# Amico 2
Michael Scofield
era un genio.
Una mente creativa brillante; un uomo
capace di cogliere ogni aspetto di una situazione e di analizzarne ogni
componente, mettendone in luce i dettagli più insignificanti.
Michael Scofield
era un uomo che non poteva essere fermato. Almeno non da un altro essere umano.
E ve lo dice uno che ha passato la vita a rincorrere gente di ogni tipo. Ve lo
dice uno che ha passato mesi a braccare Michael Scofield,
a inseguirlo come il lupo insegue la sua preda.
Scofield, per me, è
stato a lungo una preda; un’ossessione.
Perché non lo capivo. Non lo decifravo.
Un bravo ragazzo che si era fatto
arrestare senza un vero perché. Un bravo ragazzo con la faccia pulita e il
corpo ricoperto di tatuaggi. Un bravo ragazzo a cui io non volevo credere.
Perché i bravi ragazzi non rapinano le
banche e non si ricoprono di disegni gotici il petto e la schiena. Perché i
bravi ragazzi non finisco in prigione; e soprattutto i bravi ragazzi dalle
prigioni non evadono. Portandosi dietro altre sette persone, poi.
Michael Scofield,
invece, era un bravo ragazzo. Forse il miglior bravo ragazzo che abbia mai
incontrato in tutta la mia vita. Uno che è stato disposto a farsi marchiare, a
portarsi sulle spalle il peso di scelte difficili solo perché nessuno gli ha
lasciato altra scelta. Solo perché non ha potuto scegliere.
Ecco chi era Michael Scofield.
Ecco chi era l’uomo che per me è diventato
un amico. Un uomo che mi ha usato più di una volta; un uomo che non si fidava
di me. Ma che quando mi ha dato la sua parola che mi avrebbe tirato fuori dai
guai, c’è stato. C’è sempre stato. Anche se gli avevo ammazzato il padre.
Un uomo che mi ha lasciato in mano il suo
testamento anche se sapeva che avrei potuto tradire. Un uomo che ha messo se
stesso, sua moglie e suo figlio, il fratello che adorava nelle mie mani. Una
volta; più di una volta.
Un uomo così non puoi sperare di fermarlo.
Puoi solo pregare che si decida a lasciarti in pace.
Ha scelto lui di fermarsi. Ha scelto lui
di farsi prendere. Perché l’unica cosa che poteva fermarlo, appunto, era lui
stesso. E la malattia che lo stava mangiando.
E allora. Allora ha fatto una scelta.
Quella scelta che, da padre, posso capire. Quella scelta che avrei fatto
anch’io, se avessi potuto. Ha scelto di morire; perché suo figlio potesse
vivere.
Ecco chi era Michael Scofield.
Pensieri sparsi
Credo di aver fato un nuovo significato al termine
“millanta”.
Ma ho deciso che, negli scampoli di
tempo (più simili a fili sfuggiti al cestino da ricamo ben pigiato nell’armadio
che a brandelli di tessuto), cercherò di chiudere ciò che fino ad ora ho in
sospeso sul web ma terminato nella memoria del computer.
E questa Identity si è presa di prepotenza il primo posto.
Di nostalgia, certo. E una certa
chiacchierata a scuola su Jobs, da Vinci e Michael non ha avuto nessun peso,
sia mai!
Comunque. Eccomi qui. Con il
penultimo tassello.
Un amico. Di nuovo. Mahone.
Ecco: Mahone
è uno dei personaggi che ho amato di più. Come, personalmente, mi piace il suo
punto di vista nella falsh. Uno Scofiel
allo specchio. Perché, inutile negarlo, Mahone è
forse l’unico che può giocare alla pari con Michael. Ma è anche un Michael
disilluso, cinico, nevrotico. Quello che sarebbe potuto diventare Michael,
senza una motivazione a spingerlo e tenerlo concentrato.
Per questo mi piace. È angst. È complesso. E sì: forse è l’unico che davvero può
aver capito chi è Michael Scofield.