persona sconosciuta, ma non aveva battuto ciglio.
“Concordo con te Chloe. Il problema del trasporto di mio fratello, forse, non è stato così difficile. Ma ancora non capisco dove possa averlo sistemato. Ma c’è un altro indizio notevole nel messaggio in segreteria.”
“Cioè?”chiese Max. Era curiosa: le era sfuggito qualcosa e non se ne era accorta?
“Il tuo telefono dice che il messaggio è stato ricevuto intorno alle venti e quarantaquattro. Perciò mio fratello è morto poco dopo. Per cui…”
“Il tempo a disposizione di Jefferson per nasconderlo e presenziare alla festa è di circa novanta minuti.”concluse Max “Sembra molto, ma non lo è. Non può averlo nascosto in bella vista e nemmeno molto lontano.”
“Ma se avesse usato davvero l’auto….. tempo ne aveva eccome…. Poteva andare fino al promontorio e gettarlo in mare dalla scogliera.”concluse Chloe
Le tre ragazze rimasero in silenzio. Involontariamente, quella era divenuta la pista più credibile e sicura, ma faceva perdere loro le speranze di trovare una soluzione. Se il corpo di Nathan era finito nel Pacifico, la loro ricerca era finita.
“Continueremo a cercare.”disse Max “Non accettiamo che lo abbia gettato in mare. Potrebbe non aver voluto rischiare troppo e deve averlo nascosto da qualche altra parte. Se non è alla fattoria, sarà altrove. Lo troveremo.”
Kristine sorrise
“Lo spero. Sinceramente, più per voi che per me stessa. Mio fratello è morto e, indipendentemente da come andrà il processo, il suo nome sarà sempre sinonimo di un criminale che ha ucciso la figlia degli Amber. Le modalità e i problemi non interessano alla gente. Ma se lo trovassimo, una piccola parte potrebbe capire che è stato in parte vittima e, soprattutto, per voi due significherebbe sbattere Jefferson definitivamente in galera per molti, molti anni. Anche per me, a dire il vero. Voglio quel bastardo manipolatore rinchiuso per sempre.”
Max annuì, mentre Chloe non disse nulla
“Un’altra cosa: appena sarà possibile, vorremmo cercare di nuovo in camera sua. Ma di giorno.”
“Quando volete, Max: casa Prescott è sempre aperta per voi. Mandatemi un messaggio quando avete intenzione di passare e vi farò trovare la porta aperta.”
Si salutarono e videro Kristine allontanarsi con la sua auto, in direzione opposta.
Con il caldo opprimente e il desiderio di tuffarsi in qualche ricordo, le due ragazze entrarono finalmente in casa.
 
 
Chloe prese un ampio respiro prima di girare la chiave e aprire lentamente la bianca porta d’ingresso. Il sole accompagnò come un ventaglio  l’apertura dell’ingresso.
“Casa dolce casa.”mormorò Chloe, varcando la soglia.
Ai lati della porta non vi erano più vetri, ma solo muro. Il portaombrelli e il vaso che Max aveva rischiato più volte di rompere, non c’erano più. Ora solo una scarpiera vuota malmessa. Sulla destra vi era la porta bianca che conduceva al garage e la scalinata in legno che portava al piano di sopra, con il bagno, la camera di Chloe e quella matrimoniale, oltre che due ripostigli e la soffitta.
Non badarono molto a quella, per ora, ma percorsero l’ingresso fino alla cucina e al salotto. Non vi era più la bacheca con le foto dei nonni di Chloe e nemmeno il tavolino che ospitava il telefono di casa. La cucina sembrava praticamente nuova: non dissimile da prima, ma con elettrodomestici nuovi ancora avvolti dalla plastica, sgabelli nuovi , credenze lasciate volutamente aperte per mostrare piatti e pentolame nuovi. Max aprì anche il cassetto delle posate ed era rifornito pure quello. Si lasciò andare ad un fischio ammirato: non avevano proprio badato a spese.
Chloe era già in zona soggiorno. Se si escludeva il caminetto, era totalmente diversa: tv simile ma di un modello più recente, un tavolo da pranzo rettangolare con quattro sedie e senza centrotavola, un divano con penisola grigio scuro e tavolinetto in metallo al centro, porte finestre nuove con infissi intonati alla candida parete, con tende azzurro chiaro, niente più moquette ma parquet. Libreria nuova e più ampia, il tavolino in legno di suo padre svanito. La porta del garage era semi aperta e si intravedeva la roba dei Price che si era salvata, accatastata sul vecchio tavolo da pranzo, trasportato vicino al banco da lavoro di David. Non volle attraversare quella zona, ma preferì uscire in giardino, seguita in silenzio da Max.
L’altalena non c’era più e nemmeno il piccolo barbecue di famiglia. La lapide di Bongo era ancora al suo posto, come i cespugli, ma il giardino era di per sé incolto e selvaggio e vuoto. Niente più memorie di infanzia o di famiglia.
“La nostra nave pirata deve essere salpata con il favore dei venti, eh?”disse
“Può essere. Non la notammo quando tornammo qui l’ultima volta. Eravamo troppo di fretta per dare attenzioni.”
Chloe annuì alle parole di Max: in effetti erano entrate, preso quello che volevano, uscite e non si erano mai voltate indietro. Si, avevano esplorato, ma non così a fondo da notare tutti i dettagli.
Fece dietrofront. Voleva vedere cosa era cambiato ancora nella parte di casa che le restava.
Salì al piano di sopra abbastanza in fretta, seguita a ruota da Max, che non disse una parola. Trovatasi dinnanzi alla porta della sua camera da letto, prese la decisone di non vederla subito. Esplorò la camera dei suoi genitori, di Joyce e William e poi David, notando però che la mensola con i libri era svanita, assieme ad ogni quadro appeso. La stanza matrimoniale era ampia, il letto ancora al suo posto, avvolto da un telo di plastica, lo scrittoio era svanito e l’armadio in legno sostituito con un modello più recente, così come la finestra. Quello a muro era aperto e vuoto, mentre la cassettiera sembrava segnata e graffiata, ma intera: mancava però la collana che aveva fatto per la festa della mamma da bambina. Sarà sicuramente andata distrutta e un po’ le dispiacque: non perché fosse un suo lavoro, ma perché era comunque un suo ricordo per sua madre.
Max si era intrufolata nel bagno, l’unica stanza rimasta identica in ogni cosa, perciò non vi era nulla di interessante da notare.
Con uno sguardo di intesa e un sorriso d’incoraggiamento da parte della sua fotografa preferita, Chloe non rimandò più e aprì l’uscio di camera sua.
Fu invasa da sensazioni miste.
Tutto il mobilio era coperto da pesanti teli di plastica semitrasparente. La scrivania, con la sedia e senza computer, il suo letto, il comò, il piccolo scrittoio blu della sua infanzia e la cassettiera malridotta fatta da suo padre. Tutto avvolto da una nebbia artificiale di plastica. Le finestre erano state sostituite, la bandiera americana appesa al contrario e falcidiata dai vetri, era sparita, gettata via assieme alla lampada vicino al suo armadio a muro. Alcuni dei suoi poster erano appoggiati a terra, in una pila in un angolo a destra dell’ingresso, assieme alla targa ‘Parental Advisory´. I suoi graffiti fatti con l’indelebile nero erano ancora visibili sulle pareti, ma senza nulla a dare vita a quella stanza parevano ridicoli e vuoti. Come prima cosa, tolse ogni involucro da tutto, gettandoli a terra e in un angolo. Poi, contemplata la sua opera di disfacimento dei mobili, sospirò
“Beh, non sembra più la mia camera, con o senza plastica.”
Max fece un giro intorno a se stessa, analizzando con i suoi occhi blu ogni angolo della camera di Chloe. Non seppe che dire, se non che forse aveva ragione la sua ragazza. Si sedette sul letto e fissò il mobile azzurro, unico tocco di nostalgia della vecchia anima della camera.
“Sono confusa. E’ come se vi fossero dei fantasmi, non dei ricordi. Manca lo spirito….”
“Manca il tuo tocco, Chloe.”concluse lei
“Già. Mi sento straniera in camera mia per la prima volta in vent’anni. Tutto è così singolare, cazzo.”
Si lasciò andare a peso morto sul letto, finendo prima seduta  e poi sdraiata sul suo vecchio materasso, accanto a Max. Sbuffò annoiata in direzione del soffitto e dentro di se desiderò ardentemente di poter fumare, ma il suo storico posacenere rosso dell’Oregon era andato, chissà dove.
“Non so nemmeno come mi sento. Prima qui era così pieno di ricordi ed emozioni. Anche brutte, per carità, ma era viva a suo modo. Erano i miei anni di vita, invece ora sembra un terreno neutro, con vaghe tracce di me.”borbottò
Max si sdraiò accanto a lei e cercò di tirarle su il morale. Indicò il vecchio mobile bluastro
“Quello è un ricordo tangibile. Ci mettemmo una giornata intera per dipingerlo e fu un disastro totale, soprattutto per i nostri vestiti. Mamma ancora mi ricorda come tornai a casa…..non penso me l’abbia mai davvero perdonata, soprattutto perché avevo anche i capelli blu.”
“Era un presagio allora!”commentò Chloe divertita “Forse, inconsciamente, mi hai ispirata tu!”
“Ma no! Non inconsciamente, non ti ricordi più? Prendemmo quella tinta semipermanente dopo che abbiamo dipinto proprio perché è in quel giorno, macchiandoci, che ti venne in mente di prendere il nome di Barbablù.”
“E’ vero! Quindi non è colpa di quella angosciante fiaba francese?”
“Nope. Quella l’abbiamo scoperta anni dopo. Poco prima che io….”
Si bloccò….
Avevano scoperto che il nomignolo di Chloe piratessa combaciava con quella cupa storia francese dell’assassino Barbablù lo stesso anno che  Max se ne era andata e William….
Chloe non si lasciò buttare giù  e indicò la cassettiera
“Altro ricordo: papà che me la costruisce e si fa male con il martello, colpendosi un dito. Per poco non se lo rompeva! Gli divenne però gonfio e violaceo per giorni. Solo che nell’immediato disse così tante parolacce che mamma si vide in obbligo di istituire il barattolo delle parolacce con la scusa di pagare il viaggio a Parigi.”
“Vero, me lo raccontasti… quel giorno non c’ero, ma venni quello dopo a darvi una mano a finire di decorarla e portarla dal garage fino in camera tua. Mi dicesti anche di scegliere un cassetto perché sarebbe stato mio cosi potevo lasciare dei vestiti qui da te.”
“Cosi sarebbe stato come se fossi sempre con me.”disse Chloe con dolcezza “Eri sempre qui, ma non quanto avrei voluto. Ma i tuoi non hanno accettato per paura di invadere troppo casa nostra.”
“Ma mi concessero di lasciare qui un pigiama di riserva se me lo fossi dimenticato.”
“E anche dei calzini, due paia di mutandine e una maglietta che non ti andava più.”contò Chloe sulle dita “Lo spazzolino no perché, per qualche strano motivo, avevamo deciso di usare lo stesso.”
“Che schifo!”disse Max ridendo
“Non lo dici quando mi baci, però. Eppure è quasi la stessa cosa.”
“No, credimi. Non lo è affatto. Usavo anche il tuo asciugamano da pirata dopo che facevo la doccia qui?”
“Oh, no! Non avevi il permesso, se non in rare occasioni. Avevi il tuo dei Teletubbies. Penso tu lo abbia usato fino ai dodici anni.”
“Si, anche dopo. Penso di averlo usato anche i primi tempi a Seattle. Ora è in qualche scatolone, assieme ad altri cimeli imbarazzanti.”
“Hey, io il telo pirata l’ho ancora!”
“Lo so, lo usi ogni tanto a casa. Ma quello è figo.”
“Ottima risposta.”
Per qualche istante rimasero in silenzio, poi Max indicò l’armadio a muro
“Lì è dove mi sono nascosta e ho scoperto che David era il tuo patrigno.”
“Lì è da dove sei uscita per salvarmi e prenderti una colpa che non avevi.”
“Lì è dove ci siamo date il primo bacio.”
Chloe si alzò sui gomiti e la guardò con sorpresa
“Quello non è il nostro primo bacio!”
“Ah no? Non ti ho mica baciata prima di quella mattina in cui mi sfidasti?”
“Appunto, era una sfida!”
“Per quello ti sei tirata indietro?”
Ora Max volse la testa verso Chloe, a fissarla negli occhi
“Non pensare male, Max.”disse Chloe, grattandosi la nuca “Mi avevi sorpreso, ecco….non sapevo come reagire…”
“Ma mi avevi sfidato!”
“Beh non pensavo lo facessi….”
“Ma volevi che lo facessi?”
“Cazzo, si.”
Silenzio. Si fissarono e si sorrisero per un istante
“Ma non è il nostro primo baciò.”incalzò Chloe
“Ok, e quando sarebbe?”
“Beh mentre andavamo a Seattle, in macchina. Dopo che siamo scappate da questo cumulo di macerie.”
“Vuoi che sia quello? Perché sono abbastanza sicura che, se davvero quella mattina volessi che ti baciassi, direi che…”
“Oh, non conta! Mi hai sorpresa e mi sono tirata indietro. Non è bello pensare che il nostro primo bacio si sia concluso con una mia fuga.”
“Però lo volevi.”
“Certo, ma non….così, ecco. Cioè volevo che mi baciassi, dico sul serio, ma in parte ero convinta che non lo avresti fatto….”
“Perché?”
Chloe si alzò in piedi
“Cambiamo discorso, ok?”
Non era arrabbiata, ma sembrava punta sul vivo. Max era curiosa ora, ma voleva che Chloe si mettesse a nudo con lei
“Perché?”ripeté
Chloe si voltò a guardarla
“Perché sei più cazzuta di quanto pensi.”
“Non è una risposta. Ritenta.”
Ma non la stava più ascoltando. Passeggiava per la camera, osservava fuori dalla finestra che per tante volte era stata la sua fedele via di fuga collaudata
“Sai Max, non so se riuscirei più a dormire in questa camera. Non vedo più ricordi ma fantasmi di una vita che non trovano più spazio. Troppo vuoto, troppo distante da ciò che sono.”
“Se il problema sono i ricordi, creiamone di nuovi allora.”disse con calma.
Chloe si voltò a fissarla incuriosita, al che Max insisté. Si alzò in piedi, spalancò le braccia e ripeté
“Creiamo nuovi ricordi per questa camera, Chloe! Rendiamola di nuovo stramaledettamente tua. Hai perso solo molti oggetti, ma i muri hanno le memorie, e i graffiti sono il segno della tua proprietà. Creiamo nuovi ricordi, ok?”
Le sorrise. Ogni tanto, Chloe tornava ad essere la bambina che sorrideva sempre e Max era riuscita a farla sbucare di nuovo con quelle parole
“Sono d’accordo, Maximus. Riempiamola di ricordi finché saremo qui!”
Fu felice di sentirlo dire. Le provocò un moto di dolcezza e una improvvisa forza che le portò a determinare una scelta che non pensa di prendere ora.
“Accetterò di vederlo.”disse di getto.
Chloe la fissò dubbiosa. Sembrava non aver capito
“Accetterò di vedere Jefferson.”spiegò Max, con fermezza
Ora aveva recepito e il viso non era più spensierato, ma divenne una maschera di preoccupazione
“Stai scherzando? Non puoi dirlo sul serio.”
“No, non scherzo. Devo andare da lui.”
Si precipitò su di lei, afferrandola per le spalle e facendosi sempre più agitata
“Perché dovresti dare il contentino a quello psicopatico? Che diamine ti prende, Max? Non puoi vederlo, ti ferirà!”
“Lo so, ma devo affrontarlo. Voglio chiudere questa storia. Ho bisogno di confrontarmi con le mie paure così come tu stai affrontando tante cose tornando qui. Non potrà farmi nulla, se non abbaiare fino alla fine della sua catena. Rimarrà dove è, che potessimo trovare il cadavere di Nathan oppure no. Voglio dimostrare a lui che non mi ha spezzata e non mi può spezzare.”
Chloe lasciò andare le spalle di Max e sospirò, mettendosi a sedere di nuovo sul letto e osservando le sue scarpe. Poteva immaginare cosa pensasse, ma non voleva allarmarla. Max s’inginocchiò davanti a lei e, appoggiandosi alle sue gambe, le prese il viso tra le mani
“Non preoccuparti per me, ok? Me la caverò. Non pensare che sia un tuo fallimento che io abbia scelto di affrontarlo, tu mi hai protetta molte volte, ma questa cosa non può essere schivata. Forse, evitandola, farei un errore gigantesco.  Non lo so, ma sento che devo farlo.”
“Cazzo, sei incredibile tu. Come te ne esci con certe cose? Prima, per poco, non ti fai venire un attacco di panico davanti a David e ora mi affermi con tutta questa energia che andrai da quel maniaco. Sei veramente strana, a volte.”
“Solo a volte?”
Ridacchiarono, scaricando la tensione per un istante. Poi, presa da una illuminazione improvvisa, Chloe esclamò
“Sai cosa c’è? Ora andiamo a Tillamook e compriamo qualcosa per ridare vita a questa camera. Hai ragione tu, dovremmo creare nuovi ricordi, così posso riappropriarmi della mia stanza!”
Max si alzò in piedi e osservò la stanza
“Di sicuro un paio di lenzuola nuove per il letto. Ma anche una piantina per la tua scrivania.”
“Scordatelo! Sai che non ho il pollice verde!”
“Ma farebbe ambiente!”
“Ok, ok. Come vuoi, capo!”
“Prima però, meglio che faccia una chiamata.”suggerì Max, prendendo il cellulare.
Dopo non molti squilli, Erika ripose prontamente
“Max! Che piacere sentirti, come stai? Come mai questa chiamata?”
“Tutto bene, grazie. Sono qui con Chloe e ti saluta anche lei. Senti, avrei bisogno di parlarti di una cosa. So che non ti piacerà.”
“Hey mettimi in vivavoce!”strillò Chloe
Max annuì e ubbidì
“Beh sono tutta orecchi, Max. Dimmi pure.”
“Mark Jefferson ha chiesto di incontrarmi. Il suo avvocato vuole una risposta entro sera.”
Silenzio. Per qualche istante, Erika tacque. Poi si sentì un rumore debole, come un sospiro, e la voce uscire dall’altoparlante del telefono cellulare
“Max….è una pessima idea. Faresti meglio a non andare.”
Chloe la fissò raggiante sillabando ‘te – lo – avevo -  detto’ con la bocca. Max non demorse
“Lo so, ma vorrei andare.  So che è una cosa controproducente ma…”
“Se lei va, io la accompagno!”s’intromise Chloe
“Cosa? No! Erika non dare retta a lei e…”
“Come pensi di arrivarci, eh? Siamo a Bay City, mica hanno un carcere qui e…”
“Come sarebbe a dire che siete a Bay City? Siete tornate ad Arcadia!”strillò Erika sconvolta
“Ups….forse ci siamo dimenticate di avvertire qualcuno…”sussurrò Chloe
“Si…ehm perdonaci Erika….avremmo dovuto avvisare te e Luke della nostra…”
“Non è avvisare noi! Ma ragazze quel posto vi ha segnate e non credo che il vostro terapeuta vi abbia consigliato di tornarci!”
Chloe si avvicinò all’orecchio di Max e le sussurrò ‘Ma ci spiano per caso?’
Inoltre” continuò Erika “ci sono i media che non aspettano altro che trovarvi e sbattervi su ogni…”
“Già successo. Pensavo avessi visto i notiziari…”disse Chloe “ma siamo dovute tornare: mia madre è uscita dal coma. Dovevo vederla, Erika. Credevo che non le avrei mai più parlato…”
Erika sospirò. Sembrava rassegnata
“Max, non voglio che tu vada da Jefferson.”
“Ti ho chiamata perché ho deciso di andare. E’ una follia ma sento il dovere di farlo. Devo affrontarlo. Voglio vedere in faccia quel bastardo e dimostrargli che non ho paura.”
“E io andrò con lei. Queste sono le nostre condizioni, o non accetteremo l’incontro.”subentrò Chloe “Devo esserci anche io a quell’incontro.”
Max fece per protestare, ma Chloe le mise un dito sulle labbra e la fissò decisa. Non accettava repliche.
Altro sospiro di Erika.
“Contatterò l’avvocato di Jefferson e ne discuterò con lui, ma per prima cosa dovrò fargli il culo per non aver prima parlato con me e Luke. Non esiste che vi abbia contattato direttamente senza nostro consenso!”
“Non ha contattato noi, ma David Madsen.”
“Chi? Il patrigno di Chloe? Perché?”
“Non lo sappiamo. Penso che, essendo l’uomo che lo ha arrestato, abbia voluto vendicarsi rendendolo messaggero di questa notizia.” propose Max. Le era venuto in mente solo ora quella motivazione e, in effetti, sembrava convincente. Altrimenti, perché proprio David?
“Perciò, per favore, vorremmo usare come tramite ancora il mio patrigno, Erika. Non prendertela a male, ma non vogliamo trascinarvi più del necessario. Lui si è reso disponibile perciò continueremo a mediare con lui, così penserà che esiste una sorta di rapporto di fiducia tra di noi.” propose Chloe.
Max ammise che era una ottima mossa. Illudere Jefferson che fossero partecipi del suo gioco, anche se si fosse presentata Chloe, avrebbe dato loro una sorta di piccolo vantaggio. Dovevano manipolare un manipolatore. Scovare qualche crepa e approfittarne per metterlo in fallo.
“Va bene, va bene. Ma dovremmo concordare una data che stia bene anche per me e Luke. Parlerò con quel simpaticone dell’avvocato di Jefferson e metteremo giù le basi per l’incontro. Poi lo farò radiare a vita, questo scellerato.”
Chloe rise, mentre Max ringraziava e chiudeva la conversazione, non senza prima aver accordato anche di non dire nulla ai suoi genitori. Non voleva che suo padre e sua madre vivessero nell’angoscia sapendo di questa evoluzione nella loro innocua trasferta in Oregon.
“Shopping riparatore?”propose Max
“Ovvio. Voglio dare un po’ di vita a sta camera. Magari prendo qualcosa anche per camera di mamma. Almeno quando torna, avrà una sorpresa di benvenuto!”
Senza indugiare oltre, abbandonarono la camera e la casa dei Price, dirette al centro commerciale di Tillamook.
Rimasero via quasi tutto il pomeriggio. Presero delle tende nuove, non troppo costose, per camera di Chloe e quella di sua madre e David (manco a dirlo, le tende di Chloe erano blu), una piantina per la gioia di Max, che avrebbe preso posto sulla scrivania momentaneamente vuota sotto la finestra, un copriletto e delle lenzuola orribili per lei e alcune più carine per camera di sua madre. Il motivo di questo acquisto era che, nel giorno in cui fosse tornata a casa, sua madre avrebbe trovato almeno delle lenzuola nuove ad accoglierla, oltre che una nuova lampada (non appena sarebbe tornata la corrente), uno specchio nuovo e una foto di Max e Chloe, scattata dentro una cabina fotografica. Altri oggetti per abbellire momentaneamente la camera di Chloe furono un paio di poster naturalistici, una lampada piccola ma carina con una tartaruga di plastica come base, una nuova bandiera, ma questa volta della pace e, per finire, consumarono due gelati giganteschi prima di rimettersi in marcia verso la villetta dei Price.
Appena parcheggiarono nel vialetto, con il sole che andava indebolendosi, Max ricevette una chiamata. Era David. Lo mise subito in viva voce
“Hey. Tutto bene? Joyce?”
“Tutto ok, Max. Anche Joyce sta bene. Ma sai già perché ti ho chiamata, vero?”
“Si, immagino di si.”
“Benissimo. Allora, la risposta è che accetterà di vedere te con Chloe ma sottolinea che non devono essere presenti altri. Nemmeno gli avvocati. Solo voi due e lui. Vi va bene?”
Chloe annuì
“Si, mi sta bene.”
“Ottimo. Sapete dove è il carcere in cui è detenuto?”
Non lo sapevano e David spiegò che era, momentaneamente, al South Fork Forest Camp, nella contea di Tillamook. Era un carcere piccolo, massimo duecento detenuti, in mezzo alla foresta della contea di Tillamook, non proprio un carcere di massima sicurezza, insomma.
“Perché in quel posto? Dovrebbe stare in un carcere più sicuro e più duro!” si lamentò Chloe
“Tecnicamente, non è ancora colpevole ed è accusato di aver occultato il cadavere di Rachel Amber e fatto delle fotografie a delle studentesse drogate da Nathan Prescott. Ufficialmente, non è ritenuto pericoloso, oltre che non del tutto colpevole dei crimini commessi. Dopo il processo potrebbe finire a Portland, al Columbia River, che rimane un carcere modesto.”
“Che schifo.”commentò Chloe
“Per arrivarci, è abbastanza semplice in verità” continuò David, ignorando Chloe “Dovete prendere la OR-6 E, proseguire per circa una trentina di miglia e siete arrivate.”
“Sembra facile.”commentò Max
“Quella è la sola parte facile, tesoro.”suggerì Chloe “La merda sarà quando saremo dentro.”
“Liguaggio…. Va beh, lasciamo perdere. Vi mando un messaggio appena so qualcosa sulla data.”rispose David
“D’accordo. Grazie ancora.”
Non dissero più nulla. S’incamminarono dentro casa, sistemarono i loro acquisti nella maniera migliore. S’accorsero che non avevano preso l’acqua per la piantina e che non era ancora stata ripristinata l’acqua corrente in casa, perciò si ripromisero di tornare il prima possibile con una bottiglia da due litri per non lasciarla morire. Appesero i poster e, mentre rifacevano il letto di Chloe, un messaggio sul telefono di Max attirò la loro attenzione. La ragazza lo lesse velocemente.
“E’ di David. L’incontro potrebbe tenersi già domattina….”
Chloe incrociò la braccia ed emise un mugugno ma non aggiunse altro.
Max digitò un semplice ‘ok’.
 
