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Autore: Ksyl    09/02/2021    3 recensioni
La storia prende spunto dalla fine della 8x08, ma le cose non sono andate esattamente come nel telefilm.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Si mise in tasca il biglietto, guardandosi intorno furtiva, quasi aspettandosi di veder comparire Castle da un momento all'altro. Magari da dietro un albero. Purtroppo non si fece vivo nessuno. Ne fu un po' dispiaciuta. Varcò la soglia del distretto con passo deciso, salutando con aria distratta la gente che incontrava al suo passaggio, senza registrarne i volti. Era troppo presa a rimuginare sul pezzo di carta che stringeva forte tra le dita, come se avesse timore di perderlo.

L'ascensore arrivò in fretta al quarto piano, senza che lei avesse dato nemmeno una sbirciatina. Moriva dalla curiosità di sapere cosa ci fosse scritto. Un altro invito a cena? Non osava confessarselo, ma era quello che sperava.
Temeva però che fosse qualcosa di molto meno positivo, ed era il motivo per cui non lo aveva ancora aperto. Peggio che non sapere la verità, è sapere la verità.
Si sedette alla sua scrivania, la porta aperta. Non aveva motivo per chiuderla, anche se lo avrebbe desiderato. Il lavoro la travolse, impedendole di concentrarsi sull'unica questione che le interessava davvero.
Rispose a qualche telefonata, si fece ragguagliare su un caso, di cui capì poco o nulla, controllò la sua agenda, mandò in giro i suoi detective. Solo dopo qualche ora riuscì a ritagliarsi qualche minuto di solitudine. A un certo punto le era sembrato che il suo ufficio fosse diventato il punto di raccolta previsto per le emergenze, "Radunatevi qui", seguito da cartelli dimostravi.
Sparpagliò sul tavolo un quantitativo di documenti sufficiente a camuffare la presenza di biglietti sospetti. Si sentiva come se avesse avuto quindici anni.

Sempre controllando la situazione, si alzò dalla sua scrivania e andò a prendere il suo cappotto. Con il cuore che le batteva forte - a differenza del risveglio mattutino, per eccitazione e non per ansia - frugò in tasca, con la paura che fosse scomparso. Sollevata dal ritrovarselo sotto le dita, lo chiuse nel palmo della mano e tornò a sedersi. A furia di spostarlo da una parte all'altra sarebbe diventato presto illeggibile.
Non sarebbe successo nulla di grave se il messaggio non fosse arrivato a destinazione, si disse. Avrebbe sempre potuto chiedere a Castle di ripeterle a voce il contenuto misterioso. Magari a casa sua. A casa loro, si corresse subito. Magari davanti a due bicchieri di vino. Ma per come si erano lasciati era già miracoloso che lui si fosse preso la briga di uscire di casa prima di lei e di orchestrare quel complicato sistema di comunicazione. Non voleva essere l'anello debole della catena, quello che vanificava gli sforzi del gruppo.

Era stato piegato più volte. Lo aprì piano. In uno dei risvolti, che via via dispiegava, lesse la scritta "Bruciami". Scoppiò a ridere, portandosi subito la mano alla bocca, per nascondere la reazione inopportuna. Ci mancava solo che pensassero che rideva da sola in ufficio.
Castle stava prendendo la faccenda della necessità di segretezza molto sul serio. Non doveva stupirsene. Era quello che aveva sempre desiderato. Complotti, segreti e missioni sotto copertura. Erano le cose che lo mandavano su di giri. Ma in un quadro più generale, cosa significava per il loro rapporto questa messinscena?
Era più confusa che mai. Doveva leggere il contenuto. Era inutile aspettare ancora.
Mentre sollevava l'ultimo lembo, pronta a scoprire di che morte doveva morire, sobbalzò nell'accorgersi che Vikram aveva fatto irruzione nel suo ufficio, senza bussare. Addio privacy.
Nascose in fretta il biglietto sotto altre carte, sperando che Vikram non si fosse accorto del suo gesto circospetto.

La guardò interrogativo, ma lei dissimulò, assumendo la sua migliore aria professionale, sperando di convincerlo che non stesse facendo niente di straordinario. Da quando aveva accettato l'invito a cena da parte di Castle era diventato molto sospettoso. Era convinto che lei si sarebbe buttata tra le braccia di suo marito appena girato l'angolo. Cosa che, per inciso, lei avrebbe volentieri fatto, se avesse potuto. Ma non era così. E non erano affari di Vikram. Certo, aveva ragione. Castle non doveva essere coinvolto, sarebbe stato rischioso, ne era consapevole. Non gettava al vento la prudenza solo perché le mancava, ma l'atteggiamento ansioso di Vikram cominciava a darle sui nervi.
Erano tutti in pericolo, e dovevano mantenere la calma. Lei aveva tutto sotto controllo. Tranne la sua vita privata, ma quello non lo riguardava.
Risultò che non avevano fatto nessun passo avanti su LokSat, da quando avevano scoperto il presunto ruolo di Caleb Brown. Ci avrebbe pensato più avanti, decise congedandolo e dandogli appuntamento per la sera stessa.


Agguantò al volo borsa, e fu di nuovo in strada. Il biglietto era sempre con lei. Disperava che sarebbe riuscita ad aprirlo in tempo utile perché servisse a qualcosa. Sembrava che l'universo si fosse messo contro di lei e non stava citando l'universo a caso.
Si trovò seduta su una sedia scomoda, in apparenza composta e partecipe, ma annoiata fin nel midollo, ascoltando la voce soporifera di qualcuno di cui non aveva colto i titoli e che stava riferendo su questioni monotone che faticava a seguire. Per non parlare del considerarle inutili e poco importanti.
Era il momento giusto. Il momento della verità.
Raccolse la borsa da terra, se la mise in grembo e recuperò il pezzo di carta, appallottolato in fondo. Passò la mano chiusa a pugno sulla superficie per lisciarne le pieghe. Ok. Doveva farlo. Si fece coraggio.

