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Autore: Afaneia    08/02/2021    3 recensioni
Max si atteggia a scienziato inflessibile e intoccabile perché è troppo orgoglioso per ammettere persino a se stesso che in realtà ha paura. Di che cosa? Di tutto.
[Questa storia partecipa alla Challenge del Superfluo indetta dal gruppo Facebook Il Giardino di Efp.]
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ivan, Max (Team Magma)
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Fragilità


C'è una strana tenerezza nelle cose che Ivan non avrebbe creduto mai.

Per Ivan le cose sono solo cose. Non sa vederle in un altro modo. Consumista, lo accusa Max talvolta in tono canzonatorio, perché per lui una cosa vale l'altra e la si può sostituire o scambiare o buttare, o anche rompere, qualche volta, se si è molto distratti oppure molto arrabbiati – Ivan ride di quell'accusa della sua grossa risata da pirata perché lui non si sente tale (a stento sa cosa vuol dire), è solo che non la vede come la vede lui. È diverso.

Non se n'è accorto subito. Conosce Max da quand'erano due ragazzi e lui era alto tanto così (Max invece è rimasto alto tanto così anche dopo). Max all'epoca gli sembrava strano, naturalmente, ma strano in un modo diverso da ora. Indossava degli orrendi pullover fuori moda troppo larghi per lui, portava occhiali spessi come fondi di bicchieri da whisky e parlava in tono saccente come un secchione del cazzo. Nerd, gli urlavano addosso i ragazzi quando lo vedevano passare, coi suoi maglioni cascanti e il sedere piatto e asciutto nei pantaloni della tuta; nerd, gli urlava Ivan ubriaco senza sapere perché, solo perché faceva ridere urlare nerd dalla porta del pub insieme a tutti gli altri; Max li ignorava ostentatamente come tutti i secchioni, ma ogni tanto scoccava loro occhiate infocate che dovevano attraversare tutto lo spessore delle sue enormi lenti per raggiungerli. Nel tempo che quell'occhiata impiegava ad arrivare e che Ivan impiegava a capire che l'avevano offeso, Max era già lontano.

Col tempo Ivan ha scoperto che i pullover erano della sua taglia, semplicemente Max ha un corpo così sgraziato e rachitico che non gli sta bene niente e che tutto su di lui fa l'effetto di un sacco di tela addosso a uno spaventapasseri; che è miope come una talpa, ma i suoi occhi sono troppo delicati per le lenti a contatto; e che non si dice secchione, si dice intelligente. Tutto questo, ha concluso Ivan dopo un sacco di riflessioni, lo rendeva sfigato, ma non strano.

Poi sono passati gli anni, si sono persi, ritrovati, rincontrati, scontrati (molto), e Ivan ha penetrato il velo di quella stranezza a poco a poco. Non l'ha compreso subito. Max per lui era un genio ostile e petulante, polemico e rancoroso, geniale quanto odioso, riservato quanto maniacale. Aveva certe sue strane regole che Ivan ha dissacrato coll'irriverenza di un miscredente: pretendeva lenzuola bianche, per esempio, e Ivan per dispetto tappezzava il letto di tutti i colori a lui noti, saccheggiava l'armadio di Ada, quando ancora abitava con lei, per procurarsi improbabili lenzuola fantasia che combinava tra loro mischiando le federe. Max s'infuriava e minacciava di andarsene, e Ivan ridendo del proprio dispetto infantile gettava sul letto trapunte su trapunte fino a coprire il pallore abbacinante delle lenzuola e a placare la sua rabbia. Solo col passare degli anni Ivan ha capito che quello non era un capriccio – Max aveva paura, o forse disgusto, di qualcosa che non sapeva spiegare né raccontare. Così lui ha rubato ad Ada le sue lenzuola bianche e se l'è anche portate via quando ha cambiato casa. (Ora che ci ripensa, forse è stato un po' stronzo.)

Cogli anni ne sono venute fuori altre. Max si atteggia a scienziato inflessibile e intoccabile perché è troppo orgoglioso per ammettere persino a se stesso che in realtà ha paura. Di che cosa? Di tutto. È un coacervo di paura e angoscia che si nasconde astiosamente dietro lo schermo del proprio orgoglio, ma che di tanto in tanto si lascia accarezzare se lo si sa avvicinare, come un animale spaventato.