 
 
 
 
 

9.
 
 
Non riusciva a prendere sonno. Scostò le lenzuola, nonostante il condizionatore, sentiva caldo. Ovviamente, la sua agitazione era dovuta all’incontro che si sarebbe tenuto l’indomani mattina.
Non capiva perché. Si sentiva così serena fino a poco fa. A cena, lei e Chloe avevano riso tutto il tempo, facendo voltare mezzo ristorante dell’albergo. Era spensierata e Jefferson non aveva afferrato la sua mente con i suoi viscidi tentacoli.
Ma ora, sentiva una ansia crescente. Una agitazione che non aveva avvertito da quella mattina.
Chloe dormiva beata, russando leggermente con la bocca semiaperta. Sorrise e si compiacque di non averla svegliata. Si mise addosso una maglietta e degli shorts, le ciabatte dell’albergo, prese la chiave elettronica e uscì.
Aveva letto che il bar dell’albergo rimaneva aperto fino all’una. Erano le undici passate, perciò avrebbe usato un trucco per cercare di dormire.
Entrata nella sala ristorante, buia e con i tavoli già pronti per la colazione, virò a destra verso la sola zona illuminata, al bar. Salutò il barista, un uomo sulla quarantina circa, almeno così dedusse dai capelli radi di color sale e pepe, e ordinò un bourbon con ghiaccio. Non amava gli alcolici prima del ritorno nella sua vita di Chloe ma, dopo un anno di scuola, aveva iniziato ad apprezzare qualcosa. Il bourbon era una anomalia, poiché Chloe non lo amava ma lei aveva imparato ad apprezzarlo quando Fernando si era fatto mandare una bottiglia da un zio del Kentucky, patria di quel liquore.  Ne beveva pochissimo, ma quando lo faceva, si sentiva alticcia subito e il sonno giungeva rapidissimo. Se nemmeno questo avrebbe scacciato Jefferson, poteva ufficialmente iniziare a preoccuparsi.
Appena vide il suo bicchiere pieno di ghiaccio e liquido ambrato, ringraziò il barista e bevette il primo sorso. Sentì subito il calore nell’esofago e il sapore di legno invaderle le papille gustative. Max Caulfield che beveva bourbon… un anno fa lo avrebbe mai detto? Assolutamente no.
“Buonasera signorina.”
Una voce maschile la sorprese alle spalle. Era calda e decisa. Comparve un uomo, sulla trentina o forse poco più, che si sedette alla sua sinistra e la fissava sorridendo
“Buonanotte signore.”rispose, senza dare peso e concentrandosi sul secondo sorso di bourbon.
“Una vera intenditrice, non si direbbe. Sembri così innocente…”
“Sembro, esatto.”
“Posso offrirti un secondo giro?”
Max sbuffò. Voleva dire che lei NON pagava nulla al bar dell’hotel, essendo detentrice della magica chiave del piano Prescott e…voilà: prego signorina, a lei. Offre la casa, naturalmente.
Per quello mise ancora in più in evidenza la chiave elettronica, ma il tizio sembrò non cogliere l’importanza di quell’oggettino di plastica
“Ovviamente, ti farei compagnia.”
“Se avessi voluto compagnia, sarei venuta qui con altra gente. Non ti pare?”
“Giusto, ma si può sempre trovare una ottima compagnia quando non la si cerca.”
Max sbuffò. Finì il resto del bourbon e ne chiese un secondo. L’uomo cercò di offrirlo lui, ma si impuntò con foga lasciandolo sorpreso. Appena il secondo bicchiere fu depositato, l’uomo chiese un gin tonic.
“Mi chiamo Alfred, a proposito.
“Fico, come il maggiordomo di Batman.”
“Come?”
“Niente.”
“Non mi sembri molto propensa al dialogo, o sbaglio?”
“Non sono molto propensa al dialogo con sconosciuti quando voglio solo stare da sola.”
L’uomo, il suddetto Alfred, sembrò non accusare il colpo. Sorrise sornione e ritentò l’aggancio, mentre Max era intenta a bere un po’ del suo secondo bicchiere.
“Beh ma io non sono uno sconosciuto, mi sono presentato. Magari cambi idea sul stare sola.”
“Se avessi voluto compagnia, avrei svegliato la mia ragazza ma mi dispiaceva dato che stava dormendo così bene e non volevo disturbarla.”
“Ragazza?”
“Esatto. Se vuoi te la presento: la sveglio e la porto di sotto. Ma ti avverto: appena capisce che ci stai provando con me, probabilmente ti farà saltare tutti i denti. Lei non è diplomatica come me nel dare due di picche.”
Alfred, ora, sembrava aver capito l’antifona. Prese il suo cocktail e se ne andò. Notò che il barista ridacchiava sotto i baffi e questo le fece allargare le labbra in un sorrisetto compiaciuto. L’influenza di Chloe si faceva sempre più pesante.
Terminato anche il secondo, prese la via del ritorno per il letto. Si sentiva leggera e le palpebre un poco calanti, concludendo che  forse aveva trovato il metodo perfetto anche se non molto salutare, per combattere la sua ansia.
Aprì la porta della stanza, accolta dalla frescura del condizionatore e dal buio totale. Si tolse le ciabatte e si avvicinò al letto, mentre si spogliava.
“Dove sei stata?”
Ora che la sua vista si era adattata al buio, vedeva la figura di Chloe emergere nel buio, che si reggeva sul gomito e la testa piantata su di lei.
Non rispose subito. Tolse gli shorts, ultimo indumento che aveva, si infilò sotto le lenzuola, la baciò e avvolse il suo corpo contro il suo, adagiando la testa sulla spalla di Chloe e portandola di nuovo sdraiata, tra le lenzuola.
Sentiva la canotta rossa da basket grattarle parte della sua pelle nuda, ma non ci badò. Si beò dell’odore di Chloe e del suono del suo battito cardiaco.
“Hai bevuto, eh?”chiese tradendo un sorrisetto
“Non riuscivo a dormire. Ho rimediato con del bourbon.”
“Bleah.”
Sorrise, ma il suo sorriso si perse nell’oscurità e nel collo di lei.
“Non hai risposto alla mia domanda, oggi.”
“Quale domanda, Max?”
“Perché eri convinta che non ti avrei baciata?”
Chloe sembrò agitarsi. Sentì le sue gambe strisciare e avvinghiarsi tra le sue, le braccia scivolarle dietro la schiena e stringerla a sé
“Non sapevo se ti fossi resa conto che…. beh che mi stavo innamorando. Non lo so, è stato tutto assurdo. Ero in angoscia per Rachel, ancora provavo qualcosa per lei. Poi arrivi tu, mi sento così bene nell’averti di nuovo nella mia vita e….inizio a guardarti con occhi diversi. Eri la mia migliore amica ma ora….ora mi stavo innamorando? No, era come se fosse tutto cosi…”
“Naturale.”concluse per lei “Si, lo so.”
“Anche tu hai provato la stessa cosa?”
“Si e no. Cioè se ho capito che intendi, si. Era bello rivederti, era ancora più bello averti di nuovo nella mia vita ma….sai non capivo perché ora fossi per me più di…più di ciò che sei sempre stata. Pensavo fosse solo il senso di colpa che avevo per averti lasciata sola cinque anni…”
“Max io volevo che mi baciassi ma come potevo saperlo che lo volevi anche tu? E poi sarebbe sembrato cosi strano…non sapevo cosa provassi, non sapevo ancora se ero sicura di quello che provassi io. Inoltre non ci siamo viste per anni e….non so avevo paura che mi avresti respinta.”
“Volevo baciarti, ma non quella mattina. Quando me lo hai chiesto è stato così immediato, così semplice che non mi è sembrato strano farlo. Anzi, era come se volessi farlo da tanto.”
“Da almeno la sera prima. In piscina.”
Max attirò a sé Chloe.
“Forse. Penso che sia quello il momento in cui ho capito di essermi innamorata di te. Quella sera tra noi è stata così magica, non so come definirla. Per te? Quando è stato che hai iniziato a capirlo?”
“Forse la sera prima anche io. Non so se è stato quello il momento in cui l’ho realizzato o dopo che mi hai baciata. Diciamo che ci siamo innamorate più o meno nello stesso momento l’una dell’altra, eh?”
“No, no. Ho detto che ho realizzato di essere innamorata di te ma….non il momento in cui ho iniziato ad amarti. Quello penso sia successo molto prima.”
“Addirittura! Credi proprio all’idea di mio padre, eh?”
“Non credo solamente ma penso che avesse ragione. Chloe, non ho mai avuto nessuno, te l’ho detto. Ho sempre pensato a te, anche se non avevo il coraggio di scriverti. Sono uscita con un paio di ragazzi ma era come se uscissi con degli amici. Non avevo interesse per loro. Per nessuno a dire il vero. Volevo dare il mio primo bacio, scoprire il sesso, ma non scattava mai niente. Ero anche attratta da molti uomini ma….era come se mi sentissi già per qualche altra persona.”
Chloe le baciò la fronte
“Ti capisco. Non smettevo di pensarti. Ogni cosa che facevo era per te, ogni pensiero era per te. Sognavo che fossi li con me per raccontarti ogni cosa che stavo scoprendo, in preda alla mia rabbia e alle mie cazzate da ribelle. Ma non c’eri. Ti odiavo ma ti rivolevo. Eri la sola persona che rivolevo ad ogni costo. Rachel ha mitigato molto la tua assenza, non posso negarlo, ma pensavo ancora a te. Al fatto che ti saresti divertita con noi e come saresti stata bene nelle nostre folli giornate. Ma forse, con te accanto, non avrei avuto bisogno di Rachel. So solo che, innamorandomi di lei ho capito di amare te quando sei tornata. Cazzo era così semplice dirlo, che non ho mai capito perché in cinque anni non l’abbia realizzato da sola.”
“Allora perché quello non è il nostro primo bacio?”
“Perché volevo che fosse bello, unico, chiesto. Non una scommessa per vedere se ci stavi con me o no, se mi ero fatta dei fottuti film mentali su di te e su quello che provavi o se ero io, di nuovo, ad essermi illusa ed amare una persona a senso unico. Quella notte in piscina ti ho guardata e mi sono sorpresa nel farlo.  Ti ho guardata spogliarti, ti ho guardata con i capelli pieni di cloro e cazzo se mi sentivo una tredicenne con una cotta mostruosa.”
“Ed ecco perché mi hai punzecchiata tutto il tempo fino a sfidarmi sul baciarti. Lo avrei fatto già in piscina, Chloe.“
“L’avessi fatto, non sarei saltata via sorpresa. Non in quel momento.”
“Quindi il primo bacio…”
“Sulla strada per Seattle! Non cambierò mai idea, scordatelo.”
Max rise
“D’accordo, affare fatto. Undici Ottobre: primo bacio e nostro anniversario.”
“Ohi ohi ohi frena filibustiere: anniversario???”
“Beh non dovremmo averne uno? Non ho mai avuto una storia e sembra carina come cosa, no?”
“Mmmh non è nel mio stile, sappilo.”
Max si mise a sedere
“Dai. Ti prego!”
“Ma perché? Non abbiamo bisogno di una data, Max. Non abbiamo mai nemmeno affrontato il discorso se fossimo una coppia o no. Ci siamo prese e stop e mi sembra che ci piaccia tutto questo.”
“Ovvio che mi piace, ma volevo qualcosa che mi ricordasse che la mia migliore amica è diventata anche la mia ragazza.”
“Beh mi vedi tutti i giorni, ormai. Non ti basta come promemoria?”
“Certo ma….. sembra carino avere una data per noi…”
Chloe si mise a sedere anche lei
“Cazzo, sta ansia per Jefferson ti fa fare tutti i discorsi impegnati a quest’ora? Ok, ok ma non l’undici Ottobre: porta sfiga.”
Max rise
“Si, lo so che è successo un po’ di tutto quel giorno, però era bello sapere che in un momento così orrendo per noi possa essere iniziato qualcosa di bello. Altrimenti tu che suggerisci?”
Chloe si rilassò di nuovo, sdraiandosi e incrociando le braccia dietro la testa. Rimuginò un poco prima di dire
“Il giorno dopo? Felici e al sicuro a Seattle? Oppure Lunedì quattordici, quando abbiamo fatto un giro per la città e mi ha baciata di tua spontanea volontà al parco?”
Max sorrise.
Ricordò quella giornata. Erano stanche, stressate e ancora non del tutto tranquille. David aveva contattato Chloe. Non aveva voluto dirle nulla su Joyce, non l’aveva nemmeno nominata, quindi non sapeva che era sopravissuta e ancora, dentro di sé, era sicura di essere orfana. Aveva ancora attimi di terrore e non dormiva che una manciata di ore, ma cercava di essere spensierata, soprattutto per non angustiare i coniugi Caulfield.  Poi era arrivato e aveva aggiornato Chloe su tutto quello che sapeva allora. Per questo, quel Lunedì, Max aveva proposto di farsi un giro per Seattle, facendole spendere una giornata fuori da casa a distrarsi e, soprattutto, mostrarle luoghi in cui negli ultimi cinque anni aveva cercato di essere felice, pensando che Chloe avrebbe potuto apprezzarli quanto lei.
Prima di tornare a casa, senza un motivo, aveva baciato Chloe sotto un albero, mentre si rilassavano. Lei aveva risposto prima sorpresa (non prendeva quasi mai l’iniziativa, nemmeno ora a distanza di mesi, cosa che Chloe sottolineava spesso), poi con entusiasmo a quel bacio. Era servito ritrovarsi in intimità dopo quel week end in casa, a riprendersi e a sfogare i propri nervi tra televisione, brusche pennichelle e distrazioni fornite da Ryan e Vanessa.
“E’ una bella proposta, ma l’undici rimane il mio favorito. E’ il giorno in cui ho scelto te, in cui ho capito che avrei sempre scelto te. Anche di fronte a una catastrofe, non potevo che scegliere Chloe Price.”
La sua vista si era abituata al buio abbastanza per capire che Chloe stava sorridendo, ma finse di sbuffare irritata
“Ok, capo. Vada per l’undici Ottobre. Ma niente regalini o cose sdolcinate, ok?”
Scivolò di nuovo accanto a lei, beandosi del suo abbraccio e facendosi cullare dal battito di lei e dal suo respiro.
“Se me lo avessi chiesto, ti avrei baciata anche in piscina.”
“Se non avessi avuto paura, non sarei saltata via dopo che mi avevi baciata in camera mia.”
“Siamo due dementi, vero?”
“No. Siamo due amiche che hanno scoperto di volere qualcosa di più e non volevamo farci del male. Penso sia l’unico momento di sana natura umana normale che abbiamo vissuto in quella settimana del cazzo.  Cristo, era troppo chiedere un normalissimo teen drama?”
Max rise. Finalmente sentì che poteva rilassarsi e il sonno iniziava a bussare negli angoli della sua mente
“Non avere paura per domani: ci sarò io con te.”le sussurrò Chloe
“E tu non perdere la testa e non colpirlo in faccia.”
“Cazzo, allora che senso ha che venga anche io , adesso?”scherzò
“Tienimi per mano, se vorrò scappare.”
“Hai troppe palle per scappare, Max. Ti terrò la mano solo per dimostrare a quel mostro che non ci ha sconfitte.”
Sorrise.
Il battito del cuore e il profumo di Chloe erano una ninna nanna perfetta e scivolare nell’oblio del sonno  con lei era più dolce di qualsiasi bicchiere di bourbon.
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
10.
 
