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Autore: Signorina Granger    09/02/2021    11 recensioni
INTERATTIVA || Iscrizioni Chiuse
21 Dicembre 2019.
Due Auror, a seguito di una missione in Germania, salgono su un treno che da Berlino li porterà a Nizza, in Francia. I loro piani e quelli degli altri passeggeri vengono però sventati completamente quando sul lussuoso Riviera Express viene rinvenuto il cadavere di una donna. Fermato il treno in mezzo ad una bufera, il Ministero tedesco, d’accordo con quello britannico, assegna ai due il compito di rivolvere il caso trovando il colpevole che, di certo, viaggia sui loro stessi vagoni.
[Storia liberamente e umilmente ispirata a “Assassinio sull’Orient Express” di Agatha Christie]
Genere: Comico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo 4 – Alla fine tutti avevano ciò che meritavano
 
 
 
22 Dicembre, ore 17 pm
 
 
Caro diario,
a breve ci sarà il secondo interrogatorio, ma prima abbiamo provato l’Incanto Reversus su tutte le bacchette ritirate. Purtroppo nessuna di loro ci ha svelato granché. Credo che il prossimo che verrà interrogato sarà il cuoco, e Clodagh sta prendendo in giro Asriel perché dice che ha deciso così solo per dargli poi il tempo per preparare la cena.
Alpine oggi è proprio antipatica, fa le fusa ad Asriel e non mi considera neanche! Persino Zorba è arrabbiato con lei, e la sta guardando malissimo.
 
James alzò lo sguardo dal suo diario di viaggio – un quadernino con la copertina coperta da fiocchi di neve e pupazzi, tutto a tema natalizio – per lanciare un’occhiata torva alla sua gatta.
La bellissima Alpine, un’adorabile quanto viziata esemplare di Gatto di Birmania, non aveva lasciato le ginocchia di Asriel sin da quando il mago si era seduto per provare le diverse bacchette, facendo le fusa e lanciandogli occhiate stucchevoli con i grandi occhi azzurri. Ogni tanto lanciava anche sguardi di sfida a Zorba, che se ne stava acquattato in un angolo guardandola con stizza.
 
Oltre ai gatti, lui e Asriel nella cabina c’era anche Clodagh: la strega si era comodamente sistemata sul letto di Asriel, e dopo aver estratto un thermos dal suo zainetto stava sorseggiando del thè in tutta calma.
 
– “Che c’è?!” – Aveva risposto perplessa di fronte allo sguardo torvo del collega – “E’ l’ora del thè, e la cucina è chiusa!” –.
Dal canto suo, Asriel aveva sospirato, mormorando che avrebbe ucciso pur di avere un caffè prima di provare e riprovare ogni bacchetta, senza che nessuna si rivelasse quella giusta.
 
“Probabilmente l’assassino sapeva che qualcuno avrebbe potuto controllarla. Chiunque può aver fatto qualche altro incantesimo subito dopo per coprire le tracce. Immagino che sarebbe stato troppo semplice.”
“Ma l’assassino non sapeva che ci sarebbero stati degli Auror sul treno. James, puoi smetterla di scrivere le tue memorie e darci una mano?”
 
Sfoderando un sorriso colpevole, James si era affrettato a chiudere il diario e a metterlo da parte, tutto sommato felice che Asriel volesse il suo contributo:
“Sì, beh, magari lo sapeva. Chi può dire che non ci avesse visto? Non indossavamo la divisa, ma quasi tutti i passeggeri sono inglesi e… e tu e Clodagh siete piuttosto famosi, Asriel. Possono averti riconosciuto.”


“Senza contare che non sei uno che passa inosservato, anche se io ho modestamente i capelli più belli del Dipartimento.”


Clodagh annuì, passandosi distrattamente una mano tra i folti e brillanti capelli rossi mentre Asriel, ignorandola deliberatamente, annuiva piano e grattava le orecchie di Alpine con un’espressione pensierosa impressa sul viso.
“Sì, può essere andata così. Non penso che dovremmo comunque restituire loro le bacchette: c’è pur sempre un assassino in giro.”
“Sono d’accordo, anche se penso che non ne saranno felici.”
 
Clodagh, finito il suo thè, ripose il thermos mentre Zorba attraversava la cabina e saltava sul letto, stanco di essere ignorato. La strega lo aveva appena preso in braccio per coccolarlo quando Asriel, sbuffando, si era alzato sistemandosi distrattamente gli straccali neri sulle spalle:
“Coloro che avranno qualche rimostranza da fare, saranno liberissimi di venire ad esporle a me.”


Il suo tono era così serio che James si vide costretto a trattenere un risolino, certo che nessuno si sarebbe sognato di farsi avanti. Alpine, sfrattata dalle gambe di Asriel, si allontanò muovendo sinuosamente la lunga coda e ignorando il padrone, sistemandosi in un angolo senza guardarlo.
 
“Sei insopportabile oggi!”
 
James, esasperato dal comportamento viziato della gatta, incrociò le braccia al petto e ruppe il silenzio che si era appena creato: sia Clodagh che Asriel lo guardarono esterrefatti, e in particolare sul viso dell’uomo iniziò a dipingersi un’espressione più che mai scandalizzata.
“Chi, io?!”
“N-no, non tu Asriel, tu sei fantastico, intendevo Alpine!”
 
James avvampò, affrettandosi a gesticolare in segno di diniego mentre Clodagh ridacchiava con Zorba in braccio: mai avrebbe creduto di ritrovarsi coinvolta in un caso con quei due, ma doveva ammettere che era piuttosto divertente.
 
“Non dire così, è così dolce e carina!”
L’espressione seria di Asriel si trasfigurò e l’Auror rivolse un sorriso dolce alla gatta, che lo guardò adorante mentre James sfoderava una smorfia, trattenendosi dal rendergli note le sue rimostranze a riguardo.
 
“Bene, adesso andiamo ad interrogare il cuoco.”
“Come mai proprio il cuoco, tesoro?”
 
Lasciato Zorba sul letto, Clodagh si alzò in piedi rassettandosi i vestiti e lanciando uno sguardo divertito al collega, che la superò uscendo e infilandosi la giacca al contempo, ignorando il suo tono volutamente eloquente:
 
“Per nessun motivo in particolare.”
 
“Come no…” 
Mormorò Clodagh al più giovane mentre uscivano dalla cabina, che venne sigillata da un incantesimo di Asriel;
Vuole interrogarlo subito così poi può dargli il permesso di aprire la cucina e preparare la cena, dammi retta.”
 