Non gli piace buttar via le cose. Non lo ha mai detto ad alta voce (è troppo umiliante per lui), ma di tutte le sue fissazioni questa è forse l'unica che non ha modo di nascondere. È dappertutto. Casa sua è dannatamente piena di roba – di libri, quaderni, appunti, sbobinature dell'epoca dell'università che fuoriescono dai cassetti, dalle scatole, dagli sportelli della cucina; ci sono libri sulle sedie, libri sulle mensole, libri sul pavimento. Bisogna spostare una pila di vestiti per sedersi sul divano e rovesciare da una parte Pokéball e bollette scadute per distendersi sul letto. Ci sono scatoloni nello studio che probabilmente neppure Max sa che cosa contengano: Ivan li ha sempre visti lì come le porte e il soffitto e le fondamenta della casa e probabilmente sopravvivranno anche a loro. Quando cerca qualcosa nello studio, Max li sposta da una parte all'altra della stanza a seconda di quello che deve fare, ma non lo sfiora neppure il pensiero di svuotarli e riordinare. Quando gli scatoloni non sono di fronte alla porta bloccandola e impedendogli di aprirla, Ivan di solito finisce per inciamparci sopra e bestemmiare, e Max lo rimprovera della sua disattenzione oppure gli chiede scusa, ma non fa niente per spostarli. Perciò un giorno, dopo aver inciampato per l'ennesima volta nel medesimo scatolone pieno di polvere rischiando di fratturarsi l'alluce, Ivan si è chinato bestemmiando e ha gridato: «Che ne dici se questa roba la buttiamo, eh, Maxie?»

«No» ha risposto Maxie impallidendo d'improvviso.

Ah, invece sì, avrebbe voluto rispondere Ivan rabbiosamente; ma per fortuna ha sollevato lo sguardo appena in tempo. Max era pallido e sudato e lo guardava con gli occhi enormi e spauriti carichi di supplica, e lentamente Ivan ha ritirato le mani che gli pizzicavano per la polvere e ha spinto via lo scatolone col piede. Pazienza, ha pensato quel giorno. Prima o poi si sentirà pronto. Non dev'essere per forza stasera. Quel prima o poi ancora non è arrivato, ma Ivan non ha ancora smesso di crederci. Ha fiducia nella sua forza.

(E poi, che altro?) Ah – ha paura dei bottoni. Questo, nella sua personale visione del mondo, è tipo l'apoteosi dello sfigato, perché andiamo, si è mai sentito di qualcuno che sia stato sbranato da un bottone?

Non tutti i bottoni. Quelli attaccati alle camicie non gli fanno troppa impressione, anche se è per questo che ha sempre portato pullover, ma è terrorizzato da quelli che si staccano e cadono. Ivan ha riso tipo un sacco quando l'ha scoperto. Max è rimasto ad ascoltare le sue risate a labbra strette per tipo quattro minuti, sforzandosi di non guardarlo. Ivan lo ha preso in giro per tutta la sera, poi, quando Max s'è addormentato tutto indispettito sul bordo del letto, dandogli le spalle, si è alzato dal letto in silenzio e ha aperto l'armadio. Possiede perlopiù magliette e felpe con e senza cerniera lampo, ma ci sono anche camicie e giacche per le uscite fighe.

Era da tipo un secolo che non metteva a posto l'armadio. Ha buttato tutto per terra, poi ha fatto due mucchi separati, uno un po' più grande dell'altro, e ha buttato nella spazzatura giacche e camicie e qualsiasi cosa contenesse bottoni. Naturalmente avrebbe potuto tenerle da parte e indossarle quando Max non c'è, ma il suo più grande pregio è sempre stato quello di riconoscere i propri limiti, e Ivan, quella notte, sapeva di non essere abbastanza attento, o intelligente, o sensibile da ricordarsene ogni volta che avrebbe dovuto vestirsi. Lo sapeva già che se ne sarebbe dimenticato ogni volta, e non per cattiveria, ma solo perché era fatto così; e siccome non voleva sbagliare, questa era l'unica soluzione possibile.

Non gliene ha mai parlato. Max in quel momento dormiva, ancora arrabbiato con lui per la sua mancanza di sensibilità, e Ivan non glielo dirà mai. Certo, se solo ci avesse prestato un po' di attenzione, probabilmente Max si sarebbe accorto da solo che da quella sera lui non ha più indossato capi con bottoni – ma Max è troppo fragile e troppo altero per permettere a se stesso di prestarvi attenzione, forse perché significherebbe provare vergogna o dover essergli grato della sua compassione; e Ivan, che lo conosce bene, ride di lui a gran voce perché vuole che Max sappia che non c'è niente che non vada in lui. Che con tutte le sue fobie e fissazioni, per lui non sarà mai strano – tutt'al più un po' sfigato.

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