 
Il South Fork Forest Camp, in Oregon, è un penitenziario di minima sicurezza. I detenuti, circa duecento uomini, erano tenuti a sbrigare lavori utili a sostegno della flora locale, quale mantenimento e pulizia della foresta che circondava il penitenziario, come supporto anche al copro forestale.
Ufficialmente, non si accettano detenuti con disturbi mentali, stupratori, molestatori di animali, con precedenti violenti e piromani.
Eppure, per questa volta, avevano fatto una eccezionale concessione per l’ultimo ospite.
Mark Jefferson era destinato al Columbia River Correctional Institution ma, grazie all’abilità del suo avvocato e la pressione che riuscì a suscitare con i media, fu reindirizzato al South Fork. Humphrey McKinsey, l’avvocato di Jefferson, era un uomo sulla sessantina, famoso per essere un feroce animale del foro, estremamente combattivo e poco propenso a patteggiare. Prendendo la difesa dell’ex insegnante della Blackwell, era sicuro di mettere in cassaforte la sua pensione, con un ultimo colpo di coda eccezionale. Aveva fiutato che, far uscire indenne quell’uomo, poteva essere la conclusione degna di una carriera fatta di molti successi e poche sconfitte. Aver già ottenuto la sua detenzione momentanea nel South Fork era un primo, grandioso passo  verso quella vittoria. Aveva usato tutta la sua arte oratoria e il suo fascino verso i media, benché non fosse di così di bell’aspetto data l’età, i radi capelli bianchi, la pancia che iniziava a farsi notare e la bassa statura. La sua leva sulle ‘attuali condizioni speciali che si sono abbattute sulla costa nella contea di Tillamook’ rendevano difficoltose le indagini e non andava incolpato il suo cliente, prima di un regolare processo.
Certo, era presente sulla scena del crimine, arrestato con molte prove, o meglio indizi, che potevano incastrarlo ma la sua dichiarazione reggeva: era li perché temeva che Nathan Prescott, clinicamente instabile e pericoloso, avesse intenzione di portare una sua compagna di classe, una certa Victoria Chase con cui pareva essere molto intimo, e voleva solo tentare di fermarlo e convincerlo a smettere in quella attività criminosa, dopo il suicidio di Kate Marsh e la morte di Rachel Amber.
Certo, certo. Ma i guanti? Convincerlo con i guanti?
Beh, era un professore e un fotografo stimato, non poteva certo esporsi troppo. Aveva accettato di aiutare quel povero ragazzo sventurato, bisognoso di cure e di una figura paterna in ugual misura, ma doveva anche tutelarsi se le cose fossero andate storte. Lasciare migliaia di impronte digitali era rischioso se fosse stata scoperta quella stanza sotterranea.
Non poteva permetterlo!
Certo, ma convincerlo con un carrello di droghe pronte all’uso?
Ma non è mica colpa di Jefferson! Mark non ha comprato quelle droghe ma il giovane Prescott. Inoltre, Nathan non era stato visto per ore, poteva benissimo essere andato nella stanza sotterranea a preparare tutto per la sera, quando sarebbe arrivato accompagnato dalla Chase.
Un ragazzo gracile come Nathan come poteva, da solo, trasportare a peso morto tutte le vittime in quel posto? C’era una porta pesante, una scalinata, una porta da aprire.
Non è mica difficile! Basta lasciare la vittima incosciente sul mezzo o adagiarla a terra, aprire tutto, prendere il corpo e trasportarlo di sotto. Ovviamente ripulirlo per le foto, poi fare tutto al contrario prima di lasciare la stanza.
Perché non denunciare, se sapeva? Perché fare da complice?
Sciocchezze! Complice! Sappiamo che il signor Jefferson ha commesso il fatale errore di coprire la morte della signorina Amber. Sul resto, non ci sono prove inconfutabili della presenza del signor Jefferson sulla scena. Inoltre, non sottovalutiamo i Prescott. Controllavano Arcadia Bay, erano loro i fautori dell’arrivo di Mark nella scuola. Egli doveva molto a loro, per quel posto di prestigio. Nondimeno, l’influenza di quella famiglia sulla scuola  e sulla città intera, era una costante minaccia: potevano rovinare la carriera di Jefferson in qualsiasi momento. Magari è vero, come dichiara Sean Prescott, che erano all’oscuro delle attività del figlio, ma è anche possibile che lo sapessero e usassero Mark come copertura per il figlio, pronti a screditarlo e rovinare una luminosa carriera nel mondo della fotografia. Basta uno scandalo, anche piccolo, creato ad arte. Se tenevano in mano una città, ci voleva poco per pagare qualcuno che lo mettesse in scacco.
Oppure, semplicemente, la nota assenza della famiglia dalle faccende del figlio, malato e abbandonato come scomodo e indesiderato, ha attratto il buon cuore di un uomo abituato a relazionarsi con adolescenti e a riconoscere casi particolarmente difficili. La scuola ne era a conoscenza ma nessuno ha mosso un dito, solo Mark Jefferson. Dobbiamo, dunque, dubitare di un uomo che ha voluto aiutare? Signori miei, incarceriamo ogni americano onesto da domani, allora!
Inutile dire che gli effetti erano stati, a dir poco, dirompenti ed immediati.
Opinione pubblica spaccata a metà, molte delle (presunte) vittime che rifiutavano di parlare o negavano addirittura. Due ex di Jefferson che, invece, lo attaccavano dimostrando che più di una volta avesse mostrato un lato oscuro e freddo, specie nell’intimità o che le fotografa mentre dormivano, tacciate come becere femministe dal web. Un cazzo di successo!
Ma lui sapeva.
Anche se ostentava supporto e sicurezza alla sua innocenza, lui sapeva che era colpevole. Aveva freddo ogni volta che incrociava i suoi occhi. Sentiva, tra le pieghe delle sue bugie, la verità che lottava per uscire.
Durante una seduta, senza telecamere e registratori e testimoni, lo aveva fissato dritto in quei bui e distanti occhi e gli chiese direttamente
“Mark…sei tu il vero colpevole di tutto, vero?”
Non aveva risposto. Aveva sorriso. Malizioso, seducente, senza emozioni se non freddo compiacimento.
Un semplice sorriso che non lasciava tracce scritte ne orali ne prove. Ma confermava.
Quello era un mostro.
Ma doveva chiudere la sua carriera e andare a bagnarsi le palle in Costa Rica per festeggiare la sua meritata pensione. Non gli importava di come ne sarebbe uscito lui o la sua reputazione: non sarebbe stato un ultimo caso a oscurare quarant’anni di carriera e tantomeno non gli importava che fine avrebbe fatto quel viscido figlio di puttana.
Comunque, doveva recitare la sua parte, come molte volte già in passato, e lavorato sodo su quel fronte. Portarlo al South Fork, forte delle poche prove di colpevolezza a suo carico era, come già detto, una prima fondamentale azione verso la vittoria processuale. Non era ritenuto pericoloso, perciò era in un carcere di minima sicurezza. Potevano condannare un detenuto ritenuto poco pericoloso per la società? Assolutamente no.
Era giusto buttarlo in mezzo ai peggio criminali del Columbia River Correctional? No, certo che no. Lo avrebbero massacrato e la sua immagine al processo ne sarebbe uscita distrutta, un uomo segnato e quindi non presentabile come innocente. No, no. Doveva stare in un ambiente sicuro. Meritava di pagare per occultamento di cadavere e per non aver mai detto che fine avesse fatto la figlia del Procuratore Amber? Cazzo si! Ma occultare non è uccidere. Aveva sbagliato a tutelare così tanto quel Nathan Prescott? Ovvio, ma non doveva pagare troppo per il suo buon cuore.
Che schifo.
Ma non era tutto.
Era un osservato speciale, un detenuto speciale in un carcere normale. Acconsentì ad esentarlo dai lavori socialmente utili e limitare la sua socialità con il resto dei carcerati. Acconsentì anche a lasciarlo in un parziale isolamento fino al suo processo ma, in cambio, regole speciali per lui: orario di visite libero e permesso di contattare il suo avvocato in ogni momento.
Tutto accordato.
Ma questo, chissà perché, ora sembrava essersi ritorto contro.
Il caso conclusivo della sua vita di avvocato ora rischiava di diventare il più celebre degli ultimi dieci anni e lo avrebbero messo sotto i riflettori come mai prima d’ora. Se avesse sbagliato, tutti gli anni precedenti e la sua carriera sarebbero sfumati. Aveva fatto un all-in sicuro, ma non aveva aspettato l’ultima mano.
Pessima, pessima mossa per un avvocato. Aveva premuto troppo sull’acceleratore e ora il caso si stava gonfiando sempre di più. I venti erano sempre a suo favore, l’accusa si arrabattava ma non aveva niente di solido in mano. Eppure….
La richiesta di incontrare Maxine Caulfield non lo convinceva. Era un arma a doppio taglio, pericolosa e poco furba. Aveva insistito perché, se la ragazza avesse accettato, di non dire nulla di sconveniente, di non farsi registrare, di non far portare avvocati o testimoni.
Pregò ogni dio esistente perché la ragazza rifiutasse. Sapeva di essere una vittima prescelta, sapeva che Jefferson era in agguato per lei. Lo aveva intuito, leggendo la sua deposizione. La ragazza dolce e insicura che gli aveva descritto Mark non era una sprovveduta e aveva fiutato il predatore come una cerva nella foresta.
Poi lo aveva incastrato, lo aveva beccato. Lei e la figlia del tizio che lo aveva arrestato, quel David Madsen. Si era fatto fottere da una liceale, una punk lesbica e un cazzo di veterano pazzo che doveva sorvegliare che i ragazzi non si facessero troppe canne nei bagni. Come poteva essere davvero colpevole? Come poteva essere quel mostro geniale e manipolatore se si era fatto beccare da un trio cosi strano?
Cosa aveva sbagliato?
Per quello, la richiesta di voler incontrare la ragazza lo aveva turbato. Forse voleva capirlo anche lui, forse voleva indagare per difendersi. Furbo, in tal caso.
Infatti, ancora non capiva come quelle ragazze avessero scoperto il cadavere di Rachel Amber e la stanza oscura del duo malefico di Arcadia. Si, aveva letto e riletto le dichiarazioni di Caulfield, Price e Madsen ma…. Qualcosa non tornava.
Due adolescenti che scovano un molestatore seriale nel giro di pochi giorni? Si, Jefferson aveva avuto un crollo, un cambiamento e sicuramente l’instabilità di Nathan era stata fondamentale a far creare delle crepe nella sua solida vita criminale, ma mancava un tassello.
Erano troppo scaltre, avevano ottenuto molte informazioni sfuggite facilmente a chiunque per mesi.
Come cazzo avevano fatto?
Se ci erano riuscite allora, perché non potevano replicare? Potevano fottere del tutto Jefferson e distruggere in un secondo la sua carriera e quel maniaco. Non poteva rischiare, non voleva rischiare. Le avrebbe ricevute, ma nessuno avrebbe mai scoperto cosa quelle due ragazze avrebbero detto o sentito.
Poi, probabilmente, sarebbe stato il caso di chiamare il suo detective privato di fiducia e farle tenere d’occhio….
 