*
 
Sa da una parte l’idea di essere il primo membro del personale a dover subire quella tortura – e perdita di tempo – lo infastidiva, Ruven entrò nel vagone ristorante ripetendosi che quanto meno facendolo subito poi non avrebbe più dovuto preoccuparsene.
Mentre sedeva sull’unica sedia pota di fronte al tavolo occupato dagli Auror, lo chef non potè fare a meno di chiedersi se non volessero interrogarlo per primo tra i colleghi perché sapevano qualcosa.
 
“Buonasera Signor Schäfer.”
Ruven si limitò a rispondere con un cenno, passando silenziosamente in rassegna i tre maghi che aveva di fronte con gli occhi verde chiaro. Non era propriamente un esperto in materia di Auror, ma doveva ammettere che fossero un trio piuttosto insolito: dalla strega con vestiti accesi tanto quanto i suoi corti capelli rossi e un sorriso dolce sulle labbra, al barbuto ed elegante collega con le braccia strette al petto e l’aria cupa seduto al centro e per finire il ragazzo più giovane, maglione natalizio addosso e l’aria più allegra e innocente che mai.
 
“E’ un problema se le chiedo di parlare in inglese? Io non ho difficoltà col tedesco, ma i miei colleghi non lo parlano e preferirei che sentissero anche loro.”


Ruven non si scompose, limitandosi ad annuire alla domanda in tedesco di Asriel, che parve soddisfatto. In cucina aveva sentito alcuni camerieri mormorare a proposito di un Auror che parlava tedesco, preoccupati perché avrebbe potuto comprendere le loro conversazioni facilmente, e apprendendo i nomi dei tre Sherlock Holmes di turno non aveva avuto dubbi su chi si trattasse, visto il cognome tanto inconsueto per un britannico.
“Bene. Il Signor Schäfer è disponibile a rispondere in inglese, così potrete seguire anche voi.”
James annuì alla spiegazione del collega, prendendo in mano la stessa penna usata qualche ora prima per l’interrogatorio di Delilah mentre Clodagh allacciava le mani sul tavolo, osservando il cuoco con curiosità.
 
“Dove è nato, Signor Schäfer?”
“A Berlino, nel 1992. Ho frequentato Durmstrang, ovviamente.”


“E lavora come cuoco da molto?”
Ruven non rispose alla domanda di Clodagh, spostando lo sguardo su di lei con sincera perplessità: non perché non volesse rispondere, ovviamente, ma semplicemente non ne fu in grado.
“Come, scusi?”
Lo chef parlò aggrottando la fronte, confuso e chiedendosi che cosa gli avesse chiesto, e Asriel roteò gli occhi prima di rispondere con un vago gesto della mano:


“Le ha chiesto se lavora come cuoco da molto. La Signorina Garvey è irlandese.”
Davvero non si capisce quando parlo?!”
 
Clodagh si sporse in avanti e si rivolse a James con sincera preoccupazione, guardando il collega sorriderle e rassicurarla che, nonostante l’accento e certe espressioni bizzarre, si facesse capire perfettamente.
 
“Oh, scusi, non avevo capito. Ho iniziato appena finita la scuola, e lavoro qui da circa un anno e mezzo… Prima sono stato un po’ ovunque.”
 
*
 
“Ahia! Mamma, lasciami, mi fai male cazzo!”
Ruven si pentì dell’epiteto non appena ebbe finito di parlare, visto che quella scelta di linguaggio sembrò solo peggiorare la situazione: sua madre Gela, dopo averlo trascinato fino alla porta di casa per un orecchio, concluse la sua opera assestandogli uno scappellotto sul coppino, facendolo gemere sommessamente.
Hilda, la sua sorellina di sette anni, non sembrò particolarmente colpita da quello spettacolo ormai abituale e continuò a colorare il suo quaderno pieno di principesse e castelli standosene distesa sul tappeto davanti al divano.
 
“Non parlare così davanti a tua sorella! E se non la finisci di andartene in giro a fare vandalismo ti rinchiudo in camera tua!”
“Non è vandalismo, non faccio male a nessuno! E’ arte, sei tu che non lo capisci!”


Il ragazzino di quattordici anni, a casa per le vacanze estive, lanciò un’occhiata di sfida alla madre mentre stringeva le braccia al petto, maledicendola mentalmente per aver interrotto il suo bel graffito nel vicolo accanto.
 
“Se quella è arte io sono la Regina d’Inghilterra. Non mi piacciono neanche un po’ i ragazzi che frequenti, tesoro.”
La strega scosse la testa con disapprovazione e il primogenito alzò gli occhi al cielo. Hilda, che fino a quel momento era stata in silenzio, ridacchiò e asserì che gli amici del fratello fossero dei “brutti scimmioni”.
 
“Meglio delle tue amichette pettegole!”
“Non è vero!”
Hilda gli fece la linguaccia, e Ruven ricambiò prima di essere spedito a lavarsi da parte della madre, che gli intimò di non far rumore:
“Tuo fratello sta facendo il riposino, e tra poco tuo padre sarà a casa… Non farlo innervosire più di quanto già non sia.”
 
Ruven sbuffò sonoramente ma obbedì, borbottando che non serviva che glielo ripetesse ogni santo giorno: lo sapeva benissimo da solo, quanto suo padre tornasse stanco dal lavoro.
 
*
 
Tornato nella sua cabina dopo aver consegnato la propria bacchetta e dopo aver chiesto a Delilah del suo interrogatorio, Prospero si chiuse a chiave la porta alle spalle prima di avvicinarsi ad uno dei suoi bagagli: una piccola valigetta di pelle nera con inserti d’oro e con ben tre lucchetti a tenerla sigillata.
Il suo gatto dal pelo maculato, un regalo fattogli da un certo prestigioso cliente giapponese, era acciambellato sulla poltroncina e gli lanciò un’occhiata pigra mentre guardava il padrona appoggiare la valigetta sul letto e aprirla.
Il felino ovviamente non fu in grado di decifrare l’espressione stupita e, soprattutto, carica d’orrore quando la valigetta si rivelò contenere solo documenti e rotoli di pergamena. Del suo carico più prezioso, nessuna traccia.
 
 
Una stecca di liquirizia stretta tra le labbra, Delilah girovagava per il treno preda della noia più totale.
Non c’era nulla da mangiare, e non sapeva cosa fare. Aveva recuperato la macchina fotografica che aveva portato con sé, e si lasciò sprofondare su un divanetto con un debole sbuffo prima di iniziare a passare in rassegna le ultime foto scattate.
Foto di Berlino, Berlino, Berlino. Ancora Berlino. Ogni tanto faceva la sua comparsa uno scatto che ritraeva un’avvenente e alta strega bionda, strega che aveva sperato ardentemente di riuscire ad incastrare con qualcosa di compromettente.
Ma così non era stato. Che gli affari di Alexandra Sutton non fossero propriamente limpidi era un fatto noto, ma doveva ammettere che la strega era tutto fuorché sprovveduta. Pur seguendola, non era riuscita a trovare niente contro di lei.
Sbuffando piano, Delilah cancellò la foto. Poi un’altra, e un’altra ancora, finchè degli scatti che ritraevano l’avvocato non rimase nulla, solo foto di Berlino.
Non era riuscita a scoprire, di preciso, che cosa l’ex Grifondoro fosse andata a fare nella capitale tedesca. Di sicuro, da quel viaggio Alexandra non avrebbe più fatto ritorno.
 