Venne fuori che Castle non aveva scritto proprio nulla, non nel senso tradizionale del termine. Aveva solo abbozzato alcuni schizzi che, da quel che le sembrava, non avevano nessun senso logico. O almeno uno che le fosse subito chiaro. Sospirò. Si era aspettata qualcosa di romantico, anche se aveva cercato di tenere a freno le sue aspettative.
In ogni caso i geroglifici che aveva tratteggiato dovevano significare qualcosa. Se Castle si aspettava che lei risolvesse il rebus, prendendosi il disturbo di inventare un codice apposito, lei doveva già possedere gli strumenti per farlo.
Estraniandosi dal contesto in cui si trovava, prese la sua agenda e una penna e si concentrò a fondo per risolvere il mistero. Intorno a lei sarebbe potuta scoppiare una bomba, costringendoli a evacuare la palazzina e non se ne sarebbe accorta.
Un mistero era pur sempre un mistero. Racchiudeva in sé il fascino dell'ignoto.
Primo indizio – aveva iniziato a definirli così – un paio di manette. Arrossì. Era un invito? Se anche non richiamava l'idea di un appuntamento, poteva benissimo riferirsi al dopo. Ai loro dopo. Il gioco cominciò a piacerle.

Non doveva però fossilizzarsi su un'unica ipotesi. Il metodo scientifico non funzionava così. Inoltre, non aveva senso con quello che era successo la sera prima. Tenerla lontana e poi invitarla nel suo letto. Non che non fosse già successo. Ricordava ancora bene che cosa era successo quando si era presentata a festeggiare l'anniversario posticipato. Ma in quel caso era stata lei a tenerlo lontano e lui a chiedere una pausa dalla loro pausa.Si incupì di nuovo.
No, per quanto le piacesse l'idea, non poteva riferirsi a quello. Andò oltre, lasciando per il momento le manette in sospeso. Forse, proseguendo, si sarebbe chiarito il tutto.
Il secondo indizio le scaldò il cuore. Due fedi intrecciate. Lo ripeté nella mente. Due. Fedi. Intrecciate.
Sfiorò il disegno con un dito. Le passò rapido nella mente il pensiero infantile che lui aveva toccato la carta che lei aveva ora tra le mani. E aveva disegnato degli anelli nuziali. I loro anelli.
Non avrebbe mai confessato a nessuno che pensare a suo marito la faceva sentire come al primo appuntamento. Solo che non c'erano appuntamenti in vista. O sì?
La situazione, rifletté, non poteva essere tanto grave, se lui aveva usato un simbolo del genere. Non era un cuore diviso a metà, giusto? Anche se non riusciva a immaginare Castle usare qualcosa di tanto stucchevole. Lei forse doveva invece iniziare a riflettere sulla sua sanità mentale. La riunione stava volgendo al termine, fece in tempo solo a dare un'occhiata al terzo indizio, senza poter analizzarlo in modo appropriato.
Salutò, strinse mani, si accordò per un pranzo fuori, dedicandosi ai quei convenevoli indesiderati, ma necessari, che facevano parte del suo nuovo incarico.

Decise di non prendere un taxi, ma di fare una passeggiata fino al distretto. Era un giornata tiepida per essere la metà di novembre, proprio come quando si erano sposati, un anno prima. Il che la ricondusse al messaggio cifrato. L'ultimo disegno rappresentava una corona. Buio totale. Non le veniva in mente niente.
Cominciò a irritarsi con lui. Non poteva parlarle, invece di inviarle stupidi giochetti che le facevano solo perdere tempo?
Ancor prima di finire il pensiero si rese conto di essere stata ingiusta, e di essere solo frustrata perché le cose non erano andate come si era aspettata e perché non riusciva a risolvere quel maledetto rebus.
Ci pensò di nuovo, mettendo in fila i tre indizi. Manette, anelli, una corona.
Che cosa stava cercando di dirle? Siamo sposati, sei la regina del mio castello (rise), torna a casa e ti ammanetterò per tenerti sempre con me? Magari. Sospirò cullandosi per qualche istante nelle sue fantasie.
Non doveva pensarci. Doveva dimenticare il biglietto, fare altro, lasciare che il suo inconscio rielaborasse gli elementi in suo possesso e li decifrasse nel modo corretto.
Non era nemmeno sicura che si trattasse di una frase, di un messaggio che intendeva trasmetterle o di un invito per vederla da qualche parte. E se invece si fosse trattato di quello?

Le sembrava di continuare a girare in tondo, senza riuscire a trovare una soluzione. Prese il cellulare. Sarebbe stato così sbagliato chiedere aiuto? Era sicura che non le avrebbe detto niente. Quando si trattava di sfide a quiz lui non era uno che si facesse impressionare da due occhi supplichevoli. Si trincerava dietro al “Devi pensarci da sola, Beckett”, inducendola a volerlo rinchiudere in una cantina buia e lasciarlo per giorni senza viveri.
Era un detective, perché si faceva scoraggiare così in fretta? No, non gli avrebbe dato la soddisfazione di dimostrargli che da sola non riusciva a risolvere un mistero. Ne era già convinto senza che lei contribuisse ulteriormente a nutrire il suo ego.
Entrò al distretto senza avere nessuna idea sensata su quello che suo marito stava tentando di dirle.


 

   
 
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