 
“Bene. Eccoci qui, allora.”
Chloe mise le mani sui fianchi e ammirava l’ingresso del South Fork. Ammise a se stessa che non era affatto male come posto, troppo bello per sembrare un carcere. Certo, di minima sicurezza, ma pur sempre tale!
L’ingresso non era così austero e la struttura era immersa nel verde, circondata dalla foresta. Il parcheggio era poco distante dall’ingresso poco sorvegliato e dovevano percorrere pochi passi sul cemento cosparso di ghiaia e fogliame.
“Già. Eccoci qui.”commentò Max, affiancandola.
Il cielo era terso, una leggera brezza mattutina colpiva i loro visi e le parti del corpo scoperte. Avrebbero voluto essere più coperte, ma era comunque inizio estate e non potevano mica portare dei maglioni per evitare di mostrare il loro corpo a quel mostro.
Max aveva scelto la sua t-shirt meno bella, rosa cupo con delle farfalle gialle, degli short abbastanza larghi e di jeans mentre Chloe indossava anch’essa una t-shirt nera con la ‘A’ rossa di anarchia, calzoncini neri e i suoi braccialetti borchiati. Tutti, orgogliosamente in bella vista.
Erano in anticipo di qualche minuto, perciò non avevano fretta di entrare ma, saggiamente, Max suggerì che valeva la pena incamminarsi.
“Via il dente, via il dolore!”esclamò allegramente, anche se non lo era realmente.
Appena arrivarono alla struttura dovettero sottostare a tutte le procedure del caso, annunciare la visita speciale per l’ospite speciale del loro carcere (“Messer Schifo ha pure un trattamento riservato in codesta magione!” esclamò Chloe ad alta voce, quando gli dissero che per Jefferson si facevano eccezioni). Sottolinearono che erano obbligate ad essere sottoposte a perquisizione, poiché non avrebbero ammesso nulla che potesse registrare audio o video del loro incontro. Inoltre dovevano firmare tre diversi fogli in cui accettavano queste restrizioni, che avevano scelto di venire con la loro volontà e che non avrebbero usato nulla di eventualmente sospetto in tribunale. Troppe precauzioni per un detenuto ritenuto innocuo in un carcere di minima sicurezza.
Poco prima di arrivare alla sala delle visite, attraversando un anonimo corridoio bianco grigiastro illuminato da lampade al neon, si trovarono di fronte a un uomo sulla sessantina, vestito in giacca e cravatta, che le attendeva.
“Buongiorno. Finalmente vi incontro, signorina Caulfield e signorina Price. Lieto di conoscervi, sono Humphrey McKinsey, avvocato difensore di mr. Jefferson.”disse con voce aulica, tendendo loro la mano.
Max la strinse ma si ritrasse subito, mentre Chloe si limitò a incrociare le braccia al petto e guardare freddamente prima la mano tesa e poi la faccia del vecchio avvocato.
McKinsey colse di non essere ben visto dal duo ma cercò di non darlo a vedere  e mantenne il sorriso di facciata
“Molto bene. Dunque, mi rincresce ricordavi che dovete spegnere i vostri telefoni cellulari e consegnarli alla guardia che entrerà con voi. Inoltre..”
“Ma lei non si fa schifo?”
Le parole di Chloe tagliarono l’aria con una acidità sorprendente. Si avvicinò all’avvocato, quasi andando a muso con lui
“Lei sa.”sputò con disprezzo “Lei sa che quel maiale dietro quella porta è colpevole. Lei lo sa, ma lo difende. Glielo leggo in faccia che lo ripugna quanto noi, ma lo difende lo stesso. Non prova un minimo di vergogna?”
Max appoggiò una mano su braccio della sua compagna
“Chloe…”
Lei reagì alzando solo un dito in direzione di Max, come ammonimento. Non doveva interromperla
“Penso che lei sia colpevole quanto lui, se si ostina a difenderlo. E se uscirà pulito da quel cazzo di processo, allora si: lei sarà equamente colpevole per le ragazze che sono finite tra le fauci di quel psicopatico di merda.”
McKinsey non si scompose. Fece un passo indietro, abbozzò un sorriso e cercò di fare ancora il suo ruolo di avvocato difensore
“Innocente fino a prova contraria. E di prove ne ho viste ben poche. Ragazze, capisco che per voi sia difficile credere che..”
“Cosa?”disse stavolta Max “Che sia innocente? Pensa che lo abbiamo incastrato o che abbiamo frainteso? Che fosse nel posto sbagliato al momento sbagliato? Ha ammazzato Nathan, cosi come ha spinto al suicidio Kate. E’ un mostro, e lei lo difende. Dovrebbe vergognarsi.”
“Signorina Caulfield non intendevo dire…. Il mio mestiere prevede di vagliare ogni prova e…”
“Ha figlie, signor Mckinsey?”chiese Max, interrompendolo
“No. Un figlio maschio che non vedo da…”
“Allora non può capire cosa significhi avere una figlia drogata e molestata da una persona di cui si fidava. Forse per quello riesce a fingere che sia innocente senza provare vergogna guardandosi allo specchio.”
Calò il gelo.
Chloe parve soddisfatta, tant’è che tornò indietro, appoggiando una mano sulla spalla di Max, come per proteggerla e vantarsi di lei. McKinsey non si scompose molto. Sbuffò e poi riprese
“Comprendo la vostra frustrazione e non intendo prendermela con voi nonostante i vostri attacchi personali. Lo accetto, non sono un rettile insensibile. Ma dovete comprendere che la legge opera sempre nel verso giusto. Attualmente, il mio cliente non versa in condizioni di comprovata colpevolezza. Se sbucasse fuori il signorino Prescott, forse se ne potrebbe riparlare, ma pare che si sia nascosto bene, pertanto il mio cliente è, come vi ho detto, innocente fino a prova contraria.”
“Lo vedremo.”replicò freddamente Chloe, sorridendo maligna.
Mckinsey sorrise professionalmente, fece un cenno alla guardia che requisì i telefoni delle ragazze dopo averli fatti spegnere, e si congedò da loro con un cenno del capo.
Appena fuori, tirò un sospiro di sollievo: quelle due lo avevano inquadrato cosi facilmente? Quelle due cazzo di ragazzine? Chi cazzo erano?
Dovevano essere ostacolate. Doveva fare una certa telefonata il prima possibile.
Max si sentì nuda senza telefono. Non lo usava spesso, ma ora stava rinunciando al suo unico collegamento con il mondo esterno. La guardia si mise davanti alla porta, pronto per aprire. Istintivamente, prese il polso di Chloe e strinse i denti.
Aprì la porta e le invitò ad entrare.
La stanza era diagonale, a forma trapezoidale, dipinta di giallo e con due finestre in alto, rettangolari e con della rete in ferro a protezione. Vi erano diversi tavoli rettangolari grigi e anonimi, disposti sui lati lasciando una passerella centrale che conduceva a una porta più robusta, destinata ai detenuti.
Al tavolo centrale nel lato sinistro vi sedeva il loro peggior incubo delle ultime ore.
Indossava una tunica giallo opaco, con una maglietta bianca che sbucava da sotto. Le manette pesanti ai polsi  con catene che lo legavano al tavolo, non lo rendevano meno innocuo o pericoloso, per la loro percezione.
Mark Jefferson era decisamente in una tenuta insolita rispetto a quella in cui Max era abituato a vederlo. Barba incolta, capelli più lunghi e non curati, con qualche ciuffo bianco, occhiali diversi e meno alla moda, mani forti ed eleganti adagiate pacificamente sul piano del tavolo. Appena incrociò la figura di Max, sul suo volto si dipinse un sorriso che la fece rabbrividire. Era il solito sorriso da insegnante a cui era abituata, specie quando rispondeva correttamente a una domanda in classe, ma ora sapeva che era diverso: predatorio, famelico, vuoto.
Gli occhi erano due buchi neri che l’attiravano, fissi su di lei, la studiavano, la seguivano. Sembrava entusiasta.
Finalmente poteva cibarsi di lei.
Si sedette con calma, mentre alla sua sinistra Chloe si accomodò.
Con la coda dell’occhio, vide che la ragazza dalla chioma blu aveva appoggiato il braccio sinistro sul tavolo, il destro sullo schienale, gambe allargate e sguardo truce in direzione di Jefferson, che continuava a snobbarla avendo tutto l’interesse per lei.
“Max Caulfield.”mormorò con la sua solita voce suadente e calda “E’ una gioia rivederti.”
“Non posso dire lo stesso, Mark.”replicò gelida ma senza tradire un tremore alla fine.
 
Non fare cazzate. Non mostrarti debole. Non dargli modo di entrarti in testa.
 
Mark Jefferson sorrise affabile.
“Non ti biasimo. Tutto questo trambusto avrebbe confuso anche me. Poi la tempesta, la fuga. Non hai avuto molto tempo di riflettere, immagino. Ma ti perdono, sai? So che non avevi intenzione di pensare male di me, deve essere stato tutto troppo…”
“So che sei stato tu, Jefferson. Smettila. Non abbiamo microfoni, perciò non prendermi in giro. Non insultare la mia intelligenza.”
“Non me lo sognerei mai, mia cara. Sei troppo brillante e ti ho sempre rispettato. Ma so che sei dolce e fragile e chissà  se con tutto quello che ti sei trovata in mezzo in quella settimana, non sia successo che tu ti sia malauguratamente sbagliata su di me. Certo, ho le mie colpe e ne sono pentito. Non avrei dovuto difendere Nathan dai suoi crimini. Incoraggiarlo così tanto nella fotografia…. Se solo tu mi avessi dato più fiducia, forse avrei avuto in te una più cara e fedele studentessa.”
“Smettila.”sibilò a denti stretti “Le vittime sono quasi tutte antecedenti al tuo arrivo alla Blackwell. Appena lo dimostreranno…”
“Cosa?”disse Jefferson, ora gelido “Cosa dimostreranno, eh? Che delle modelle consenzienti si sono offerte per degli scatti che ho voluto condividere con Nathan per incoraggiarlo?”
“Le hai fatte tutte tu! Hai scritto sui tuoi raccoglitori i nomi! La calligrafia era tua! Anche per Rachel e Kate… mi fai schifo.”
“Credo che tu debba capire che..”
“Oh mettiti nel culo queste cazzate, Jefferson.”esclamò Chloe “Sappiamo tutti cosa è successo. Non c’è nulla da capire e noi non siamo state ‘travisate’ da un cazzo di niente. Siamo ed eravamo lucidissime: sei un cazzo di maniaco di merda. Piantala di prenderti gioco di noi.”
Jefferson, ora, concentrò il suo vuoto sguardo su Chloe, vedendola per la prima volta
“Ah già. La lesbica che ho visto quel giorno con Max. Per questo sei così fredda con me, Maxine? Ti ha travisato lei?”
Max prese la mano di Chloe
“Lei mi ha salvato. Da te, da Nathan e dai vostri giochi malati. Non osare parlare mai più con quel tono, bastardo.” sibilò rabbiosa Max “Non ti permettere più di chiamarla lesbica.”
Jefferson sorrise compiaciuto
“Ah, capisco. Non era solo tua amica. Scopavate già?”
Chloe si avvicinò il più possibile al tavolo e sussurrò
“Perché vuoi saperlo? Ti piacerebbe l’idea? Ma tanto non ti si rizza, giusto? A meno che non fossimo drogate e legate e tu abbia in mano una macchina fotografica, il tuo cazzetto non sente nulla, no?”
Jefferson sbatté le mani sul tavolo e il suo viso si contorse in una maschera d’odio feroce. La guardia alla porta si allarmò e fece un passo in avanti, ma l’ex fotografo si ricompose in fretta e sorrise in direzione sua, tranquillizzando l’ambiente per un momento.
“Uh qualcuno è stato toccato sul vivo.”disse soddisfatta Chloe
Jefferson tornò a fissare il duo con finta benevolenza
“Oh, siete molto lontane dalla verità.” poi fu il suo turno di avvicinarsi a loro con il viso e abbassare la voce “Ma non lontane quante ne abbia Nathan di farsi trovare vivo.”
“Pezzo di merda.”disse Max “Fai schifo. Che cazzo vuoi da me, perché volevi vedermi? Sbrigati, che voglio andarmene.”
Ancora una volta, Jefferson si ricompose, sedendosi con la schiena ritta, il viso sereno, sguardo penetrante e sorriso beffardo
“Nulla. Avevo solo una grande voglia di salutare la mia studentessa preferita. Ho visto ai notiziari che eri tornata per la mamma della tua amica. Volevo solo rivederti e parlare di fotografia con te.”
“Fotografia, eh? Cosa c’è, ora sogni qualcosa che non potrai mai più fare? Sei finito anche come fotografo, non mi interessa parlare con te. La tua arte era merda, serviva solo a mascherare il mostro che sei.”
Anche questa uscita, sembrava averlo colpito. Fece una smorfia orribile ma non disse nulla. Chloe comprese che potevano attaccare
“Ha ragione Max, sai? Dopotutto, uno che deve drogare e circuire delle studentesse, non poteva certo essere un buon artista. Secondo me è per quello che era ancora single.”
“Perché tu, piccola ragazza dai capelli puffo, sei amata vero? Che io sappia, Rachel voleva scappare anche da te.”
Stavolta fu Chloe ad accusare, ma Max intervenne
“Ma io non sono scappata. Rachel aveva guai troppo grossi, ma teneva a Chloe. Non potresti capire.”
“Davvero? Davvero Max?”sussurrò, di nuovo solo per farsi sentire da loro “Eppure a me ha raccontato molte cose. So di sua madre, la vera madre. So delle bugie di suo padre. So che la tua amica la voleva, la desiderava ardentemente ma lei non poteva accontentarla. Ha preferito scopare me che la tua amica. Non la amava. Nessuno ama Chloe, una stronza che crea solo gratta capi con la scusa del paparino morto.”
“Non io. Io la amo. E lei è la persona migliore che potessi incontrare e per quanto tu voglia ferirci, non ci riuscirai, stronzo.”ripose Max “Sappi che ti incastreremo.”
Jefferson fissò le mani unite delle due, poi la faccia di Chloe e si mise a ridere
“Amarla? Tu ami  questa qui? Mio dio Maxine. Potresti puntare un po’ più in alto se proprio ti piace la figa. Per esempio, sono abbastanza sicuro che Rachel avrebbe leccato più volentieri il tuo sesso, invece che quello di questa sporca punk.”
“Hey, coglione.”disse Chloe “Pensi davvero di fottermi con questi giochini da sedicenne? Cazzo e tu saresti un quarantenne maniaco manipolatore e intelligente? Cazzo, non sai reggere un confronto verbale con Max che è peggio di Ghandi. Cristo, sei davvero patetico. Come hanno fatto a non beccarti tutti sti anni, se sei cosi imbecille. Sicuro di non esserti ammazzato di seghe sulle foto che facevi a quelle poverette? Potevi uscire a fare una passeggiata e socializzare un po’, magari ti rendevi meno ridicolo parlando con altre persone. Ora, se hai finito, io mi leverei dai coglioni perché sono stufa di sentire frignare un uomo con la crisi di mezza età.”
Jefferson non le sorrise, ma la fissò con finta pietà
“Ma io volevo Max. Non te. Sei qui perché ti sei imbucata.”
“No, è qui perché io ho voluto cosi.”sottolineò Max “E se non hai nulla da dire, io concordo con l’idea di mollarti qui. Abbiamo di meglio da fare, che sentire le tue finte frignacce.”
Jefferson esibì l’ennesimo finto sorriso,poi parlò con voce impercettibile
“Non troveranno mai Nathan. Io uscirò prima di quanto pensiate. Ci rivedremo Max. Non vedo l’ora che tu sia la mia modella.”
Poi gettò la maschera. Il suo viso si contorse orribilmente, in un sorriso feroce e rapace.
Chloe scoppiò a ridere e riprese con voce altrettanto bassa
“Senti Pennywise del cazzo, tu sei fottuto. Non preoccuparti per noi, preoccupati di non diventare tu la modella dei detenuti, quando finirai in carcere per molto tempo.”
Poi si alzò e urlò
“Hey! Abbiamo finito noi. Portate via noi o questo pezzo di merda!”
Max si rivolse al suo ex insegnante prima di alzarsi
“E comunque è Max, mai Maxine. Stronzo.”
La guardia accompagnò le ragazze all’uscita. Prima che si chiudesse la porta, Max lanciò un ultimo sguardo a Mark Jefferson, ancora seduto e apparentemente innocuo.
Sorrideva.
Guardava lei e sorrideva con occhi famelici.
 
 
 
Appena uscite, Chloe notò che aveva ricevuto un messaggio. Avendo appena riacceso il telefono poté accorgersene subito. Era di David e recitava
 
Se potete, appena finite venite a trovare Joyce. Ci tiene molto. Fareste meglio a venire.
 