*
 
Quando Ruven tornò a casa, una sera, con un enorme livido sulla parte sinistra del viso, sua madre dovette fare una scelta: completare l’opera e ucciderlo con le sue mani, oppure fare la madre premurosa e accudirlo.
Anche se le urla scossero la casa – e svegliarono il piccolo Siard, di quattro anni, che stava dormendo al piano di sopra – alla fine Gela si arrese, e fece sedere il primogenito sul divano per mettergli del ghiaccio.
 
“Si può sapere con chi te le sei date?!”
“Con un imbecille senza cervello! Ma non preoccuparti, lui è ridotto peggio. Ahia! Perché mi picchi, mamma?!”
Gela accompagnò il solito scappellotto con un’occhiata torva, sibilando di non voler neanche sentire certi dettagli:
“Ruven, so che non sei un cattivo ragazzo, ma la devi smettere con queste cazzate.”
“Mamma, hai detto una parolaccia!”
 
La vocina di Hilda fece ridacchiare il fratello maggiore, che ammonì a sua volta la madre scimmiottando il suo tono di rimprovero.
“Scusa piccola, hai ragione. Ruven, sono seria! Non metterti in guai seri, per favore.”
All’improvviso l’espressione della strega si fece meno arrabbiata e quasi apprensiva, e il figlio le sorrise prima di annuire e abbracciarla, parlandole con tono rassicurante:
“No, mamma. Non preoccuparti, non voglio… dare altri pensieri a te e a papà. Vedila così, a Durmstrang ci tengono sempre in riga, almeno a casa devo pur divertirmi un po’!”
 
*
 
 
“Ro-Ro?”


Erano in pochi a chiamarlo “Prospero”. Quel nome tanto particolare e altisonante riscuoteva sempre lieve smarrimento nel suo interlocutore, tanto che per il mago era ormai diventata un’abitudine farsi chiamare solo “Ro” un po’ da chiunque.
L’unica ad avergli affibbiato un soprannome diverso era stata la sua probabilmente più cara amica della scuola: Delilah, per qualche inspiegabile motivo, aveva sempre preferito chiamarlo “Ro-Ro”.
Udendo quel singolare appellativo, seguito dal bussare alla porta, l’ex Serpeverde smise di misurare l’interno della cabina a grandi passi e si fermò, guardando la valigetta ancora aperta sul letto e infine la porta.
Con un piccolo sospiro, il mago chiuse la ventiquattrore nera e la ripose sotto al letto, poi si stampò in faccia il suo sorriso migliore e aprì la porta mentre Kiki lo osservava pigramente dalla sua poltroncina:
 
“Ciao fogliolina. Bisogno di qualcosa?”
Al cenno dell’amica Prospero si fece da parte, mettendosi di lato per lasciarla passare. Delilah, una macchina fotografica appesa al collo – ma di questo il mago non si stupì –, entrò e si lasciò sprofondare sul letto senza ricambiare il suo sorriso, guardandolo seria in volto.
“Ti devo chiedere una cosa.”
“D’accordo.”


Chiusa la porta, Prospero esitò prima di andare verso la poltroncina foderata di velluto, sollevare il gatto e sedersi mettendoselo sule ginocchia. Prese ad accarezzarlo osservando l’amica con attenzione, guardandola osservarsi la punta delle scarpe stringate nere prima di mormorare qualcosa:
 
“Sai quando ti ho chiesto cosa nascondessi?”
“Sì.”
“Scherzavo, ovviamente. Insomma, è insolito sapere che viaggi in II classe. Ma poi è saltato fuori un cadavere e gli Auror mi hanno chiesto di te.”


Delilah alzò lo sguardo per rivolgersi all’amico, osservandolo con attenzione. Prospero non battè ciglio e non si scompose, continuando ad accarezzare la testa di Kiki tenendo le gambe accavallate.
“Che cosa ti hanno chiesto?”
“Se siamo ancora amici come a scuola, se ci vediamo di frequente, se sapessi perché sei qui… Perché credi che mi abbiano chiesto di te?”
 
“Beh, sapranno che siamo amici. No?”
Sul viso di Prospero si fece largo un placido sorriso, e il mago parlò inclinando leggermente la testa di lato senza smettere di guardare l’amica, che ricambiò il suo sguardo senza sorridere, annuendo piano.
“Sì. Immagino di sì. Ro-Ro… credo che dovresti dirmelo, se davvero nascondi qualcosa di importante.”
“Laila, tesoro, non farti impressionare dalle loro domande. Non nascondo un bel niente.”
 
Prospero si strinse nelle spalle, sorridendole calmo. Delilah annuì prima di alzarsi, ma invece di uscire subito dalla cabina gli si fermò accanto e gli parlò un’ultima volta:
“Gli ho detto che è impossibile che sia stato tu, Ro-Ro. Però io ti conosco meglio di chiunque qui dentro… posso mentire a loro, ma tu non puoi mentire a me.”
“Pensi che sia stato io, fogliolina?”
 
Il mago alzò la testa per guardarla e l’espressione di Delilah si rilassò, abbozzando un sorriso prima di scuotere appena il capo:
“No, certo che no. Chi mai vorrebbe credere che il suo più caro amico è un assassino? Ma quando vorrai dirmi la verità, sai dove trovarmi.”
“Tu glielo hai detto, il vero motivo per cui sei qui?”
 
Prospero inarcò un sopracciglio, guardandola eloquente e senza smettere di sorridere, dandole un buffetto affettuoso sul braccio quando la vide aggrottare la fronte, dubbiosa:
 
“Fogliolina. Neanche tu puoi mentire a me.”
 
*
 
Nella lettera, sua madre gli comunicava che il padre aveva perso il lavoro a causa di dei tagli di personale nell’azienda berlinese magica dove lavorava da anni come macchinista. Ruven la lesse seduto sul proprio letto, ormai al sesto anno a Durmstrang, e dovette trattenersi dal prendere la lampada sul suo comodino e scagliarla sul pavimento.
Adorava e ammirava suo padre più di chiunque altro: Fulbert era un Magonò, non aveva potuto frequentare Durmstrang e aveva sposato una donna che era stata diseredata dalla sua famiglia per la sola colpa di aver amato uno come lui.
Sapeva che era stato un sollievo, per lui, vedere i primi segni della magia in tutti e tre i loro figli: di certo lui e Gela avrebbero amato lui e i suoi fratellini incondizionatamente, ma Ruven era certo che il padre avesse avuto il timore di vederli patire un destino simile al proprio.
 