Max si preoccupò
“Dici che è successo qualcosa? Tua madre sta bene?”
Chloe annuì
“Non è per mia madre. Se ho imparato a conoscerlo almeno un po’, c’è un altro motivo per cui vuole vederci. Andiamo subito.”
Max fece un passo ma poi si sentì male. Le girò la testa e le venne un attacco di nausea fortissimo. Chloe l’afferrò per un braccio, prima che potesse cadere
“Che cazz….ehi tutto ok?”
“Mi viene da vomitare..”
“Oh, fico….torniamo dentro e diciamo che è l’ora di pranzo per Jefferson? Oppure ti tengo la testa e rimetti qui, davanti all’ingresso?”
“No, no tutto ok. E’ solo un po’ di tensione che viene fuori.”
“Hey, sei stata grande Max! Lo hai inculato senza vasellina a ripetizione. Penso che fosse quello il vero motivo per vederti: magari gli piace essere maltrattato…sai, non mi stupirebbe scoprire che abbia anche quel feticismo.”
Max sorrise. Prese un paio di respiri bei profondi poi si rimise in piedi e disse di andare che ora si sentiva meglio ed era curiosa di vedere come stesse Joyce e scoprire cosa poteva avere in serbo David per loro.
Mentre si dirigevano all’auto, un gruppo di detenuti pronti per andare a lavorare nella foresta le incrociò
 
“hey che bel duo…”
“Wow, giovani ma graziose..”
“Io prenderei la punkettona…
“Chloe?”
“Ma la brunetta non sembra nemmeno tanto male…”
“Perché non entrambe?”
“Hey belline, venite a lavorare con noi!”
“Chloe!”
“Non saranno lesbiche, spero. Che spreco!”
“CHLOE!”
 
La ragazza dai capelli blu si voltò di scatto, udendo quella voce.
Uno nel gruppo dei detenuti si era fermato e la fissava. Era alto, capelli lunghi e barba lunga, sguardo perso, tatuaggi sparsi. Persino sul collo.
“Frank?”mormorò Chloe
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Interludio: Seattle
 
Parcheggiò il suo pick-up nel vialetto antistante il garage della piccola villetta. Max le aveva detto di metterlo pure li, tanto il suv di suo padre sarebbe stato sicuramente dentro il box e non avrebbe dato fastidio, dato che il sabato non lavorava. Aveva indicato la strada fino a casa sua, precisa come un navigatore, ma avevano rischiato di perdersi due volte perché Chloe era rapita da Seattle. Continuava a fissare lo skyline, i palazzi, la vita pulsante delle strade.
“Cazzo davvero vivi qui da cinque anni? Caaaazzzooo. Ecco perché non mi hai più scritto!”
Chloe non aveva visto molte grandi città in vita sua. I suoi non avevano viaggiato molto, se non per gite al mare o scampagnate nei boschi. Era abituata a Portland, ma Seattle era molto diversa.

“Smettila. Non è per quello che non ti ho scritto. E’ che ero….sono solo una stupida.”
Avevano guidato molto lentamente dentro la città, dando modo a Chloe di ammirare più dettagli possibili nella sua memoria, anche se non aveva realizzato che quella città ora era la sua casa e avrebbe avuto modo di studiarla a fondo, con calma, nei prossimi giorni.
Il sole era tramontato del tutto, la sera era completamente padrona del cielo e una frizzante brezza autunnale si faceva prepotentemente sentire sui volti delle ragazze, che avevano chiuso il finestrino. Chloe non aveva indossato più la felpa, ancora umida e adagiata inerte sul cofano.
Spense il motore e tenne le mani sul volante.
“Sei pronta?”chiese a Max
La ragazza alla sue destra annuì vigorosamente, ondeggiando i suoi capelli a caschetto con foga, ma non aprendo bocca. Le tremavano le mani e aveva gli occhi luminosi. Istintivamente, la strinse a sé con affetto
“Sei a casa. Non c’è più niente di cui avere paura.” disse per confortarla
“Non è quello…penso sia tutto un insieme di cose. Questa giornata, questa settimana….le cose che abbiamo vissuto… oh, Chloe! Non avrei potuto farcela senza di te!”
“Sono stronzate e tu lo sai benissimo! Tu eri bloccata con Jefferson, in quella merdosa camera da maniaco e lo hai affrontato con le palle e ne sei uscita!”

“David, mi ha fatto uscire.”
“Hai guidato contro quella tempesta per prendere una foto per cambiare le cose. Cazzo, questo lo hai fatto tu!”
“Lo fatto per te. Per salvarti. Perché era il mio scopo. Mi davi tu la forza di farlo. Da sola non avrei mai pouto…”
“Oh zitta e scendi da questo pick-up prima che ti infili il cambio su per il culo! Sei tosta, superMax. Più di quanto creda.”
Smontò dal mezze e, vedendo che lei non scendeva, si diresse verso la portiera di Max e la spalancò, prendendola per mano

“Mia cara, prego. Scenda dalla carrozza.” disse con tono pomposo e scherzoso
“Stupida.”replicò lei, sorridendole.
Rimasero un istante in silenzio. Si fissarono, si strinsero in un abbraccio veloce e poi Chloe le disse che toccava a lei fare gli onori di casa e andare avanti lei.
Camminarono sul prato, senza prendere i bagagli da fuggitive con dentro i loro pochissimi affetti (o meglio, di Chloe. Max non aveva più nulla se non i suoi vestiti e ciò che conteneva la sua tracolla).
A metà strada dalla porta di casa, videro che le luci erano spente. Eccetto quella a sinistra, del soggiorno. Le pesanti tende oscuravano la visuale, ma Max era alquanto certa che i suoi genitori fossero entrambi lì, incollati davanti al televisore, a scoprire aggiornamenti del disastro a cui erano scampate quella mattina e di cui erano responsabili. La fortuna, se cosi si poteva definire, è che nessuno lo poteva sapere e non le avrebbero mai incolpate per ‘disastro colposo’.
Prese coraggio e attraversò decisa gli ultimi metri e bussò con forza alla porta
“Cazzo, spero non siano i giornalisti. Non ancora!”tuonò suo padre
Sorrise. Spontaneamente, sinceramente e con calore. La voce di suo padre l’aveva aiutata a realizzare: sono viva, sono a casa.
Sentì pesanti passi avvicinarsi, il suo cuore accelerò pieno di entusiasmo e gioia.
Con un gesto secco, Ryan Caulfield aprì la porta con un viso inizialmente seccato e stanco, segnato dall’ansia e dall’angoscia di un padre ignaro. Impiegò un paio di secondi buoni prima di realizzare chi fosse la piccola figura dinnanzi a lui. Spalancò gli occhi, la sua bocca divenne un ‘o’ di stupore e infine
“Vanessa? VANESSA!” urlò
“Ciao, papà…” mormorò Max “Scusa se non vi ho avvisati…”
“Max…” mormorò prima di tuffarsi su sua figlia, abbracciarla e sollevarla da terra, piangendo di gioia.

“Ryan, che succede?”
La voce rotta di sua madre giunse alle spalle di suo padre, seguita dalla visione della sua figura in vestaglia, gli occhi gonfi e arrossati. Tornata a terra, Max sbucò dalla spalla di suo padre
“Ciao mamma…”
“Max…MAX!”gridò piangendo e lanciandosi su suo marito e sua figlia.

Piansero tutti e tre, sfogando tutta la paura e il timore di non rivedersi mai più.
“Mi dispiace…avrei dovuto chiamarvi, dirvi che stavo bene..”disse Max con il viso affondato nel collo di suo padre.
“Va tutto bene, tesoro. Sei a casa, va bene così.”disse sua madre
Ryan Caulfield alzò la testa e vide chi stava assistendo alla scena in mezzo al loro prato. Diete una gomitata a sua moglie che si allontanò da Max e si concentrò su chi stava osservando suo marito: una ragazza alta, magra, con i capelli blu e un timido sorriso dipinto sulle labbra. Un viso che, nonostante non vedessero da anni e fosse segnato dalla sofferenza, non potevano non riconoscere.
“Chloe?” disse Ryan, mentre si separava dalla moglie e dalla figlia
Chloe iniziò a tremare. Non per il freddo. Si torturò le mani, poi le spalle e le labbra e la voce iniziarono a tremare. I suoi nervi, finalmente, si rilassarono e poteva sfogarsi
“Hey signori Caulfield….è un problema se mi fermassi a dormire qui per stanotte?” disse con voce tremula, prima di far comparire le lacrime sul suo viso.
Ryan e Vanessa risposero abbracciandola con lo stesso entusiasmo che avevano riservato alla figlia.
“Puoi fermarti tutte le notti che vuoi.” disse Vanessa
Chloe Price si lasciò andare in quell’abbraccio, avvinghiandosi con le unghie alle schiene di Ryan e Vanessa, piangendo come non faceva da anni. Sentiva il suo dolore, Max. Sentiva i suoi gemiti e il suo grido soffocato. Non era per quella giornata, non era per aver perso sua madre. Era per tutto: per cinque anni senza la sua migliore amica, per aver perso suo padre e non averlo mai accettato, per aver trovato una persona che le desse forza, per aver visto morire quella persona dopo averla cercata per mesi, per aver provato costantemente rabbia verso sua madre che tanto amava, per non aver provato a comprendere David e usare altri modi per conviverci, per aver rivisto Max, per sentirsi cosi egoista, rabbiosa e stupida, per aver distrutto una città a causa della sua costante esistenza precaria e assurda, per aver finalmente rivisto due persone che considerava come la sua famiglia secondaria dopo cinque anni, per essersi finalmente accettata, per aver compreso quanto fosse innamorata della sua migliore amica e di quanto abbia sofferto non averla con sé, per ogni istante che aveva fatto di tutto per farsi male, per ogni notte insonne, per ogni volta che si era incazzata con suo padre che era morto solo perché voleva andare a prendere la donna che amava, per il viaggio a Parigi che non aveva mai fatto, per ogni volta che aveva aggiustato il suo pick-up, per ogni insulto a Frank per avergli rubato Rachel, per non aver capito che non le era stata mai rubata, per essere stata umiliata da Nathan e per ogni singolo giorno in cui aveva guardato in direzione della vecchia casa dei Caulfield sperando di vederli ancora li.
Max sentiva solo amore dentro di se e le lacrime che tornarono a rigarle il viso, stavolta, erano solamente di gioia. Vedeva quella scena, vedeva Chloe finalmente libera di tanti pesi e forse abbastanza forte da poter combattere le conseguenze che avrebbero dovuto affrontare nelle settimane a venire. Silenziosamente, si avvicinò e abbracciò anche lei tutti e tre.
Dieci minuti dopo, Ryan aveva finito di scaricare in salotto le loro borse e portato il loro murales d’infanzia nel garage. Le ragazze erano state fatte accomodare sul divano, con due coperte e avanzi di pizza davanti a loro, che divorarono con entusiasmo. Vanessa si premurò di cucinare altro al volo e di fare due tisane bollenti per riscaldarle.
Finito di sistemarsi e rifocillarsi, Ryan e Vanessa si adagiarono sulle poltrone di fronte al divano e parlarono alle due
“Non intendiamo chiedervi nulla.” disse Ryan “Parlerete e vi confiderete di quello che è successo e di cosa avete dovuto assistere quando ve la sentirete. Siamo solo felici di sapere che siete scampate a quella tempesta. Le immagini..”
“Ryan…”

“Si, scusatemi. Comunque, non sentitevi in obbligo di dirci nulla finché non ve lo sentite voi, ok?”
“Papà..”
“Si, Max?”

“La situazione potrebbe essere più complessa di come sembra…”
Chloe le lanciò una occhiata sorpresa. Voleva raccontare dei suoi poteri?
“Ecco noi…” cominciò, appoggiando la sua tisana fumante sul tavolino “noi abbiamo anche scoperto le attività criminali di Mark Jefferson e Nathan Prescott. Li abbiamo denunciati ma la tempesta è arrivata poco dopo.”
“Cosa?”esclamò sua madre confusa
“Jefferson? Il tuo insegnate di fotografia? Quello di cui ci parlavi sempre così bene? Che cosa ha fatto?”
“Meglio non ve lo dica adesso. E’ una storia lunga e complicata ma il patrigno di Chloe dovrebbe essere riuscito ad arrestarlo prima che fosse troppo tardi..”
“Hanno ucciso Rachel Amber.”disse Chloe “Hanno ucciso quella ragazza. Era mia amica, le volevo bene. L’hanno uccisa e io e Max abbiamo scoperto tutto. Anche il suo corpo..”

Vanessa si mise le mani sulla bocca, Ryan si limitò a un ‘non posso crederci’.
“Diciamo che il mio ritorno ad Arcadia non è stato idilliaco.”concluse Max
“Cazzo. Avevi anche visto la tua amica suicidarsi solo pochi giorni fa. A saperlo non ti avremmo mai fatta tornare laggiù.”
Chloe spalancò gli occhi ferita, ma Max rimediò subito
“No! Volevo tornare ed è stato un bene. Ho rivisto casa nostra, ho rincontrato Joyce e….” prese la mano di Chloe, che la fissò sorpresa “ho ritrovato Chloe. Soprattutto ho ritrovato la mia migliore amica. Ma tra noi c’è stato un piccolo cambiamento.”
Sorrise e la fissò negli occhi, stringendo la mano con dolcezza.
Chloe era sempre più scioccata da quella iniziativa. Stava dichiarando così alla leggera che loro…
Ryan non capì subito, ma Vanessa si ed emise un gridolino di sorpresa, congiungendo le mani davanti al suo sorriso
“Ragazze! Davvero?”
“Si mamma. Tra noi ora è cosi…”
Vanessa si gettò su entrambe e le abbracciò

“Oh, sono felice per voi. Una storia degna di un film! Due amiche d’infanzia che si innamorano! Un po’ di gioia allora Arcadia la sa ancora dare!”
Ryan comprese solo ora ed esclamò un ‘oh’ di sorpresa , prima di scoppiare in una sonora e fragorosa risata
“Beh, ora si che possiamo dire di essere una unica famiglia con i Price! Birra per festeggiare!”
Vanessa andò dietro a suo marito per essere certa che non portasse birre alle ragazze.
Rimaste sole, Chloe sibilò
“Io ti uccido. Ti giuro che me la paghi.”
Era diventata rossa e si era bloccata come pietrificata. Max rise di gusto e le stampò un bacio sulla guancia
“So che è stato un po’ diretto, ma era giusto avvisarli.”
La notte scivolò piano. Prima di coricarsi, Max convinse Chloe a prendere la sua camera, poiché in due era impossibile dormire nel suo letto, mentre lei avrebbe preso il divano di sotto. Si fecero una doccia, recuperarono dei ricambi per Chloe dalle borse e si divisero dopo essersi augurate la buonanotte.
Avevano acceso i telefoni ma avevano ricevuto solo messaggi di allerta dallo stato dell’Oregon e una decina di David che tentava di rintracciarle. Chloe gli scrisse un messaggio rassicurante, dicendo che stavano bene ed erano fuggite a Seattle, dai genitori di Max. L’indomani si sarebbero sentiti per telefono e avrebbero spiegato tutto.
Il giorno dopo, essendo sabato, Vanessa decise di portare le ragazze a scegliere un nuovo letto, dato che non potevano dormire separate. Chloe si era offerta di cercarsi una stanza in affitto appena avrebbe trovato un lavoro, ma i Caulfield si opposero con veemenza. Dissero che poteva trovarsi un lavoro appena la situazione si sarebbe un po’ calmata e tutto si sarebbe chiarito, ma sarebbe rimasta sotto il loro tetto con Max finché sarebbe stato necessario: on intendevano saperla  alloggiata chissà dove con chissà quali persone. Qui era in famiglia e qui sarebbe rimasta.
Allora provò a convincerli dicendo che poteva avere una branda nello studiolo, ma i Caulfield erano irremovibili: avrebbero preso un letto per tutte e due e avrebbero condiviso la camera di Max. Non gli importava della loro intimità, erano giusto che stessero assieme.
Max non se la sentiva di uscire e Chloe decise di restare con lei. In verità, nemmeno lei aveva grande voglia di farsi vedere. Volevano restare tranquille.
Si misero sul divano, con televisore, bibite e merendine, l’una stretta all’altra. Non parlarono, non si distrassero. Mangiarono una montagna di merendine e finirono quattro lattine di cola e si sentirono appagate fino alla fine del film.
Poi Chloe decise di farsi una pennichella e si addormentò quasi subito. Max Andò a farsi una doccia, di nuovo. Sentiva l’umidità e la polvere dei detriti di Arcadia Bay fin sotto la pelle e voleva rimuoverli al più presto.
Dopo quasi mezz’ora uscì dal bagno, con solo l’accappatoio indosso e scese a farsi un tea. Chloe si svegliò, la raggiunse e la baciò sul collo, le slacciò l’accappatoio e baciò ogni punto del suo corpo ma Max non volle proseguire oltre. Non voleva che i suoi rientrassero proprio in quel momento. Si concessero un minuto di solitudine, mentre l’acqua bolliva, baciandosi con più passione di quanta non ne avessero mai avuta in quella strana settimana.
“Sei stata tosta dirlo subito ai tuoi, ma avrò la mia vendetta. Sei avvisata.”
“Sto tremando, Price.”rispose, prendendola in giro
Chloe si avventò di nuovo sulle sue labbra ma il telefono prese a squillare.
Era David.
Rispose immediatamente
La telefonata durò pochi minuti, tant’è che Max fece in tempo a versarsi il tea e basta.
Chloe le spiegò che David era in viaggio e stava arrivando a Seattle per sera. Voleva parlare con loro di persona. Sembrava agitato.
Dopo quasi un’ora, i Caulfield erano di ritorno. Vanessa annunciò di aver trovato un paio di letti molto carini ma per il materasso non era convinta e che ci avrebbero riprovato l’indomani. Ryan ribaltò gli occhi e mimò di essere sulla forca a penzolare, facendo sghignazzare le ragazze.
“Mi spiace, Vanessa. Dovremmo pensarci noi due…”
“Sciocchezze, Chloe! Adoro far soffrire Ryan!”

Annunciarono che verso sera sarebbe giunto David Madsen, patrigno di Chloe. Necessitava di parlare con le ragazze, sembrava dovesse portare notizie urgenti. Talmente urgenti da non volerle rivelare al telefono.
Cominciarono a preparare la cena presto, facendo porzioni abbondanti nel caso David avesse avuto fame. Chloe e Max contribuirono attivamente, per tenersi impegnate e non pensare e, almeno per Max, mitigare la crescente tensione che provava al basso ventre quando stava vicino a Chloe. La desiderava in un modo nuovo. Quando prima l’aveva sorpresa, spogliata  e baciata, un misto si sensazioni nuove e fortissime l’avevano colta. Voleva vederla senza vestiti, scoprire come era il suo corpo come lei aveva fatto con il suo. Era sempre più forte e crescente quel desiderio e più le stava accanto, più osservava la sua pelle, le sue labbra, i suoi occhi i suoi capelli, qualcosa dentro di lei esigeva di assaggiare ogni parte di Chloe.
Era innamorata ma questo era più forte. Era puro desiderio.
Per la prima volta, provava queste pulsioni e non era niente male.
Consumarono la cena in allegria, Ryan permise loro di bere un po’ di vino come scusa per ‘aiutarle a rilassarsi’ un poco, ma verso le ventidue, sentirono il campanello.
Vanessa aprì la porta e David Madsen comparve sulla soglia.
Era visibilmente distrutto, stanco. Occhiaie pesanti, faccia pallida, vestiti sporchi e palesemente mai cambiati da due giorni. Chloe gli andò incontro ma non si scambiarono che una stretta di mano e un sorriso.
“Grazie.”disse infine Chloe “Per essere venuto fino qui. Se stravolto, dovresti riposare un pochino.”
“Si, esatto.”disse Vanessa “Si fermi qui a dormire.”
“No, no meglio di no. Mi tratterrò giusto il tempo di parlare con le ragazze e poi torno subito ad Arcadia Bay.”
“Ma saranno minimo le due del mattino, ora che tornerai laggiù.”esclamò Ryan “E sei palesemente stanco. Dovresti riposare qui e poi ripartire.”
“No, davvero. Vi ringrazio moltissimo, ma ho urgenza di tornare.”
“Almeno mangia qualcosa!”insistette Vanessa

A tal proposito, David cedette. Evidentemente non mangiava decentemente da venerdì mattina. Si accomodo a tavola, di fronte a Max e le sorrise. Lei rispose al sorriso e gli prese una mano
“Grazie, David.”mormorò
“No, Max. Sono io che devo ringraziarti. Ma rimandiamo a dopo, ok? Finite la cena con calma e io ne approfitto per mandare giù un boccone. Ammetto di esser un po’ a stomaco vuoto.”
Finirono di mangiare, David rifiutò il vino (“Devo guidare, ma grazie” disse) e poi chiese di parlare da solo con le due ragazze. Ryan e Vanessa acconsentirono e andarono al piano di sopra.
Si sedettero sul divano, mentre David si accomodò su una poltrona.
“La situazione è problematica. Ho dovuto dire che siete state voi a intuire cosa stava accadendo e che voi due siete state le vere artefici della scoperta delle malefatte di Jefferson e Nathan.”
“Cazzo.”esclamò Chloe

“Non preoccuparti, Chloe. Non è così grave. Ovviamente vorranno farvi delle domande. Concorderemo una versione dei fatti, meglio se la vostra sia identica. Io so che voi avete frugato nella mia roba ma avevate trovato altro che ignoro per la quale avete fatto i collegamenti che a me sfuggivano. Avete ricomposto il puzzle. Poi vi siete rivolte a me e io alle autorità e ho arrestato Jefferson.”
Annuirono

“Ora, questa è la parte più semplice. Il problema è Nathan: non si trova. Non sanno cosa dire. Le dichiarazioni di Jefferson ora iniziano a fare rumore e lui tenterà di uscirne il più indenne possibile, addirittura si dichiarerà innocente. Voi avete detto che siete sicure che Nathan sia morto, corretto.”
Annuirono di nuovo.
“Bene. Se questo non sarà provato, la vedo veramente dura.”
“Ho un messaggio in segreteria!”esclamò Max.

Si mise a trafficare con il telefono e poi lo porse a David mentre partiva il messaggio di Nathan. Davi lo ascoltò con attenzione ed emise un grugnito.
“Interessante, ma non prova nulla. Potrebbe essere usato dalla difesa di Jefferson per dire che è un chiaro depistaggio per incolpare il loro cliente, mentre il ragazzo fuggiva da Arcadia. Tenetelo, non si sa mai.”
Questo deluse un po’ le aspettative delle due, ma David proseguì
“Concordate una versione, poi ci aggiorneremo per telefono. Ora, non vi chiedo di seguire i notiziari ma comunque prestate attenzione all’evolversi della situazione. Non fatevi cogliere impreparate. Non fatevi vedere in giro troppo, anche se siete a Seattle: ci metteranno poco i giornalisti a scovarvi. Quegli avvoltoi arrivano ovunque. Finché le acque non si saranno un po’ calmate: basso profilo.”
Poi si rivolse a Chloe, prendendole teneramente una mano

“Per finire ho una notizia per te: tua madre è viva.”
Chloe era visibilmente sorpresa. Spalancò occhi e bocca

“Davvero??”
“Si. Ha capito che qualcosa non andava ed è fuggita. Presumo tu abbia avvisato anche lei. Ma non esultare: mentre fuggiva, è stata sbalzata via dai venti. E’ in coma e gravemente ferita, ma viva. Non possiamo esultare ne essere molto ottimisti per ancora qualche giorno, ma sta combattendo. Non si arrenderà facilmente, ne sono certo.”
Delle lacrime rigarono il volto di Chloe

“Sono certa che sia così. Quella testarda tornerà per sgridarmi prima di quanto possa pensare.”
David sorrise
“Ne sono sicuro.”
Tentarono di convincere David a rimanere a dormire, ma non vi fu verso. Accettò di bersi numerosi caffè e perdersi in chiacchiere, ma poi confessò che voleva continuare a dare una mano con  le forze dell’ordine e i volontari alla ricerca dei sopravvissuti. Disse che, in caso di necessità, avrebbe dormito in auto. Oramai era quasi mezzanotte ma volle partire lo stesso. Si raccomandò anche con i coniugi Caulfield di non lasciare le ragazze troppo libere per ancora qualche giorno, poi ripartì, promettendo di aggiornare Chloe sulle condizioni di sua madre ogni volta che poteva.

Lo salutarono con la mano, mentre la sua auto sportiva svaniva lungo il viale.
Passarono due giorni prima che il nuovo letto venne sistemato in camera di Max, mentre quello vecchio venne smontato e sistemato in soffitta.
Oltre al letto, Vanessa aveva trovato un materasso fantastico, lenzuola comodissime e preso un discreto corredo di intimo per Chloe, assieme a qualche maglietta, felpa e jeans per l’inverno.
Quella sera, finalmente Max tornò a dormire nella sua camera dopo tre notti di sola presenza di Chloe.
La camera era, essenzialmente, come sempre, tranne per l’appunto che ora non vi era un piccolo letto singolo contro la parete a sinistra, ma un grosso matrimoniale dall’aria comoda.
Si cambiarono e si sorpresero a vicenda a guardarsi mentre erano seminude. Chloe abbozzò un sorriso ma non disse nulla. Una volta spente le luci e sotto le lenzuola, Max sentì che, per quanto provasse un desiderio sempre più crescente, non voleva andare oltre per il momento.
Si accontentò di baciarla finché avesse forze per farlo, poi accoccolò tra le sue braccia e comprese che avrebbe potuto dormire beatamente solo così.
“Bentornata in camera tua, Max.” sussurrò Chloe con dolcezza
Max strinse a se Chloe più che poté
“Non era mia senza te. Buonanotte.”
Gli incubi non erano ancora arrivati, perciò si addormentarono velocemente e iniziarono così la loro nuova vita.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

11.
 

 
Era tarda mattinata quando arrivarono al parcheggio dell’Adventist Healt.
Questa volta, però, fecero molta attenzione riguardo alla gente che sostava nel parcheggio. A loro avviso, pareva non ci fossero giornalisti: nessuna telecamera in vista, nessun assembramento di persone in qualche angolo.
Forse, speravano, qualcuno doveva aver vietato loro di sostare nell’area dell’ospedale ma, dovettero ammettere, che non erano state più braccate. Cosa insolita, visto che erano ambite da ogni televisione della Nazione.
Cercarono di restare comunque attente e caute, anche quando scesero dal riconoscibilissimo pick-up e si avviarono verso l’ingresso. David le aspettava direttamente in camera di Joyce, perciò vi si diressero senza troppi indugi.
Joyce era in forma, aveva un colorito leggermente migliore e i capelli quasi in ordine. Raccontò loro che una infermiera giovane si era offerta di sistemarli lo scorso pomeriggio. Anche David confermò le impressioni delle ragazze, dichiarando orgogliosamente che Joyce era una vera guerriera e la sua guarigione stava sbalordendo tutto il reparto.
“Da qualcuna avrò preso, no?”esclamò Chloe orgogliosamente.
Passarono una ventina di minuti a raccontare come avevano passato i primi due giorni nella loro terra natia. Parlarono della Blackwell e di come era ridotta, degli scatoloni di Max che sostavano in camera d’albergo e che avevano visitato il cimitero per rendere omaggio ai ragazzi che non erano scampati.
Chloe sorvolò sulla faccenda ‘tomba di Rachel’ e inventò una scusa plausibile per la loro camera imperiale gratuita al Seaside.
“Oh un benefattore! Penso si senta in colpa o qualcosa di simile e ci ha donato la sua camera per tutto il tempo che resteremo qui!”
“E quanto durerà?”chiese Joyce
In effetti non ci avevano pensato e non potevano certo dirle che ora cercavano un altro cadavere.
“Non ci abbiamo pensato, Joyce. Direi ancora qualche giorno. Vorremmo partire con la sicurezza che stai migliorando e che qui non abbiamo lasciato più nulla.”mentì Max.
Le raccontarono anche di essere tornate a casa Price, ma senza dirle degli acquisti fatti.
Joyce era raggiante nel vederle li, ma sapevano che non potevano stancarla molto, perciò si congedarono con la promessa di tornare l’indomani.
Appena uscirono dalla stanza, scortate da David, Chloe non tardò un istante e chiese subito che avesse per loro.
“In ascensore.”disse a voce bassa
Appena saliti tutti e tre, David passò a Chloe un  pezzo di carta. Dalla consistenza, capì che erano almeno due fogli piegati più volte su loro stessi. Fece per aprirli, ma David le bloccò la mano.
“Mettili via. Non qui, Chloe!”
Lei ubbidì e li infilò nel portafogli.
Le porte si aprirono e David le accompagnò fino al parcheggio. Una volta all’aperto, parve rilassarsi, ma continuava a lanciare occhiate in ogni direzione.
 “David non ci spia nessuno, tranquillo.”
“Non capisci, Chloe. Nessuno deve sapere! Se si scoprisse che ho fotocopiato quei fogli, mi licenziano in tronco prima ancora che venga ripristinato il corpo di polizia di Arcadia Bay!”
“Ma di cosa si tratta?”chiese Max, ora anche lei incuriosita
“Fascicolo di Mark Jefferson. Elenco delle vittime. Presunte, accertate o ancora da confermare.”disse a bassa voce.
Le due si scambiarono uno sguardo colpito, ma David prese per le spalle Chloe e la fissò dritta negli occhi
“Non dovete perdere quei fogli. Non dovete dire a nessuno come li avete ottenuti e non voglio sapere cosa ne farete. Sto cercando di aiutarvi, ma non voglio essere coinvolto troppo se qualcosa va storto, intesi? Mi fido di voi ragazze, ma se la cosa si dovesse fare troppo complicata e non ne venite a capo, lasciate perdere. Intesi?”
Annuirono.
Si salutarono, poi David corse di nuovo dentro l’ospedale lasciando le due libere di saltare dentro il pick-up.
Presa da una eccitazione febbrile, Chloe prese il portafogli ed estrasse i fogli. Aprendoli, trovò dei semplici fogli bianchi A4 con una lista di nomi. Iniziando da quello con la dicitura 1/2 e con il titolo ‘Vittime presunte di Mark Jefferson’. Vi era una piccola legenda che recitava:
 
 
C = Certa (fascicolo trovato presso la Fattoria Prescott)
Cn = Certa / Non collabora
P = Presunta
S = Sospettata fortemente di essere vittima / carenza di prove a sostegno / non testimonia
D = Deceduta (causa del decesso descritta accanto al nome)

 
 
“Cazzo Max… sono tantissime…”mormorò Chloe sbigottita. I fogli contenevano almeno una quindicina di nomi, per un totale di quasi trenta ragazze.
“E la parte peggiore è la fine.”commentò amaramente Max, porgendo il secondo foglio e indicando gli ultimi nomi
 
  • Amber, Rachel Dawn ; D (Overdose. Possibile responsabilità di Prescott Nathan)
  • Marsh, Kate Beverly ; D (Suicidio. Possibile induzione a tale gesto da bullismo perpetrato da       Prescott Nathan e Chase Victoria Maribeth e Jefferson Mark)
  • Chase, Victoria Maribeth ; P; D (Deceduta in seguito a una ferita al capo durante lo straordinario evento meteorologico che ha interessato Arcadia Bay in data 11 Ottobre 2013)
  • Caulfield, Maxine ; S (l’interesse mostrato dal sospettato per questa ragazza è ragionevolmente fonte di dubbio. Potenziale vittima. Attualmente risiede a Seattle dalla famiglia. Si richiede un colloquio entro il processo.)
 
“Merda.”disse Chloe “Fa male  leggere certe cose. Come ti senti?”
Max fece le spallucce
“Sto bene. Nulla di nuovo. Ma stanno facendo un ottimo lavoro, non credi? Questa lista potrebbe essere determinante.”
“Per cosa? Noi abbiamo bisogno di trovare Nathan, non di creare una associazione per le vittime di Jeffer…”
“Ma non capisci, Chloe?” sbottò Max “David ci ha dato questa lista perché potessimo avere dei punti di rifermento, studiare meglio Jefferson e, se riusciamo, rintracciare qualche vittima e convincerla a parlare. Se otteniamo questo, possiamo appesantire le accuse verso di lui e riuscire a non farlo scarcerare tanto presto. Inoltre, potrebbero darci qualche idea su come operava prima di Arcadia Bay. Magari sanno di un altro posto che usava prima di avere accesso ai fondi dei Prescott, un’altra ‘Dark Room’ dove potrebbe aver nascosto anche Nathan!”
Chloe rimuginò su quelle parole e poi annuì
“Ha senso.” disse infine “Vuoi parlarne con Kristine?”
Max ci rifletté qualche istante poi scosse la testa
“No, meglio di no. Almeno non ora. Aspettiamo prima di capire quanto possa essere determinante. Inoltre qui si tratta anche del lavoro di David: non voglio metterlo troppo a rischio per averci aiutato. Ma proposito: andiamo oggi in camera di Nathan?”
“Dipende. Lo sai che poi dobbiamo andare da Frank.”le ricordò Chloe.
Frank Bowers era detenuto anche lui al South Fork. Appena uscite dalla prigione, dopo il colloquio con Jefferson, lo avevano incrociato. Lui le aveva riconosciute subito e attirato la loro attenzione. Era dimagrito, e di un bel po’, aveva capelli e barba lunghi e non curati, occhiaie pesanti (disintossicazione in corso?) ma tutto sommato sembrava in ottima salute.
Si erano avvicinate e scambiato due parole con lui, omettendo il motivo della loro visita mattutina. Dato che una guardia stava richiamando Frank, gli promisero che sarebbero tornate per l’orario di visite ufficiale, quella sera dalle diciotto e trenta fino alle venti.
Prima però, volevano fare un secondo sopralluogo in camera di Nathan.
E portare l’acqua alla piantina in camera di Chloe.
Max annuì e disse che per metà pomeriggio avrebbero certamente finito e sarebbero andate direttamente da Frank, così poi avrebbero cenato al ristorante dell’albergo e si sarebbero buttate a letto il prima possibile. Sentiva già troppa stanchezza addosso e non vedeva l’ora di farsi una dormita colossale. Chloe poteva anche guardare la televisione, tanto era abbastanza sicura che non si sarebbe svegliata per una settimana.
 