Senza esitare, il ragazzo prese rotolo di pergamena, penna e calamaio e iniziò a scrivere una lettera per il padre senza curarsi della possibilità di sporcare il letto con l’inchiostro. Mentre era a scuola la sua famiglia gli mancava sempre terribilmente – anche se non l’avrebbe mai detto apertamente ad Hilda, che ormai aveva nove anni ma che lui continuava a chiamare “nanetta” – e in quel momento l’unica cosa che poteva fare era dar loro un po’ di supporto, anche solo a distanza.
 
*
 
“Come si trova a lavorare qui?”
“Bene. Mi è sempre piaciuto viaggiare, e lavorare su un treno te ne dà la possibilità. E si incontrano molte persone diverse, in treni come questi.”

 
Ruven si strinse nelle spalle, guardando l’Auror donna – non riusciva proprio a ricordarne il nome, se non qualcosa di vago e con uno stranissimo suono – voltarsi verso il collega e dirgli qualcosa a bassa voce.
Il tedesco inarcò un sopracciglio, trattenendosi dal farle notare che non era necessaria tanta riservatezza: di certo avrebbe faticato a comprendere le sue parole in ogni caso, per quanto parlasse correttamente l’inglese.
 
“La scorsa notte… ha sentito qualcosa di strano, o ha sentito qualche suo collega dire qualcosa a proposito della vittima?”
“No. Noi viaggiamo nella parte opposta del treno, oltre le cucine, quindi sono molto lontano dalla I classe. E nessuno ha dato cenno di conoscere quella donna.”
“Lei la conosceva?”
“No. Non l’ho neanche vista, lavoro in cucina. Di norma chi lavora in cucina non esce a fare conversazione, da molti è ritenuto disdicevole.”


Il bel volto del mago venne trasfigurato da una piccola smorfia di pura disapprovazione, ma Ruven si astenne dal fare commenti mentre Asriel inarcava un sopracciglio, parlando serafico:
 
“Strano.”
“Perché è strano?”  
Il cuoco mosse la testa di scatto, aggrottando la fronte e facendosi ancor più serio di prima mentre scrutava l’Auror di rimando. Asriel, invece, non si scompose e sorrise debolmente, stringendosi nelle spalle:
“Strano che non l’avesse mai sentita nominare. E’ famosa.”
“Non ne so nulla di legge, Herr Morgenstern.”
 
Il volto dello chef si rilassò, e il mago si strinse nelle spalle mentre James annotava diligentemente le sue risposte. Prese anche a fare il disegnino di un adorabile gattino in un angolo del foglio, ma l’occhiata di Asriel lo costrinse a sorridere innocentemente prima di affrettarsi a cancellarlo.
 
*
 
“Renèe…”
“No.”
“Ma potremmo….”
“Ti dico di no.”
“Ma uffa, mi annoio!”


May si lasciò sprofondare nella poltrona con uno sbuffo carico di disapprovazione, incrociando le braccia al petto e scoccando un’occhiata torva all’amica: Renèe, comodamente stesa sul proprio letto nella cabina in I classe in cui viaggiava, si stava limando le unghie curate mentre Artemis, la sua Scottish dal morbido pelo chiaro, giocava sulla moquette.
 
“May, lo so che sei curiosa, ma credimi, è una cattiva idea. Tra l’altro, stanno interrogando lo chef.”
“Per fortuna, oserei dire, così poi potrà cucinarci la cena. Muoio di fame. Che cosa è una cattiva idea, comunque?”


Elaine sedette sul bordo del letto di Renèe scalciando con grazia le scarpe dalla singolare suola rossa prima di rivolgere un sorriso ad Artemis, facendole cenno di avvicinarsi.
“Ma che graziosa signorina abbiamo qui… Ciao piccola.”
Accavallando le gambe avvolte nei pantaloni del costoso completo, l’ex Tassorosso si chinò e sollevò la gatta prendendola tra le braccia, carezzandole la testa.
 
Osservandola e chiedendosi come potesse risultare sempre così aggraziata, elegante e composta, May – che si era raccolta alla buona i capelli sulla nuca in un disordinato chignon – scoccò un’occhiata di rimprovero in direzione di Renèe, parlando con giocoso tono d’accusa:
“Renèe è diventata noiosa e non mi lascia divertire.”
“E che cosa vorresti fare?”
 
Elaine le rivolse un placido sorriso gentile, guardandola quasi con leggero divertimento sbuffare mentre Renèe, accanto a lei, roteava gli occhi con fare teatrale:
“Beh, quante volte ti capita nella vita di restare bloccato su un treno dove è stato commesso un omicidio? Sembra uno scenario uscito da un libro! Mi sembra il minimo cercare di cogliere i pochi lati positivi della situazione e cercare di distrarci indagando. Così avrò qualcosa di avvincente da raccontare a Pearl quando tornerò!”
“Detective May Hennings alla riscossa… May, lo dico per te, Asriel Morgenstern non è tipo da apprezzare le intromissioni quando lavora. Lo dice sempre anche mio fratello. Nel, diglielo anche tu!”
 
Renèe gesticolò con la limetta in mano in direzione della Tassorosso, che fece spallucce e ammise che un po’ di dramma non le sarebbe dispiaciuto.
“Un po’ di dramma? E’ stato trovato un cadavere in un treno di lusso, non ti sembra che ce ne sia già a sufficienza, di dramma?”
 
“Un momento… tuo fratello! Ecco perché conosci l’Auror! Confessa!”
 
May indicò l’amica con fare accusatorio, raggiante per aver svelato l’arcano mentre Elaine aggrottava la fronte, leggermente perplessa dalla piega presa dalla conversazione anche se aveva imparato a non sorprendersi delle stramberie di quelle due già quando andavano a scuola e lei e May condividevano lo stesso tavolo ad Erbologia.
Dal canto suo, la giovane fabbricante di bacchette arrossì, asserendo di non sapere di cosa l’altra stesse parlando mentre May, alzandosi, sorrideva divertita:
“Io credo che tu lo sappia invece. Non posso credere che tu non me l’abbia detto!”
 
Ridacchiando, la bionda si avvicinò al letto per punzecchiare l’amica, che si difese brandendo un cuscino mentre Artemis seguiva la scena rassegnata dalle braccia di Elaine, che parlò sfoderando la sua espressione più perplessa:
“Chiedo scusa, temo di essermi persa… di quale tra i numerosi fratelli di Renèe stiamo parlando?”


“Achilles, il più grande. E’ uno dei pochi Ollivander a non essere rimasto negli affari di famiglia… Infatti è un Auror, e conosce il nostro Signor Belle Braccia. Tempo fa non mi hai detto che lui e tua madre si erano intestarditi per presentarti qualcuno e tu ti eri infuriata? Porco Godric, non dirmi che era il Signor Belle Braccia!”
May scoppiò fragorosamente a ridere e Renèe le lanciò contro un cuscino diventando dello stesso colore della sua vecchia divisa, borbottando che era sulla buona strada per diventare una vecchia pettegola.
 
“Senti senti… e lui come ha reagito?”
Cercando di non ridere e continuando a coccolare Artemis, Elaine sorrise divertita mentre l’ex Grifondoro sbuffava, parlando a bassa voce e lanciando un’occhiataccia a May.
Oh, credo che volesse prendere mio fratello e ucciderlo.”
 
“Ma non ce l’ha una ragazza? Strano, è così bello!”
Tornata a sedersi – e riuscita a smettere di ridere – May guardò l’amica sfoggiando un’espressione sinceramente perplessa, mentre Renèe riprese a controllarsi le unghie laccate di rosa stringendosi nelle spalle:
“Stando a quello che dice Achilles, no. Del resto, pare che abbia un carattere un po’… difficile. E poi, mio fratello dice che al Ministero gli fanno tutte gli occhi dolci, ma che lui non le considera per nulla.”
“Magari gli piacciono gli uomini.”
 
Elaine parlò con tono vago e facendo spallucce, rimettendo Artemis sul pavimento per lasciarla tornare a giocare con un gomitolo mentre May sgranava gli occhi inorridita:
Merlino, speriamo di no! Sarebbe una gravissima perdita per tutta la componente femminile non omosessuale dell’umanità! Aspetta… e se fosse… magari è già innamorato di qualcuno e nessuno lo sa!”
Sul volto di May si dipinse un’espressione raggiante, quasi sentisse di aver svelato un altro mistero e morendo dalla voglia di indagare a riguardo. Questa volta, tuttavia, il turno di ridere fragorosamente fu di Renèe, che annuì come se l’amica avesse detto qualcosa di estremamente divertente:
 
“Sì, certo, Asriel Morgenstern innamorato… al massimo del suo gatto!”
 
*
 
“Come stai?”
“Bene.”
Seduto di fronte al padre, Ruven guardò l’uomo sforzarsi di sorridergli prima di sporgersi verso di lui e abbracciarlo, stringendolo più forte che poteva.
“Mi dispiace papà.”
“Non è certo colpa tua se la causa non è andata come speravamo.”
Ruven annuì mentre nascondeva il viso contro la spalla del padre, cercando di trattenere le lacrime. Di sicuro non avrebbe potuto aiutarlo mettendosi a fare la femminuccia.
“Adesso sono a casa e ci resterò. Andrà bene. Ti aiuterò, ok? Te lo prometto.”
Ruven si staccò dal padre per guardarlo in faccia, stringendogli le spalle con entrambe le mani mentre l’uomo annuiva piano, guardandolo con la solita espressione triste, quasi vuota, con cui lo vedeva da circa un anno.
“Lo so. Ti voglio bene.”
“Anche io ti voglio bene, papà.”
 
Ruven lo abbracciò di nuovo, e per quanto avrebbe voluto chiedergli di tornare quello di un tempo non se la sentì di farlo, restando in silenzio.
Si limitò a domandarsi perché lo sentisse sempre più distante, anche mentre lo stringeva.
 
*
 
“Ciao Finn.”
In piedi all’esterno del treno, appoggiato alla ringhiera di ferro della “terrazza” posta al limitare del veicolo, Finn stava osservando il paesaggio innevato non potendo fare a meno di pensare a quanto sarebbe stato bello, non fosse stato per la situazione a dir poco spiacevole in cui si trovavano.
Sentendosi chiamare da una familiare voce profonda l’ex Corvonero si voltò, abbozzando un piccolo sorriso quando vide Asriel in piedi davanti a lui, le mani sprofondate nelle tasche di un cappotto nero a doppio petto.
 
“Salve Signor Morgenstern. E’ venuto ad interrogarmi?”
“No, al momento siamo alle prese col cuoco… piccola pausa. Ora che ci penso…”
Sul volto di Asriel si dipinse un’espressione perplessa, ritrovandosi a guardare l’ex compagno di Casa e rendendosi conto di quanto lui e Ruven Schäfer si somigliassero.
 
“Ti sei accorto che sembrate fratelli separati alla nascita?!”
“Non sei il primo a dirlo, ma onestamente non mi sembra proprio.”
Finn, ripensando alle parole e all’espressione attonita di Lenox, si strinse nelle spalle mentre Asriel, osservandolo dubbioso, estraeva da una tasca uno zippo d’argento e un pacchetto di sigarette.
“Non ne fumavi solo una al mattino e basta?”
“Sì, ma questa mattina non ne ho avuto modo… sai, ritrovamento di cadavere a sorpresa.”
 
Asriel si avvicinò all’ex compagno di Casa mentre si portava la sigaretta alle labbra, accendendola prima di parlare senza guardarlo, scrutando a sua volta la distesa di conifere e di neve in mezzo a cui si trovavano:
“Ovviamente interrogheremo anche te, ma volevo chiederti perché sei qui, Finn.”
“Lavoro, come te.”
Il mago si strinse nelle spalle e ignorò l’occhiata scettica che l’Auror gli rivolse, parlando a bassa voce.
“Quindi non sapevi che lei era qui?”
“E come diavolo avrei potuto?”
 
Finn parlò inarcando un sopracciglio e con il tono più gelido di cui era capace, intercettando l’occhiata dubbiosa che l’altro gli rivolse prima di parlare di nuovo, scuotendo la testa:
 
“Cerca solo di non finire nei guai un’altra volta.”
“Lo so. Ci sto lontano, dai guai. Credimi.”
 
 
Appoggiata al lato interno della porta scorrevole lasciata socchiusa, Corinne aggrottò la fronte. Era uscita dalla sua cabina per andare a prendere un po’ d’aria e fumare un’altra sigaretta, ma sentendo quelle voci – tra cui quella dell’Auror – si era fermata.
Specialmente quando li aveva sentiti rivolgersi indirettamente ad Alexandra.
 
Perché sembrava che tutti, su quel treno, la conoscessero? E lei che aveva pensato, inizialmente, di essere l’unica ad averci avuto a che fare.
Si stava chiedendo come Alexandra e quel ragazzo potessero conoscersi – di sicuro lei non aveva mai fatto il suo nome in sua presenza – quando scorse una quarta figura avvicinarsi lungo il corridoio. Teneva già la sigaretta in mano, pronta a fumarla, ma la strega si ridestò e la ripose rapidamente prima di allontanarsi, ricambiando con un cenno il sorriso cordiale che la seconda donna le rivolse quando le passò accanto.
 