 
Tornato a Portland, McKinsey non si diresse subito a casa sua ma preferì prima andare in ufficio per sbrigare quella faccenda che si faceva sempre più insidiosa nella sua mente. Essendo Sabato, non avrebbe trovato nessuno a dargli fastidio: ne le segretarie e nemmeno i suoi colleghi con la quale condivideva il suo studio, il ‘McKinsey, Hoffman and Brown’. Parcheggiò la sua Lexus al solito posto, prese l’ascensore e si ritrovò dentro il suo studio in men che non si dica. Arano appena le dieci del mattino e sperava di trovare il suo uomo già sveglio e pronto ad entrare in azione. Aprì la porta dello studio con le sue chiavi e si beò del silenzio: la sala d’attesa con un divano di velluto, un tavolino di cristallo con delle riviste prese a caso dalle sue segretarie e un quadro che era una copia ben fatto di un Pollock, lo accolsero con aria pacifica. La porta del suo ufficio personale era a destra e non indugiò un istante ad aprila e rifugiarsi al suo interno.
Il suo studio era lo specchio della sua vita: un ampio finestrone faceva entrare una calda luce che rendeva l’ambiente luminoso, una alternanza per costruita di piante finte con alcune vere,  i suoi titoli e la sua laurea incorniciati e messi in bella vista sulla parete accanto alla sua scrivania ampia e di mogano, con una comoda poltrona in pelle per lui e due poltrone meno confortevoli per coloro che riceveva: doveva indurli a pensare che solo lui poteva metterli a proprio agio e fidarsi che fosse così, visto che  sarebbe parso calmo e rilassato.
Aveva anche una macchinetta del caffè e un distributore d’acqua in un angolo, e due quadri, ovviamente sempre ottime repliche, di un paesaggio di Constable e uno di un macchiaiolo italiano, per indurre un senso di calma e serenità. Dovevano fidarsi di lui: era uno dei migliori dieci avvocati dello Stato, dopotutto.
S’infilò dietro la sua scrivania e si mise a cercare ciò per cui era li.
Nel doppio fondo del primo cassetto a sinistra della sua scrivania vi era un secondo telefono che non usava quasi mai, se non per contattare fonti oppure lui.
Lo aprì e lo accese, mise il pin con destrezza e cercò subito tra i pochi contatti quello che gli interessava.
Dopo due squilli, rispose la solita voce burbera e profonda.
“Ho un lavoro per te.  Devi entrare in azione subito però.”
L’uomo lo ascoltò e infine accettò.
 
S’ingozzarono beatamente al ristorante del Seaside, dove ogni portata era ottima e non si preoccuparono di poter fare una pessima figura in mezzo a tanti ospiti che a quell’ ora popolavano la sala. Non persero tempo e non si rilassarono molto in camera, ma si cambiarono rapidamente e si lavarono i denti prima di scendere di nuovo
Dopo pranzo, partirono dall’hotel in direzione Arcadia, per la precisione casa Prescott. La giornata era limpida e pareva più calda delle altre, pochissime persone erano in giro e solo una macchina sembrava percorrere la oro stessa strada. Curioso che vi fosse un altro turista per Arcadia. Magari era solo un curioso.
La strada era rimasta impressa, perciò arrivarono davanti alla magione con estrema facilità, parcheggiando sempre in mezzo alla strada.
Kristine era in mezzo al prato,  dove stava accatastando cianfrusaglie che sembravano provenire dal garage. Appena le vide, sorrise loro e agitò la mano in segno di saluto. Era graziosa con i capelli raccolti in una coda di cavallo e un paio di calzoncini sportivi e una canotta leggera a motivi floreali.
Le due la raggiunsero e rimasero sorprese e incuriosite dalla pila che si stava formando in mezzo al verde
“Che roba è?” chiese Chloe, ma non ottenne risposta.
Kristine si era fatta di colpo seria e fissava la strada, nella stessa direzione dalla quale erano venute le sue due complici
“Siete venute con qualcuno per caso?”chiese insospettita
Chloe la fissò stranita
“No, non abbiamo chiesto nessun aiuto. Per ora.” sottolineò Max “Perché”
Kristine fece le spallucce e sorrise
“Nulla. Mi pareva di aver visto un auto laggiù, ma forse mi sono sbagliata. Comunque Chloe, questa è roba dei miei che stava in garage. Roba vecchia. Non credo che ci sia nulla di utile ma se volete prendere qualcosa perché vi piace o vi può tornare utile, fate pure: io penso di buttare tutto.”
Le invitò ad entrare, ma a Max non sfuggì il fatto che lanciò un’ altra occhiata sospetta in direzione della strada.
Kristine s’interessò a come passassero le giornate e come stesse la madre di Chloe. Chiese se qualcuno le stava infastidendo ma negarono, anzi erano tutti cordiali e riservati con loro. Max le confidò di aver dovuto vedere Mark Jefferson, dato che aveva insistito il suo avvocato per farli incontrare ma era stata solo una stressante perdita di tempo. Chloe sottolineò con orgoglio che la sua ragazza era stata tosta e lo aveva preso a parole tutto il tempo, ma Kristine sembrava più interessata all’avvocato, trovando inusuale che un uomo di legge insistesse così tanto per far incontrare un suo cliente potenzialmente colpevole con una delle sue ex studentesse, ben sapendo la fama che lo circondava. Inoltre storse il naso all’dea che non fossero presenti i legali.
Furono accompagnate al piano di sopra e lasciate libere di frugare. Alla luce del giorno, la stanza risultava più caotica e sporca, con pezzi di legno e foglie ancora presenti sul pavimento. Frugarono ovunque, ribaltarono anche il materasso ma non riuscirono a trovare nulla che tornasse utile, finché…
“Aspetta un secondo.”disse Max, vedendo un pezzo di carta sbucare da sotto la cassettiera.
Ne tirò fuori una foto, vecchia e segnata come se fosse stata spiegazzata, che ritraeva un Nathan leggermente diverso, forse più piccolo di un paio di anni, accanto a una ragazza dall’aria dolce e timida. Aveva lunghi capelli castani e occhi verdi.
“Chloe? Tu sai chi…”
“Cazzo, ma è Sam!”esclamò, prendendo la foto dalle mani di Max, osservandola meglio “Si! E’ Samantha Myers!”
“Chi?” chiese incuriosita Max
Chloe le sorrise e agitò la foto con entusiasmo
“E’ stata un flirt di Nathan. O meglio, lei era cotta persa di lui quando andavo ancora alla Blackwell. Io in teoria lo ignoravo, era un primino e insignificante, ben lontano dal pezzo di merda che è diventato poi. Anche lei era una primina, sempre timida e riservata. Un po’ come te a pensarci bene. Beh, era palese che gli morisse dietro e ha cercato in ogni modo di corteggiarla. Poi io non ho più di tanto cagato i gossip della scuola e sono stata sospesa, in più era iniziato tutto il casino con Rachel, ma so che si sono frequentati e lei ha avuto un incidente. Sembra sia stata investita o qualcosa del genere.”
“Oh! E’ morta?”esclamò Max
“No, no. Si è fatta male ed è rimasta in ospedale per un po’ ma non è mai stata in pericolo di vita. Ma da quello che ho saputo da Justin e Rachel, alla fine del secondo anno è stata trasferita in un’altra scuola dai suoi, lontano da Arcadia. Ma la cosa più interessante è che negli ultimi mesi alla Blackwell stava bel lontana da Nathan. Lo schifava o ne aveva paura o entrambe le cose. Curioso, non trovi?”
Max sorrise
“Molto. Teniamola e chiediamo a Kristine se sa qualcosa.”
“Aspetta, fammi controllare prima una cosa.”disse Chloe, ed estrasse la lista di vittime di Jefferson. Dopo una rapida occhiata concluse che non c’era, ma questo non significava che non potesse sapere qualcosa.
Scesero al piano di sotto e trovarono la Prescott in cucina, che beveva un sorso di acqua ghiacciata. Iniziava a sudare e il suo viso era chiazzato di rosso.”
“Se avete voglia di aiutarmi anche a svuotare il garage, non fate complimenti. Comunque c’è da bere e mangiare. Servitevi pure.”
“I tuoi amici non ci sono per darti una mano?”chiese Chloe che già stava scartando una merendina.
Kristine scosse la testa
“No, fino a stasera no. Sono andati a farsi un giro a Portland o Astoria, non ho ben capito. Basta che mi portano una pizza gigante per cena, possono andare dove vogliono. Trovato qualcosa di interessante?”
Max porse la foto del fratello
“Hai sentito parlare di questa ragazza, Samantha Myers?”
Kristine studiò la foto per un paio di minuti, in silenzio. L’unico rumore presente in cucina fu il ruminare di Chloe, che era alla seconda merendina al cioccolato e stava per afferrare una lattina di gazzosa con le dita sporche di cacao, sotto lo sguardo rassegnato di Max.
“Non l’ho conosciuta di persona, non andavo alla Blackwell e forse ero già all’Università, in California. Più lontano ronzavo da questo cesso di casa, più stavo meglio. Comunque, ho sentito parlare di questa ragazza. Nat si confidava spesso con me e mi aveva detto che si frequentava con una certa Samantha. Forse è venuta anche a cena qui un paio di volte, sempre quando non ero presente. Poi ha smesso di parlarne. Qualche tempo dopo gli chiesi se la vedeva ancora ma mi liquidò in fretta con un ‘ha cambiato scuola’. Dite che c’entri qualcosa?”
“Non lo sappiamo.” disse Max “Ma se possibile, dovremmo rintracciarla e chiederle se aveva assistito all’arrivo Mark Jefferson e se Nathan poteva essere stato influenzato in qualche modo.”
Kristine prese anche lei una gazzosa e fissò Max
“Pensi che sia utile?”
“Potrebbe. Per capire dove potrebbe averlo nascosto, se non nel vostro vecchio terreno di famiglia o alla Blackwell, dobbiamo scovare più indizi possibili sulla loro relazione. Non penso abbia avuto accesso subito al vostro patrimonio e ai sotterranei antiatomici delle vostre proprietà.”spiegò Max
“Inoltre, Sam era molto vicina a Nathan prima di essere trasferita. Forse, togliergli una persona casa potrebbe averlo reso più arrabbiato e vulnerabile.”suggerì Chloe “E io ne so qualcosa.”
Max abbozzò un sorriso tenero a quelle parole e lanciò un occhiata a Chloe ma, vedendo il suo viso, capì che era stata una mezza verità e una copertura: lei voleva capire altro. Voleva trovarla per scoprire come mai Nathan e Samantha si erano allontanati ben prima che lei se ne andasse dalla Blackwell. Omettere quel dettaglio e usare una sorta di somiglianza personale era stata una vera mossa subdola ma efficace. Si fidava di Kristine, ma allora perché stavano omettendo sempre più dettagli?
Kristine sorrise in risposta a Chloe e accolse con entusiasmo l’idea. Si, trovare Samantha Myers potrebbe tornare utile.
Dopodiché annunciò che la sua pausa era finita e tornava al lavoro, ma Max le disse che avrebbero aiutato a finire di sistemare il garage, con grande sorpresa e disapprovazione di Chloe.
Dopo quasi un’ora, era svuotato, ogni cosa impilata alla maniera migliore, le cianfrusaglie destinate alla discarica pronte per essere caricate su un furgone che avrebbe preso a nolo nei prossimi giorni, altre cose che grazie a Max e Chloe erano ancora in ottimo stato e perciò salvate per imbastire un mercatino o rivenderle su internet e, infine, un paio di ricordi di infanzia che Kristine pensava di aver perduto che salvò.
Lasciò a Chloe e Max la libertà di prendere quello che volevano ma non erano interessate a nulla, tranne a una lavagnetta di legno compensato adatta per appenderci dei memo. Chloe s’impuntò nel volerla e alla richiesta di spiegazioni da parte di Max, sorrise sorniona.
Finito dai Prescott, passarono a casa Price a dare da bere alla piantina. Chloe caricò la lavagnetta in camera e la mise di fronte al suo vecchio armadio a muro.
“Si può sapere che ti serve?”
Chloe sorrise raggiante e spalancò le braccia, come ad abbracciare simbolicamente camera sua
“Max ci serve un quartiere generale e che posto può essere più adatto della mia camera?” esclamò entusiasta “Qui non ci disturberà mai nessuno! Potremmo rifugiarci qui quando ci servirà riflettere e potremmo lasciare qui tutto quello che riteniamo significativo, senza rischiare di portarlo in giro e perderlo o lasciarlo in camera. O pensavi di fare le nostre ricerche in macchina o in hotel?”
Max non ci aveva pensato ed effettivamente era una ottima idea. Quella camera era libera, lontana da occhi indiscreti e sicuramente nessuno avrebbe mai immaginato che si erano rintanate li per cercare un cadavere. Annuì e approvò la cosa
“Inoltre ci ha portato culo l’ultima volta, no?”sottolineò Chloe “La nostra Bat- caverna!”
Decisero però che, per nessuna ragione al mondo avrebbero lasciato la lista di David in quella stanza. Troppo preziosa per loro e l’avrebbero appesa e usata solo in quella camera ma non l’avrebbero lasciata lì. La foto di Nathan, per ora, fu messa in un cassetto. Nei prossimi giorni avrebbero comprato del materiale adatto per renderla una vera area investigativa.
Diedero da bere alla piantina poi, visto che sarebbero dovute andare di nuovo fino al South Fork, decisero di non indugiare troppo oltre e cominciare a muoversi verso la prigione, ma prima occorreva fare benzina.
Ma prima di abbandonare la stanza, Chloe spostò la lavagnetta contro un angolo e disse a Max di mettersi davanti alla cabina armadio. Non comprese il motivo ma lo fece. Erano una di fronte all’altra ora. Chloe le sorrise
“Penso sia giusto rimediare a una cosa, prima di andare.”
“Che cosa?”
Il sorriso di Chloe si allargò
“Ti sfido a baciarmi. Adesso.”
Max comprese. Voleva rivivere quel giorno. Ridacchiò ma l’accontentò, cercando di essere impacciata come quella volta. Si mise sulle punte e depositò le sue labbra su quelle di Chloe che, stavolta, non si sorprese ne saltò all’indietro ma l’afferrò per i fianchi e rispose con entusiasmo al bacio.
“Scusa. Dovevo correggere questa cosa.”spiegò, facendole un occhiolino.
 
 
“Adam?”
Kristine era al telefono e rintracciò uno dei suoi due amici. Mentre aveva guardato andare via le ragazze, era rimasta seminascosta tra le tende a osservare la strada. Dopo un paio di minuti, dal retro di una delle ville, vide una berlina colore vermiglio, certamente di molti anni prima, sbucare e seguire il pick –up di Chloe. Non si era sbagliata, aveva visto giusto.
“Dimmi Kristine.”rispose il suo amico
“Prendetevela con calma, qui ho finito per oggi. Ma fatemi un favore: cercate di raccogliere più notizie che potete su Mark Jefferson e soprattutto chi lo difende.”
“Non riesci a farlo tu, scusa?”
“Certo che potrei, ma non sono sicura di non essere osservata. Fatelo voi. Usate i miei mezzi. Aspetto notizie e pizza per stasera.”
 