“Asriel? Se vuoi possiamo riprendere.”
Clodagh si affacciò osservando Finn con curiosità – era quasi insolito vedere il suo collega intrattenersi in chiacchiere –, e il mago ricambiò brevemente il suo sguardo prima di lanciare un’occhiata perplessa all’Auror, che fino ad un attimo prima teneva la sigaretta in mano.
Dove diavolo era finita?
“Arrivo, Clodagh. Stavo… salutando Finn.”
 
Impassibile, Asriel stava per seguire la collega nuovamente dentro al treno quando la rossa ridusse gli occhi a due fessure e incrociò le braccia al petto, guardandolo carica di sospetto:
“Stavi fumando, Asriel?”
“No, certo che no. Lo sai che ne fumo solo una al giorno.”    Il mago non si scompose, stringendosi nelle spalle con noncuranza mentre Finn tratteneva a stento un sorriso: l’abilità di Asriel a mentire spudoratamente inventando di tutto su due piedi lo aveva sempre divertito non poco, sin da quando andavano a scuola.
“E già così non va bene per niente, se ti becco a sgarrare te la vedrai con me! Ti devo ricordare che cosa ne sarà dei tuoi polmoni?”
 
L’espressione severa di Clodagh non sembrò scalfire particolarmente l’altro Auror, che salutò Finn con un cenno prima di seguire la collega dentro al treno, ascoltando con noncuranza la sua ramanzina.
 
Osservandoli allontanarsi, Finn non poté fare a meno di pensare a a tutti i casi che avevano risolto, i criminali sbattuti ad Azkaban. Eppure, guardandoli lavorare da vicino, doveva ammettere che i due brillanti Auror costituivano davvero una strana accoppiata.
 
 
“Prima di rientrare… hai notato quanto si è innervosito, quando ho insinuato che fosse strano che non conoscesse la vittima?”
Asriel si fermò accanto alla porta del vagone ristorante assieme a Clodagh, che annuì mentre si attorcigliava distrattamente una ciocca di capelli rossi attorno ad un dito:
 
“Assolutamente sì. Credi che mentisse?”
“O ha un’enorme coda di paglia… oppure è solo molto nervoso per il contesto. Può succedere, ovviamente, ma non mi sembra il tipo che si fa intimidire da un interrogatorio. Beh, entriamo e continuiamo.”
 
Il mago aprì la porta e fece cenno alla collega di precederlo, guardandola sbattere le ciglia e ringraziarlo con lo stesso tono civettuolo che usavano le segretarie o le colleghe più giovani in ufficio.
“Clo, smettila di prendermi in giro.”
“Perché? Non posso chiamarti Asrielino come fanno loro?”
 
“Qualcuno deve solo permettersi di chiamarmi così e lo spedisco a lavorare in Burundi!”
 
*
 
“Non piangere, Siadr.”
Ruven teneva il fratellino di cinque anni in braccio, sentendolo singhiozzare contro la sua spalla mentre la fossa dove avevano calato al bara veniva lentamente ricoperta.
Anche Hilda piangeva mentre stringeva la madre, ma come lui Gela aveva gli occhi e il viso asciutti: entrambi avevano esaurito tutte le loro lacrime già prima del funerale.
 
Ruven non avrebbe mai potuto dimenticare il giorno in cui, un paio di mesi dopo essersi diplomato, era entrato in casa e aveva trovato il padre appeso al soffitto della cantina con una lettera lasciata sul pavimento. L’unica cosa di cui si rallegrava era di essere entrato in casa per primo, riuscendo così ad impedire ad Hilda di vedere prima di chiamare l’ambulanza in stato di shock.
 
 
Quella sera, Gela andò a dormire presto portando Siadr con sé, mormorando che difficilmente sarebbe riuscita a chiuderci occhio stando da sola ancora per molto tempo.
Era molto tardi quando, invece, Ruven sentì il familiare e leggero tocco della sorellina bussare alla porta. Un attimo dopo il faccino arrossato dalle lacrime di Hilda apparve dietro la porta, e Ruven la guardò esalando un sospiro carico di disapprovazione:
“Dovresti dormire, nanetta. Sei piccola per stare sveglia a quest’ora.”
“Non voglio stare da sola, ma con la mamma c’è già Siadr… puoi dormire tu con me?”
 
Hilda non glie l’aveva mai chiesto in tutti i suoi 10 anni di vita, ma Ruven quella sera, dopo il funerale, accettò senza remore, facendosi da parte per permettere alla bambina di infilarsi sotto le coperte accanto a lui.
“Ruven? Tu non farai come papà, vero?”
“No nanetta, resterò a romperti le scatole e a rubarti le bambole in eterno, non temere.”
 
*
 
 
“Un momento!”
“Che cosa c’è JJ?”
 
Clodagh stava rileggendo in tutta calma il resoconto dell’interrogatorio quando la voce del più giovane la distrasse, portandola ad alzare lo sguardo per posare su di lui gli occhi celesti.
Anche Asriel – che stava mangiando nervosamente un secondo sacchetto di noccioline portogli dalla collega – lo guardò, incuriosito, e James strabuzzò gli occhi prima di alzarsi in piedi, l’immancabile maglione con gli omini di marzapane addosso:
“Non abbiamo controllato tutte le bacchette!”
“Come sarebbe? Sì invece, le abbiamo ritirate tutte. Tranne le nostre, ovviamente, ma sebbene io nutra dubbi sui gusti cromatici di Clodagh non la riterrei mai capace di uccidere qualcuno, a parte il buon gusto.”
“Ehy! Guarda che mi riprendo le noccioline!”
 
 “No, non parlavo delle nostre… non abbiamo controllato quella della vittima!”
 
Un breve silenzio tombale seguì le parole di James, mentre Asriel e Clodagh lo guardavano immobili. Poi, dopo una rapida occhiata scambiata fugacemente, entrambi si alzarono, accompagnati da un’imprecazione da parte del più vecchio:
“Porca puttana… andiamo a prenderla. Clodagh, perché non me l’hai ricordato?!”
“IO? E tu invece, perché non ci hai pensato?”
“Io stavo controllando le altre, eri tu quella che beveva il thè pomeridiano! Volevi anche i biscottini per caso?”
“Le solite scuse! E proprio tu parli, che tra un interrogatorio e l’altro stai sempre a mangiare noccioline!”
 
 
Per una volta, James non si fermò ad ascoltare i loro bisticci, ma girò sui tacchi e uscì di corsa dal vagone ristornate con i due al seguito, diretti verso la cabina di Asriel.
Estratta la bacchetta, l’ex Tassorosso fece scattare la serratura ed entrò nella stanza, Asriel subito dietro.
 