Il South Fork nel tardo pomeriggio sembrava più vivo. C’erano altri intorno a loro, un viavai più significativo di parenti o amici che andavano o tornavano dall’orario di visite autorizzate.
Si presentarono all’ingresso per la seconda volta, spiegarono che erano li per il detenuto Frank Bowers.
Furono riaccompagnate nella medesima stanza delle visite della mattina ma in un tavolo diverso. Frank le attendeva nel primo a destra, cupo e chino sul tavolo. Senza manette, a differenza di Jefferson.
Nel vederle, abbozzò un sorriso
“Siete venute. Grazie.”mormorò “Scusate per stamattina ma non potevo trattenermi a lungo. L’agente Williamson non è cattivo, ma giustamente deve riprenderci quando deve. Già è un carcere di minima sicurezza, meglio non cazzeggiare troppo.”
“Non preoccuparti. Siamo venute volentieri.”disse Chloe. Max annuì e sorrise in supporto.
“Grazie davvero. E’ bello vedere facce familiari dopo tanto tempo. Come state ragazze? Ho sentito che ora siete a Seattle.”
“Già.”disse Max “Siamo tornate dai miei. Ero di Arcadia, non penso di avertelo mai detto, ma circa sei anni fa ci trasferimmo a Seattle. Sono tornata per Chloe e per la Blackwell. Dopo il disastro, era la sola meta sicura che avevo in mente.”
Frank ridacchiò
“Eccole qui, sempre insieme le Thelma e Louise dell’Oregon e ora dello stato di Washington. Puntate ancora pistole contro gli spacciatori o a Seattle sono più cinici?”
Chloe sorrise beffarda
“Tutti gli spacciatori sono cinici: sei tu che in fondo sei sempre stato una brava persona. Non negarlo.”
Frank le sorrise ma s’incupì
“Si…. Una brava persona che ha ucciso l’unica ragazza che abbia mai amato.”
“Non è stata colpa tua!”esclamò Max “E’ stato Nathan Prescott che..”
“E dove pensate che abbia preso la droga, quel Nathan?” disse Frank amaramente “Avrei preferito saperla in California con un altro uomo, piuttosto che…”
“Frank.... non puoi distruggerti per questo. Non potevi sapere. Rachel non poteva sapere e sono certa che non si sognerebbe mai di darti la colpa. La conoscevamo bene”tentò di consolarlo Chloe
“Oh, andiamo! Non avrò sparato, ma sono io che ho armato la pistola! Sapevo che poteva succedere. Quando fai lo spacciatore, metti in conto che qualcuno possa crepare per colpa della merda che gli vendi. Cazzo, non tutti vogliono solo erba, magari tutti volessero solo erba! Ma Rachel… cazzo…”si lamentò Frank, nascondendo il viso tra le mani.
“Frank, non è colpa tua. La droga somministrata a Rachel era modificata, arricchite dai medicinali di Nathan. Non era…”
“Ma era la MIA droga Chloe!”s’impuntò lui
Max intervenne mantenendo un tono di voce dolce ma deciso
“Frank, non puoi vivere colpevolizzandoti per qualcosa che non hai fatto. Rachel assumeva droghe, spacciava anche. Non era inesperta ne stupida. E’ stata manipolata e ingannata da quello stronzo di Jefferson, insieme a Nathan. Sono tutti e due vittime sue. Nathan ha tutta la colpa per averla drogata, su questo non ci piove, ma anche Jefferson ha la responsabilità morale per averlo spinto a tale gesto. Rachel era finita in qualcosa di troppo grande, ma era troppo intelligente per farsi fregare così facilmente. Ci sono voluti mesi di seduzione da parte di quel verme per farle abbassare la guardia.”
Frank lanciò una occhiata in direzione di Max
“Quel verme è qui e non posso ammazzarlo.”sibilò
“Non farlo. Deve pagare per ogni crimine: uccidendolo faresti solo un favore a lui e lasceresti troppe ragazze senza giustizia.” sottolineò Max
“Giusto. Inoltre tu sei dentro per… per che cazzo di crimini sei dentro di preciso?”chiese Chloe
“Spaccio, ma il mio avvocato mi dice che non starò dentro per molto. Non ci sono prove. Quando mi hanno trovato avevo un avanzo di canna nel posacenere. Il resto delle droghe lo avevo già venduto o me ne ero sbarazzato. Di fatto, non c’è niente che mi colleghi allo spaccio di Arcadia se non voci e quello stronzo di Jefferson che mi accusa di aver venduto le droghe a tutta la scuola e di aver sedotto e fatto sesso con Rachel fin da quando era minorenne. Dovreste sentire cosa dice di lei quando ne parla. Lui si vende come il suo salvatore e lei una povera vittima della gelosia di Nathan e io un fottuto orco stupratore. Ma, per ora, l’esame tossicologico di Rachel ha individuato tracce di stupefacenti ma nessuno può collegarmi direttamente a lei.”spiegò Frank
“Tu che hai detto?”chiese Max
“Ho ammesso parzialmente alcune cose. Che per un periodo vendevo erba, ma solo a ragazzi maggiorenni e a Nathan Prescott. Ho anche ammesso di aver avuto una relazione con Rachel ma che lei mi ha lasciato dopo che, una sera, ubriaco ero diventato irascibile e si era spaventata. In parte è vero, ma non ero ubriaco ma fatto. E non so ancora se lei mi amasse davvero. A suo modo si, ma se poi si era fatta sedurre cosi velocemente da Jefferson io non….”
“Smettila!”esclamò Chloe, battendo un pugno sul tavolo “Rachel non era una manipolatrice, ok? Non stava con te per fregarti la droga o il tuo camper, non si è portata a letto Jefferson ma si è solo fatta ammaliare. Se ti amava, era vero. Sapeva darti qualcosa, ti trasmetteva dentro qualcosa che… beh non poteva lasciarti dubbi. Se l’ho provato io, non vedo perché non potesse essere vero con te. Ti nascondeva a me, non mi parlava di te o di Jefferson. Sapeva che mi avrebbe spezzato il cuore. Perciò non aveva secondi fini. Si, voleva fuggire e forse non voleva più farlo con me, ma non avrebbe mai e poi mai manipolato noi per i suoi scopi o sarebbe stata allo stesso livello delle persone che l’hanno uccisa. Era solo complicata. Ma era buona. Se ti ha amato, come non ha amato me, allora era sincero. E se ti ha lasciato, forse sarebbe tornata se davvero l’amavi come dici, non appena avrebbe capito che avevi sbagliato e che stava per essere manipolata lei stessa da un maniaco. Suo padre l’ha spezzata troppe volte: voleva solo un uomo che non lo facesse. Io non potevo darle tutto questo, forse solo tu ci sei riuscito.”
Frank rimase in silenzio ma delle piccole lacrime solcarono il suo viso fino a perdersi nella barba
“Mi manca ogni fottutissimo giorno.”disse con voce roca
“Anche a me.”rispose Chloe “Per questo non dobbiamo permettere che Jefferson la faccia franca. Hai fatto il tuo, non dire più nient’altro. Fatti il tuo periodo di detenzione e appena esci vieni a trovarmi a Seattle e fatti una serata con noi due e  prenditi una sbronza alla memoria di Rach.”
Frank sorrise timidamente
“Beh, per stavolta potrei essere io in debito con te. Inoltre ammetto di essere stato fortunato: ho perso il mio diario. Quello mi avrebbe fottuto alla grande. Ero incazzato per non averlo più ma ora, probabilmente, mi ha salvato da molti più anni di gabbio. Anche darvi la mia lista dei clienti è stata una botta di culo.”
Max e Chloe si scambiarono una occhiata complice che non sfuggì a Frank.
“Che avete voi due? Sapete qualcosa?”
“Oh, no!” negò Max “Solo che stavo… beh vedi tu hai perso il tuo diario e Rachel. Io e Chloe abbiamo trovato lei e poi abbiamo trovato… beh noi.”
“Ah. Pensavo foste solo grandi amiche.”
“Lo siamo ma da quella settimana noi…
“Max vuoi smetterla di sbandierare a tutti che scopiamo? Cazzo, a volte sembri timida anche a guardarmi e poi sbandieri in pubblica piazza che stiamo assieme. Una via di mezzo mai?”
Frank rise di nuovo
“Beh, non mi sorprende. Sembravate già una coppia di cazzute lesbiche quando siete venute da me a prendere la lista. A proposito, l’avete ancora?”
“Certo che no!”mentì Chloe “Secondo te conserviamo la pistola fumante! Sceme si, ma non così tanto!”
“Ok, ok. Volevo solo essere certo.”
“Pompidou dove sta?”chiese Max
Questo fece rabbuiare Frank
“Canile a Tillamook. Ogni tanto una volontaria me lo porta qui nell’orario di visite ma vedo che non è felice. E’ una cazzata questa. Dovrebbe stare con qualcuno che lo ama, in un posto al sicuro. Non in un merdoso canile.”
“Che schifo.  Frank, scusa se te lo chiedo ma tu non avrai fatto la cazzata di dire altro agli sbirri, vero?” chiese Chloe
“Altro cosa?” rispose lui confuso
“Sai…pettegolezzi vari su Arcadia…. “disse lei con tono vago, agitando la mano.
Max non colse, ma Frank si
“No. Non ho detto nulla sugli Amber, sulla vera madre di Rachel e i casini. Non ho detto niente nemmeno dello spaccio alla Blackwell, di Drew e degli altri. Come ti ho detto, solo Nathan ho indicato come grosso cliente della scuola e ho fatto intendere che fosse lui a spacciare. Pagherò per aver rifornito un po’ di gente ma ad oggi non si è presentato nessuno ad accusarmi e spero che continui così.”
Chloe sorrise soddisfatta da quella risposta.
Max continuava a non capire il perché di quella richiesta.
Dopo una ventina di minuti di chiacchiere miste, più che altro sulle loro nuove vite a Seattle, si congedarono da Frank promettendogli di tornare a trovarlo prima di lasciare lo Stato. Appena furono in macchina, Chloe sapeva che Max era curiosa della domanda che aveva fatto e le spiegò
“Dobbiamo capire il più possibile su che fronti si sono mossi. Se hanno cercato Sera, se hanno indagato altri ragazzi per spaccio, quanto Nathan risulta colpevole agli  atti. Devo capire quanti ragazzi della Blackwell potrebbero essere coinvolti nelle indagini. Soprattutto chi. Meno gente indagano, meglio è per noi perché vorrà dire che David avrà meno problemi ha navigare nei fascicoli delle indagini. Inoltre, potremmo farci anche una idea più chiara degli spostamenti in Arcadia di Nathan. Oltre alla Blackwell, la fattoria e la spiaggia, potremmo dover individuare altri posti e persone che abbia frequentato regolarmente e lasciato delle tracce. Più tracce ha lasciato, più probabilità ci sono che lo abbia saputo anche Jefferson e, se rientra nelle tempistiche adeguate, potrebbe averlo nascosto in qualche zona che ignoriamo.”
Max la fissò ammirata
“E’ una idea fantastica! Sei grande!”
“Hey, sto imparando dalla migliore.” rispose sorridendole e scuotendole la chioma affettuosamente “Inoltre ho un’altra idea.”
“Sarebbe?”
“Beh la foto di Sam e il fatto che non sia nelle lista delle vittime mi ha fatto riflettere. Non  è finita da Jefferson, ma il suo allontanamento è sospetto. Potrebbe esserci qualcosa di interessante. Ma non so come rintracciarla, a dire il vero. Così come non ho idea di come potremmo rintracciare tutte le altre vittime e provare a convincerle a parlare con noi con degli avvocati per incastrare definitivamente Jefferson. Quindi, ci servirà qualcosa per rintracciare più gente possibile. O meglio, qualcuno.” spiegò
“Chi? Non possiamo coinvolgere gente di cui non ci fidiamo e poi..
“Tranquilla. E’ una persona fidata e una delle più brillanti che abbia mai conosciuto. Spero non abbia cambiato numero. E si, potremmo dirlo a Kristine. Sono certa che non obietterà.”
Salirono sul pick-up e tornarono in albergo.
 
 
 
“Notizie?”
Mckinsey era nel cortile del retro di casa sua. Aveva chiamato il suo detective privato, Marlon Nowak, e lo aveva incaricato di seguire e scoprire il più possibile sulle due ragazze.
“Nulla di rilevante, Humphrey. Penso tu abbia preso un granchio.”
“Stronzate. Che hai scoperto?”
“Sono alloggiate al Seaside di Bay City, al piano più sorvegliato a quanto pare. Non sono avvicinabili. Credo siano sotto tutela dei Prescott.”
“Che cosa?”
“Si, oggi erano alla vecchia villa dei Prescott ad Arcadia. Hanno parlato con una ragazza e si sono trattenute quasi due ore. Le ho viste svuotare un garage e pulire. Hanno portato via una tavola di legno compensato. Nulla di più. Hanno soltanto fatto del volontariato.”
“Non fanno volontariato, non per dei Prescott. Inoltre sono in Florida! Che cazzo stanno combinando?”
“Non ne ho idea ma nulla lascia presupporre che stiano facendo qualcosa di illegale o che vogliano incastrare il tuo cliente.”
“Quella cazzo di tavola…”
“Era semplicemente di legno compensato, molto vecchia. Ho provato ad entrare in casa Price, ma dovrei scassinare la porta di notte. Non poteva contenere nulla di sospetto. Era vuota. Se vuoi entrerò in casa Price, ma mi aspetto un compenso maggiorato per questo.”
“D’accordo, d’accordo. Ma non fare danni, non scassinare nulla , non lasciare tracce. Altro?”
“Si, hanno lasciato l’albergo poco dopo le diciassette, ma le ho perse. Sto aspettando di vedere se tornano all’hotel. “
“Come cazzo hai fatto a perderle? E dovrei pure pagarti di più?”
“Si, perché queste due non stanno facendo nulla di male, Humphrey! Sono solo tue paranoie. Seguirò due ragazze in gita nella loro vecchia città, se ti va, ma non intendo farlo gratis.” e chiuse la conversazione.
McKinsey era furibondo ma anche dubbioso sul suo, fino ad ora, infallibile intuito.






Quella sera, mentre erano nel bel mezzo della cena al ristorante dell’albergo, il telefono di Max prese a squillare.
Era suo padre. Allarmata che potesse essere stato avvisato della sua visita da Jefferson, non si premurò della situazione e rispose prontamente
“Hey, ciao pà, ti avrei scritto un messaggio dopo. Si, qui tutto ok, Joyce sta alla grande. Certo, ci stiamo tenendo lontano dai giornalisti. Ah, mi avete visto l’altra sera? Si, non avevo una bella cera, ci hanno assalite. Certo che ti saluto Chloe. Ricambia, ovviamente. Ma piuttosto voi che mi raccontate? Come il suv… davvero? Cazzo, papà portalo subito a sistemarlo da qualcuno!”
Chloe si sbracciava. Aveva la bocca piena di cibo e voleva attirare l’attenzione di Max.
“Fiasss!!Diilli andae da Fiasss!”borbottò con la bocca piena di patate.
“Eh?”
Ingurgitò con fatica, poi disse
“Digli di andare da Diaz, da Diaz Auto Master. E’ un tipo tranquillo e bravissimo, prezzi onesti. Mi ha dato una sistemata al pick-up un paio di mesi fa e non mi ha scucito tantissimo.”
Max riferì e Ryan ringraziò.  Scambiò alcuni convenevoli anche con sua madre  e poi riagganciò.
“Sanno…?”
“Nulla, per fortuna.” concluse Max “Tu hai sentito questo supereroe che ci dovrebbe aiutare?”
Chloe aveva di nuovo la bocca piena e si limitò a scuotere la testa in senso di diniego.
“Fi penfo dobo fena.”
Risalite in camera, prese il suo cellulare
“Spero vivamente che non abbia cambiato numero….”pensò ad alta voce Chloe
“Puoi sempre provare con Facebook, no?”
“Ti sembro una che si installa Facebook sul telefono? L’’ho usato spesso solo per cercare te quando…. Oh lascia stare.”s’interruppe, arrossendo e voltando la schiena a Max, che sorrise.
Fece scorrere la lista dei contatti finché non trovò il nome che cercava. Provò a chiamare e…
“Squilla! Cazzo si!”
Pochi istanti dopo, una voce rispose
“Heeeeyyyyyy, come butta? Si, sono proprio io. Si è molto che non ci sentiamo. Senti, andrò dritta al punto: ti va se ci vediamo? Ho bisogno di te, mi daresti una grandissima mano per un casino gigantesco che…. no, non posso dirtelo per telefono. Dove è che stai ora? Oh, cazzo. Beh per ora sono a Bay City, puoi raggiungerci….quando…. davvero? Domattina? Sicuro che ci sarò! Ti offro la colazione! Si, al Fisherman’s Hotspot…. Ssiiii metti il navigatore, lo trovi sicuramente. Inoltre Bay City è minuscola, ci metterai poco a trovarlo. Perfetto. Alle dieci, allora.”
Spense la conversazione. Chloe aveva un enorme sorriso stampato in faccia ora.
“Quindi ha accettato?”chiese Max
“Beh non le ho detto cosa, ma solo che ci serve un aiuto. Ma verrà a sentire di cosa si tratta. Anche perché non ci vediamo da un po’ e penso che voglia anche farsi una rimpatriata. Sai, non c’era solo Rachel. Avevi buoni rapporti anche con pochissimi altri.”
“Ottimo. Chi è?”
Chloe scosse la testa
“Sarà una sorpresa, tesorino. Ora a nanna! Cazzo, che figata!”
 
 
McKinsey non era solito portarsi l’altro telefono a casa, con sé. Ma situazioni d’emergenza, richiedevano soluzioni drastiche.
Era in salotto, da solo, a leggere un libro e bersi un bicchiere di Jack Daniel’s  quando lo sentì vibrare nella sua tasca.
“Aggiornami.”disse, senza nemmeno leggere il nome. Solo una persona poteva chiamarlo a quell’ora e su quel numero.
“Pulito. Casa Price non nasconde nulla. La lavagnetta in compensato è una fottuta lavagnetta in compensato. Nella stanza non c’è null’altro tranne una foto di quel ragazzo che pare sia scomparso a cui il tuo cliente affibbia ogni colpa. Ma è vecchia e in compagnia di una ragazza che non corrisponde alle due e a nessuna delle potenziali vittime note. L’ho rimessa a posto, ma ho scattato una foto con il cellulare e te la invierò più tardi. Magari tu sai chi sia.”
“Ottimo. Continua a cercare.”
“Scordatelo. Quella casa è deserta, eccetto per una piantina. Cosa vuoi che faccia, che interroghi le foglie? Quelle due si stanno facendo i cazzi loro, Humphrey. Secondo me hai preso un abbaglio.”
“Se cosi fosse, è solo un mio problema, non tuo. Finché ti pago, continua a tenerle d’occhio. Stasera cosa hanno fatto.”
“Sono in albergo. Cristo Humphrey! Ti conosco da anni e ti sto dando un consiglio da amico, non da detective: lascia perdere. Questa paranoia tua è infondata e rischia di ritorcersi contro. Tra pochi giorni ci sarà il processo, quindi vedi di rilassarti e smetterla di…
“Continua a  seguirle.” ripeté.
Poi chiuse la comunicazione.
Non si sarebbe fatto fottere da due bambine.
 
Il mattino seguente, Chloe era di ottimo umore.
Si svegliò prima di Max, la scosse con foga fino a farla svegliare malamente, beccandosi un cuscino sul naso, si cambiò e incitò la sua ragazza a sbrigarsi. Erano le nove passate e Max, notando la cosa, sottolineò che erano mostruosamente in anticipo. Ancora assonnata, si vestì e raggiunse la sua entusiasta compagna.
Arrivati al Fisherman, con somma gioia di Chloe, vennero accolte da Rebecca.
Solito tavolo, colazione salata per entrambe e mentre mangiavano con gusto, una ragazza non molto alta e snella,  con capelli ramati leggermente più chiari di quelli di Max e lunghi fino alle spalle, occhi blu scuro, labbra piene piegate in un sorriso felino e una maglietta rossa con un dado a venti facce disegnato sopra si avvicinò al loro tavolo e vi si fermò.
“Ciao Callamastia.”disse con voce provocante
Chloe si voltò di scatto, fissò la ragazza ed esplose in un sorriso gioioso
“Cazzo, sei arrivata finalmente. Ciao Steph!”
   
 
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