“Accio.”
Il sacchetto contenente la bacchetta di Alexandra uscì dalla sua valigia e planò dritto verso l’Auror, che lo prese prima di rivolgere un muto cenno del capo a Clodagh: la strega, presa a sua volta la bacchetta, fece uscire quella della vittima – lunga, e piena di incisioni a forma di ghirigori – e la tenne sospesa a mezz’aria.
Prior Incatatio.”
 
Quando qualcosa iniziò ad uscire dalla punta della bacchetta, James trattenne il fiato. Alpine si avvicinò incuriosita, mentre Zorba si acquattò diffidente accanto alla gamba del padrone, osservando una sorta di rivolo di fumo perlaceo uscire dalla bacchetta e riversarsi in mezzo ai tre Auror, fluttuando lentamente nell’aria.
Clodagh sospirò, capendo ancor prima che il fumo divenisse verdastro: non era la prima volta in cui l’Incanto Reversus produceva quell’effetto su una bacchetta, nelle numerose indagini che aveva svolto.
James, invece, osservò colpito prima che Asriel annullasse l’incantesimo con un cenno della propria bacchetta, osservando quella di Alexandra con un po’ di rassegnazione:
“Beh, almeno sappiamo quale bacchetta ha ucciso la Sutton. Peccato che il suo carnefice sia stato così accorto da usare la sua.”
“E ovviamente questo non ci porta da nessuna parte.”


Clodagh aggrottò la fronte, guardando accigliata il collega rimettere via la bacchetta. James stava per chiedere se per caso non avrebbero potuto rilevare delle impronte come nelle serie tv Babbane quando Asriel gli assestò una sonora e poderosa pacca sulla schiena:
“Bravo James.”
 
Certo di avere la spalla slogata e rimasto senza fiato, James deglutì e si sforzò di sorridere, mormorando un “grazie” soffocato mentre il collega si chinava per prendere Zorba in braccio.
“Bene, propongo di aspettare la cena esaminando le informazioni che abbiamo raccolto fino ad ora… continueremo con gli interrogatori domani. Dovremmo anche scrivere al Ministero per farci mandare informazioni dettagliate sui sospettati, ci faremo prestare un gufo.”
“Scrivo io a Potter, tu non gli stai simpatico. Comunque fa’ attenzione Asriel, per l’amor del cielo, hai quasi ucciso il povero Jamie!”
 
Clodagh massaggiò la schiena dell’ex compagno di Casa con fare apprensivo e lanciando all’amico un’occhiata di rimprovero che venne ricambiata da un’espressione sinceramente sorpresa, quasi leggermente dispiaciuta:
“Oh… scusami tanto James.”
“F-figurati.”
 
*
 
“Hilda è a Durmstrang, tra pochi mesi ci andrà anche Siadr e adesso tu te ne vai… di questo passo resterò sola!”
In piedi davanti al figlio, che aveva già sistemato i pochi bagagli nel bauletto della sua Honda nera, Gela parlò con un sospiro mentre Siadr saltellava attorno al veicolo chiedendo perché non poteva andare col fratello maggiore.
“Perché sei un nanetto che non ha nemmeno una bacchetta, e i nanetti non vanno in moto.”
“Non sono un nanetto!”
 
Il bambino sfoderò la sua espressione più offesa, lanciando un’occhiataccia al maggiore prima che Ruven lo zittisse con un buffetto affettuoso sulla testa.
“E soprattutto, devi badare alla mamma per me. Intesi? Adesso sei tu l’uomo di casa.”
All’improvviso il bambino sorrise, gonfiando il petto e guardando la madre con gli occhi chiari luccicanti:
“Bello! Comando io, mamma?”
“Quando sarò nella bara! Vai a fare i compiti.”

 
Gela alzò gli occhi al cielo e spedì il figlio minore dentro casa ignorando le sue proteste, sorridendo a Ruven prima di abbracciarlo:
“Mi mancherai tesoro. Non fare cazzate, capito?! Perché in caso lo saprò e verrò a prenderti per un orecchio come ho sempre fatto.”
“Le mie orecchie infatti implorano pietà da dieci anni, grazie al tuo tocco amorevole.”
Il ventiduenne aggrottò la fronte, lanciando un’occhiata torva alla madre prima di stringerle le mani nelle sue, promettendole di scriverle spesso e di mandarle del denaro ogni mese.
“Ruven, non devi dare quasi tutto a noi, lo sai… devi tenere qualcosa in più per te.”
“No. Siete la mia famiglia, e ne avete più bisogno voi. Soprattutto per Hilda e Siadr.”
 
“D’accordo… quando torni, tesoro?”
Ruven sorrise prima di stringersi nelle spalle, avvicinandosi alla moto per prendere il lucido casco nero:
“Quando avrò visto un po’ di tutto, a cominciare dall’Europa. E quando sarò un cuoco ancora più bravo e famoso, soprattutto.”
 
 
*
 
 
“A chi scrivi, chérie?”


Corinne sedette accanto a Clara e accavallò le gambe lasciate nude dalla gonna del vestito con rapidi movimenti fluidi, soprassedendo come suo solito sull’occhiata attonita che l’amica lanciò alle sue gambe.
“George.”
La mora rispose senza guardarla in faccia, distogliendo lo sguardo per tornare a concentrarsi sulla lettera che stava scrivendo. Corinne non disse nulla, irrigidendosi leggermente sulla sedia mentre le parole le morivano in gola.
Anche la bionda distolse lo sguardo, osservando con insistenza le proprie mani allacciate in grembo mentre l’amica mormorava qualcosa spezzando il silenzio:
“Sai, per dirgli… che non so quando riuscirò a tornare.”


“Sono sicura che entro un paio di giorni al massimo saremo a Nizza. Chissà, forse verrà fuori che la morte di Alexandra è stata un assurdo incidente.”
“Lo credi davvero?”
 
Questa volta l’ex Spezzaincantesimi si decise a guardare l’amica, rivolgendole un’occhiata piuttosto dubbiosa: di norma non aveva mai dubbi sul fatto che Corinne potesse avere ragione, ma in quel caso si sentiva di poter dissentire.
“Non lo so. Onestamente non lo so. E’ davvero… assurdo. Chissà che cosa ci faceva su questo treno, poi.”
 
“Quindi non sapevi che l’avresti incontrata qui?”
“Cosa? No, santo cielo. Pensi che volessi vederla dopo tutto quello che è successo?”
 
Corinne parlò piegando le labbra in una smorfia quasi disgustata, sorpresa nel sentire udire quelle parole. Tuttavia, non si stupì quando vide l’amica prendere la lettera che stava scrivendo e alzarsi mormorando qualcosa a bassa voce:
 
“Averci a che fare dopo quello che aveva fatto a me non ti disgustava tanto, cinque anni fa.”
“Clara, ti prego… se vuoi ne possiamo parlare una volta per tutte.”
 
La bionda sospirò, parlando con tono quasi implorante mentre allungava una mano per sfiorare quella dell’amica, che però scosse il capo e la ritrasse prima di girare sui tacchi e allontanarsi.
Corinne non si alzò e non cercò né di fermarla né di seguirla: si limitò a guardarla allontanarsi, fuggendo da una conversazione che probabilmente rimandavano da troppo tempo, prima di maledire mentalmente quella stronza della sua ex fidanzata.
Anche se, dopotutto, sapeva che la colpa non era stata solo di Alexandra: la stupida a fidarsi infondo era stata lei.
 
 
Pardon, Monsieur.”
Clara accennò un lieve sorriso con le labbra quando passò accanto a Lenox per attraversare il corridoio e raggiungere la propria cabina e lui si spostò per farla passare, rivolgendole un debole sorriso a sua volta e un cenno del capo.
 
L’ex Tassorosso lanciò un’occhiata incerta alla porta scorrevole chiusa del vagone ristorante, chiedendosi come sarebbero proseguiti gli interrogatori.
Dal canto suo, non era particolarmente impaziente del suo turno: conoscendosi, avrebbe finito col mettersi in un mare di guai, e tutto per colpa di quel suo stupido problemino con il caldo, i vestiti, l’agitazione e un opprimente senso di soffocamento che lo attanagliava quando si sentiva sotto pressione.
 
“Dici che mi prenderanno subito per il colpevole e che mi sbatteranno ad Azkaban, Polly?”
Il mago abbassò lo sguardo sulla cagnolina che lo seguiva fedelmente prima di chinarsi e prenderla in braccio, carezzandole la testa con un piccolo sorriso.
 
“Beh, per fortuna ho te, vero piccolina?”
La cagnolina, tutto ciò che gli rimaneva della sua ex moglie, abbaiò e gli diede un paio di leccatine su una mano, dimostrandogli come sempre tutto il suo affetto.
Lenox le sorrise con calore prima di guardare un’ultima volta la porta chiusa del vagone, dopodiché si diresse nuovamente verso la propria cabina: aveva pensato di uscire a fumare, ma aveva la sensazione che avrebbe finito con l’incontrare qualcuno, e in quel momento preferiva rimanere solo.
Soprattutto considerando che c’era un assassino in circolazione.
 
*
 
Ruven mise piede nella sua amata, familiare cucina con un sorriso sollevato: gli sembrava di non entrarci da secoli, e quel posto aveva un che di terribilmente rassicurante.
 
“Bene, assassinio o meno penso che quelli avranno comunque una gran fame, quindi meglio mettersi al lavoro.”
Lo chef s’infilò la sua adorata giacca a doppio petto nera dopo aver dato una carezza a Neko, il suo adorato gatto trovato per caso durante un viaggio in Giappone che come al solito se ne stava in un angolino aspettando il suo consueto spuntino.
 
 
“Signor Schäfer? Volevo dirle un’ultima cosa.”
Ruven era sulla soglia, quando lo aveva sentito chiamarlo. Sentendosi raggelare – che si fosse lasciato sfuggire qualcosa su quella grandissima stronza? Possibile? – il cuoco si era voltato lentamente, sforzandosi di apparire impassibile.
Il sollievo che aveva provato quando aveva visto Asriel Morgenstern accennargli un sorriso, non avrebbe mai potuto descriverlo:
 
“Il pranzo era ottimo.”
“Grazie. Mi fa piacere.”
 
Aveva sentito la strega ridere e accusare bonariamente il collega di essere il solito mangione, ma Ruven non ci aveva prestato troppa attenzione, uscendo dal vagone sentendosi più leggero che mai.
Forse per il momento era davvero riuscita a scamparla.
 
Mentre iniziava a fare avanti e indietro dalla dispensa e dalla cella frigorifera, Ruven pensò alla donna morta. Una strega che aveva incontrato sei anni prima, quando aveva intentato una seconda causa ai danni di chi aveva causato la rovina, la depressione e il suicidio di suo padre.
Del processo, non avrebbe mai potuto scordare che una cosa: il sorriso, il volto e l’espressione compiaciuta dell’avvocato avversario dopo aver vinto la causa. Avvocato che aveva quasi aggredito, fuori di sé, fuori dall’aula di tribunale.
Sorridendo appena, Ruven prese in mano un coltello e prese ad affettare le verdure. Alla fine tutti avevano ciò che meritavano.
 
*
 
Un’ora dopo, quando uscirono dalla cabina per andare a cena, Clodagh alzò lo sguardo su Asriel e gli si rivolse con un tono insolitamente preoccupato:
“Asriel?”
“Sì?”
Perplesso nel scorgere l’espressione affranta della strega, l’Auror la guardò quasi con leggera preoccupazione, rilassandosi e cercando di non ridere quando Clodagh gli chiese l’ultima cosa che si sarebbe aspettato:
 
“Ma tu mi capisci quando parlo, vero?”
“All’inizio ho dovuto farmi l’orecchio, ma sì rossa, ti capisco anche troppo bene.”
Rincuorata, Clodagh sorrise e gli circondò la vita con un braccio mentre lui faceva lo stesso poggiandole un braccio sulle spalle, lamentandosi di avere fame e facendola scoppiare a ridere di conseguenza:
 
“Maledetto spilungone atletico, potessi io mangiare tutto quello che mangi tu!”
“Cosa pensi, che un cervello come il mio si tenga in azione da solo? No signora!”


 
 
 
 
 
 
………………………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:
 
Buonasera!
Chiedo scusa per il ritardo, di solito mi metto alla tastiera e i capitoli mi escono molto rapidamente, ma questa volta non è stato così.

Come ho fatto per Wars of the Roses, ho pensato di fissare le pubblicazioni con cadenza precisa, così da potermi organizzare meglio (anche se in realtà vale anche per voi, alla fine, visto che così saprete sempre quando aggiornerò): i capitoli dovrebbero arrivare ogni 10 giorni, quindi il prossimo salvo imprevisti arriverà venerdì 19 febbraio. A me andrebbe bene fare anche un capitolo alla settimana, ma ho paura che poi qualcuno possa avere difficoltà a stare dietro agli aggiornamenti…
In sostanza, ditemi voi che ne pensate e se un capitolo ogni 10 giorni vi aggrada. In caso di imprevisti, ovviamente vi informerò preventivamente su Instagram.
 
Ed ecco i nomi di oggi, andiamo su tre fanciulle:
 
May
Clara
Corinne
 
Considerando che dovrei aggiornare tra dieci giorni, vi pregherei di farmi avere il nome entro non più di una settimana.
 
A presto!
Signorina Granger

 
   
 
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